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Una donna può tutto

titolo: Una donna può tutto

autore: Ritanna Armeni

editore: Ponte alle Grazie – Adriano Salani Editore

anno di pubblicazione: 2018

ISBN: 978-88-3331-024-4





 

“Quei maledetti piccoli aerei. Arrivano solo di notte, scendono silenziosi, lanciano il loro carico di fuoco e tornano rapidi fra le nuvole… Possibile siano donne? Così brave, abili, precise, incuranti del pericolo?

Arrivano la notte all’improvviso, seminano il terrore e poi toccano di nuovo il cielo.

Misteriose, sfuggenti, inafferrabili. Sembrano streghe. Nachthexen, streghe della notte”

E’ l’8 ottobre 1941 quando, in Unione Sovietica, con l’ordine numero 0099, vengono istituiti tre reggimenti di aviazione composti interamente da sole donne.

I tre reggimenti erano: il 586° caccia bombardieri con in dotazione gli YAK-1; il 587° bombardieri in picchiata con in dotazione i bimotori Petliakov-2; il 588° per i bombardamenti notturni con in dotazione i biplani Polikarpov Po-2.

Sarà proprio delle donne del 588° reggimento, che i tedeschi, con rispetto, soprannomineranno “Nachthexen” ovvero “streghe della notte“, che Ritanna Armeni ci parlerà, o meglio ci farà conoscere la loro storia raccogliendo la testimonianza di una Strega: Irina Rakobolskaja, vice comandante del 588° reggimento.

Il Polikarpov aereo in dotazione al 588° reggimento, che erroneamente nel libro viene definito come un bimotore (si può pensare che questa inesattezza provenga da un errore di traduzione dal russo all’italiano confondendo il significato di biplano con bimotore), è un biplano monomotore degli anni venti in legno, non è veloce con i suoi 120 km/h di velocità massima e non vola alto (tangenza operativa di soli 1000 metri).

Il Polikarpov Po-2 (nome in codice NATO Mule), inizialmente denominato Polikarpov U-2, era soprannominato dai piloti russi “Kerosinka” (traducibile in italiano con un pittoresco: “Lampada a cherosene”) per la sua tendenza ad incendiarsi. Fu un aeroplano di grande successo se consideriamo che fece il primo volo alla fine degli anni ’20 e terminò la sua attività alla fine degli anni ’60, utilizzato fino ad allora dall’Aviazione Bulgara. Ad oggi ce ne sono ancora molti in condizioni di volo e diversi altri nei vari musei dell’aria dei vari paesi ex filosovietici. Disegnato dal famoso  progettista Nikolaj Nikolaevič Polikarpov, già incarnava lo spirito che ha poi sempre contraddistinto le costruzione aeronautiche sovietiche: semplicità e robustezza, Forse il Po-2 era fin troppo spartano e razionale con costi molto contenuti anche in termini di gestione e manutenzione. Come dire: la formula della longevità di un velivolo ben riuscito

Ma richiede una manutenzione minimale, è facilmente riparabile, non ha bisogno di aeroporti per decollare e atterrare: un qualunque campo appena pianeggiante va bene.

Un aeroplano apparentemente non adatto all’impiego in guerra e un gruppo di giovani donne apparentemente non adatte all’impiego in guerra, formeranno un connubio formidabile e una perfetta macchina da guerra.

Costruito in oltre 40 mila esemplari nelle più disparate versioni (terrestre, con sci, idrovolante, con cabina chiusa, aeroambulanza, lavoro agricolo oltre che addestratore e bombardiere) è un velivolo assai conosciuto dai pilotti di tutti le nazioni che furono sotto l’influenza sovietica, Corea del Nord compresa. In quei cieli se la vide con i jet statunitensi riuscendo a farla franca grazie alla bassa velocità e alla ottima manovrabilità. Solo i F4 Corsair, residui bellici della II Guerra Mondiale riuscivano ad averne ragione. Ebbe anche un impiego intensivo come aereo da trasporto passeggeri nelle tratte commerciali a corto raggio ma, di sicuro, conobbe il culmine della gloria quale velivolo in uso al 588° Reggimento tutto al femminile, proprio quello delle “Streghe della notte”

Il libro non contiene racconti dettagliati di missioni di guerra, nè troveremo foto, l’unica è quella di copertina una giovane “Strega” che abbraccia l’elica del suo Polikarpov, ma è una storia che inizia nel giugno del 1941 con il comunicato radio di Molotov:

“Alle 4 di questa mattina, senza alcuna dichiarazione di guerra e senza che prima sia stata fatta alcuna rimostranza all’Unione Sovietica, le truppe tedesche hanno attaccato lungo le nostre frontiere …

Seguiremo questo gruppo di giovani donne, rivivremo le loro emozioni: gioia, dolore, delusione, amarezza, ma anche caparbietà, ostinazione e grandissima forza di volontà e la consapevolezza che potevano farcela.

Sono tutte volontarie, vogliono dare il loro contributo per la difesa della patria, ma soprattutto non vogliono sentirsi dire: “no”, solo perché sono donne. Il Socialismo aveva sancito la parità tra uomo e donna, e ora loro erano lì a pretendere di fare la loro parte.

Come nella migliore tradizione editoriale, ecco il risguardo interno del libro “Una donna può tutto” in cui viene sintetizzato il contenuto del volume

La prima battaglia che dovranno combattere e vincere è quella contro il pregiudizio, lo scetticismo e l’ironia che non verrà loro risparmiata.

Formeranno un gruppo eccezionale che porterà, nel 1943, al 588° reggimento il conferimento del titolo di “46° Reggimento della Guardia”, è un riconoscimento importante: le Streghe sono diventate “sentinelle della patria”.

La storia termina il 15 ottobre 1945, quando il 588°, divenuto 46° reggimento della Guardia, è sciolto. Vengono consegnati al museo dell’Armata Rossa i documenti di volo, la bandiera e gli oggetti che avevano riguardato il reggimento.

Il risguardo interno del bel libro di Ritanna Armeni che ha regalato ai suoi lettori una piacevole intervista alla  pagina:  https://www.labalenabianca.com/2018/04/13/donna-puo-intervista-ritanna-armeni/ ricca di approfondimenti e riflessioni su questo libro davvero notevole

L’Unione Sovietica, unica nazione coinvolta nella II Guerra Mondiale ad impiegare le donne in combattimento lungo le linee del fronte, archivia così un esperienza, e con paternalismo rinvia le donne a casa affinché ora, in tempo di pace, riprendano il loro ruolo di mogli e madri all’interno delle famiglie dalle quali erano state per troppo tempo lontane.

Le Streghe hanno compiuto 23000 voli in 1100 notti di combattimento, 31 di loro sono morte in missione.

Sono donne che hanno affrontato da guerriere l’orrore della guerra, senza mai lasciarsi scoraggiare.   

Una storia poco ricordata se non addirittura lasciata cadere volutamente nell’oblio nella stessa ex Unione Sovietica da una storia scritta al maschile. L’Unione Sovietica aveva coraggiosamente osato tanto. Le donne sovietiche avevano risposto con entusiasmo e hanno ben ripagato la fiducia in loro riposta.

 

La splendida pilota da caccia sovietica Lydia Litvyak ritratta davanti al suo bimotore Petlyakov Pe-2. Durante il II Conflitto mondiale divenne famosa per aver abbattuto ben 12 velivoli tedeschi nel corso di 66 missioni. Un vero asso della caccia. “Era una donna molto aggressiva ma anche un pilota eccezionale”, dichiarò il suo comandante Boris Eremin (in seguito tenente generale dell’aviazione), “Un pilota da caccia nato” soleva dire di lei l’ufficiale. L’attività operativa di Lydia ebbe inizio proprio in seno al 586° Reggimento ove si addestrò lungamente a bordo dello Yak-1 (foto Flickr.com)

Ma neanche il Socialismo sovietico riesce ad accettare quello che queste donne avevano dimostrato con i fatti: la loro capacità di affrontare, alla pari, gli stessi compiti affidati ai loro colleghi uomini. Non sono scese in piazza a gridare slogan, ma sono andate a combattere in guerra affianco ai reggimenti maschili.

Il loro successo sembra infastidire, quasi impaurire, i vertici politici di allora ma anche quelli successivi alla caduta dell’Unione Sovietica. Dare enfasi o semplicemente ricordare queste pagine di storia poteva forse far crescere nelle donne l’aspirazione a ruoli di rilevanza politica? Il fatto che le donne non si erano tirate indietro, non avevano chiesto di rinunciare a questo progetto ma erano arrivate sino alla fine, ha lasciato spiazzati tutti. Cos’altro avrebbero potuto chiedere e pretendere ancora?

In Italia il servizio militare femminile effettivo su base volontaria verrà introdotto solo nel 1999. Prima del 2000 l’impiego in guerra, delle donne, era limitato al solo Corpo delle infermiere volontarie della Croce Rossa Italiana.

Un libro alla memoria delle Streghe che furono. Di riflessione per le Streghe che sono e che saranno.





Recensione a cura di Franca Vorano.

Didascalie a cura della Redazione di VOCI DI HANGAR





 

La lunga notte delle aquile

titolo: La lunga notte delle aquile

autore: Paolo Amico

editore: Pagine

anno di pubblicazione: 2004

ISBN: 88-7557-051-5





Le grandi librerie tradizionali dispongono spesso di alcune decine di migliaia di libri nei loro ampi locali; i volumi sono talvolta impilati a formare quasi dei corridoi o disposti più o meno strategicamente in scaffali/espositori. In questo marasma di cultura cartacea è assai difficile imbattersi accidentalmente in libri dall’evidente contenuto aeronautico.

Fatta eccezione per qualche volume di Richard Bach o per i classici di Clostermann o di Saint-Exupery, l‘unica via per procurarseli è conoscerne il titolo, semmai l’autore e chiederne conto al commessa/o nella speranza che il volume sia disponibile, semidisperso in qualche meandro dimenticato della libreria, appunto.

Situazione assai diversa sono invece le librerie on-line o, ancora meglio, le ormai consolidate piattaforme elettroniche che vendono, tra gli altri, anche libri. Nuovi oppure usati, spesso sono volumi venduti a prezzi di realizzo; per non parlare di quelli ormai fuori stampa da molti anni o di edizioni pressoché introvabili in quanto numericamente insignificanti o di scarsissimo (per non dire nullo) interesse per il grande pubblico.

Il merito di questa apparente magia di archeologia editoriale va reso ai potenti motori di ricerca interni che consentono, da casa, in tutta comodità, la scoperta di libri insospettabili fornendo loro parole chiave assai generiche come: “aviazione, cielo, aeroplani” e, talvolta, addirittura termini meno pertinenti quali “aquile, nuvole” e via discorrendo.

Quest’ultimo è il caso – del tutto fortuito, s’intende – che mi ha consentito di scovare il libro di Paolo Amico intitolato: “La lunga notte delle aquile” pubblicato nel già lontano 2004 ad opera di un editore, Pagine, che non può certo definirsi specializzato nel settore aeronautico.

Il romanzo ha quale scenario mirabile l’aeroporto di Guidonia.

Guidonia.

Il risguardo interno del bel libro di Paolo Amico che riporta, appunto, le sue note biografiche

Città dell’aria per definizione, gemellata già da diversi anni con Cape Caveral (la città delle stelle), prese il nome da uno dei pionieri dell’Aviazione italiana, certo ing Guidoni, tragicamente perito nel 1928 durante uno dei lanci prova del paracadute progettato da lui medesimo.

Minuscolo borgo laziale inizialmente abitato da pastori e contadini, Guidonia, durante l’epoca fascista, divenne sede del Centro Studi ed Esperienze (l’equivalente odierno del Reparto Sperimentale di Volo dell’Aeronautica Militare con sede a Pratica di Mare). Questo si concretizzò nella costruzione di un moderno aeroporto, in una serie di laboratori e strutture di ricerca all’avanguardia ove le menti geniali dell’epoca, assieme a ottimi tecnici civili o militari, effettuarono studi ed esperimenti su tutto quanto legato o inerente il mondo del volo. Inoltre, non venne trascurato l’aspetto abitativo sicché, secondo la proverbiale architettura fascista, fu edificato ex novo un razionale nucleo urbanizzato attiguo alla base ove trovavano alloggio i militari e i ricercatori con le rispettive famiglie.

Guidonia oggi, è un popoloso comune a ridosso della cinta urbana di Roma; è letteralmente dilagata su quella calda pianura romana tappezzata di cave di travertino romano, delimitata dai due cocuzzoli ove sono arroccati le località di Montecelio e di Sant’Angelo Romano, guardata a vista dalla blasonata Tivoli e dai monti Tiburtini, anticamera della Sabina e del rustico Abruzzo.

Il risguardo interno del volume “La notte delle aquile” che rende il giusto tributo al pittore Allan O’Mill cui l’autore deve l’immagine di copertina e di retrocopertina del suo volume

Delle strutture di ricerca, oggi, non rimane pressoché nulla di dignitoso, salvo ruderi alla mercé della vegetazione incipiente, l’attività di volo è ridotta ad un lumicino, il centro abitato si è dilatato a dismisura in modo indiscriminato senza un piano regolatore predeterminato.

Così, a Guidonia c’è chi c’è nato, c’è chi ci vive, chi ci lavora, chi consuma le sue vicissitudini quotidiane spesso ignorando, per lo più trascurando semplicemente l’esistenza dell’aeroporto cui la cittadina deve la sua stessa esistenza; oppure c’è chi, come il sottoscritto, ha avuto la fortuna di trascorrere l’infanzia e l’adolescenza a scrutare l’aeroporto di Guidonia. Per inciso, con un modestissimo binocolo tascabile con solo due miseri ingrandimenti, tanto che oggi mi domando se quello che vidi sulla pista o in cielo fosse per merito della mia vista aquilina oppure, più semplicemente, era frutto di allucinazioni dovute ad un genuino entusiasmo giovanile. Difficile dirlo.

Ciò che posso senz’altro confessare è invece che, in età adulta, ho avuto il privilegio di lavorare sugli alianti della Sezione di Volo a Vela dell’Aeroclub di Roma con sede a Guidonia e dunque, in altri termini, ho avuto l’opportunità di attraversare l’ingresso monumentale (di appariscente architettura fascista, neanche a dirlo) della base aerea, percorrere quei viali retrostanti la linea di volo contrassegnati dai resti semidistrutti della vasca idrodinamica e delle palazzine-laboratori, vedere la pista in discesa dal suo punto più alto.

Sottolineo il termine “privilegio” perché dubito che mi verranno concesse altre visite giacché, ahinoi, in seguito di un incidente mortale in cui perse la vita un pilota trainatore e in cui andò completamente distrutto il suo velivolo trainatore, il Volo a Vela civile a Guidonia è stato chiuso definitivamente qualche anno fa, gli alianti venduti e l’hangar (quello famoso accanto alla pista nel suo punto più alto), è stato restituito all’Aeronautica Militare.

Fortunatamente i volovelisti veramente appassionati nati e cresciuti a Guidonia, si sono trasferiti in quel di Rieti, confluiti negli AeroClub che lì hanno sede; purtroppo diversi piloti, meno motivati o meno danarosi, hanno abbandonato definitivamente. E così si è chiusa in modo tragico la storia del club di Volo a Vela geograficamente più a Sud del nostro paese.

La retrocopertina del libro di Paolo Amico che, come tradizione editoriale vuole, contiene un breve sunto del libro. Spicca il bellissimo quadro del pittore Allan O’Mill che riproduce il velivolo Savoia Marchetti S 64 in volo con cui Arturo Ferrarin compì il raid Guidonia-Touros (vicino Porto Natal in Brasile) che gli valse il record di distanza in linea retta di 7188 km senza scalo. La storia racconta che il velivolo decollò stracarico di carburante proprio dall’aeroporto di Guidonia sfuttando la pista in discesa appositamente realizzata per fornire un’abbrivio supplementare al velivolo.

Capirete dunque perché il sottoscritto nutra un particolare affetto per lo storico aeroporto di Guidonia e un po’ meno per il suo rumoroso, caotico e congestionato nucleo abitativo.

 

Ovviamente vi domanderete: perché tutta questa sicumera a proposito di Guidonia, divenuta da diversi anni la terza città più popolosa del Lazio (dopo Roma, s’intende, e Latina)?

Se avrete pazienza di continuare a leggere …

 

Ebbene, tornando al romanzo di Paolo Amico, divorare le sue 175 pagine, corredate da una generosa sezione iconografica e da doverose considerazioni finali, è stato come rivivere i momenti in cui osservavo da casa il sedime aeroportuale, è stato come rientrare nell’aeroporto di Guidonia ma, stavolta, non per motivi professionali. Riattraversare l’ingresso, camminare lungo i viali accanto ai ruderi delle installazioni mai ripristinate, godere della vista magnifica dal piazzale antistante l’hangar dell’Aeroclub … è stato un po’ come tornarci davvero. Ecco perché non stento a credere che, se il romanzo “La lunga notte delle aquile” cadesse nelle mani di qualche buon vecchio volovelista guidoniano, qualche occhio torbido – se non qualche lacrimuccia – lo causerebbe. Provare per credere.

Ma torniamo al libro.

Dopo aver letto il volume di Paolo Amico, se nascesse in voi una qualche curiosità circa il glorioso passato della base della Regia Aeronautica di Guidonia-Montecelio, beh … questo è un volume che la sanerebbe senza ombra di dubbio alcuno. Un’altro libro da tenere nella propria libreria tuttavia fuori stampa già da diversi anni. Vorrà dire che approfitterete della solita piattaforma on-line di vendita di libri usati.

Le vicende narrate nel romanzo sono lineari e geniali al contempo; si articolano a partire da un tardo pomeriggio invernale, proprio sulla pista dell’aeroporto di Guidonia. In effetti da qui si dipanano in due filoni paralleli e distinti: da un lato c’è Marco, allievo pilota di alianti alla prese con il suo volo solista, ossia il suo primo volo in assoluta solitudine (senza l’istruttore a bordo), dall’altro lato, c’è Luigi, un attempato istruttore (manutentore per necessità), che lo attende premuroso a terra come farebbe una chioccia con il suo pulcino.

Tutto sembra filare liscio quando ecco, si consuma il dramma: il tramonto è avvenuto da un bel po’ e il buio cala inesorabile, ma l’aliante non rulla fino alla testata pista sebbene il giovane pilota abbia dichiarato via radio di essere “in corto finale”. Luigi allora dispera prima in un fuori campo, poi in un atterraggio nella vicina aviosuperficie e, infine, come ultima impossibile eventualità, s’insinua in lui l’idea balsana che si sia verificato un evento di cui, a bassa voce e con circospezione, qualcuno è già stato testimone incredulo e, a sua volta, non creduto.

Nel frattempo Marco è invece atterrato perfettamente sulla pista di Guidonia sebbene l’aeroporto gli appaia insolito, diverso. Addirittura non c’è Michele ad attenderlo ed è scomparso il grande piazzale con gli aeroplani al parcheggio o la stessa Torre di controllo.

Parcheggiato l’aliante, il ragazzo sarà invece accolto da un misterioso ufficiale dell’Aeronautica che lo festeggerà con tanto di bottiglia di spumante e bicchieri. Sarà proprio costui che gradualmente, con tatto, lo inizierà al fenomeno sovrannaturale che si sta per compiere.

Se c’è un pilota e un velivolo che non potevano mancare alla “lunga notte delle aquile” raccontata da Paolo Amico, sono Carlo Emanuele Buscaglia e il suo famoso SM 79 Sparviero in versione aerosiluante. Se vorrete sanare la vostra curiosità sull’uno e sull’altro, vi consigliamo di visitare il sito web: “Ali e uomini” all’indirizzo: http://www.alieuomini.it/catalogo/dettaglio_catalogo/savoia_marchetti_sm_sparviero,8.html da cui abbiamo tratto questo splendido cartellone pubblicitario d’epoca

L’evento misterioso è appunto “la notte delle aquile”, una lunga notte invernale in cui l’aeroporto di Guidonia diventa il luogo di raduno dei grandi personaggi e degli aeroplani che hanno segnato la storia dell’Aeronautica Militare italiana. Guidonia è la loro città, la città dell’aria per definizione, il luogo deputato ove piloti, tecnici, progettisti e militari dell’Arma Azzurra possono darsi convegno, salutarsi e confidarsi l’un l’altro una volta all’anno.

Nella finzione narrativa di: “La lunga notte delle aquile”, mentre il giovane allievo pilota Marco sta brindando in compagnia di un certo Umberto Maddalena, il suo istruttore s’imbatte in Bruno Mussolini che, nel grande hangar di Guidonia, sta mettendo a punto i motori del suo bombardiere strategico Piaggio P 108B. Tra i due nasce subito una reciproca simpatia al punto che a Bruno viene spontaneo chiedergli di fargli da copilota nel volo di prova che intende effettuare di lì a poco. La verità storica fu tutt’altro che gradevole giacchè accomunerà in modo tragico Bruno Mussolini e il suo quadrimotore. Tuttavia preferiamo non aggiungere altro in quanto potrete trovare informazioni estremamente esaurienti riaguardo questo sfortunato velivolo e il suo famoso pilota nel sito web: “Ali e uomini” all’indirizzo: http://www.alieuomini.it/catalogo/dettaglio_catalogo/piaggio_p_b,71.html da cui abbiamo tratto il poster pubblicitario che ritrae il P108B

 

Ed ecco allora che Marco si renderà conto che l’enigmatico ufficiale della Regia Aeronautica altri non è che il redivivo Umberto Maddalena, mentre Michele contemporaneamente, avrà addirittura la fortuna di volare con il Piaggio P108B e di conoscere in carne ed ossa Bruno Mussolini che con quel velivolo perse la vita durante un volo di collaudo.

E ancora: avremo modo di conoscere molto da vicino veri e propri monumenti della storia dell’aviazione italiana come: Carlo Emanuele Buscaglia e Carlo Faggioni mentre ci verranno presentati i grandi ingegneri delle costruzioni aeronautiche italiane come: Mario Castoldi, Pegna, Casiraghi, Alessandro Marchetti, e lo stesso Celestino Rosatelli.

Marco e Luigi si ritroveranno finalmente assieme durante quella magica notte e avranno modo di assistere a quella improbabile rimpatriata di personaggi del passato e delle loro macchine volanti a bordo delle quali sono periti o grazie alle quali sono diventati famosi. Nella finzione credibile del romanzo tutti atterrano ordinatamente in successione sulla pista di Guidonia in un tripudio di aeroplani e di equipaggi mentre una gelida Luna osserva stupefatta quel mirabolante convivio.

Assieme a Michele e a Marco avremo così occasione di conoscere, tra gli altri, Arturo Ferrarin, il grande Adriano Visconti, e nientepopodimenoche Italo Balbo o lo stesso Alessandro Guidoni che si concederanno dei discorsi dal palco di questa singolare cerimonia, ponte ideale tra il passato e il presente, tra l’oblio e la memoria sempre viva.

Ai due personaggi principali si aggiungerà poi il generale Guarnieri, Capo di Sato maggiore dell’Aeronautica in carica che con mente aperta e cuore sincero, sarà anch’egli testimone di quella notte e da quella notte trarrà un rinnovato vigore nel portare a termine il suo compito istituzionale.

 

Il messaggio lanciato dal romanzo è dunque facilmente individuato: il mantenimento della memoria storica aeronautica.

Nobile scopo – certamente – facile a dirsi, difficile a praticarsi. Specie in un paese, come il nostro, in cui i cimeli abbondano ovunque e i musei ne hanno gli scantinati pieni; ove le gesta eroiche si perdono nella notte dei tempi e non sono mai mancati – parafrasando una definizione dell’italica nazione – santi, poeti e navigatori.

Una foto dell’epoca ritrae l’entrata monumentale dell’aeroporto di Guidonia. Ad onor del vero, a vederla oggi appare più monumentale di quanto non apparisse allora, Inutile sottolineare che tutte le facciate furono ricoperte di travertino romano estratto in una delle vicinissime cave dislocate tutto attorno all’aeroporto

E’ per questo motivo che personaggi illustri della storia della nostra aviazione – peraltro vecchi a malapena di cento anni o poco più – vengono inesorabilmente dimenticati o, nell’ipotesi migliore, semplicemente ignorati.

Ed è sempre per questo motivo che i luoghi che furono fondamentali per lo sviluppo delle attività aeronautiche nazionali (e non solo) sono state volontariamente o involontariamente lasciate cadere nell’oblio. Mi riferisco ad esempio all’idroscalo di Orbetello dove furono organizzate e presero avvio le Crociere Atlantiche e di cui ci ha dato conto in una recensione il nostro preziosissimo Evandro Detti. Oppure lo stesso aeroporto di Guidonia, crogiolo di ricerche all’avanguardia in molte discipline connesse al mondo aeronautico e al contempo luogo da dove presero avvio mirabolanti imprese come il record di quota di Pezzi o la trasvolata di Ferrarin.

A questo punto occorre una doverosa precisazione: quanto scrive il sottoscritto non è l’espressione nostalgica per un’epoca che non è la propria giacché ormai morta e sepolta dalla polvere del tempo, né intende dare voce ad una consunta dietrologia della serie: “Era meglio quando c’era lui”, giammai. In chi scrive, c’è lo stesso sentimento di rammarico – forse è più corretto definire: di amarezza – che è rinata ed è riaffiorata in tutta la sua genuinità a seguito della lettura del libro di Paolo Amico. La stessa amarezza che ha ispirato il suo autore – ne sono certo – nella stesura di questo libro.

Questo è l’omaggio indelebile che il regime fascista volle tributare al generale Alessandro Guidoni  con una cerimonia cui partecipò Mussolini in persona per la posa della prima pietra. Era il  il 27 aprile 1935, anniversario della morte del Generale, perito in quel medesimo luogo nel 1928.  Oggi quel tributo alla memoria si trova in un’area attigua alla strada principale (Viale Roma) che attraversa tutta Guidonia e che conduce all’aeroporto. E ancora oggi , sebbene soffocato tutto attorno da palazzi e automobili in sosta più o meno selvaggia, quel simbolo della memoria in travertino romano, ricorda degnamente colui che diresse, a partire dal 1927, proprio la Direzione superiore studi ed esperienze (DSSE) dell’aeroporto di Montecelio, divenuto poi di Guidonia appunto

Tornando dunque al romanzo, l’idea di base e l’invenzione narrativa escogitata dal suo autore assumono la forma di una  sorta strumento di denuncia rivolto anzitutto alle istituzioni aeronautiche deputate al mantenimento della propria storia (in primis l’Aeronautica Militare italiana) e poi ai vari enti e associazioni e perché no? … anche nei confronti dell’intera comunità civile troppo spesso indifferente rispetto al nostro passato aeronautico. Una denuncia che – a ben intendere – si esplicita anche nei confronti dei lettori del libro affinché i numerosi personaggi storici che costellano la storia dell’Aviazione italiana e non solo, non diventino un pittoresco corollario ornamentale alle notti inquinate dalle luci artificiali dei falsi miti moderni o delle celebrità effimere dei nostri giorni. Viceversa essi sono veraci stelle di prima grandezza e fanno parte a pieno titolo di quella galassia aeronautica o tecnologica universale; il loro ricordo non può essere appannaggio di pochi sparuti appassionati del settore ma deve essere rinnovato e mantenuto presso le nuove generazioni. In che modo? … magari proprio grazie a dei romanzi come quello di Paolo Amico.

 

A proposito della minuziosa ambientazione degli accadimenti narrati, appare evidente che l’autore ben conosce quei medesimi luoghi giacché – lo rivela la breve biografia – il suo primo approccio al mondo aeronautico fu proprio l’aeroporto Guidonia ove conseguì la licenza di pilota di aliante. Ad ogni modo la realistica descrizione dei luoghi non appesantisce affatto il ritmo del romanzo che, tutto sommato, si mantiene sempre ad un buon livello.

La prosa è fluida, lineare, mai superficiale, anzi, tutt’altro.

Benché non ci sia dato conoscere i trascorsi scolastici dell’autore, si nota nel testo uno scrupoloso sviluppo della trama che – lo ricordiamo – vede operare contemporaneamente più personaggi in diversi luoghi dell’aeroporto. La narrazione non è però dispersiva e non arreca disorientamento nel lettore, forse perché, in questa opera di cesello, Paolo Amico è stato sicuramente aiutato dal “mestiere”, acquisito praticando la professione orafa, giusto appunto coniugato alla metodicità indottagli dall’essere divenuto pilota di aliante e di velivoli poi.

Ad ogni modo il suo connaturato talento letterario abbinato da – immaginiamo – proficui studi umanistici (utili a gestire al meglio la sempre ostica grammatica italiana), hanno reso il testo scorrevole, piacevole, in alcuni punti addirittura avvincente. E questo nonostante alcuni discorsi declamati da illustrissime celebrità storiche di cui sopra.

I personaggi sono tratteggiati con strategica sintesi, sia nello loro caratteristiche fisiche che in quelle caratteriali. A questo scopo risultano utilissime le note a piè di pagina che forniscono invece delle minime informazioni biografiche circa le diverse personalità “evocate” nel romanzo.

In effetti, ricorrere all’artificio tipografico del loro nome in grassetto abbinato alle note appunto, costituisce un pretesto – a mio parere ottimamente riuscito – di innescare nel lettore una certa curiosità, prologo di ulteriori ricerche e di letture specifiche.

Ecco cosa contenevano, ad esempio, le strutture di ricerca, fiore all’occhiella della D.S.S.E. (Direzione Superiore Studi ed Esperienze) di Guidonia. Per dovere di verità occorre riportare che spesso ricorre la notizia di un recupero dell’area storicamente e tecnologicamente significativa ma, al momento, tutto tace. Fa fede l’articolo riportato nel sito di Italia nostra all’indirizzo: https://www.italianostra.org/salvare-le-strutture-della-d-s-s-e-a-guidonia-principale-testimonianza-del-primato-italiano-nellaeronautica-tra-le-due-guerre/ che vi esortiamo a leggere

Non che i grandi protagonisti della storia dell’Aviazione italiana vengano piegati impudentemente dalle necessità narrative dell’autore rimanendone stravolti o rendendoli ridicoli, certo che no, semmai è tangibile il contrario: si avverte tra le righe il profondo rispetto che Paolo Amico nutre nei loro confronti e per le vicende, spesso tragiche, che li resero celebri.

Intendiamoci: questo romanzo non è celebrativo delle loro gesta ma vuol essere, come peraltro sostiene nel libro un personaggio completamente inventato: “… un racconto al limite tra la storia e la fantasia” … e tant’è!

Buona lettura e buoni ricordi.

 

Nota di Redazione: il lettore avrà notato che i nomi dei piloti militari citati in questa recensione sono privi del loro rispettivo grado. Volutamente. Non per svilire la loro posizione nell’ambito della gerarchia militare, tutt’altro. Semplicemente perchè, al di là della loro posizione nell’ambito della Regia Aeronautica condividiamo quanto ha scritto Paolo Amico a conclusione del suo libro:

“Questi piloti li vogliamo ricordare per l’abilità nel collaudare i pericolosi prototipi sperimentali o per il coraggio di percorrere rotte inesplorate in cui nessun aereo aveva mai volato prima. Storie di uomini abili, veloci, coraggiosi, piloti dalla mentalità moderna, spesso precursori di soluzioni scontatamente attuali. Erano imbattibili. Assi della caccia, collaudatori dall’istinto formidabile, trasvolatori dall’intuito incredibile o piloti raffinati, autentici poeti del cielo.”

Non importa il loro grado militare … per noi sono semplicemente “le nostre aquile”.

 





Recensione e didascalie a cura della Redazione di VOCI DI HANGAR





 

 

Ali di fantasia

titolo: Ali di fantasia

autore: Claudio di Blasio

editore: Youcanprint

anno di pubblicazione: 2018

ISBN: 978-88-27841-55-6





 

Non accade spesso di ritrovarsi tra le mani la copia di un libro stampato il mese in corso; a dire il vero è la prima volta che ci capita qualcosa del genere. Non che l’inchiostro sia ancora fresco o la carta odori ancora di albero – certo che no – tuttavia ci reca un certo effetto immaginare che stiamo scorrendo pressoché in anteprima le pagine di questo volume. Ma tant’è: siamo o non siamo l’unico sito italiano di letteratura aeronautica inedita e non?

In verità dovremmo conoscerne già il contenuto giacché chi vi scrive ha avuto la fortuna e il privilegio di visionarne il manoscritto; eppure, sfogliare le pagine rilegate, leggere il testo ordinatamente distribuito nel tipico formato tascabile, toccare con mano l’insieme di tanti ricordi e di invenzioni narrative, beh … innesca sensazioni ben diverse che leggere quello stesso testo, informe e asettico nelle pagine sintetiche di un monitor di computer. Credeteci, è così.

Nello specifico, stiamo parlando di “Ali di fantasia”, secondo romanzo pubblicato da Claudio Di Blasio, autore di cui abbiamo letto e apprezzato i numerosi racconti con i quali ha partecipato – e si è anche ben piazzato – a diverse edizioni del nostro Premio fotografico/letterario “Racconti tra le nuvole” oltre che, ovviamente, al suo libro di esordio intitolato: “La mia parte di cielo” di cui potete leggere la nostra recensione nella pagina ad esso dedicata.

Di qualunque autore o autrice si tratti, a qualsiasi latitudine e longitudine si trovino, è universalmente risaputo che il loro primo libro sarà sempre dal fortissimo taglio autobiografico. Lo annotammo giusto appunto nella recensione di cui sopra a proposito del libro di esordio di Claudio di Blasio perché anch’esso non veniva meno a questa sacra regola. Inoltre ci esprimemmo benignamente nei suoi confronti pur tuttavia, non senza un malcelato tono provocatorio, lo esortammo a mostrarci di quale pasta fosse davvero composta la sua arte scrittoria, il suo talento narrativo … magari in occasione di un secondo romanzo, sempre se avesse avuto la voglia e la forza di scriverne un secondo, s’intende. Ebbene, oggi che quel romanzo è nelle nostre mani, possiamo finalmente sciogliere qualsiasi riserva e dichiarare – senza possibilità alcuna di essere smentiti – che il nostro Claudio di Blasio è proprio figlio della sua terra marchigiana: onesto ed essenziale scrittore, fantasioso ma non astruso autore, dolce eppure austero narratore.

Benché le sue “Ali di fantasia” lascino pensare ad un testo puramente inventato, scorrendo le 316 pagine che compongono il volume, ci accorgeremo presto che, fedele alla sua indole marchigiana, di fantasia ne ha usata quanto ne occorreva, né tanta né poca, la giusta dose per mantenere incollato il lettore al libro e obbligarlo inconsapevolmente a leggerlo fino all’ultima pagina.

La copertina del bel libro di Claudio di Blasio. Se una critica possiamo muovere all’autore a proposito del suo volume, è proprio inerente la copertina che – troviamo – assolutamente non pertinente al testo che essa racchiude. Volendo formulare un mero bilancio statistico, forse un capitolo o due potrebbero suffragare questa scelta, viceversa almeno una dozzina di capitoli urlano giustizia invocando, quale foto di copertina, l’immagine di un F104 Starfighter, affettuosamente chiamato “Spillone” dai piloti dell’Aeronautica Militare Italiana. Scelte editoriali? Problemi di copyright? Bah … magari nella seconda edizione troveremo una bel 104 in salita con i post brucatori accessi? Speriamo …

Il protagonista, Paolo, è un infatti un verosimile giovane ragazzo di una realistica cittadina di provincia italiana che incappa accidentalmente in un attendibilissimo manifesto contenente il bando di concorso per accedere all’Accademia Aeronautica di Pozzuoli. Pagina dopo pagina, alla stregua degli spettatori in prima fila, vivremo così tutta la sua carriera militare: i momenti di gioia e di grande soddisfazione professionale come pure quelli di sconforto e di difficoltà, episodi ad alto contenuto di adrenalina e di pericolo, oltre a quelli di sommo piacere fisico e di genuina rettitudine morale. Tutto questo fino all’inevitabile epilogo che – ve lo possiamo anticipare fin d’ora – non sarà luttuoso ma semmai incline ad un futuro assolutamente auspicabile e che lascia alle generazioni future il libero arbitrio di ripercorrere o meno lo stesso percorso.

In effetti, pur avendo speso una vita in qualità di equipaggio di volo a bordo degli elicotteri della Benemerita e pur avendolo desiderato fortemente, l’autore non è mai divenuto realmente un pilota da caccia. Ed è forse proprio in questo aspetto che egli è ricorso davvero a pieni mani alla fantasia. Che non gli fa certo difetto – aggiungiamo noi – ma che utilizza sempre con la sua proverbiale parsimonia.

Il vero protagonista del romanzo: il Lockeed-Aeritalia F104 Starfighter. Qui è ritratta addirittura una formazione serrata di velivoli appartenenti al IX stormo. (foto prelevata all’indirizzo: https://www.flickr.com/photos/goldenpixel/1712534012/, di Carlo A.G. Tripodi)

In estrema sintesi, nel libro avremo modo di apprendere molto verosimilmente le vicissitudini e le esperienze reali di un ex pilota militare, poi divenuto civile che, al termine della sua attività professionale presumibilmente attorno ai primi anni ’90, oggi potremmo incontrare senz’altro ai giardinetti in compagnia dei nipoti o dei pronipoti. Non un superman, non un top-gun ma un uomo fatto di carne e ossa, di principi e di morale come sono poi sono (o dovrebbero essere) i piloti militari e civili

In definitiva, se di ali e di fantasia si dovrebbe leggere in questo libro – lo chiariamo fin da subito – il potenziale lettore sappia che ci sono moltissime ali e poca fantasia. Ma non per questo te ne vogliamo, caro Claudio!

D’altra parte – non dimentichiamolo – l’autore è persona concreta, schietta, è un ex manutentore aeronautico e per giunta un ex carabiniere, dunque pragmatico e rigoroso come solo loro sanno essere.

In effetti, rotto il ghiaccio del libro di esordio, l’autore si ripresenta in questo libro mostrando notevoli miglioramenti nella sua capacità di costruire i dialoghi, di creare gli episodi in cui si muovono le vicende del protagonista. Rispetto al primo libro, Paolo e i personaggi secondari finalmente colloquiano spesso tra loro alleggerendo perciò la narrazione in terza persona che si fa meno monotona e prevedibile. In diversi capitoli poi, brevi siparietti tragicomici – di fantasia o reali? … non lo sapremo mai – strappano addirittura il sorriso rendendo tutti i personaggi meno ingessati e più umani, altrimenti destinati solo al lavoro, patria e famiglia. Poco credibile, no?

Tornando ai personaggi, sottolineiamo che risultano appena tratteggiati anche se – lo abbiamo rilevato in più occasioni – il loro ideatore si concede qualche deroga quando si tratta di appartenenti al gentil sesso. In verità, a loro riserva anche avventure ad alto tasso erotico, peraltro sapientemente narrate, ma senza mai scendere nel volgare. D’altra parte è risaputo che il fascino del pilota è irresistibile … o forse è solo fantasia? In definitiva: all’interno di “Ali di fantasia“ c’è anche qualche sfumatura a luci rosse … ma che non guasta affatto allo spirito generale del romanzo.

Anche a proposito della retrocopertina di “Ali di fantasia” non riusciamo ad essere indulgenti nei confronti dell’autore o di chi ne ha curato la veste grafica. Vi domandiamo: vi sembra ortodosso che nella foto di retrocopertina, quella che, per intenderci, dovrebbe ritrarre l’autore in tutta la sua beltà, soprattutto a beneficio dei suoi fans, egli si mostri con gli occhiali da sole? A costo di essere scortesi, vorremmo ricordare che, nel caso di grandi stelle della musica come Ray Charles o Bocelli, potrebbe essere assolutamente ragionevole o addirittura ovvio … ma nel caso di Claudio di Blasio? Che sia un timido? Che sia in incognito? Più tignosi di una zecca, siamo andati a rivedere la retrocopertina del suo primo libro, “La mia parte di cielo” e lì, neanche a dirlo, l’autore appariva celato nientemeno che dal casco di volo. Dunque il miglioramento c’è stato! A questo punto, confidiamo fiduciosi che nel terzo volume l’autore apparirà in costume da bagno … ma con il cappello di paglia in testa …

Lo stile di Claudio Di Blasio si conferma perciò asciutto, lineare; non si lascia andare a descrizioni dettagliate dei luoghi o delle persone anche se, nel suo pluriennale peregrinare lavorativo, non stentiamo a credere che abbia frequentato davvero quei luoghi o abbia incontrato davvero quel genere di umanità.

La prosa dell’autore si conferma anch’essa godibilissima e, se non fosse per i capitoli e i vari episodi che contraddistinguono il libro, sarebbe assai facile giungerne di filato alla fine, ossia leggerlo tutto d’un fiato senza per questo rimanerne affaticati.

La trama è presto svelata e l’intreccio dei ventidue episodi, per quanto ben narrati, non raggiunge mai uno stato di tensione palpabile. Certo, in qualche pagina abbiamo tremato assieme al protagonista e anche a voi – così come è capitato a noi – capiterà di accorgervi di tirare un sospiro di sollievo assieme a Paolo, al termine della sua avventura aerea, ma – ricordiamoci – questo è un libro ad alto contenuto aeronautico, non un thriller!

A proposito di contenuto aeronautico, è doveroso precisare che il tasso da noi rilevato è altissimo, sebbene “Ali di fantasia” non sia scritto per lettori cosiddetti specializzati, anzi. Ammettiamo che il libro è sicuramente di nicchia; lo è per genere e per il tema che affronta, tuttavia è facilmente leggibile da chiunque, anche grazie alle provvidenziali note a piè di pagina che sono assai utili per coloro, non a dentro al mondo del volo, che volessero comprendere i vocaboli tecnici o apprendere espressioni tipicamente aeronautiche.

 

L’impaginazione è validissima in quanto i caratteri sono di dimensioni generosa e la carta, rigorosamente opaca, è di buona qualità tanto che siate pur certi di poter prestare il libro ad amici o conoscenti curiosi: non si disferà al passaggio di mano o all’ennesima lettura.

Non ci è dato sapere se ne esiste o ne verrà mai elaborata una versione e-book, lo auspichiamo. E auspichiamo anche che, al prossimo romanzo, Claudio di Blasio veda riconosciuta la bontà del suo scrivere da parte di un vero editore, uno di quei quelli che non gli chiederà quattrini per la pubblicazione del suo libro, che ne seguirà professionalmente la correzione della bozza, gli suggerirà la veste tipografica ideale, copertina compresa e, da ultimo, gli suggerirà un prezzo di copertina congruo.

Ecco, a proposito del prezzo di copertina, preferiremmo stendere un velo pietoso … ma, per dovere di recensione, dobbiamo ammettere che qui si apre l’unica nota dolente di “Ali di fantasia” perché il prezzo di copertina è quello tipico del best-sellers con tanto di copertina rigida e sovraccoperta a colori d’autore. Invece, in tutta onestà, non abbiamo di fronte un best-sellers né un libro di alta qualità tipografica. Non ce ne voglia l’autore ma la stampa e la diffusione del volume a cura di Youcanprint, noto servizio editoriale di self-publishing, avrebbe dovuto consentire una notevole economia in termini di costi e invece …

Una’altra bella immagine di un F104 che, dopo una gloriosa vita operativa fa bella mostra di sè in qualità di gate guardian nella base dell’Aeronautica Militare Italiana di Cervia. Confessate: vVi piacerebbe averne uno in giardino, eh? (foto prelevata da https://www.flickr.com/photos/fabrizioberni/3107093238/in/photostream/ di Fabrizio Berni)

Siamo certi che, da parte sua, l’autore non avesse alcuna intenzione di lucrare sulla sua composizione narrativa, tuttavia, di questi tempi, spendere ben 20 euro per acquistare questo libro, costituiscono un bel gesto di fiducia nei tuoi confronti, non trovi, Claudio?

E’ vero che volare costa ma con la fantasia ancor di più!

In conclusione, un libro che fa venir voglia di volare davvero o, al peggio, di volare almeno sulle ali della fantasia perché, come giustamente sottolinea Claudio di Blasio nell’apertura della sua prefazione:

“Sulle ali della fantasia si naviga in qualsiasi momento, a qualsiasi età, basta volerlo!”.

E questo perché, sempre riprendendo un altro passo della prefazione:

“Il volo è poesia, un susseguirsi di versi e di rime che permettono al lettore di librarsi in aria facendogli provare una sensazione unica”.

Parole sante – aggiungiamo noi – che dovrebbero essere scolpite nel cuore di coloro che si cimentano nei testi a carattere aeronautico. Recensioni di libri aeronautici comprese.





Recensione e didascalie a cura della Redazione di VOCI DI HANGAR


La mia parte di cielo

Emozioni in volo





 

 

 

 

I Foggiani

titolo: I Foggiani – Gli aviatori americani delle squadriglie Caproni della Prima Guerra Mondiale

autore: Edward Davis Lewis

editore: LoGisma

anno di pubblicazione: 2011

ISBN: 978-88-87621-96-9





 

Questo libro in italiano, edito da LoGisma in Italia, si aggiunge agli altri due e ne costituisce un ulteriore arricchimento.

L’autore è lo stesso che ha scritto “Dear Bert”,  al secolo Mr Edward Davis Lewis, ma non è certo la traduzione in italiano di quello.

Ecco una di quelle foto che sono rimaste nella storia dell’aviazione italiana e statunitense. Essa testimonia la sintonia che si instaurò tra i piloti, istruttori italiani, da una parte, e allievi statunitensi dall’altra, durante il periodo di addestramento  de “i Foggiani”, appunto. Se infatti la disciplina militare veniva fatta osservare dagli ufficiali statunitensi, a Foggia, l’addestramento al volo era appannaggio esclusivo di quelli italiani, assai esperti nel pilotaggio e profondi conoscitori della macchine volanti in dotazione alla nascente aviazione dell’Intesa. Questo accadde anche perchè, all’entrata in guerra degli Stati Uniti d’America – viene spiegato nel libro – i piloti militari statuntensi (peraltro ancora inquadrati tra le file dell’Esercito)  erano poco addestrati al combattimento aereo e non avevano in dotazione velivoli qualitativamente validi. Tuttavia, il governo statunitense – capeggiato allora dal presidente Woodrow Wilson – aveva già compreso che l’aviazione sarebbe stata determinante per la vittoria del conflitto. Purtroppo le scuole di volo militari statunitensi erano poche e male in arnese, da qui la decisione dei vertici militari a stelle e striscie  di addestrare i cadetti direttamente in Europa. D’altra parte – e nel libro viene ricordato – gli Stati Uniti d’America si mantennero lungamente neutrali di fronte ad un conflitto squisitamente “europeo” e dunque entrarono in guerra, loro malgrado, solo nell’aprile 1917. Erano – stranamente – per così dire “impreparati” dal punto di vista bellico-aeronautico.Nella foto è facilmente riconoscibile l’allora capitano La Guardia e, sullo sfondo, l’omnipresente bombardiere Caproni.

Come dice lui stesso nella prefazione, dopo aver vissuto per un certo periodo in Italia, si era reso conto della valenza storica del diario di suo padre, delle sue lettere e delle sue fotografie, che aveva raccolto nel libro: “Dear Berth, An American Pilot flying in WWI, Italy“, già oggetto di una recensione a disposizione qui, ospite di VOCI DI HANGAR. Ma da allora aveva continuato a fare ricerche, scoprendo una nuova prospettiva dell’importanza del ruolo dei “Foggiani”.

Questo libro vuole presentare concisamente la storia dei Foggiani ad un pubblico più vasto.

Nel sito dell’editore, ecco come viene presentato il bel libro di Edward Davis Lewis: “La storia degli Aviatori Americani che hanno volato fianco a fianco con i piloti italiani delle Squadriglie di Bombardieri Caproni sul fronte italiano nella Prima Guerra Mondiale. Addestrati a Foggia sotto il comando del Cap. Fiorello H. LaGuardia, quei piloti sono oggi ricordati come “i Foggiani”, e presero parte ad operazioni straordinarie che combinavano assieme le teorie del Magg. Giulio Douhet, il genio dell’Ing. Gianni Caproni e la cooperazione dei comandi dell’esercito di due Paesi. Attraverso fotografie e stralci dei loro diari, il figlio di uno di quei piloti, Edward Davis Lewis, ci offre una prospettiva diversa su come la loro azione contribuì alla vittoria italiana di Vittorio Veneto e alla fine della Grande Guerra.” Questa è la retrocopertina del volume che, corredato da ottime fotografie dell’epoca, ha inevitabilmente un formato generoso, quello tipico dell’album fotografico.

Il bombardiere Caproni che campeggia nell’hangar Troster del Museo Storico dell’Aeronautica Militare italiana di Vigna di Valle (lago di Bracciano – Roma) è un pezzo unico nel suo genere per dimensioni e maestosità. La sua ingombrante presenza è mitigata solo dalla prossimità di tanti altri mirabili esemplari di velivoli della stessa epoca. Riuscite ad immaginare solo per un istante questa macchina in volo con a bordo “I Foggiani”? … quando si dice: essere nati nel secolo sbagliato!

E senz’altro, essendo scritto in italiano, offre la possibilità a tutti coloro che non conoscono l’inglese, di scoprire una storia straordinaria e nascosta della guerra aerea del Primo conflitto Mondiale.

Fotoritratto di Firello La Guardia che, giunto a Foggia assieme ai primi cadetti piloti americani, anche grazie al suo ottimo italiano e alle sue capacità organizzativo-logistiche (oltre che ad un certo peso “politico”), riuscì a strappare subito migliori condizioni di alloggio e rancio per i suoi uomini. Ad onore di cronaca storica le loro condizioni, se confrontate a quelle delle truppe al fronte italiano o francese, non erano assolutamente malvagie già prima dell’arrivo di “Little Flower”. Certamente giovarono molto al morale dei piloti statunitensi gli incontri di baseball che l’italo americano organizzò fin da subito (con grande stupore degli italiani che non conoscevano affatto quello strano sport) o l’apertura di una biblioteca con libri e riviste in lingia inglese, la proiezione di film (ovviamente muti) con didascalie in inglese e di uno spaccio con beni di consumo dal gusto tipicamente americano.

Quando si parla di guerra aerea si pensa subito e soprattutto alle squadriglie di caccia ed ai loro combattimenti, agli assi che hanno abbattuto un gran numero di aerei avversari e così via. Si pensa al fronte occidentale, alla Francia, ai combattimenti sulla Somme. Ma, come dice l’autore, questo è stato un conflitto mondiale ed è stato combattuto in molti teatri. I bombardieri Caproni, impiegati dalle squadriglie italiane e da quelle americane, contribuirono senza dubbio in maniera decisiva alla vittoria sul fronte italiano.

Oltre alle moltissime fotografie dell’epoca, in gran parte le stesse che troviamo all’interno degli altri due libri – ma ce ne sono di nuove interessantissime, alcune delle quali mostrano l’interno della cabina di pilotaggio del bombardiere Caproni -, possiamo ammirare alcune illustrazioni di arte futurista che fanno parte della collezione esposta al Museo dell’Aeronautica Gianni Caproni di Trento. Il progetto del libro, infatti, è stato ispirato e sostenuto dalla generosità di Maria Fede Caproni. Ma tante altre sono le persone che l’autore elenca nei suoi ringraziamenti. Tra loro Gregory Alegi e Gherardo Lazzeri.

 

Ancora uno scatto che immortala Fiorello LaGuardia (come lo scrivono nel mondo statunitense) con indosso la tenuta di volo. Non che a Foggia il clima fosse particolarmente rigido, s’intende, ma piuttosto volare sui Caproni alla mercè degli eventi atmosferici, all’aperto, all’aria, pressochè privi di protezioni dal flusso aerodinamico, imponeva una “combinazione di volo” (come la chiameremmo oggi) più simile a quella di un palombaro che a quella di un pilota. Ne è testimonianza anche la foto di copertina che ritrae appunto due piloti intenti a pilotare un bombardiere Caproni.

Un libro da avere.

Stavolta vorrei sottolineare l’importanza di conoscere un ambito davvero poco noto, ma non per questo meno rilevante, della guerra nel nostro paese.

La raccolta di foto e di testimonianze che contiene lasciano sperare che questo piccolo pezzo di Storia non sprofondi nell’oblio del passato. Teniamolo in evidenza nella nostra libreria.

Questa è una di quelle foto che non può mancare se si parla di Fiorello La Guardia, i bombardieri Caproni, “I Foggiani” e la I Guerra Mondiale. A destra il famoso maggiore Fiorello La Guardia, appunto, mentre a sinistra un giovane ing. Giovanni Battista Caproni, patron dell’omonima ditta di costruzioni aeronautiche italiana. Entrambe diverranno molto famosi: il primo in politica (quale sindaco della città di new York), il secondo nel mondo industriale.

Per non dimenticare.





Recensione a cura di Evandro Aldo Detti (Brutus Flyer).

Didascalie stilate dalla Redazione di VOCI DI HANGAR



 

 

L’idea meravigliosa di Francesco Baracca

titolo: L’idea meravigliosa di Francesco Baracca

autore: Vincenzo Ruggero Manca

editore: Koinè Nuove edizioni

anno di pubblicazione: 2008

ISBN: 8887509905978-8887509908





 

-19 giugno 1918:

“… Il Maggiore Baracca, partito alle ore 18,15 in volo di crociera e mitragliamento, non fa ritorno al campo; si ritiene colpito da mitragliatrice a terra e precipitava in fiamma sul versante del Montello oltre le nostre linee”

(dal Diario storico della 91a Squadriglia)

-24 giugno 1918

“… viene trasportata al campo la salma del Signor Maggiore Baracca, ritrovata sul versante del Montello presso l’abbazia di Nervesa”

(dal Diario storico della 91a Squadriglia)

 

C’è un rituale che si ripete da molti anni, il 19 giugno di ogni anno nei cieli di Nervesa della Battaglia  e questo formidabile scatto del bravissimo fotografo Luigino Caliaro ritrae in un mirabile tutt’uno i protagonisti di quel rituale: il sacello di Francesco Baracca e lo Spad XIII. A pilotarlo il suo costruttore  Giancarlo Zanardo che è il lodevole fondatore della Fondazione Johathan Collection.  L’immagine è diventata meritatamente un poster così come si può ammirare nel sito web “Il museo del Piave”.

 

 

Si dice che i piloti non muoiono, volano solo più in alto.

Quel 19 giugno di cento anni fa Francesco Baracca è volato molto in alto ed è entrato per sempre nell’Olimpo degli Eroi.

Medaglia d’oro al valor militare, conferitagli, in vita e prima ancora di raggiungere il tetto insuperato delle sue 34 vittorie, con la seguente una motivazione:

“Primo Pilota da caccia in Italia, campione indiscusso di abilità e di coraggio, sublime affermazione delle virtù italiane di slancio e audacia, temperato nei sessantatre combattimenti, ha già abbattuto trenta velivoli nemici, undici dei quali durante le più recenti operazioni”

Il ritratto fotografico della medaglia d’oro Francesco Baracca presente all’interno del volume. Figlio di una nobildonna e di un facoltoso commerciante proprietario terriero, non era certo figlio del popolo né un proletario … ma non per questo possiamo fargliene una colpa. All’epoca tra gli ufficiali dell’Aviazione italiana (membri del battaglione aviatori all’interno dell’Esercito italiano e non già di una forza armata autonoma) erano numerosi gli aristocratici o comunque i rampolli di famiglie benestanti che, invece di guidare le truppe in groppa di un lucente destriero, sceglievano di cavalcare un rumoroso e riottoso velivolo di legno e tela. D’altra parte la nascente Aeronautica militare italiana era figlia della ben più gloriosa cavalleria e ne manteneva il millenario codice nonché i suoi sacri principi. Almeno ai tempi di Francesco Baracca; ben diverso  accadrà nel II conflitto mondiale.

 

Vincenzo Ruggero Manca, generale di Squadra Aerea in pensione, è stato Comandante del 9° stormo Caccia Intercettori 7 sul campo di S. Caterina di Udine di cui Francesco Baracca è stato il primo comandante.

Utilizzando il ricco scambio epistolare, quasi quotidiano, che il nostro eroe aveva con la madre e con il padre, l’autore costruisce un intervista lasciando parlare lo stesso Baracca.

Il lettore si troverà a ripercorrere le vicende storiche della I Guerra Mondiale con gli occhi di un giovane ufficiale che quelle pagine di storia ha contribuito a scriverle.

E’ lo stesso autore a dirci che non farà alcun commento nè analisi di ciò che Baracca è stato, lasciando al lettore le riflessioni e considerazioni sull’insegnamento che oggi, a cento anni dalla morte, Francesco Baracca ci lascia.

Il libro è ricco di documentazione fotografica dell’epoca che aiuta ancor più il lettore a immergersi nella storia.

Se c’è un luogo che costituisce una sorta di portale spazio-temporale che riesce a riportarci indietro nel tempo, ebbene quello è il sacello eretto in onore di Francesco Baracca in quel di Nervesa della Battaglia in Via Baracca. Come riportato nella pagina dell’ottimo sito web www.montello.eu, il sacello fu eretto a tempo di record all’incirca nei pressi del luogo dove il grande pilota cadde colpito a morte durante la Battaglia del Solstizio che si imperversò in quei giorni proprio nella zona del Montello.

Conosceremo il Francesco Baracca figlio premuroso e attento verso la madre a non darle troppe ansie. Come quando, nella lettera datata 8 aprile 1912, comunica che ha fatto domanda di andare in Francia o Germania per studiare le lingue. In realtà aveva sì presentato domanda di andare in Francia … ma non per studiare le lingue bensì per diventare pilota; è una piccola bugia per non far preoccupare la madre.

Il primo maggio 1912 Francesco Baracca è a Reims: “… sono arrivato all’aviazione per modo di dire, senza nemmeno saperlo e senza neppure farmi raccomandare, ed ora mi accorgo di aver avuto un’idea meravigliosa, perché l’aviazione ha progredito immensamente ed avrà un avvenire strepitoso. …”(lettera al Papà del 5-5-1912)

Dalla corrispondenza con il papà apprenderemo l’entusiasmo con cui Baracca affronta il volo e il feeling che sin dal primo volo, come passeggero, avrà con l’aereo: “… è’ una cosa sorprendente volare … Era un magnifico sogno ad occhi aperti …” (lettera al Papà del 5-5-1912)

La preziosa fotografia che immortale Francesco Baracca pochi giorni prima della fatale missione sul Montello nel corso della quale perderà la vita. Ma immaginiamo solo per un istante uno scenario diverso dall’evoluzione storica che conosciamo: e se Francesco Baracca fosse sopravvissuto alla I Guerra Mondiale? Ci domandiamo: il suo mito sarebbe giunto fino a noi? Sarebbe divenuto lui, al posto di Italo Balbo, il vertice supremo di una moderna Aeronautica Militare Italiana? Avrebbe partecipato come pilota combattente alla II Guerra Mondiale? L’avremmo visto ai comandi di un Fiat CR42 Falco tenere testa agli Spitfire durante la battaglia d’Inghilterra o nei cieli di Malta? Avrebbe comandato a vita il IX Stormo Caccia che porta il suo nome? … non lo sapremo mai … ma sollecitiamo gli autori che si dilettano nella narrativa aeronautica a cimentarsi nello sviluppo di questa congettura sfrenatamente fantasiosa.

Baracca inizia la sua carriera militare nel 1907, quando a 19 anni entra alla Scuola Militare di Modena (oggi Accademia Militare) come allievo Ufficiale di Cavalleria, da dove uscirà nel 1909 per passare alla scuola di applicazione di Cavalleria di Pinerolo.

La passione per i cavalli sarà sempre presente nella vita di Baracca, anche quando in Francia per conseguire il brevetto di pilota: “… non ho dimenticato i cavalli, perché, spesso, monto con gli ufficiali dei dragoni e li seguo quando i Reggimenti fanno qualche manovra attorno a Reims.”(pg.95)

A tutt’oggi la morte del maggiore Francesco Baracca è ancora avvolta nel mistero. La versione italiana, ossia quella che fu divulgata all’indomani del tragico evento, lo vede colpito a morte da un proiettile sparato – più o meno a vanvera – dal moschetto di un fante austriaco, viceversa la versione austriaca avvalora la tesi dell’abbattimento ad opera del mitragliere di un velivolo biposto da ricognizione austriaca; un congettura piuttosto fantasiosa sostiene addirittura che l’asso italiano fu ferito – non è dato sapere se da fuoco nemico o addirittura amico – e che, precipitando in territorio sotto il controllo austriaco, si sia scientemente tolto la vita pur di non cadere prigioniero o di morire ustionato per effetto dell’incendio in cui era avvolto il suo velivolo. Per quanto possa apparire legittima – per non dire morbosa – la conoscenza della dinamica degli ultimi istanti di vita di Francesco Baracca, il mito degli assi degli assi italiano rimane indenne, per nulla scalfito dall’una o dall’altra versione. Perché, se la storia non riesce ancora a definire il suo epilogo, è pur vero che la storia non gli nega i 32, i 34 o forse 36 abbattimenti, lo spessore umano o le capacità di pilota combattente, l’abnegazione o l’amor patrio che lo animarono fino all’ultimo suo respiro. D’altra parte i miti nascono così: quando il corpo terreno si dissolve nasce la memoria imperitura delle gesta compiute.

Il 7 aprile 1916 Baracca abbatte il suo primo velivolo, quella stessa sera fa disegnare sulla fusoliera del suo Nieuport la figura del “Cavallino Rampante” presa dallo stemma del suo ex reggimento di cavalleria “Piemonte Reale”.

Il “Cavallino Rampante” nero su sfondo bianco entrerà anche lui nella legenda, continuando a volare con il 4° stormo dell’AMI di cui ha fatto parte la 91 squadriglia, e con il 9° Stormo Caccia Intercettori che includeva la 91 squadriglia.

La retrocopertina del bel libro che ci fornisce una visuale originale – almeno nell’espediente narrativo – del mitico Francesco Baracca.

Ma il “Cavallino Rampante” continua a correre anche con le auto diventando il simbolo della casa automobilistica “Ferrari”. Fu proprio la madre di Francesco, la contessa Paolina a dire a Enzo Ferrari: “Ferrari metta sulle sue macchine il cavallino rampante di mio figlio. Le porterà fortuna.

Il 24 maggio 1915 l’Italia dichiara guerra all’Austria, Baracca si trova in Francia per ultimare il suo addestramento sul nuovo biplano “Nieuport”.

In Italia il “Corpo aeronautico” costituito il 7 gennaio del 1915 dispone di 3 Gruppi con 11 squadriglie e 58 apparecchi quasi tutti di costruzione francese: Bleriot, Farman, Nieuport, e 5 scuole di volo.

Siamo agli albori dell’aviazione e dell’impiego dell’aereo per usi bellici.

I piloti erano allo stesso tempo collaudatori e istruttori che dalla loro stessa esperienza dovevano trarre insegnamento per se stessi e per gli altri.

Lo scatto che ha reso immortale il maggiore Francesco Baracca

Lo “stallo” o la “vite” che oggi sono manovre che fanno parte del programma di addestramento dei piloti, civili e militari, erano a quei tempi brutte esperienze : “Non m’era mai capitato! … d’un tratto sento i comandi molli! L’apparecchio piega a sinistra, cade, si avvita nell’aria e gira su stesso … Ho pensato che i comandi erano rotti:era finita …” (dal diario di Baracca 26-08-1915)

Le tattiche di caccia che oggi i piloti militari studiano in aula, erano allora sconosciute e il rischio di rimanere colpiti dai propri compagni di squadriglia non era tanto remoto.

Nel descrivere le missioni di volo Baracca ci lascia, involontariamente, anche una grande testimonianza della sua personalità.

All’alto senso del dovere univa un grande rispetto dell’avversario: “… Ho parlato a lungo con il pilota austriaco, stringendogli la mano e facendogli coraggio … Non aveva potuto salvarsi dalla mia caccia…”(lettera alla Mamma del 8-4-1916).

Alla freddezza e coraggio nell’azione univa una grande umanità: “Ieri vi fu un brillante bombardamento coi ‘Caproni, non andai di scorta perché non spettava a me; abbiamo mandato un messaggio al di là dalle linee con le notizie degli aviatori caduti” (lettera al Papà del 19-9-1916)

Non c’è nulla da aggiungere all’iscrizione che è scolpita nel duro travertino di Tivoli posta alla base del monumento che Lugo di Romagna ha dedicato al suo più illustre figlio.

Il 19 giugno 1918 Baracca, nato il 9 maggio 1888 a Lugo di Romagna, ha da poco compiuto 30 anni. Cinque mesi dopo, l’11 novembre 1918, la I Guerra Mondiale ha termine.



Recensione a cura di Franca Vorano

Didascalie stilate dalla Redazione di VOCI DI HANGAR