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In manette falso chirurgo

Provvidenziale intervento dei CC sventa un tentato omicidio in sala operatoria Il fattaccio scaturito da futili motivi • Eroica crocerossina smaschera il mancato omicida • l’équipe medica salva la vita al pilota bersaglio dell’attentato • Richiesta la seminfermità mentale per l’imputato

 

Le manette sono scattate ai polsi di un noto pilota del Volo Libero Bergamo, responsabile di un grave atto criminoso che ha messo a repentaglio la vita di un collega ricoverato all’ospedale di Ponte San Pietro. Il figuro era già noto alle forze dell’ordine che in prece-denza lo avevano più volte arrestato per crisi isterica post volo, consumo di sostanze transgeniche, lamentele e mugugni prolungati e millantate quote inverosimili. Ma veniamo ai fatti. Un socio del VLB, del quale non possiamo fare il nome, viene ricoverato per un delicatissimo intervento chirurgico al setto nasale. La notizia è di pubblico dominio e dall’ombra scatta l’agguato. Un collega, sul cui nome gli inquirenti mantengono il più stretto riserbo e che sembra in passato abbia avuto con lui motivi di attrito per questioni di precedenze in volo, decide di cogliere l’occasione per toglie-re di mezzo il rivale, ritenuto ingiustamente pericoloso. Da indiscrezioni raccolte tra gli investigatori, pare invece che non esistessero affatto questioni di precedenze in volo, ma che l’attentatore abbia agito mosso da rancori personali per essere stato più volte umiliato dalla vittima in termini di quota raggiunta e tempi di volo. Il legale dell’arrestato ha invece confermato la versione del cliente, suffragata sembra anche da testimoni oculari che per altri sarebbero invece vilmente prezzolati. Gli inquirenti hanno in più accertato come gli occhiali abi-tualmente indossate dall’atten-tatore non gli permettessero di distinguere in volo particolari importanti quali i colori delle vele e le distanze tra un para-pendio e l’altro. Si aggiunga poi la dipendenza dal consumo di sostanze transgeniche, deva-stante dal lato fisico e mentale, che ha indotto il soggetto ad un vero raptus di follia omicida. Cosicché il giorno dell’intervento il nostro si è introdotto in sala operatoria abilmente travestito da chirurgo, cappellino e mascherina a coprire i connotati del viso, ma dimenticandosi di spegnere il variometro che teneva ancora in tasca. Il campo magnetico generato da un improvviso “bip, bip” dello strumento ha messo in crisi le delicate apparecchiature della sala operatoria. I medici, nel verificare le cause dell’insolito guasto, accertavano, sbigottiti, come in sala una persona in più del numero previsto fosse insolitamente presente. L’astuto travestimento non traeva tuttavia in inganno una crocerossina che, incurante del pericolo, smascherava il chirurgo abusi-vo. Tempestivamente intervenuti sul posto, i militi dell’Arma ingaggiavano una violenta colluttazione con l’efferato criminale, mettendolo infine in condizioni di non nuocere. In serata, sbrigate le formalità di rito, questi è stato tradotto in carcere dove è in attesa di giudizio con rito abbre-viato. Il suo avvocato ha già preannunciato che si appellerà alla seminfermità mentale, ma il Gip ha fatto sapere che si può tranquillamente concedere anche quella totale. Nel frattempo la vittima era ancora del tutto ignara circa l’accaduto in quanto sottoposta ad anestesia, secondo alcuni, mentre per altri non c’era stato bisogno di alcuna anestesia perché il paziente era svenuto per paura dell’intervento fin dal giorno prima. Purtroppo le sue condizioni cliniche precipi-tavano e restava per una setti-mana in bilico tra la vita e la morte. Alla fine la tenacia dei medici, congiunta alle amorevoli cure della predetta crocerossina, ha avuto ragione di ogni malanno, tanto che in breve l’équipe medica ha sciolto ogni riserva sulla prognosi ed il paziente dimesso. Incredibile epilogo della vicenda: tornato a volare, il nostro ha dichiarato di ritrovarsi in possesso di nuove e prodigiose sensazioni, tanto che con una narice fiuta le termiche a chilometri di distanza, mentre con l’altra è in grado di prevedere le condizioni meteo con almeno tre settimane di anticipo. Nel frattempo il mancato omicida è stato scarcerato per buona condotta ed ha ottenuto il perdono dalla vittima, a patto che durante i voli futuri resti sempre dov’è stato fin’ora, vale a dire ai soliti 200/300 metri sotto di lui. Le forze dell’ordine traggono in arresto l’attentatore al termine di una violenta colluttazione.


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Gustavo Vitali

Il mio cielo

Innanzitutto si dovrebbe precisare che si sbaglia a chiamarlo al singolare: secondo me è più adeguato “I cieli”. Ebbene sì, non esiste un cielo singolo, un cielo che è quello lì e basta, sarebbe fin troppo facile descriverlo o quanto meno trovare degli aggettivi adeguati a renderlo in parole. Potrei descrivere innanzitutto il più bel cielo che abbia mai visto: quello che ammiro quando mi sveglio all’alba. Il cielo mattutino è all’apparenza indescrivibile: esco fuori ancora sonnecchiando e alzo il naso verso l’infinito. Un’immensa tavolozza di colori appare all’improvviso: una miriade di poltiglie colorate che il pittore, autore del quadro più bello in assoluto, ha lasciato sbadatamente a impastarsi tra loro. Dopo un primo smarrimento comincio ad osservare con attenzione: riesco a distinguere il magico intreccio che il giallo tesse con l’arancio e il rosso fuoco … è il sole che, come un fiero condottiero, manda in avanscoperta le truppe con lo scopo di annunciare il suo arrivo. Sullo sfondo fanno capolino i gregari che hanno lo scopo essenziale di esaltare la magnificenza dell’esercito in arrivo: azzurro, celeste, grigio fumo e persino rosa pesca si affannano, si accavallano l’uno sull’altro nel disperato tentativo di prevalere sul vicino. Impresa impossibile per nostra fortuna: infatti pur essendo mischiati tra loro, ogni colore riesce a trovare la giusta allocazione, l’esatta posizione dove esaltare la perfetta sfumatura, la precisa gradazione che contraddistingue ciascuno di questi gregari. Mentre me ne sto lì, quieta, quieta a contemplare la semplicità e al contempo lo splendore di quest’opera d’arte, pensando che non manca niente, che nessuna cosa può essere aggiunta a tale perfezione, ecco che quatte, quatte, silenziose, cominciano a sfilare e allo stesso tempo a sfilacciarsi come fili di un maglione ormai un po’ vecchiotto, quelle che io considero “la ciliegina sulla torta”: le nuvole!!!! Bianche come la panna o rosa come un confetto, ognuna trova la sua giusta posizione per farti raggiungere in un certo senso il paradiso: eh sì, il paradiso. Il paradiso più paradiso che ci sia: quello che più mi piace, fatto di pace, silenzio e calma assoluta!!!! Ogni pensiero, ogni angoscia, ogni preoccupazione si dissolvono come fossero gocce di rugiada sulle foglie che, allo spuntar del giorno, si aprono alla vita. Abbiamo detto i cieli … eh sì, “I CIELI”… “Ce ne saranno altri allora?”… purtroppo per me, che mi sto cimentando nell’impresa di descriverli, ci sono ancora altri tetti celesti. Quello della notte, ad esempio, sembra un coperchio nero, nero che attanaglia il cuore. “Sembra” perché in fondo non è così. Bisogna saper osservare: gli occhi alzati verso il cielo notturno in un primo momento non percepiscono nulla, domina solo il buio più assoluto. A poco, a poco però, le pupille si abituano all’oscurità e, come per magia, cominciano a spuntare tante piccole lucciole … le stelle. Ognuna brilla di un’intensità personale, nessun luccichio è pari per luminosità a quello della compagna, vicina o lontana che sia. Inizialmente sembrano sparse, rade, poche: poi, piano, piano, come se stessi pigiando una miriade di interruttori, una dopo l’altra cominciano a risplendere fino a trasformare il cielo in un manto pieno di coriandoli iridescenti. Regna su tutte la Luna sovrana. Una sola espressione mi esalta quando cerco di definire il cielo … se mi chiedessero: “Cos’è per te il cielo?” io senza esitazione risponderei candidamente: “La coperta del mondo!!!!”.

 


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Rosaria

Una macchia

La sala cortesia di un aeroporto del nord, di una giornata come un’altra, mentre aspetti che chiamino il tuo volo, bevi qualcosa di alcolico in attesa che l’ennesimo aereo ti porti lontano. Rifletti sulle persone che hai appena lasciato, un’ombra di malinconia ti assale. Dura un istante, lo spazio di un sorso della tua bibita. Vedi le persone che entrano nella sala, le loro facce, il loro aspetto, non ti comunicano nulla. Passano e non s’imprimono nemmeno sulla retina. Improvvisamente qualcosa di inconsueto attrae il tuo sguardo, è una macchia che urla attenzione – sono qui guardatemi! – Osservi con una qualche attenzione l’improvvisa apparizione; non alta, una cascata di capelli neri, un viso gradevole ma non più giovane, rossetto scarlatto, neri occhi vivaci, ed un seno prosperoso che la scollatura della camicetta promette. Ma la tua attenzione è attratta dai suoi pantaloni, quasi una guaina, che strizza le sue gambe e disegnano i contorni del perizoma che evidentemente indossa. Scarpe con tacco alto almeno 20 cm le conferisce un’aria singolarmente instabile, precaria, ma certamente sensuale. Un’immagine ti si disegna netta in mente, mentre lei graziosamente ti sorride (sorride!), tu che ti inginocchi e dolcemente le abbassi con delicata violenza quei pantaloni e la lingua libera di correre veloce fino ad insinuarsi sotto al perizoma che hai indovinato indossato, e l’umore del suo sesso eccitato bagnarti completamente il mento mentre con la lingua la penetri. Invece rispondi al suo sorriso con un educato cenno, e ti avvii verso il gate che ti condurrà al tuo aereo. Prendi posto nella fila in fondo, quella riservata ai fumatori, è completamente vuota. La Macchia dal rossetto scarlatto la vedi avanzare nella tua direzione, deposita il suo bagaglio a mano nello scomparto sopra il tuo posto, prende posto accanto a te, e ti porge la mano -“ ciao piacere sono Manuela”. Sfoderi il tuo sorriso più amichevole e mentre senti il tuo sesso che diventa turgido, le rispondi con un “ciao Manuela sono Vittorio”. Il volo è nelle prime ore normale, solo il contatto casuale tra le gambe sembra promettere qualcosa di più di un vago chiacchericcio da compagni di viaggio. La notte artificiale imposta dalle hostess per aiutare il cambio di fuso orario cala presto. Manuela non ha voglia di dormire. Quasi una metamorfosi avviene in lei, il buio deve avere assopito la signora di mezza età per lasciare libera la creatura che ha scelto quei pantaloni, quella biancheria intima e quel tacco invitante. Manuela offre una sigaretta, e la accetti con una smorfia gentile. E’ lei ad accenderla ed a passarla, è lei che dedica un’artificiosa lentezza nel gesto. Prendi la sigaretta e ne aspiri profondamente il fumo, gliela ripassi. La scena si ripete per qualche volta fino a che nel non avvicini le labbra alle sue, lei ti accetta e la sua bocca si apre per lasciare insinuare la lingua. Senti la sua mano destra che scivola rapidamente sotto la coperta da viaggio che avevate gettato sulle gambe per ripararvi dall’aria condizionata. Avverti la mano di Manuela scorrere sui fianchi dirigendosi verso la cintura dei pantaloni. Con un gesto rapido si insinua nei pantaloni e si muove decisa nel raggiungere e massaggiare delicatamente le palle, e la base del sesso che senti spaventosamente duro in un istante. Le slacci delicatamente i pantaloni ed avverti fortissimo l’odore della sua eccitazione, e la tua mano si fa strada verso la parte che indovini più umida della sua biancheria. Il tuo dito indice si appoggia rudemente sulla parte della sua biancheria dove la clitoride pulsa sotto le mutandine. Il dito é letteralmente ricoperto dal suo umore, lo senti caldo ed umido come se fosse stato immerso in una qualche crema bollente. Manuela estrae la mano dai pantaloni, li abbassa delicatamente e tuffa la testa sotto la coperta. Senti il sesso attirato tra le sue labbra, sbirci sotto la coperta e vedi l’immagine della bocca rosso scarlatto di Manuela che come per magia si allarga per ospitare il membro completamente eretto. Ti colpisce l’immagine di come scompaia entro quella boccuccia rossa scarlatto. Senti che sei prossimo ad esplodere, vuoi che l’eccitazione che ti ha provocato ed il flusso caldo dello sperma che senti impaziente di sgorgare finisca dentro la vagina di Manuela. Le sussurri “andiamo nella toilette … ora … subito!”. Lei si alza, si ricompone frettolosamente, e si avvia verso la toilette. La segui, chiudi la porta dietro del bagno dietro di te, e la vedi in piedi in quello spazio angusto. Le abbassi i pantaloni ti inginocchi e tuffi la lingua in quel caldo ricettacolo che è la vagina di Manuela. Lei ansima, la senti prossima all’orgasmo . Ti sollevi in piedi e con una disperata ansia ed infili il sesso eretto tra le sue gambe. Dura pochi istanti, pochi rapidi movimenti e Manuela viene, con violenza quasi e mentre senti il fiotto caldo del tuo sperma uscire quasi sparato entro di lei, la sua bocca nel culmine dell’ orgasmo avidamente ti succhia il collo.

Ti ritrovi seduto sulla poltrona del posto fumatori, osservando distrattamente il panorama che l’aereo in fase di discesa ti mostra. Ti accorgi appena della placida Macchia che con un bacio sulla guancia si appresta al commiato.


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Indecifrabile

Missione Grumento: operativi!! – IV parte


– Ah, nonno, dimenticavo!

– Che cosa?

– Con il fatto che ti sei messo a raccontare le avventure di Grumento, mi sono scordato di stasera: la videoteca multimediale ci manda uno di quei vecchi film che a te piacciono tanto.

– Ah, davvero?

– Sì. Mi pare che s’intitoli … ah, sì: “IL NIDO DELLE AQUILE”.

– Con Rock Hudson?

– Credo di sì, non lo so, non mi ricordo.

– Veramente?

– Sì, certo.

– Non è possibile!

– Certo ch’è possibile, l’ho chiesto io all’archivio storico multimediale!

– No, ti credo, ma è per il film: non pensavo che ce fossero ancora delle copie in circolazione.

– Ma perché? E’ una vecchia pellicola, ma è stata restaurata e …

– Ma la sai la storia di quel film?

– Beh … sì, ho letto la scheda tematica.

– E lo sai che quel film lo vidi proprio a Grumento?

– No, e allora?

– E allora, questa te la devo raccontare.

– Dai nonno, raccontala anche a me!

– Va bene.

Mi sembra di avervi già detto che io, Konstantino, e tutti i piloti dello stage andavamo a cena verso le nove-nove e mezza e finivamo, dopo mostruose abbuffate, alle undici-undici e mezza?

– Sì, sì, ce l’aveva già raccontato … e allora?

– Beh, quella sera, no. Quella sera particolare, forse perché eravamo sfiniti – spesso ci sparavamo la bomba per tenerci un po’ su – volevamo guadagnare una mezz’oretta di sonno.

– Cos’è ‘sta “bomba”?

– Niente droghe o allucinogeni! No, era solo un gran pillolone al sapore di arancio, un concentrato di vitamine A, B, C, D … insomma tutto l’alfabeto, fino alla Z.

– Va beh, su, non divaghiamo!

– E chi divaga? Allora “ci ritirammo nelle nostre stanze” ed io, pur di guadagnare al più presto il letto, m’infilai di corsa nel bagno per fare toeletta. Già barcollavo verso il sospirato letto quando vidi Konstantino che, per arrivare sveglio al suo turno, s’era acceso la televisione – allora non c’erano ancora gli schermi paretali multimediali -. Ora sullo sfondo, c’era una serie di aeroplani in volo ed in primo piano, a caratteri cubitali, i titoli di testa: “IL NIDO DELLE AQUILE”.

– Ecc’a ‘lla!

– A quel punto tutta la stanchezza era passata – erano le dieci e mezza – e che vuoi … facemmo l’una.

– Ma era … cioè, è cosi bello ‘sto film?

– Eh sì. La storia … tanto tu la sai già, ma lei no … la storia era quella di uno Stormo di bombardamento americano. Allora avevano ancora i B-52, quei vecchi aeroplani lunghi, con la deriva altissima, e con otto motori, accoppiati a due a due sotto le ali. La storia, dicevo, è di questo reparto che viene sottoposto ad ispezione senza nessun preavviso da parte del super cattivissimo “Generale KIRBY”.

– E allora?

– Allora, lo Stormo non è che fosse granché efficiente, per cui il terribile Generale Kirby, fece tagliare la testa al Comandante, quale diretto responsabile.

– Così , in pubblico?

– Ma che hai capito? Non gli fece tagliare veramente la testa, era un modo di dire: lo fece trasferire ad un altro reparto perché non era degno di comandarne quello.

– Ah, ecco!

– Al suo posto, fu nominato un’altro giovane ufficiale, Rock Hudson appunto, il quale prese subito a cuore la sua missione tanto da prendere decisioni anche pesanti: mandò in pensione il suo migliore amico ch’era diventato mezzo alcoolizzato, oppure riorganizzò il servizio manutenzione distruggendo l’aureola di magia dei meccanici anziani. Così facendo, aveva perduto anche l’amore e il rispetto della moglie che lo accusava di aver provocato il tentato suicidio del suo caro amico, di trascurarla troppo – magari per qualche altra donna – e di trovarsi continuamente tra i piedi un telefono rosso perché lui, doveva essere continuamente reperibile.

– E allora?

– Rock Hudson aveva fatto le scelte giuste: il reparto era diventato finalmente “operativo” ed era pronto a qualsiasi nuova ispezione, che poteva avvenire da un momento all’altro.

– E allora?

– Allora, allora. L’ispezione venne … ma proprio nel momento in cui meno se l’aspettavano. Arrivò di nuovo e senza nessun preavviso il viscido Generale Kirby, ma stavolta lo Stormo era più che operativo e Rock Hudson, felicemente superata l’ispezione, rimase al suo comando, recuperando tra l’altro anche l’affetto della moglie.

– Bel film ma … veramente non ho capito cosa c’entra con lo stage di Grumento.

– Ora te lo spiego.

La mattina dopo – immagina che occhi gonfi e quanto potevamo essere riposati – io e Konstantino, andammo come al solito in aeroporto per un’altra “giornata di lotta”: beh … non ti arriva il Generale KIRBY!!

– Quello del film?

– Non proprio lui, ma uno, anzi no, due, che facevano come il Generale Kirby! Ora, non è che arrivarono e ci dissero: “Salve, siamo i Generali Kirby”, ma la sostanza era quella o comunque io e Konstantino, la vedevamo così.

– E arrivarono all’improvviso e vi misero sotto ispezione come nel film?

– E già! Mi ricordo che arrivarono di pomeriggio da Rieti, in volo, con due alianti. Konstantino era a 100 chilometri dall’aeroporto a fare i “soliti” voli sullo Ionio o sul Golfo di Policastro, non ricordo di preciso, mentre io, guarda caso, proprio quel giorno, ero partito con l’automobile e il carrello per recuperare un biposto fuori campo, ad una cinquantina di chilometri da Grumento.

– Veramente?

– Sì. Ed era pure abbastanza presto: a terra c’erano rimasti solo i trainatori che però bivaccavano in qualche angolo dell’aeroporto!

– E come l’avete saputo che arrivavano?

– Li sentimmo chiedere istruzioni per l’atterraggio – io avevo la radio in macchina – e poi chiedere se qualcuno li poteva recuperare. Che figuraccia!

– Tagliarono la testa a tutti e due, a te e a Konstantino?

– No, comunque, avrei avuto già pronta la valigia per andare in esilio a Lampedusa. Figurati che per sbaglio, avevo dato del “Maresciallo” ad un Generale pluridecorato in pensione che era venuto a farci visita.

– E invece?

– Andò tutto bene: non ci furono epurazioni immediate, almeno.

– E poi, se ne tornarono in volo a Rieti?

– Sì, il giorno dopo.

– Cioè, vuoi dire che venivano e tornavano da Rieti fino a Grumento e viceversa?

– Sì, certo. E non solo loro!

– Come: “non solo loro?”

– Sì, vennero anche altri piloti, con altri alianti. Mi ricordo che, dopo gli Europei, ci venne a trovare il socio di Konstantino. Avevano insieme un vecchio ASW-20 molto ben tenuto: beh, all’andata venne con il carrello ma al ritorno … seicento chilometri di volo!

– Accidenti !

– Poi, un altro pilota, un socio romano, fece un volo con punto di virata un paese poco lontano da Grumento. La giornata però non era eccezionale e fu costretto a mettere in moto per rientrare a Rieti. Comunque pure lui, fece più di cinquecento chilometri, andata, e mezzo ritorno.

– Durante le gare poi, siccome noi eravamo l’avanposto più a Sud in assoluto, ci chiedevano la meteo, oppure Konstantino, via radio, quand’era in volo, chiedeva le classifiche aggiornate. Dopo poco, quelli in gara però, c’urlavano scocciati: “Fatela un po’ finita, voi di Grumento!”. In ogni caso, l’evento che fece più colpo, fu l’atterraggio del neo Campione italiano classe Libera che, reduce dalla gara, era venuto a realizzare il suo grande sogno: volare no-stop fino alla Sicilia, naturalmente partendo da Rieti. Purtroppo fu costretto a fermarsi a Grumento, ma dopo aver fatto una bella puntata molto più a sud.

– Perché hai detto l’atterraggio?

– Perché aveva un aliante da ventisette metri ultimo grido – pochi di noi l’avevano visto prima dall’ora -. Ci chiese ancora alto, se poteva fare un passaggio basso: “Fanne due” gli rispondemmo. Se non sbaglio, era di sabato o di domenica, comunque c’era la solita rissa di gente al parcheggio, vicino agli alianti e ai traini o in attesa del volo turistico. Nessuno di noi s’era ricordato che ne portasse così tanta, fatto sta, fece il passaggio scaricando acqua da tutte le parti: ala, fusoliera, coda. L’aliante era tutto una scia e la gente, e pure noi, rimanemmo tutti a bocca aperta! Fu uno spettacolo unico, specialmente a quella latitudine dove pure un passaggio a bassa quota e a tutta birra, era qualcosa di fantascientifico.

– Insomma, qualcosa è rimasto del vostro passaggio lì a Grumento?

– Credo di sì. Ormai ci conoscevano tutti.

Quando andavo alla Posta di Sarconi per comprare i francobolli delle cartoline, l’impiegato – oh, mai visto e conosciuto – mi diceva: “Oggi volate, sì?” Oppure i ferramenta. Ci andavo praticamente quasi tutti i giorni per comprare quello che mi occorreva – praticamente tutto, dalle chiavi al tagliabalza – e non mi chiedevano più: “Lavori ai pozzi petroliferi?” Eh sì, a Grumento c’era pure il petrolio. Quando andavo alla ricerca di pasta abrasiva o di guaina termorestringente, non mi rispondevano più furbetti: “Non la fanno più!”, ma dicevano cortesi e accomodanti: “Ci dispiace, ma non trattiamo articoli aeronautici!” Ormai anche i Carabinieri ci conoscevano. Sapevano che in aeroporto avevamo il radar – era solo la parabola del meteosat – o che c’erano i mo’/no!/posto – invece che monoposto -. Qualche stegista era stato pure schedato perché con una Porche se ne andava in albergo a velocità brillante – diceva lui – senza patente, carta di circolazione ed assicurazione. Gli “appiopparono” solo una multa di cinquantamila lire e la promessa che avrebbe fornito al Maresciallo, un computer a un prezzo stracciato. Un altro pilota – una signora – fu pescata in flagrante a fare non so cosa: il fascino femminile e la disponibilità a offrire un volo turistico – a gratis – non poterono nulla, e così, si prese pure lei una multa … per cinture di sicurezza non indossate: “Ci dispiace, ma dobbiamo rientrare in caserma almeno con dieci multe, e lei oggi, è solo la prima”, le avevano risposto sconsolati. La gente poi, non rimaneva più imbarazzata a guardarci quando passavamo con i carrelli stradali o quando vedevano girare gli alianti sopra le loro teste. I ragazzini avevano scoperto un gioco nuovo, gli adulti un nuovo posto dove portare i loro bimbetti dicendo: “Lo vedi, a papà, l’aeroplano che va col vento?” Forse qualche piccolo beneficio lo trassero anche i ristoratori e gli albergatori della zona, i benzinai, i meccanici – il pilota della Porsche era riuscito quasi a fondere il motore del suo fuoristrada nuovo -. Probabilmente facemmo prendere un brutto spavento al pecoraio che s’era visto “atterrare” una strana cosa lì, sul campo arato a mille metri, vicino alle sue amate pecore. Qualcuno si sarà roso il cervello per capire cosa fosse mai quella roba bianca – un pezzo di semi-ala – lì, nel bel mezzo del bosco, alla sommità della montagna. Qualcun’altro si sarà pure arrabbiato vedendo un po’ di erbetta pseudo-medica calpestata, a due passi dal frutteto – peccato che le pesche fossero già sfatte altrimenti sarebbe stato un fuori campo saporito – . Una cosa è certa: quando partimmo, il “morbo” del Volo a Vela aveva ben attecchito e c’erano già parecchie persone che mostravano in modo inequivocabile i primi “bubboni” perché ci chiedevano: “Ma non la fate la scuola?”, oppure: “Dove possiamo fare il brevetto?”, “Tornate ancora il prossimo anno? Sa vorrei far provare un volo anche a mio figlio”. Non era più nella pelle, invece, quel satanasso del gestore dell’aviosuperficie che s’era messo a proclamare: “Laggiù l’hangar di mille metri quadri, lì le colonnine dell’acqua, in fondo il parcheggio per i mezzi antincendio, l’ambulanza, l’officina mobile e le jeep per i recuperi fuori campo. Saremo il CENTRO NAZIONALE MERIDIONALE!!”.

– E poi cosa se ne fece?

– Mah … di mezzi antincendio ne avevano già tre più altri due in arrivo, l’ambulanza c’era già anche quella e l’hangar da mille metri quadri l’avevano appaltato. Un traino, anche se da rimettere in ordine, l’avevano pure quello, quanto ai piloti … ci avrebbe pensato il “morbo” che noi, avevamo diffuso.

– Insomma, in conclusione: ne valse la pena?

– Io direi di sì. Grumento non portò fondamentali novità nel mondo del Volo a Vela italiano di allora, insomma non scoprimmo il veleggiamento con il vento solare, ma sicuramente fu l’occasione per confermare, ad esempio, che al Sud, la giornata parte effettivamente prima ma che era poco sfruttabile se poi la cosa si limitava solo a quella valle. Dopo gli entusiasmanti voli fatti da Konstantino lungo la costa ionica, adriatica e tirrenica, sicuramente si diede un notevole impulso allo studio del veleggiamento in mare con presenza di cumuli sottocosta, volo che prima d’allora non è che fosse ritenuto poi tanto possibile. Altra cosa che rimase nella storia, fu lo “stage d’alta quota”, cioè tutto uno stage in blocco, con piloti neanche particolarmente esperti, tutti in volo sopra i cinquemila metri. E poi si stabilì il record di quota del Sud con ottomila e spiccioli, con aggancio sul campo a quattrocento metri senza la benché minima turbolenza o presenza di rotori.

– E a te, nonno, cos’è rimasto?

– Uno splendido ricordo di una splendida esperienza, anche se molto singolare.

– Il rientro a Rieti fu rocambolesco come all’andata?

– No, al contrario. Tranquillissimo: io a Grumento, smontavo in serie alianti e i miei colleghi anziani, a Rieti, in serie li rimontavano. E stavolta arrivarono tutti sani e salvi. Ora che ci penso … no, perché una delle automobili ebbe dei problemi meccanici e dovette rimanere ferma per due giorni, sicché io non fui quello che, come si suol dire, “chiuse il cancello”. Comunque a quel punto, non vedevo l’ora di andarmene.

– Non ne potevi più, vero?

– Sì, non ne potevo più. Ma di vedere l’aeroporto spoglio, senza più un aeroplano o un aliante parcheggiato, nessun vociare di piloti, nessun visitatore d’ammorbare. Fortuna che almeno a Rieti, lo stage intanto, era ripreso. Io partii con un carrello e la solita automobile “rimediata” per sostituire quella in panne. Ero compagno di viaggio di uno dei trainatori, pure lui con un rimorchio al traino. Mi sembrò strano che il viaggio fosse filato tutto liscio, a parte la solita carta magnetica che non voleva proprio saperne di pagare il carburante, ma mi sentii più sollevato quando, arrivati a Rieti verso le due e mezza del mattino, andai nel mio alloggio e lo trovai allagato.

– Allagato?

– Sì. Era l’acqua che tracimava a “gocce cinesi” dalla doccia: m’ero dimenticato di chiudere forte il rubinetto.

– Non dirmi che anche quella volta ti facesti la doccia, dopo aver asciugato il lago, e il giorno dopo, alle otto, andasti a lavorare?

– Ebbene … sì, anche quella volta. Lo stage continuava, uno dei colleghi andava in ferie, e finalmente anch’io la settimana successiva, Konstantino era sempre quello, i piloti erano sempre i soliti “cannibali”, ma la magia era finita: non eravamo più operativi.

– E dimmi un’ultima cosa, nonno … le hai più riviste tutte queste persone?

– Sì, che fine hanno fatto, nonno?

– Beh, Konstantino diventò il boss degli stage e negli anni successivi, ne diresse degli altri, i trainatori coronarono il loro sogno di diventare Comandanti nella compagnia di bandiera di allora. Io, invece, rischiai il licenziamento perché mi venne la malsana idea di far pubblicare nella rivista dei volovelisti, una specie di resoconto dell’esperienza di Grumento.

– E ti licenziarono davvero?

– No, per fortuna. Furono solo bonarie minacce ed anzi, proprio grazie a Grumento, diventai meno garzone e più maniscalco ma sempre “terricolo”…

– E gli altri?

– Sì, gli altri?

– Ve lo racconterò un’altra volta, eh?


MISSIONE GRUMENTO: fino alla fine operativi!!



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Big Mark

Missione Grumento: operativi!! – III parte –


– Ehi nonno!

– Sì?

– Non ci crederai mai!

– A cosa?

– A questo! Per caso ti ricorda qualcosa?

– E come se me lo ricorda! E’ il poster che pubblicizzava proprio lo stage a Grumento, quello del ‘94. Ma dove l’hai trovato?

– Mah, mentre raccontavi le avventure di Grumento, veramente io … ho dato un’occhiata alle carte.

– Ma guarda che maleducato! … comunque bravo: non sapevo di averlo ancora.

– E invece hai visto che l’ho ritrovato. Comunque scusami: non lo faccio più.

– Va beh …, stavolta ti perdono.

– Nonno, toglimi una curiosità!

– Avanti, sentiamo.

– Questo nel poster, è Grumento, vero?

– No … non credo: l’aliante non ha le marche e … poi non mi sembra che quel modello l’abbiamo mai avuto. Comunque i piloti – un uomo ed una donna, si vede bene – sono un po’ troppo vestiti per essere in volo sopra a Grumento: sembrano da “settimana bianca”.

– Ma perché faceva veramente così caldo?

– Eh sì, purtroppo. Oddio … non come a Rieti, a Roma o al mare, ma faceva piuttosto caldo. La bellezza però, era che la sera, rinfrescava veramente e la notte si poteva dormire … capirai dopo quelle giornate “campali”!

– Perché a che ora finivate e a che ora iniziavate?

– Mah … la sveglia per noi, dico noi perché io e Kostantino dividevamo la stessa camera, era alle sette, colazione alle sette e trenta e partenza per l’aeroporto alle otto. Con le nostre scorciatoie, in un quarto d’ora eravamo in aeroporto, e alle otto e mezza, tutti operativi: arrivavano i “cannibali”!

– Che significa “cannibali”?

– Ma niente! Era un nomignolo così … per i piloti. Allora i cann … i piloti, asciugavano gli alianti – oh, erano sempre zuppi di condensa – facevano il briefing, mangiavano un panino e andavano in volo verso le undici-mezzogiorno. A volte anche l’una.

– Partivano presto, no?

– Beh, insomma. Se avessero voluto, sarebbero potuti partire anche prima, ma sai … abituati al ritmo “blando” dello stage fatto a Rieti! Comunque sì, si poteva decollare anche alle dieci e a volte anche prima, perché l’aggancio c’era, solo che poi rimanevi lì, e comunque per lo stage la giornata era così lunga … In ogni caso, salvo qualche “bucaiolo”, all’una e mezza erano tutti in volo. Poi, verso le cinque-cinque e mezza incominciavano i rientri, fino alle sette e mezza-otto. Per le otto e mezza, gli alianti erano tutti picchettati e la roba – batterie, paracadute e altri “impicci” – tutto sistemato. Alle otto e tre quarti, le nove al massimo, eravamo in albergo. Avevamo il tempo di farci una doccetta “plutonica” – chi aspettava il turno “stramazzava” sul letto solo a sfiorarlo – e poi, tutti a mangiare: certe abbuffate! E lì fino alle undici-undici e mezza. Ormai “stracotti” di sonno, tutti a dormire fino al giorno dopo. E via, si ricominciava di nuovo.

– Facevate quella che, si dice una vita tranquilla.

– Eh sì, certo.

– E la sera, dopocena?

– Curioso, eh? Beh, a volte, la sera, dopocena … s’usciva. Io e Kostantino eravamo “operativi” ma gli altri, erano in vacanza.

– Va bene, ma che facevate?

– Mah, niente di speciale.

Una sera, ad esempio, s’era sparsa la voce che c’erano tre ragazze in costume che lottavano nel fango, e allora andammo nella discoteca all’aperto per vedere di che si trattava …

– Voi, eravate sempre operativi, no?

– Appunto. Fu un “bidone” micidiale perché di ragazze neanche l’ombra e neanche del fango! Anzi no, da quella volta incominciai a sentire puzza di fango tutte le volte che i trainatori ci dicevano d’andare con loro.

– Cosa c’entrano adesso i trainatori?

– C’entrano, c’entrano: erano loro che “beccavano”: oh, da che è mondo e mondo , il “fascino del pilota” colpisce sempre. Io ero un misero “terricolo”, che potevo sperare? Un’altra sera, mi ricordo, andammo alla “Festa del fagiolo” a Sarconi – Sarconi era la capitale italiana del fagiolo – e fu altro fango perché quando arrivammo, il piatto forte, il gelato al fagiolo, era finito da un bel pezzo. Un’altra sera ancora, andammo alla “Festa della birra” in un altro paesetto vicino: in tutta verità … noi pensavamo d’incontrare chissà quali bionde … beh, ce ne tornammo in albergo contenti di aver visto almeno quelle nel bicchiere, di bionde.

– Ma perché la gente com’era?

– Dici le donne, no?

– Ehm … veramente sì.

– Ma che maiale!

– Ci sei andata vicina: altro fango! Tu, devi tener presente che i vecchi bagnini di Rimini, quelli che una volta sorvegliavano i bagnanti …

– Sì, sì, ho ,capito. Continua!

– Beh, i bagnini di Rimini, belli, muscolosi e affascinanti facevano una particolare gara tra loro. Avevano stabilito una scala di valori. In base a ‘sta scala le donne più abbordabili – allora era così, ora non so – erano le inglesi: due punti in meno!

– Come? Non ho capito.

– Sì, chi abbordava e riusciva a sedurre una donna inglese, perdeva due punti – era così facile! quasi ti cercavano loro – . Chi ce la faceva con una tedesca: mezzo punto – ce n’erano così tante!-. Le spagnole: un punto; le milanesi : un punto e mezzo, e così via. Naturalmente vinceva chi, aveva più punti alla fine della stagione balneare.

– Ma che c’entra con le lucane ?

– Le lucane? Oh, n-o-v-e p-u-n-t-i!! Il massimo. Praticamente inavvicinabili! Un po’, perché cinturate dai mariti se sposate, dai fidanzati se fidanzate, dai genitori se non fidanzate, un po’ perché era difficile che andassero in vacanza fuori dalla loro bellissima regione, insomma era praticamente impossibile adescarle! Mi ricordo che una volta … ancora rido se ci penso … venne in aeroporto una ragazza decisamente graziosa, considerata soprattutto la “fauna” locale. Naturalmente, in compagnia del fidanzato. Naturalmente, io, che ero l’addetto alle pubbliche relazioni – mi ero promosso da solo: visto che nessuno le faceva -, incominciai a “ciceronare”. Saranno stati gli alianti lucenti, il fascino del volo, la bellezza del cielo, il gusto del pilotaggio, beh … s’incuriosì così tanto lei, la ragazza, che – incredibile ma vero – il giorno dopo, tornò in aeroporto praticamente da sola, salvo i due fratelli minori. Allora creai una piccola azione diversiva per i piccoli – li feci salire su un aliante a “smanettare” un po’ – e cominciai a “riciceronare” con lei. Ma sul più bello, non mi ricordo cosa successe in pista o al parcheggio … fui costretto ad abbandonarla. Alle grinfie dei piloti! Ce n’era uno, un istruttore simpaticissimo, che – penso io, eh?! – aveva raggiunto la “pace dei sensi” ma non la “pace della gola”, così le chiese subito a bruciapelo quale fosse lì a Sarconi, il locale dove si mangiasse meglio e – che te lo dico a fare? – si spendesse meno. “Il Fagiolo”, rispose lei, compita. Beh, non ci crederete, ma da quel momento, lei divenne “La Fagiola” ed io, quello che me la facevo con “La Fagiola”.

– Perché, l’hai più rivista?

– Macché! Mica ero un bagnino di Rimini, io!

– No, ma eri “operativo”.

– Sì, forse troppo “operativo”. Così operativo che non potevo far altro che lavorare, lavorare e ancora lavorare.

– Senti nonno, non me la racconti giusta: cosa avrai dovuto mai fare in aeroporto?

– Io? Niente. Facevo finta, di fare qualcosa.

– Facevo finta di fare la manutenzione di tredici alianti e due traini, facevo finta di dare assistenza in linea di volo, facevo finta di fare i recuperi fuori campo, facevo finta di tenere i contatti con i visitatori. Facevo pure finta di stare addirittura lì a Grumento, sotto il sole, da mattina fino a sera, e lo facevo così bene che, tornato a Rieti, qualcuno mi disse con l’aria furbetta – di chi la sa lunga -: “Sei stato al mare, eh?”. “Sì”, rispondevo, “All’Isola d’ Elba. Al confino”.

– Scusa nonno, ma non ho capito la faccenda delle pubbliche relazioni.

– Veramente neanch’io: spiegacela meglio.

– Il poster che hai trovato pubblicizzava l’iniziativa che sì, era nostra, ma anche della Comunità Montana dell’Alto Agri e, soprattutto di quel “satanasso” del gestore dell’aviosuperficie, mi sembra che si chiamasse Bolletta, no … Cavetta, no no, … Cunetta, sì, ecco: dottor Cunetta. Era un tipo davvero molto “pittoresco” che con l’aiuto di altre persone influenti, era riuscito a creare piano piano, quel popò di roba. Senza però coinvolgere gli “indigeni”, che non praticavano l’aeroporto, anche perché, mi ricordo, quei pochi che osavano venire, li tormentava dicendo loro: “V i s i t a t o r i ! N o n s i f u m a !” oppure: “V i s i t a t o r i ! L o n t a n o d a l l a p i s t a!” Quando arrivammo noi, non so come non gli venne un infarto fulminante.

– Perché?

– Con tutti i cartelloni pubblicitari, la confusione dei traini, e gli alianti che giravano continuamente nella zona, una cosa era certa: non passavamo inosservati. E allora, lentamente, incominciarono ad arrivare i primi curiosi: “Ma come fa’ a volare ‘sto coso?”, poi gli scettici: “Ma se guida l’aliante?”, ed infine i catastrofici: “E se ci manca l’aria?” Insomma, alla fine, specialmente il sabato e la domenica, c’erano frotte di persone che venivano, guardavano, chiedevano e toccavano meravigliate. E allora, dagli a spiegare, a redarguire, a raccontare, a minacciare, a convincere. Qualcuno di loro, mi disse che potevo fare benissimo il prete o il politico – non so se fosse proprio un complimento – qualche altro mi raccontò la storia del primo volovelista, pure straniero, che era atterrato in quella zona con uno stranissimo aggeggio di legno – probabilmente in occasione di qualche gara di distanza libera – circa venticinque anni prima e che a loro era sembrato un marziano biondo. Ecco: venticinque anni dopo, avevamo gli “uccelli” di plastica, eravamo i “biondi del nord Italia” ma eravamo sempre marziani. I tempi erano maturi e così, quando la “base” ci autorizzò a fare dei voli turistici – erano pure piuttosto salati – più di qualche “pazzo furioso” volle provare il “suicidio”di volare in aliante: ne facemmo diversi. Mi ricordo che volò addirittura un’intera famiglia composta da padre, madre, figlia, fidanzato della figlia, amica della figlia, fidanzato dell’amica della figlia e così via dicendo. Naturalmente questo successe, perché loro non erano indigeni ma “nordici” – sì, di Castellammare di Stabia, in provincia di Napoli – … e furono così folgorati dal “morbo” del Volo a Vela che poi vennero a trovarci molto spesso. Erano così affabili e disponibili nei nostri confronti che con loro passammo diverse piacevolissime serate. Probabilmente furono le persone più interessate alla novità che avevamo portato, oppure abitavano così vicino all’aeroporto – il circuito si faceva sopra casa loro – che il “morbo” … dagli oggi, dagli domani … e poi, noi eravamo dei bravi “untori”. Comunque, oltre a loro, anche altre persone. Mi ricordo molto bene l’interesse morboso del vigile tuttofare di Sarconi, dei baristi – moglie e marito – del bar dove spesso facevamo tappa per il mezzo litro di … acqua minerale della colazione, e tanti altri. In ogni caso, quelli che si divertirono di più, furono sicuramente certi ragazzini che erano venuti in aeroporto tutti timorosi, un giorno che ci saranno stati … trenta nodi di vento, ma teso in asse con la pista. Era ancora presto e gli alianti erano rimasti legati al parcheggio per precauzione. Allora per farli contenti, mi ricordo, che slegai un biposto, lo misi controvento e li feci salire a due a due. Così, per gioco, dissi loro di mantenere il più possibile le ali livellate. Non vi dico: si fece la fila!

– E chi vinse?

– Mi pare una femminuccia.

– Visto? Noi siamo le più brave!

– E ti pareva?

– Comunque vennero in visita anche altri bambini, quelli contaminati dalle radiazioni nucleari del disastro di Chernobyl – sicuramente la banca dati storica ne parla – Qualche pilota un po’ troppo goliardico, mise in giro una pessima battuta: “gli alianti che hanno toccato, di notte sono fluorescenti”, ma la verità era, che per la prima volta, ci eravamo veramente resi utili agli altri.

– Ma a parte questo, lo stage di Grumento, è servito a qualcosa?

– Beh, sicuramente. Calcola che noi, come stage, avevamo un massimo di una dozzina di piloti a settimana con un minimo di quattro – eh sì, una settimana fummo colpiti dal “terrorismo psicologico” e ci furono solo quattro piloti per quattro istruttori -. Una media, tranne la prima settimana di una dozzina di alianti volanti tutti i giorni, e circa quarantacinque giorni pienamente volativi – praticamente tutti quelli in cui c’ero stato io: oh, quando arrivavo io, arrivava il sole -. Insomma, portammo a casa circa millecinquecento ore di volo, se non ricordo male, intorno ai mille e duecento movimenti sull’aviosuperficie – con grande gioia del gestore- e una ventina di prove valide per le insegne – soprattutto guadagni di quota -.

– Un bel caos, no?

– Eh sì. Oh, quando vi dico che eravamo operativi, significa che eravamo veramente OPERATIVI !!


segue:  IV parte

MISSIONE GRUMENTO: terribilmente operativi!!



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