Un libro usato trovato curiosando su una bancarella lungo la Senna, con in copertina la foto di un P-51 North American Mustang.Delle note al suo interno scritte a matita da uno sconosciuto proprietario … e quel nome “deBoyer”, porzione del cognome della madre di Antonie de Saint-Exupéry.
“Accanto al nome c’era scritto: … domandare a…”.
Marc Fabrien, protagonista della storia, è un pilota di linea che all’età di 7 anni rimase affascinato dal racconto del “Il Piccolo Principe” di Antoine de Saint-Exupéry, appunto, tanto da volerne sapere di più su questo scrittore-pilota.Al fascino dei suoi scritti si univa il mistero della sua scomparsa, avvenuta il 31 luglio del 1944 quando si inabissò, con il suo P-38 Lightning, nelle acque di fronte la Provenza; il suo corpo non fu mai trovato.E ora il ritrovamento casuale di questo libro riaccendeva la sua curiosità; allora niente di meglio che rintracciare tre vecchi amici, anch’essi piloti, con i quali condividere questa avventura.Soprattutto il vecchio Luc che per primo gli aveva raccontato la storia del “Il Piccolo Principe”.Marc, Edouard, Claude e Luc : “Il Club MELC”.
Luisa Sala autrice del racconto “Il Club MELC” ha partecipato alla X edizione del concorso “Racconti tra le nuvole” non qualificandosi tra i finalisti.Ancora una volta una scelta della giuria per noi incomprensibile, ma che assolutamente rispettiamo.
Questo racconto è un invito per il lettore a leggere o rileggere, a scoprire o riscoprire quello che è da tutti riconosciuto come il capolavoro di Saint-Exupéry.
“Il Piccolo Principe”, come molti libri per ragazzi ha in realtà una duplice chiave di lettura: una favola per bambini, una riflessione molto profonda pergli adulti. Il senso della vita, l’amore, la solitudine, la mancanza sono i suoi temi fondamentali.Il Club MELC vuole essere una riflessione per coloro che si sono dimenticati di essere stati dei bambini, che hanno abbandonato i loro sogni. Che non vanno oltre le apparenze e la materialità delle cose.Il racconto termina con una dichiarazione d’intenti:
“… Il Club MELC avrebbe realizzato grandi progetti. Ne ero certo. Più chemai”
Più che un finale quasi l’inizio per una nuova storia. Perché la vita è una bellissima avventura da vivere.
Un grazie a Luisa Sala per questo suo racconto, che troverà ospitalità nel nostro hangar, assieme alle altre Voci
Così ha invece riassunto l’autrice il suo racconto:
La vicenda è ambientata in Francia.
Marc Fabrien è un pilota di linea de l'”Air Corsica” ed è stato anche pilota privato per il Club della Camargue in passato. È un tipo insolito che tira sempre dritto per la sua strada.
Gli piacciono le storie e i vecchi libri, quelli usati, già vissuti e quando va a Parigi trova sempre il tempo di perdersi lungo il viale dei ‘bouquinistes’.
È appassionato della vita e della leggendaria scomparsa di Antoine de Saint-Exupéry il pilota autore de “Il Piccolo Principe”.
Questa passione risale alla sua infanzia quando, grazie allo zio meccanico aeronautico in un hangar di Marsiglia, Marc conosce Luc, un pilota che lo avvicina ai misteriosi codici lasciati da Saint-Exupéry nel suo capolavoro. Anni dopo, grazie a un libro acquistato a Parigi, riapre la porta dell’universo dei codici legati alla scomparsa misteriosa del grande pioniere. Le coincidenze si intrecciano.
Il giorno in cui a Marsiglia Marc incontra Luc e due suoi cari amici, i quattro fondano il loro club esclusivo, il Club MELC per investigare sulla leggendaria scomparsa dello stravagante pilota Saint-Ex. Per suggellare il compito, a bordo del Cessna di Luc, in silenzio, sorvolano la porzione di Mediterraneo dove Saint-Exupéry si inabissò col suo P-38 Lightning in quel lontano trentun luglio millenovecentoquarantaquattro.
Recensione di Franca Vorano, foto e didascalie a cura della Redazione
Foto di copertina proveniente da www.flickr.com
Narrativa / Medio – Lungo
Inedito
Ha partecipato alla X edizione del Premio letterario “Racconti tra le nuvole” – 2022
Vi dicono qualcosa questi numeri e lettere apparentemente casuali? No?
Se aggiungessimo alcune nomi di luoghi o persone e termini tecnici?
– Desenzano del Garda
– rosso corsa
– alberi coassiali
– Lago di Bracciano
– Francesco Agello
– FIAT
– idroscalo
– record
– museo
Ancora non vi sovviene niente?
E allora se vi svelassimo queste altre informazioni?
– Castoldi
– idrocorsa
– Vigna di Valle
– Italo Balbo
– eliche controrotanti
– Mario Bernasconi
– Lago di Garda
– idrovolante
– in tandem
– Tranquillo Zerbi
– Coppa Schneider.
Desistete? Buio totale? Beh … allora vi confesseremo che, in questo guazzabuglio di dati che ha le sembianze di un groviglio insignificante piuttosto che di una vera e propria guida sinottica, vi assicuriamo che una logica c’è, eccome.
Lo stesso senso logico che sta alla base del racconto di Roberto Ferri, apparentemente sconclusionato, in alcuni punti misterioso ma in realtà, a ben leggerlo, articolato e addirittura sorprendente per alcune trovate a effetto.
Ma procediamo con ordine nello svelare il mistero dei dati disordinati.
Il 23 ottobre 1934venne scritta una delle pagine più gloriose della storia della Regia Aeronautica, l’Aeronautica Militare italiana dell’allora Regno d’Italia. Venne stabilito – ed è a tutt’oggi imbattuto – un record di velocità per la categoria di velivoli in grado di decollare e atterrare da superfici marine o lacustri, detti tecnicamente idrovolanti. In effetti si trattava di idrovolanti da competizione, da cui il termine più corretto idrocorsa.
Lungo le rive del Lago di Garda, nello specchio di lago antistante la radiosa cittadina di Desenzano del Garda, per volere di Italo Balbo, allora Sottosegretario della Regia Aeronautica e suo grande promotore in seno al regime fascista, aveva preso sede da alcuni anni un reparto di volo assai particolare. Si trattava del Reparto Alta Velocità – da cui l’acronimo RAV – che utilizzava l’esistente idroscalo di Desenzano per addestrare i suoi piloti in quello che, fondamentalmente, costituiva il tentativo italiano di aggiudicarsi un trofeo internazionale assai prestigioso quale la Coppa Schneider.
Il reparto era affidato all’allora tenente colonnello Mario Bernasconi, un ingegnere-pilota- collaudatore già comandante del Gruppo sperimentale di Montecelio-Guidonia.
Nel tentativo di raggiungere il record di velocità alcuni piloti erano già periti in incidenti di volo sicché la sua scelta cadde quasi inevitabilmente sul talentuoso maresciallo pilota Francesco Agello. Anche perché, in termini antropometrici, egli aveva la taglia ideale per entrare nell’abitacolo assai angusto dell’idrovolante allora disponibile. Si trattava del M.C.72, costruito appositamente dall’industria aeronautica Macchi e progettato con italica genialità dall’ingegner Mario Castoldi.
L’idrocorsa era un portento di ingegneria meccanica e di aerodinamica votata alla velocità. Il suo motore, anzi i suoi motori, erano stati appositamente allestiti dall’ingegnere Tranquillo Zerbi della FIAT che, di fatto, aveva messo in fila due motori (tecnicamente si dice in tandem). Aveva creato così il supermotore denominato AS6. Sviluppava complessivamente 3000 cv di potenza. Un mostro!
Ma l’intuizione più fantasiosa era stata quella di dotare ciascun motore di una propria elica bipala collegata ad esso tramite un proprio albero, uno esterno e l’altro interno – coassiali, appunto – . Le eliche ruotavano una in un senso e una nell’altra; per questo motivo vengono usualmente chiamate controrotanti.
L’idrocorsa era un vero missile verniciato di uno splendido rosso, rosso corsa, appunto.
Qui giunti, dovreste avere un quadro abbastanza chiaro di tutte le informazioni misteriose di cui all’inizio … rimangono solo … ah, ecco … il record fu stabilito e poi migliorato ulteriormente, eccome, fino a raggiungere la spaventevole velocità di 709, 202 km/h!
E il velivolo?… dopo quel fatidico giorno fu religiosamente custodito negli anni a venire e oggi fa bella mostra di sé nella sezione degli idrocorsa presenti all’interno del Museo storico dell’Aeronautica Militare italiana che ha sede sulle rive del Lago di Bracciano, presso l’ex idroscalo di Vigna di Valle.
Svelato il mistero, spiegati tutti i dati elencati all’inizio! Sì, d’accordo, ma che c’azzecca il racconto di Roberto Ferri?
E allora ecco delle informazioni utili:
– studenti
– sorriso
– gita scolastica
– amore
– Lago di Bracciano
– esami di maturità
Niente? Ancora buio totale? Alzate le mani?
D’accordo … e allora ve ne anticipiamo i dati salienti.
Alla vigilia degli esami di maturità, un variegato gruppo di studenti fa tappa al Museo Storico dell’Aeronautica Militare di Vigna di Valle con una parte dei ragazzi intenti a godersi i preziosi cimeli della storia dell’aviazione mentre le ragazze, più verosimilmente, sono interessate al bagno nelle fresche acque del lago di Bracciano; tutti assieme nello stesso luogo prima che il passaggio definitivo alla vita adulta li separi inesorabilmente.
L’ideatore dell’insolita gita scolastica è la voce narrante del racconto e sarà proprio lui che, complice un contatto folgorante con l’M.C.72, si troverà catapultato nel luogo, nel momento e nei panni esatti del maresciallo Agello che sta per salire a bordo dell’idrocorsa … e il resto è storia!
L’invenzione del salto spazio-temporale non è certo nuova nell’ambito letterario e/o cinematografico, tuttavia l’autore la spende in modo oculato ed equilibrato in quanto, anzitutto, consente al lettore completamente digiuno di storia aeronautica, di apprendere dell’esistenza di un primato di velocità per idrocorsa; viceversa, al lettore più ferrato di questioni aeronautiche, concede dei dettagli a proposito di quell’impresa, innegabilmente “succosi”.
Lode dunque a Roberto Ferri per aver assurto all’attenzione di noi tutti questa pagina memorabile – quanto dimenticata – della storia del nostro paese. E bravo!
Purtroppo, differentemente da noi, devono aver pensato i giurati di RACCONTI TRA LE NUVOLE che hanno ritenuto questo racconto non meritevole di accedere alla fase finale del premio letterario. Peccato!
E dire che l’autore, partecipando per la prima volta alla scorsa edizione e classificandosi in XIXma posizione, lasciava ben sperare con questo racconto … vorrà dire che sarà per la prossima! Intanto siamo lieti di concedergli un angolo “liquido” del nostro hangar … sì, avete letto bene: “liquido”, in quanto il suo racconto non può rimanere all’asciutto come tutti gli altri, ne convenite?
A parte gli scherzi, inutile sottolineare che a noi il racconto è piaciuto sebbene il suo prologo sia un poco lento e occorra aspettare qualche riga per intuirne la componente aeronautica. Ad ogni modo, la trama trova poi il suo sviluppo veloce e sicuro fino all’epilogo finale che suona come un vero e proprio messaggio rivolto alle giovani generazioni anziché del protagonista verso sé stesso.
La prosa è piacevole, ben architettati i dialoghi nonché i profili caratteriali dei personaggi.
Da buon ingegnere, l’autore non si lascia andare a descrizioni inutili, a sentimentalismi gratuiti, a una facile retorica. Il testo risulta equilibrato: non succinto, non prolisso. L’episodio di Agello viene narrato senza trionfalismi, senza faziosità. È solo un uomo, un pilota, un militare, non è un esaltato ma neanche un pavido.
Un racconto che innesca la voglia, qualora non l’abbiate mai soddisfatta, di correre al Museo di Vigna di Valle che, per inciso, l’autore conosce bene se è vero – a detta del nostro servizio di intelligence – che ha risieduto per qualche anno presso Anguillara Sabazia, ridente cittadina poco distante dal Museo.
Il racconto, ovviamente, non è uno spot gratuito a favore del Museo – anche perché non ne ha bisogno -, semmai permette di visualizzare degli scorci di un luogo magico in cui taluni amanti dell’aviazione vorrebbero prendere domicilio fisso mentre i più ragionevoli preferirebbero trascorrere periodicamente una giornata intera – salvo essere allontanati cortesemente dal personale di sorveglianza in occasione dello scadere dell’orario di chiusura – . Facciamo almeno una volta all’anno?!
Che poi i velivoli lì custoditi abbiano qualcosa di magico è innegabile … dunque ammetterete che, in fin dei conti, non avrà nulla di sovrannaturale quanto accadrà al nostro protagonista. Cosicché non vi stupirete se, all’ultima sillaba del racconto esclamerete: “Accidenti! … perché a me non è mai capitato?”
Ovvio, ci viene da rispondere: se a Vigna di Valle non ci siete mai andati …
Narrativa / Medio – Lungo
Inedito
Ha partecipato alla VIII edizione del Premio letterario “Racconti tra le nuvole” – 2020
“Un volo bruscamente, tragicamente interrotto dall’incuria dell’uomo. Una creatura senza nome, nata libera fra il cielo e il mare, che viene fermata da una massa nera che le inchioda le ali. Prima di chiudere definitivamente gli occhi, il volatile ripensa alla propria vita, e al cielo che accoglieva il suo volo.”
E’ con questa brevissima sinossi che Cristina Giuntini sintetizza il contenuto del suo racconto “Catrame” con il quale ha partecipato alla VI edizione del premio fotografico/letterario RACCONTI TRA LE NUVOLE.
Una sinossi assai breve che anticipa, senza rendergli particolare onore, un racconto mediamente lungo di circa 24’500 battute dal contenuto amaro, triste e, in alcuni punti, addirittura drammatico.
Lo scenario è quello di una spiaggia qualsiasi, in un angolo qualsiasi del nostro pianeta; il protagonista è un gabbiano senza nome perché, come scrive l’autrice toscana:
“[…] come tutti gli animali liberi, non sono stato battezzato con un nome proprio. Un nome lo hanno solo quelli che popolano le favole per i bambini, oppure i protagonisti dei best sellers. […]”
E’ allo stremo delle forze, sente la vita scorrergli via come le onde che lo lambiscono, gli manca l’aria. Tutto il suo corpo è coperto da una pesante coltre di petrolio addensato, catrame appunto, che gli impedisce di alzarsi, figurarsi camminare, impensabile volare.
Ed è in questa condizione in cui l’essenza vitale lo sta abbandonando per sempre che egli ripercorre la sua esistenza. Di gabbiano, certo, ma pur sempre una vita intera fatta di lunghi voli, di libertà assoluta, di lotta per la sopravvivenza.
Ecco allora che, a partire dallo schiudersi dell’uovo, dalla prima luce del sole, dal primo volo in poi è tutto un dipanarsi di ricordi e di suggestioni che l’autrice tratteggia con invidiabile delicatezza, con la sensibilità che solo una donna – noi uomini dobbiamo ammetterlo, volenti o nolenti – può dimostrare. E Cristina è una di quelle donne, capace inoltre di trasmettercela attraverso le parole e le immagini che quelle parole evocano.
Il suo narrare è delicato, fragile, venato da un dolore sommesso che attraversa tutto il racconto, frase dopo frase, riga dopo riga, perché il destino del gabbiano senza nome è già segnato eppure … l’epilogo sarà imprevedibile e sarà lasciato alla vostra interpretazione, al vostro essere ottimisti o alla convinzione pragmatica che non c’è speranza alcuna. Comunque.
Un racconto che vi strapperà qualche lacrima, ne siamo certi o, quantomeno, lascerà un magone dentro l’animo anche del più coriaceo dei lettori.
Un racconto che di aeronautico ha poco – è vero – ma che pone l’accento su un fenomeno che periodicamente (fin troppo spesso) si verifica e che reca molti nomi: catastrofe ambientale, sversamento di idrocarburi, disastro ecologico, marea nera … ma che comunque porta inevitabilmente alla morte di tutta la fauna contaminata, compresa quella aerea. Salvo miracolosi interventi umani ma che poco sono e poco fanno rispetto all’immane calamità.
Non sappiamo dire perché la giuria del Premio non abbia preferito questo racconto agli altri 20 finalisti, anzi 22 (considerati gli ex equo) … ma una cosa è certa: a noi il racconto di Cristina Giuntini è piaciuto e molto. E questo sebbene il tema da lei scelto sia più vicino agli ambienti ecologisti o ai movimenti che si adoperano per la protezione dell’ecosistema che al mondo aeronautico.
Durante la premiazione di questa edizione 2018, l’editore dell’antologia, Gherardo Lazzeri, a fronte della bontà dei racconti inseriti nel volume, ha proclamato agli autori finalisti presenti: “Sentitevi tutti primi!” … beh, senza nulla togliere al terribile compito portato a termine dalla giuria, noi vorremmo estendere questa esortazione anche a Cristina Giuntini che, se ce ne fosse necessità, costituisce ormai una certezza di questo Premio.
Grazie Cristina!
Un racconto che piacerebbe a Richard Bach (autore de: “Il gabbiano Jonathan Livingstone”) e al nostro Evandro Detti (con il suo “Avventure in punta di ali”) che ai gabbiani hanno dedicato due incommensurabili romanzi.
Narrativa / Medio – Lungo
Inedito;
Ha partecipato alla VI edizione del Premio fotografico/letterario “Racconti tra le nuvole” – 2018;
Nel dicembre 2017 tutti i mezzi d’informazione hanno concesso un notevole risalto alla notizia secondo cui la NASA, a mezzo del portentoso telescopio orbitale Kepler e di un mirabolante sistema di interpretazione dei dati rilevati, avrebbe avvistato un sistema solare del tutto simile al nostro, ossia dotato di un Sole e otto pianeti orbitanti attorno ad esso tra cui – almeno uno – forse capace di ospitare delle forme di vita così come la intendiamo noi.
E in questo – penserete voi – nulla di sconvolgente, fatto salvo che il sedicente sistema planetario si troverebbe ad una distanza inimmaginabile secondo le unità di misura terrestri. Si parlava di alcune migliaia di anni-luce: praticamente irraggiungibile con gli attuali sistemi di propulsione aerospaziali.
Per quanto ci riguarda – intesi come Redazione di VOCI DI HANGAR – la questione ci è subito apparsa ancora meno sconvolgente in quanto, già a settembre dello stesso anno, un partecipante della V edizione del Premio fotografico/letterario “Racconti tra le nuvole” di cui – lo ricordiamo – il nostro sito è uno degli organizzatori, ci aveva già preannunciato l’esistenza del pianeta UNO nonché di una civiltà ivi residente addirittura più tecnologica della nostra. E questo alla faccia della NASA e a dispetto del costosissimo telescopio Kepler o dell’intelligenza artificiale ad esso associata.
Noi, con pochissima o nulla spesa, grazie a quel mostro di veggenza visionaria di Vito Grisoni – così si chiama il nostro scrittore -, sapevamo già tutto. Anzi sapevamo molto di più perché il nostro Vito ha redatto nientemeno che delle “Cronache interplanetarie” in cui ci spiega come gli abitanti di UNO ci osservino già da tempo, di quanto siano curiosi di fronte al grande spettacolo costituito dall’umanità e dai suoi molteplici singolari comportamenti.
Insomma – la NASA non ce ne voglia – ma a noi, per giungere su Keplero 90 – così è stato battezzato il lontanissimo sistema planetario – è stato sufficiente leggere il racconto anziché viaggiare nello spazio per diversi miliardi di miliardi di chilometri!
A parte gli scherzi, contrariamente a quanto lascia presagire il titolo, queste “cronache interplanetarie” non hanno nulla a che vedere con quelle ben più blasonate di Asimoviana memoria (Cronache della galassia). Il nostro affezionato Vito ci ha infatti regalato un breve testo, leggero, piacevole, scritto in modo disinvolto e che vuol essere il pretesto per additare taluni vezzi ma anche talaltri malcostumi di cui il genere umano è depositario. Vezzi e malcostumi che saltano agli occhi specialmente ad un probabile osservatore esterno, magari proveniente appunto dal pianeta UNO.
In realtà, il tema aeronautico è presente in modo davvero marginale e – non a caso – la giuria ha pesantemente penalizzato questa composizione non ritenendola meritevole di accedere alla fase finale del Premio tuttavia, l’autore ha tentato di porre in risalto l’insano entusiasmo che anima certi sedicenti piloti – pochissimi in verità – nel restaurare e poi far volare antiche macchine volanti, cimeli di un’aviazione terrestre ormai datata. Praticamente il ritratto dei piloti dell’HAG! HAG che – lo ricordiamo – è l’associazione italiana composta proprio da piloti che riportano in condizioni di volo i velivoli storici più disparati e che – casualmente – assieme al nostro sito, è l’altro organizzatore del Premio letterario “Racconti tra le nuvole”. In altre parole: un racconto scritto su misura dell’HAG,
In verità le nostre “cronache” diventano addirittura goderecce quando mostrano anche qualche sfumatura di nero, di grigio, di rosso o di fucsia – se lo preferite – in quanto riportano, sempre secondo il racconto del famoso osservatore del pianeta UNO, le prestazioni coniugali nonché extra coniugali di un maschio terrestre preso a campione.
Per il resto, sebbene l’invenzione narrativa non sia proprio originale, consente all’autore di additare nefandezze molteplici e comportamenti miserabili di cui l’umanità non può certo esserne fiera. Inoltre – diciamolo chiaramente – appare come un’occasione mancata dal punto di vista squisitamente letterario. Forse per l’eccessiva brevità, forse per il tentativo – peraltro assai difficile – di dare un taglio aeronautico/aerospaziale che lo rendesse pertinente al tema stringente del Premio. E sì che il notevole numero di battute ammesse dal bando di concorso avrebbe consentito all’autore di dare corpo e spessore al racconto che – lo ripetiamo a scanso di fraintendimenti – risulta comunque godibile.
In definitiva un racconto da leggere anche per riflettere su ciò che siamo come genere umano, che strappa un accenno di sorriso in alcuni punti e produce una sensazione agrodolce in altri cui – ci auguriamo – Vito Grisoni vorrà dare un seguito … perché questo – in fin dei conti – potremmo considerarlo a tutti gli effetti un “pettegolezzo interplanetario” più che delle vere e proprie “cronache interplanetarie”.
Con grande pace del il grande Isaac Asimov, buonanima.
Narrativa / Medio – Breve
Inedito;
Ha partecipato alla V edizione del Premio fotografico/letterario “Racconti tra le nuvole” – 2017;
Durante un turno di servizio in sala operativa Franco (Duty Controller) e Luigi (Fighter Coordinator) si scambiano alcune confidenze. In particolare, Luigi, colpito recentemente da una disgrazia familiare (la perdita prematura di una figlia) è sempre triste e sembra assente durante i suoi rapporti con gli altri. Quella sera però sembra pronto a parlare con Franco per condividere il suo dolore e dare uno sfogo alla sua situazione psicologica.
Mentre si trova al culmine del suo racconto, un evento operativo interrompe la forte condizione d’emozione venutasi a creare. La professionalità, però, prende il sopravvento e il racconto di Luigi sembra dissolversi nel cielo con gli intercettori fatti decollare per una missione operativa di riconoscimento di un velivolo civile non autorizzato a sorvolare lo spazio aereo Nato.
Alla fine, però, Luigi, pur stanco, sembra contento sia per la buona riuscita dell’attività operativa che per la possibilità che ha avuto di poter condividere il suo dolore con Franco. Prova ne è il complice scambio di sguardi, completato da un timido sorriso tra i due, mentre si avviano verso il parcheggio delle auto per fare rientro a casa dopo il lungo e proficuo turno di servizio notturno.
Narrativa / Medio-breve
Inedito; ha partecipato alla IV edizione del Premio fotografico/letterario “Racconti tra le nuvole” – 2016; in esclusiva per “Voci di hangar”