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Nuvole elettriche


“Da quassù la Terra è bellissima, senza frontiere né confini”

scriveva nella sua autobiografia Yurji Alexeievich Gagarin, primo uomo ad aver orbitato attorno alla Terra ed esserne rientrato vivo.

Si conclude con questa famosissima citazione il bel racconto di Roberto Paradiso intitolato: “Nuvole elettriche” che ha partecipato alla V edizione del Premio fotografico/letterario “Racconti tra le nuvole”.

Purtroppo l’assonanza tra il titolo e in nome del Premio non è stata foriera di successo tanto che il brevissimo testo dell’autore romano (ma pescarese d’adozione) non è riuscito a raggiungere la fase finale del Premio. Magra consolazione – certo – essere ospitato in un angolo del nostro grande hangar tuttavia meglio che rimanere sepolto nella memoria fissa di un computer, non vi pare?

Ma – vi domanderete – cosa “c’azzecca” la celebre frase del grande cosmonauta sovietico con “Nuvole elettriche”?

Un frammento del rivestimento di fusoliera del velivolo con marche 9M-MRD della compagnia di bandiera malese. Nel tratto verniciato di rosso è facile leggere proprio le marche dei Boeing abbattuto

Venendo meno ad una sacra regola del bon-ton secondo la quale non si dovrebbe mai replicare a un quesito con un altro quesito, vi domandiamo: si può rischiare di abbattere un aeroplano commerciale e spezzare la vita di 298 vite innocenti come insulso atto di ritorsione militare? Ebbene … qualcuno lo ha ritenuto accettabile!

La data: il 17 luglio 2014.

Il luogo: i cieli dell’Ucraina a circa 50 km dal confine tra Ucraina e Russia, in prossimità dei villaggi di Hrabove, Rozsypne e Petropavlivka nell’Oblast’ di Donec’k, in un territorio all’epoca controllato dai separatisti filo-russi durante la guerra dell’Ucraina orientale.

Per ricostruire quanto accaduto davvero al volo MH17 si attivò una task force internazionale e si procedette al recupero di tutti i frammenti trovati a terra dopo l’abbattimento. Le parti furono ricomposte e meticolosamente analizzate;  ciò ha condotto i tecnici a stabilire in modo inconfubatile la dinamica dell’abbattimento: missile antiaereo di costruzione russa.

Il velivolo: un Boeing 777-200ER, marche 9M-MRD, della Malaysian Airline, volo MH17, diretto da Amsterdam a Kuala Lumpur.

Le vittime: 283 passeggeri e i 15 membri dell’equipaggi, 298 persone per la maggioranza di nazionalità olandese.

L’abbattimento causato da: missile terra aria lanciato da un sistema missilistico Buk-Telar posizionato in una fattoria nelle vicinanze del villaggio di Pervomais’kyi, portato dai russi in Ucraina orientale e successivamente ritrasferito in Russia

Il motivo: abbattere un velivolo da trasporto militare ucraino carico di rifornimenti per l’esercito regolare ucraino in volo nella stessa area del velivolo malese.

Lo scenario a dir poco desolante che è apparso ai primi soccorritori intervenuti sul luogo dell’impatto a terra del velivolo . Vi risparmiamo le foto strazianti che mostrano i tanti corpi delle vittime mescolate ai rottami … sebbene dovrebbero rimanere sempre nella mente di colui o di coloro hanno ordinato ed eseguito il lancio del missile antiaereo senza avere la certezza del velivolo che si apprestavano ad abbattere. Il sistema antiaereo BUK è infatti costituito da un radar di ricerca, da un radar di guida e dal lanciatore vero e proprio; la ricostruzione di quanto avvenne fornisce un elemento agghiacciante; i filo-sovietici non disponevano dell’unità mobile dotata del radar di ricerca e dunque non potevano distinguere esattamente quale fosse il velivolo commerciale e quale quello militare ucraino che intendevano colpire. Purtroppo sappiamo come è finita: una tragedia.

E’ dunque da questo terribile evento di cronaca internazionale da cui prende spunto il nostro racconto cui si aggiunge l’invenzione narrativa delle anime delle vittime che si accingono al trapasso. Nuvole elettriche, appunto.

Ai soldati giunti sul luogo dell’impatto e attraverso la voce narrante del secondo pilota, le vittime innocenti hanno l’occasione di raccontare un po’ di sé, delle loro esistenze spezzate, dei loro sogni infranti. Ne esce fuori un testo toccante che, seppure nella sua eccessiva brevità trasmette l’orrore e la devastazione provocata da un atto di guerra inconsulto e ingiustificabile.

Certo, il tema non è dei più goliardici, la composizione è più una pennellata a tinte fosche che un racconto organico … ma a noi, a differenza della giuria del premio, è piaciuto. Probabilmente l’autore avrebbe potuto svilupparlo di più e meglio, tuttavia troviamo che ogni periodo abbia il giusto peso, ogni colpo di pennello (narrativo) sia misurato e ben collocato, insomma che l’insieme, seppure nella sua tragicità sia ben costruito nella sua parziale originalità. Occorre ricordare infatti, che l’invenzione dei pensieri latenti delle vittime, “anime” o “nuvole elettriche” che dir si voglia, non è del tutto nuova eppure, nel complesso, è utilizzata con armonia, senza abusarne.

Un velivolo con la livrea della compagnia di bandiera malese identico a quello abbattuto nel 2014

La prosa è piacevole fluida e, nonostante nelle prime righe l’avvio sia un pochino lento, subito dopo il testo appare meno ermetico in quanto vengono svelate le coordinate temporali e geografiche.

Ottima la sintassi, impeccabile la grammatica, assolutamente pertinente al tema aeronautico peraltro previsto dal bando di concorso del Premio.

Un racconto che si legge in un battito di ciglia ma che lascia pensare molto dopo, un grido di condanna contro le guerre, specie quelle che coinvolgono vittime innocenti abbattute (nel vero senso della parola) premendo a cuor leggero un banale tasto di lancio di una batteria anti-area.

La Terra vista dallo spazio così come, probabilmente, la vide il cosmonauta russo Gagarin. Abbiamo scelto un angolo a noi familiare e, piccina piccina, quasi accanto allo stivale italico, la ISS – Stazione Spaziale Internazionale.

In conclusione, riprendendo l’aforisma iniziale … in effetti, come sosteneva Gagarin, la Terra è davvero bellissima vista dallo spazio ma, ad osservarla bene, in superficie, è popolata da una moltitudine di bipedi pensanti che sono spesso affetti da bieche pulsioni distruttive anziché da un sano spirito di fratellanza universale. Lo stesso spirito che colmò il cuore del cosmonauta durante la sua orbita attorno al pianeta azzurro.

 

Recensione  a cura della Redazione


Narrativa / Brevissimo

Inedito;

ha partecipato alla V edizione del Premio fotografico/letterario “Racconti tra le nuvole” – 2017;

in esclusiva per “Voci di hangar”

NOTA: in copertina il velivolo abbattuto in Ucraina. La foto risale al 2011 e fu scattata da Alan Wilson presso l’aeroporto di Fiumicino

 


 

 

Nuvole elettriche


Non riesci a vedermi, vero? Eppure io sono davanti a te.

Sono ore che state lì di guardia, con le vostre mimetiche ed i vostri fucili, ma noi di qui non possiamo andare via. Chissà cosa pensi. Ho visto il tuo sguardo velarsi di commozione quando portavano via i nostri corpi, ma la compassione non è una caratteristica di un buon soldato, hai celato quella leggera lacrima con uno starnuto impacciato.

Siamo gli ultimi pensieri dei passeggeri del volo MH17, cristallizzati in nuvole elettriche, che vaghiamo tra i resti del nostro aereo in attesa che arrivi la “chiamata”.

Tutti e 298 eravamo qui quando l’aereo, ormai diventato una palla di fuoco, si è schiantato al suolo. Molti erano già morti soffocati dal fumo o stroncati dalla paura. Ma qualcuno, come me, ha visto la terra avvicinarsi nel suo abbraccio mortale. Io ero il secondo pilota.

Buffo come, sebbene tra di noi ci fossero Musulmani, Cristiani, Indù, Atei ed Agnostici, tutti, al momento del trapasso, sapessimo benissimo cosa sarebbe successo dopo.

Come se si fosse innescato un nastro sepolto nella nostra anima che si sarebbe attivato solo al momento del distacco col corpo.

Il nostro ultimo pensiero si sarebbe cristallizzato lì, nel luogo dove il corpo si era posato, finché i guardiani non lo avessero compiuto. Allora saremmo stati mandati “di là”.

Vicino al motore c’è il pensiero di una mamma che vorrebbe salutare il suo ragazzo. Stava andando a trovarlo. Lui aveva iniziato a lavorare e l’aveva invitata a venire in Malesia. Sarebbe stata la prima volta che il figlio si sarebbe preso cura della madre.

Dietro la deriva c’è un uomo che pensa alla sua donna. Viaggiava per lavoro, era un medico invitato al convegno per l’Aids. Il suo ultimo pensiero è stato di poterla abbracciare ancora una volta.

Forse quel brivido di freddo che senti è il vociare di questi pensieri spezzati. Chissà di chi era la mano che ha premuto il pulsante di sparo. Era fatta di carne e sangue come la mia quando cercavo di riportare in assetto questo aereo ferito a morte. Era come la tua che scorre sul tuo anello nuziale come fosse un rosario.

Forse mi riesci a sentire, vedo che sei turbato, cerchi di non guardare verso i rottami, sicuramente avverti qualcosa.

Se potessi vedere, ora, gruppi di nuvole elettriche svaniscono. I guardiani stanno accompagnando le anime nel loro ultimo pensiero e poi li avrebbero portati di là. La mamma è appena andata. Sicuramente ora sta guardando il suo figlio e gli sta facendo l’ultima carezza; anche l’uomo è partito: lo immagino sfiorare il viso della sua donna mentre lei piange di nascosto.

Tocca a me. Vuoi sapere qual è stato il mio ultimo pensiero?

Io non ho nessuno da salutare. Volare era la mia passione ed ho pensato che avrei voluto vedere la Terra dallo spazio. Vado, fai buona guardia alla nostra ultima dimora. 

 

“Da quassù la Terra è bellissima, senza frontiere né confini” (Yurji Alexeievich Gagarin)


§§§ in esclusiva per “Voci di hangar” §§§

# proprietà letteraria riservata #


Roberto Paradiso

 

La voce di Badger


 

“In un caldo pomeriggio estivo un pilota mostra ad un amico l’aereo che ha da poco acquistato ed illustra le tante possibilità offerte dalle avioniche digitali. “Gli manca solo la parola” commenta l’amico. Questa frase porta il pilota a realizzare un dispositivo che, interfacciato con il glass cockpit dell’aereo, consente una interazione vocale. Tutto funziona ma… quali funzioni affidare a questo “grillo parlante” perché si renda utile prima, durante e dopo un volo?”

Un esempio di cruscotto di un moderno velivolo che adotta l’apparato citato dall’autore nel suo racconto. Da notare che i due ampi schermi a disposizione di pilota e copilota forniscono, da soli, tutto quanto necessita loro per la condotta del velivolo. A completamento si può riconoscere l’ampio display posto in verticale che riproduce, emulo dei diffusissimi navigatori per uso stradale ormai collocati nelle automobili anche di fascia economica, i dati cartografici in chiave aeronautica. Relegati in basso a sinistra, al solo scopo di sicurezza ridondante, sono infine presenti i due strumenti principi del volo: anemometro e altimetro. Sicuri al 100% perché completamente analogici e meccanici. E bisognosi solo di aria per il loro funzionamento.


Roberto Guidorzi così sintetizza il contenuto del suo racconto intitolato “La voce di Badger” con il quale ha partecipato alla V edizione del Premio fotografico/letterario “Racconti tra le nuvole” organizzato dal nostro sito e dai nostri amici dell’HAG.

La giuria del Premio, purtroppo, non lo ha ritenuto meritevole di accedere alla fase finale e dunque alla pubblicazione nell’antologia del Premio tuttavia, come da regolamento, VOCI DI HANGAR ha il piacere di ospitarlo in un angolino del suo grande hangar.

La schermata dell’apparato Skyview in tutta la sua bellezza. La voce che l’autore gli ha conferito non possiamo fornirvela per evidenti motivi ma – ne siamo certi – egli non esiterà a farvela ascoltare, magari abbinata ad un bel volo turistico a bordo del velivolo su cui è installata. O si tratta di una voce solo per pochi eletti?

Nel leggerlo, ci siamo resi conto che, almeno nella parte inziale, il racconto ha una sua valenza letteraria, il testo è fluido e piacevole, sussiste un’alternanza equilibrata del discorso diretto rispetto a quello indiretto, lo stile è moderno e dal sapore piacevolmente giornalistico-narrativo. Anche in termini di trama, si crea nel lettore una sana aspettativa in quanto l’autore riesce a catturare l’attenzione del lettore … purtroppo nel suo svolgimento centrale il racconto scivola in una sorta di resoconto tecnico, una specie di guida per apprendisti elettrotecnici che vogliano far parlare l’avionica del proprio aeroplano.

Ancora un possibile allestimento del cruscotto di un ULM ultimo grido. Tenuto conto dell’elevata affidabilità e della notevole qualità raggiunta, gli apparati “glass cockpit” (letteralmente: “cruscotto di vetro”) possono asservire completamente in un unico grande display tutte le necessità del pilota e del copilota; gli strument a capsula sono superflui e rimane, visibile al centro del cruscotto, la necessità di disporre solo un semplice apparato VHF-COMM per le comunicazioni radio.

Ora, lungi da noi esprimere considerazioni circa la scelta praticata da molti piloti proprietari di velivoli ultraleggeri di dotare la propria macchina volante di costosissimi apparati elettronici, riteniamo invece che stilare la radiocronaca passo passo di quanto operato per creare la “voce di Badger” … beh – in tutta onestà – non si tratti di narrativa di sommo livello. Peccato. Perché neanche l’invenzione del nomignolo e qualche battuta arguta presente nella seconda metà del testo riescono a risollevare il giudizio sul racconto. Che si fa leggere, intendiamoci, ma sempre con maggiore fatica da parte di chi pensava di trovarsi di fronte un racconto di volo, di cielo e di aria e poi, con rammarico, incappa in un “tutorial” per installatori elettroavionici fai-da-te.

Ecco come potrebbe apparirci, visto da terra, un vero velivolo ULM (ultraleggero), ossia coerente con la filosofia cui si ispira il suo nome: leggero, essenziale, spartano, praticamente un semplice attrezzo sportivo che, al pari di una racchetta da tennis o dei pattini a rotelle, consenta di praticare uno degli sport più entusiasmanti eppure così lontani dalla nostra dimensione terrestre: il volo. Dovrebbe essere e che, realisticamente, non è più da anni. Se infatti i primi ULM erano davvero fin troppo leggeri, essenziali e spartani, già da parecchi anni si è giunti a velivoli ben poco leggeri, tutt’altro che essenziali e fuorché spartani. Sicuramente ne ha giovato la sicurezza e l’affidabilità tuttavia, si può ancora avere il coraggio di chiamarli ULM?

Per carità, l’autore non ci deve convincere di conoscere a fondo il suo mestiere: ne siamo certi! E non ci deve neanche convincere di essere ferrato in grammatica o sintassi: lo dimostra ampiamente … certo avremmo sperato da parte sua la scelta di un tema più originale, magari sempre legato alla voce sintetica del suo velivolo; insomma, quantomeno, avremmo caldeggiato uno sviluppo diverso della storia in quanto, onestamente, l’idea di base non è malvagia e avrebbe potuto toccare diversi aspetti ai margini dei quali spesso divampano feroci discussioni tra i piloti “all’ombra del gelso”, “sotto il gazebo” o dentro la club-house che dir si voglia (a seconda dei casi). Questo perché, a prescindere dai nomi dei luoghi o delle latitudini, in qualunque aeroporto, aviosuperficie o campo di volo che si rispetti, ricorre ovunque l’eterna contrapposizione tra chi pratica il volo per il piacere di farlo e chi vola perché costituisce uno status symbol, chi vola volentieri con macchine di basso profilo tecnologico purché si voli e chi non decolla senza aver avviato tutta la strumentazione modello centrale termonucleare, e ancora: ci sono coloro che, purché si vada per aria, farebbero volare una scopa con le ali e coloro che si portano appresso due “televisori” anche se non osano andare oltre il cielo campo, oppure chi spende i propri quattrini per trascorrere in volo più tempo possibile e chi a lustrare il proprio velivolo e magari ha il terrore di sporcarlo con il fango della pista.

Ecco come ci apparirebbe un velivolo ULM da vicino. Non si tratta di una macchina volante ancora in fase di costruzione, né di un eccesso provocatorio bensì l’incarnazione del concetto di ULM.

In definitiva – e lo scriviamo con rammarico – questo ci appare un po’ il racconto delle occasioni mancate. Ma siamo certi che l’autore ci darà modo e occasione per ricrederci. Non vediamo l’ora … praticamente non più tardi della prossima edizione del Premio “Racconti tra le nuvole”. Intesi Badger?

 

Recensione  a cura della Redazione


Narrativa / Breve

Inedito;

ha partecipato alla V edizione del Premio fotografico/letterario “Racconti tra le nuvole” – 2017;

in esclusiva per “Voci di hangar”

NOTA: in copertina lo Zigolo Mg12 della AVIAD del giovane Francesco Di Martino. La piccola azienda italiana ha lo fatto volare per la prima volta nell’aprile 2014 riscuotendo un buon successo di vendite (anche in kit). E’ definito un aeroplano “minimalista”

 


 

 

La voce di Badger

Il caldo era soffocante e quasi tutti i presenti si erano rifugiati sotto il grande gelso che sembrava essere il punto più fresco dell’aviosuperficie grazie ad un filo d’aria quasi sempre presente.

“Guarda guarda”, dissi arrivando, “è una riunione del Club del Gelso o dei Sunday Pilots?”

“Visto che ci sei anche tu”, mi venne risposto, “saranno i Sunday Pilots”.

Avuta la risposta che meritavo, mi unii a quella pigra brigata.

Si stava discutendo di eliche a passo variabile e dell’incremento della corsa di decollo causata dalla temperatura quando il mio vicino mi disse che non aveva ancora visto il mio nuovo aereo e mi chiese di dargli un’occhiata.

“Ma non è nuovo”, mi schernii, “lo ho acquistato usato, ha 130 ore”.

“Beh, quasi nuovo”, mi rispose, “e lo vedrei volentieri”.

Con un pizzico di riluttanza abbandonai quell’oasi ombrosa e ci ritrovammo nella penombra dell’hangar a togliere la copertura dal velivolo.

L’amico lo guardò non ben convinto; “Bella bestia”, disse, “ma è un ultraleggero?”

Lo rassicurai facendogli vedere la targhetta di coda con peso a vuoto e quant’altro.

“Beh, beh”, commentò, “meglio comunque che tu voli con un copilota snello, soprattutto se riempi quei due serbatoi, 130 litri di benzina sono un centinaio di Kg”.

Non aveva tutti i torti e cercai di distrarlo accendendo il glass cockpit che sembrò suscitare il suo interesse. Mi lanciai allora in una esposizione dei vantaggi che il passaggio al digitale offre, concentrando in un solo strumento la visualizzazione ed il controllo di una serie di accessori neppure immaginabili con una strumentazione tradizionale, dalla visione sintetica, all’autostrada nel cielo (Highway in the sky) che, se non hai voglia di inserire l’autopilota, ti guida dove sei diretto infilando una serie di porte come in un videogame, all’ADSB, al FLARM ed al PCAS che ti avverte quando hai qualcuno nelle vicinanze (“con il transponder acceso”, aggiunse, con una punta di malizia, il mio ospite).

Alcune sigle non gli erano del tutto familiari e sembrò un po’ confuso poi disse: “Sarà, ma io preferisco gli strumenti tradizionali, quelli almeno sono semplici da usare”.

Leggermente piccato (ma come, la mia esposizione mi sembrava così convincente!) risposi: “Beh, se sei affezionato agli “orologi”, non è un problema, premi un tasto e…”

Così dicendo, feci comparire sul PFD i sei strumenti tradizionali evitando, per non infierire, di lasciare la visione sintetica sullo sfondo.

“Eh, così sì che va meglio”, disse soddisfatto, “gli manca giusto la parola”.

Non era vero neppure questo, scegliendo il livello di “loquacità” poteva diventare anche troppo ciarliero e, comunque, non c’era verso di evitare che strillasse disperato ‘Terrain! Terrain!’ quando riteneva che un finale fosse criticabile (e colorava anche di giallo, perfidamente, la zona dove riteneva possibile un contatto improprio con la madre terra). Altra inquietante ma ineliminabile fissazione il grido, egualmente disperato, ‘Traffic! Traffic!’ quando qualche altro aereo passava, a suo avviso, ad una distanza poco rispettosa. Ma non avevo alcuna voglia di raccontargli l’effetto un tantino lassativo di questi messaggi su alcuni passeggeri, così mi limitai ad un sorriso di assenso.

Mentre ritornavamo sotto il gelso mi chiese, sapendo che dò sempre un nome ai miei aerei, come lo avessi chiamato.

“Badger”, risposi. Mi aspettavo una richiesta di spiegazioni e non mancò.

“Sai”, gli dissi, “di notte il mio giardino è frequentato da una famiglia di tassi e, pur essendo animali un po’ schivi, siamo entrati in buoni rapporti; gradiscono molto gli spicchi di mela che preparo per loro, in particolare quelli di Golden Delicious. Ecco, mi sembra che il musetto del mio aereo assomigli un po’ al loro e per questo lo ho chiamato Badger cioè tasso in inglese”.

“Ah” , disse, poi mi guardò in maniera un po’ strana e non fece altre domande.

Quella domenica non volai, più per pigrizia che per il caldo, ma mentre ritornavo a casa, pensavo che, con ogni probabilità, non sarebbe stato difficile prelevare un certo numero di dati dallo SkyView che faceva bella mostra di sé sul cruscotto e dare a Badger, attraverso un sintetizzatore vocale, la possibilità di interagire con il pilota al di là dello schema, esteso ma prefissato, previsto dal suo Audio Advisory System.

Una volta arrivato sfogliai il corposo manuale di installazione e trovai rapidamente quanto cercavo. Tra i numerosi canali di comunicazione presenti nello SkyView vi erano anche quattro porte seriali, due delle quali, nel mio caso, ancora libere e rapidamente attivabili dal menù di configurazione. Decisamente sorprendente poi scoprire che il numero totale di misure che potevano venire prelevate era di alcune centinaia; fortunatamente era possibile selezionare, sempre da menù, solo quelle che interessavano. 

A questo punto era possibile disegnare uno schema a blocchi del piccolo sistema che avrei potuto realizzare e pensai ai seguenti moduli:

1) Un microcontrollore per leggere le misure inviate dallo SkyView, elaborarle, gestire i comandi inseriti dal pilota, predisporre le sequenze di controllo del sintetizzatore vocale ed inviarle;

2) Un sintetizzatore vocale;

3) Una unità di alimentazione;

4) Una logica di supervisione della priorità dei segnali audio (comunicazioni, sintetizzatore, musica) da inviare al pilota.

Nella configurazione mi sembrò poi opportuno inserire anche un amplificatore stereo di qualità elevata dato che l’impianto presente sull’aereo era monofonico e non prevedeva l’ingresso di una sorgente musicale esterna tipo lettore MP3, cellulare o altro.

Valutai che il costo totale dei componenti potesse aggirarsi sui 150 Euro e posi tra gli obiettivi progettuali quello di non effettuare un solo foro sull’aereo e di non modificare in nulla l’impianto di bordo se non per l’inserzione di due prese stereo al posto di quelle mono per le cuffie. Considerai anche che sarebbe stato quasi impossibile o, comunque, estremamente scomodo, effettuare la messa a punto del sistema in hangar quindi sarebbe stato opportuno mettere in conto anche la preparazione di un simulatore che fornisse, durante le prove, le sequenze di dati che avrei poi prelevato dallo SkyView. Un lavoretto in più che, tuttavia, mi avrebbe fatto risparmiare tempo e fatica.

Vario materiale era già disponibile e, in pratica, mi restava da scegliere il sintetizzatore e poco altro. Per il vero, ne avevo uno nel cassetto ma, vecchio di dieci anni, era poco flessibile e decisamente scomodo da controllare. Quello sul quale misi gli occhi si presentava invece come un piccolo gioiello in grado di pronunciare correttamente frasi sia in inglese che in lingue neolatine, già dotato di sei profili vocali diversi, peraltro ampiamente modificabili, della possibilità di variare accenti, toni e volume persino all’interno di una stessa frase e, dulcis in fundo, stando alle specifiche, molto facile da controllare.

Mi sembrò assolutamente straordinario, lo ordinai immediatamente e in un paio di giorni la Fedex suonava il mio campanello.

Scelsi poi un Burr-Brown high-end per i canali audio e mi chiesi per chi mai fosse stato progettato un oggetto con distorsione totale e rumore inferiore allo 0,00008%, forse per gli alieni visto che un orecchio umano addestrato non avverte granché oltre lo 0,1%.

Con tutte queste meraviglie tecnologiche a disposizione preparai un progettino ed assemblai un prototipo che mi consentì di restare sorpreso dalla qualità della riproduzione musicale ma … anche da qualche problemino non proprio previsto nella gestione del sintetizzatore dato che non lo avevano dotato di alcun modo di segnalare il termine della pronuncia delle frasi ma solo della segnalazione della acquisizione (praticamente istantanea) delle stringhe dei relativi comandi. Ad ogni buon conto, superato questo problema e testata la logica di controllo delle priorità, mi ritrovai con una ubbidiente scatoletta destinata a prendere posto, fissata con il velcro, sotto il sedile del pilota, collegata ad una unità di controllo a sua volta sistemata nel vano portaoggetti presente tra i due sedili. Avevo rispettato il proposito di non fare alcun foro.

L’unica messa a punto riguardò il settaggio del volume del sintetizzatore e, a questo punto, il giocattolone era pronto per essere programmato in modo da svolgere le funzioni desiderate. Non potei fare a meno di pensare a Mastro Geppetto con il Pinnocchietto appena terminato tra le mani e incrociai le dita; questo almeno aveva bisogno di corrente e nel caso, togliendola, non avrebbe potuto combinare troppi danni.

Iniziai scrivendo le piccole routine che intercettano le stringhe spedite dallo SkyView decodificando le misure di mio interesse, convertendo nodi in km/h ed altre bagatelle di questo genere. Avendo sottomano il simulatore che avevo costruito (in pratica solo un microcontrollore opportunamente programmato ed interfacciato) questo lavoretto fu rapido ed indolore. Ora, divertente o meno che fosse, dovevo scegliere le funzioni da implementare e scrivere i relativi software.

Mi sembrò logico partire dai controlli pre-volo senza tralasciare una breve frase di benvenuto e presentazione (Welcome on board. My name is India Bravo ecc.). Scordavo; la scelta era caduta in maniera naturale sull’inglese per la maggiore compattezza lessicale, per l’eccellente pronuncia di ‘perfect Paul’ (il profilo vocale scelto) e per il fatto che, volenti o nolenti, ce la ritroviamo come lingua ufficiale nel mondo dell’aviazione.

Dopo questi convenevoli inizia, con teutonica precisione, una lista di richieste (es. Arm emergency parachute). Al termine di ognuna il pulsante di conferma sull’unità di controllo si illumina di un blu intenso ed occorre premerlo per avere la conferma dell’operazione eseguita ed una nuova richiesta.

Alla fine della litania un beneaugurante “Ready for departure” gratifica, se tutti i controlli sono stati superati, la diligenza del pilota. Ovviamente un foglietto o la checklist caricata sullo stesso SkyView può svolgere la stessa funzione; questa però è più efficace e veloce e vale decisamente il modesto sforzo della sua preparazione. In pratica svolge compiti normalmente gestiti dal secondo pilota ma senza alcuno spiraglio per dimenticanze.

Al secondo modulo (attivato dalla posizione successiva del selettore) affidai una funzione di supporto nella fase di decollo che inizia con la lettura continua della velocità fino a raggiungere quella di rotazione, alla quale arriva il deciso suggerimento: “Rotation!”. Segue la lettura continua di velocità e quota fino al momento di ritrarre i flap al quale, come è facile immaginare, si è raggiunti da un “Retract flaps” che non ammette repliche e si è anche tenuti a confermare questa operazione.

Per la verità, pur non avendo difetti formali o necessità di modifiche, non apprezzo particolarmente questo modulo e non lo attivo quasi mai; a quale velocità effettuare la rotazione preferisco sentirmelo comunicare direttamente dall’aereo e non dal grillo parlante.

Il modulo successivo, dedicato alla crociera, ha un compito di tutto riposo; si limita infatti a ricordare, con la frequenza impostata dal pilota, prua magnetica, velocità indicata e quota barometrica.

Arriviamo così al modulo più delicato ed indaffarato, dedicato alla preparazione dell’aereo per l’atterraggio ed allo stesso atterraggio. E’ piuttosto improbabile che un pilota scordi qualche passaggio in questa fase; in ogni caso la sequenza delle istruzioni specifiche (quota e velocità nelle varie fasi, flap, passo dell’elica, luci e quant’altro) vengono ricordate chiedendo anche conferma per alcune delle operazioni (es. effettiva inserzione dei gradi di flap previsti). Durante il finale l’unica informazione ripetuta (con frequenza elevata) è la velocità.

L’ultimo modulo è dedicato ai controlli post volo, da quelli più ovvi come la ritrazione dei flap a quelli talvolta trascurati come il confronto tra il carburante presente nei serbatoi e quello indicato dal Fuel computer.

Il grillo parlante, come ho battezzato questo oggetto, svolge in maniera accurata il compito che gli è stato affidato, restando in paziente attesa per il tempo necessario ogni volta che una comunicazione interrompe l’operazione che sta svolgendo. Ha però un lessico un po’ limitato e non fa mai osservazioni inattese; magari, quando troverò un momento, gli darò un briciolo di autonomia consentendogli di fare qualche commento tutto suo in maniera non inopportuna ma nemmeno prevedibile. A dire il vero, qualcosa gli avevo già concesso, provvisoriamente, durante la scrittura del software, lasciandogli assemblare, in alcune circostanze, frasette diverse di significato analogo. Lo avevo però rapidamente epurato dopo che, per un modesto ritardo nel ritrarre i flap mi sono sentito apostrofare da un “Would you please retract those bloody flaps?”, più o meno “Ti vuoi decidere a metter dentro quei fo**uti flap?”.

Certamente colorito, magari anche efficace, ma non è quello il modo!


§§§ in esclusiva per “Voci di hangar” §§§

# proprietà letteraria riservata #


Roberto Giudorzi

Un volo indimenticabile

Viene fatta risalire al celeberrimo trasvolatore statunitense Charles Lindenbergh una frase quanto mai pertinente a questo breve racconto. Recita così:

L’avventura giace in ogni soffio di vento.

 

Chissà se l’autore di “Un volo indimenticabile”, l’affabile Sandro Rosati, sottoscriverebbe con doppia firma quanto sintetizzò il mitico Lindy quasi cent’anni fa!?

Di sicuro il nostro buon Rosati ha così sintetizzato la sua fatica letteraria: 

“Il breve racconto di una piacevole gita di fine settimana con un aereo da turismo ci fa comprendere che, nonostante la buona preparazione del volo e le ottime caratteristiche del monomotore impiegato, l’imprevisto è sempre in agguato e che la prudenza non è mai troppa.”

Il vero protagonista di questo racconto: il Pracaer F15E Picchio costruito dalla General Avia. Benchè il velivolo avesse ottime doti di volo (semi acrobatico e con capiente bagagliaio, sedili comodi per quattro persone) non fu costruito in grandi numeri tanto che, nato  alla fine degli anni ’50 come ulteriore sviluppo del Falco e Nibbio, non ebbe il successo che meritava. L’ Aeronautica Militare Italiana, in particolare, dovendo trovare un velivolo ad elica per uso collegamento e traino alianti, gli preferì il SIAI 208 e dunque affossò di fatto la produzione della serie “E” di cui fa parte I-PROD (qui ritratto) e I-PROM che fu invece presentato al Salone Aeronautico di Le Bourget nel maggio del ’73

Parole sante, aggiungiamo noi! Peccato che, dal punto di vista squisitamente letterario, le parole dell’autore non abbiano convinto granchè la giuria della V edizione del Premio fotografico/letterario “Racconti tra le nuvole” organizzato dal nostro sito e dall’HAG (Historical Aircraft Group). La giuria – dicevamo – non ha ritenuto questa breve cronaca di volo meritevole  di accedere alla fase finale del Premio e dunque l’ha relegata alla sola pubblicazione nel nostro sito. Ci spiace per il caro Sandro ma per noi si è trattata di una vera manna dal cielo!

Il racconto nasce da un’esperienza realmente vissuta dall’autore e da suoi tre amici/che, che loro malgrado, si sono trovati nella classica situazione imprevedibile e dunque indimenticabile. Anche se in senso negativo, purtroppo per loro.

Gli interni assai conforevoli del Picchio in cui si è consumata la vicenda narrata dall’autore nonchè protagonista, suo malgrado. Non stentiamo a credere che, a seguito di quanto accadde, le tappezzerie siano state completamente rinnovate.

Dunque non un’opera di fantasia ma di cronaca verace che piacerà agli amanti dei testi con taglio giornalistico.

In effetti la prosa è molto abbottonata, asciutta, priva di qualunque artificio narrativo, usando un’espressione calzante: “vola via che è una bellezza”!

In verità appare più vicina a un resoconto tecnico che ad un racconto di volo, volo peraltro tutt’altro che tranquillo.

Con il senno di poi siamo lieti che non sia divenuta una relazione d’incidente aereo o un rapporto assicurativo – per carità – ma i toni, effettivamente, non sono poi così dissimili.

Probabilmente, nel bilancio complessivo del testo, pesa un ruolo determinante l’assenza di personaggi parlanti e dunque la completa mancanza di discorso diretto. Tutta la vicenda è raccontata in terza persona con eccessivo distacco, quasi con asetticità. In questo genere di eventi, non siamo abituati ad una dose così ridotta di pathos; da lettori, vorremmo essere più compartecipi all’azione e invece tutto si sviluppa con freddezza. Peccato.

Ancora una bella immagine a terra dello splendido velivolo uscito dalla matita del grande progettista italiano Stelio Frati. Non si potrà fare a meno di notare una certa affinità con il più ben famoso SF260 con il quale il Picchio F15E condivide la struttura metallica e numerosi soluzioni aerodinamiche/strutturali.

E dire che, avendo avuto la fortuna di conoscere l’autore di persona, posso affermare – senza ombra di esitazione – che trattasi di persona alquanto loquace, dal colloquiare piacevole, prodigo di particolari e battute sagaci. Ma forse  – e sottolineiamo “forse” – la sua naturale timidezza nel rivelare episodi relativi a fatti e persone lo ha molto inibito oppure il cimetarsi per la prima volta con un racconto in prima persona lo ha un poco impaurito … certo è che il suo testo è scorrevolissimo e si legge in un battibaleno. Non ha spigoli vivi, non ci sono periodi superflui: tutto è cesellato alla perfezione, senza alcuna sbavatura.

La splendia immagine  del Picchio scattata dal bravissimo fotografo Giorgio Varisco, peraltro partecipante e vincitore di alcune edizioni della sezione fotografica del  nostro Premio fotografico/letterario “Racconti tra le nuvole”. Il suo occhio meccanico-digitale si trovava giusto appunto a bordo pista dell’aviosurficie di Montagnana (Padova) il 30 giugno del 2013, in occasione del  FlyParty, grande festa dei soci dell’HAG (Historical aircraft Group) aperta al pubblico e divenuta quindi appuntamento annuale degli appassionati di velivoli storici. Lo scatto mostra il Picchio in tutta la sua bellezza e la pulizie delle forme, tipica in verità di tutti i progetti dell’ing Frati.

In definitiva, tenuto conto che di esperienze – piacevoli e non – un pilota di navigata frequentazione aeronautica come il nostro Sandro ne avrà pur vissute (o comunque ne sarà stato testimone diretto o indiretto), siamo fiduciosi che in un prossimissimo futuro ci regali qualche altra confidenza dai connotati letterari. Anche perchè, con questo racconto, ci ha dato prova di avere dimestichezza con la grammatica e con la narrativa; magari dovrà aggiungere quel pizzico di “romanzato” che non gli è così congeniale … ma piace molto al lettore medio, noi compresi. E per questo motivo glielo suggeriamo caldissimamente.

L’unico rammarico sarà di non poterlo pubblicare giacchè, in quell’occasione, potremo leggerlo solo nell’antologia della prossima edizione del nostro Premio letterario. Noi ce ne faremo una ragione ma speriamo che il Rosati si metta già all’opera. Intesi?


Narrativa / Breve

Inedito;

ha partecipato alla V edizione del Premio fotografico/letterario “Racconti tra le nuvole” – 2017;

in esclusiva per “Voci di hangar”