Archivi categoria: Racconti tra le nuvole – V edizione

Un volo indimenticabile

Dopo un lungo e noioso inverno era grande la voglia di sgranchirsi le ali ed i 300 cavalli racchiusi nel cofano motore del mio F15E “Picchio” scalpitavano, ansiosi di galoppare.

Per quel weekend di fine maggio 2003 mettemmo a punto un programma turistico, addestrativo e culinario molto interessante: partenza dall’aeroporto di Viterbo e, dopo un veloce scalo a Perugia per espletare le allora previste formalità di dogana e polizia, di nuovo in volo diretti a Pola con piano di volo IFR per mantenere “current” la mia arrugginita abilitazione al volo strumentale. Una volta arrivati in Croazia la giornata sarebbe proseguita con la visita della città ed allietata da una buona cena a base di pesce.

Il programma prevedeva di tornare a casa il giorno seguente dopo aver riempito fino all’orlo i quattro serbatoi dell’aereo con dell’ottima benzina avio pagata la metà di quanto costava in Italia.

In questa occasione i quattro posti disponibili erano tutti occupati. L’equipaggio, infatti, era composto oltre che da Alessia, che abitualmente riveste il ruolo di navigatore durante i nostri viaggi, e da Iulia, il fedelissimo cane corso che ci seguiva in ogni spostamento, da mio figlio Giulio che, allenato pilota militare ed istruttore di volo, svolgeva la funzione di pilota di sicurezza.

Decollammo da Viterbo alle 10.15 ed alle 11.40 eravamo pronti a partire di nuovo da Perugia per atterrare a Pola alle 13.00. Tutto si svolse come programmato e la mattina del giorno seguente, abbandonati i panni del turista, andammo all’ufficio meteo dove ci confermarono che il tempo lungo la rotta era buono. Presentato nuovamente un piano di volo strumentale, rifornito l’aereo e fatti i controlli prevolo, staccammo le ruote da terra alle 11.50.

Il Controllo ci autorizzò a salire e mantenere il livello di volo 90 come da me richiesto; era la quota più bassa prevista per quell’aerovia e 3.000 metri erano più che sufficienti per scavalcare l’Appennino. Ormai sembrava di assistere ad un film già visto; il Picchio con i suoi 320 litri di carburante ed il suo carico prezioso in cabina correva veloce verso il VOR di Ancona per poi accostare a destra puntando il VOR di Bolsena con destinazione finale, questa volta, l’aeroporto di Roma-Urbe.

Lasciata la costa, le montagne erano nascoste da una densa coltre lattiginosa apparentemente innocua ma con il passare dei minuti il suo chiarore quasi abbagliante cominciò ad attenuarsi. Il Picchio sobbalzava come un’auto che corre su una strada sconnessa, all’improvviso il parabrezza ci apparve come una lastra di piombo ed in cabina si riusciva a stento a leggere le carte. Da lì a poco iniziò a piovere con violenza e mantenere la quota divenne molto impegnativo.

Niente di grave se la situazione fosse rimasta tale ma il peggio doveva ancora venire: le condizioni meteo continuarono a deteriorarsi e a noi non rimase altro da fare che accendere il riscaldamento al tubo di pitot, per evitare che il ghiaccio lo ostruisse, e ridurre la velocità per attenuare le sollecitazioni all’aereo, non avendo l’F15E altri sistemi antighiaccio né un radar meteo. Nel frattempo la grandine aveva preso il posto della pioggia investendoci a 140 nodi, smerigliando il bordo d’attacco delle ali e ammaccando le alette di raffreddamento del radiatore dell’olio. All’interno il rumore era assordante e, nonostante avessimo le cuffie, per me e Giulio era impossibile comunicare. La turbolenza rendeva il Picchio quasi ingovernabile mentre alcuni fulmini, ignorandoci, ci sfioravano per proseguire verso terra.

Speravo ardentemente che il plexiglass del parabrezza spesso 5 millimetri non si rompesse quando mi voltai per un attimo verso il sedile posteriore. Nella penombra vidi quattro occhi sbarrati che mi puntavano desiderosi di una immediata conferma che tutto andava bene e che saremo subito usciti da quella tempesta; poi vidi che Iulia, nonostante i suoi 40 chili, si era fatta piccola piccola e si era attaccata ad Alessia la quale a sua volta la stringeva tra le braccia. Entrambe tremavano…  non si saprà mai chi delle due trasmettesse il tremore all’altra né se la causa del tremore fosse il freddo, dovuto al brusco abbassamento della temperatura nell’abitacolo, o  qualcos’altro! In quella situazione nessuno aveva pensato di aprire le bocchette dell’aria calda per riscaldare la cabina.

Non sono in grado di dire quanto durò quell’inferno: il tempo si era dilato ed i minuti erano lunghissimi, interminabili. Ricordo soltanto che, attraversata la cellula temporalesca, ci fu un miglioramento repentino ed il cielo tornò sereno.

Alle 13.40 atterrammo all’Urbe dove splendeva lo stesso sole che avevamo lasciato due ore prima a Pola.

A terra, un ultimo sguardo pieno di amore e riconoscenza all’F15E, inconfondibilmente elegante, ed il pensiero corse veloce all’insuperabile genio italiano suo ideatore: grazie Ingegner Frati!


§§§ in esclusiva per “Voci di hangar” §§§

# proprietà letteraria riservata #


Sandro Rosati

In volo tra le nuvole … e nello spazio

Ero con gli occhi chiusi alla ricerca della concentrazione e per mitigare la tensione. Sentivo solo il rimbombo ritmico del motore e nessun altro suono. Aprii gli occhi: ero seduto su una lunga panca metallica insieme ai miei commilitoni e di fronte a me, sull’altro lato della carlinga, si trovavano altrettanti compagni. Eravamo tutti con la stessa tenuta scura, giubbotto antiproiettile, guanti termici e uno stock di armi disseminato in tutto il corpo, compreso il pratico fucile laser e le granate ad onda d’urto. Il casco integrale mi impediva di vederli in viso e di incrociarne gli occhi, ma forse era meglio così: in quei momenti è preferibile stare da soli con i propri pensieri e non condividerli con nessuno, nemmeno attraverso uno sguardo.

All’improvviso il graduato segnalò con il pollice verso l’alto che dovevamo alzarci. In fila indiana ci accostammo alla parete dell’aereo per dirigerci verso il portellone già aperto. Fuori era buio pesto e percepivo solo il freddo glaciale che proveniva dall’esterno. Ricordavo che il lancio era previsto da alta quota, per impedire di intercettare l’aereo o vanificare la nostra discesa e le condizioni climatiche a quella altitudine non sono gradevoli: anche il respirare diventa un problema se non lo fai correttamente.

Una lieve esitazione quando fu il mio turno e poi il salto nel vuoto.

Istintivamente controllai subito l’altimetro, mentre mi coordinavo per trovare il corretto assetto in volo. Non mi ricordavo di aver mai usato quello strumento, eppure riuscivo a leggerlo perfettamente e interpretarne le indicazioni.

Arrivato all’altezza prefissata tirai la cordicella per liberare il paracadute. Maledizione, imprecai; non si era aperto. All’istante i battiti del cuore si impennarono ma cercai di mantenere la calma. Sentii il sudore freddo scorrere sotto i vestiti, mentre faticavo a deglutire e sentivo la gola secca.

Azionai il paracadute di emergenza, ma nemmeno quello si aprì. Ero nel panico. Iniziai a guardarmi intorno alla ricerca di aiuto da qualche compagno, ma con un lancio notturno sapevo di non poter scorgere nessuno. Guardai nuovamente l’altimetro e dall’altitudine segnalata capii che gli altri avevano già aperto i loro paracadute e si trovavano tutti al di sopra di me, in planata lenta.

Le tempie pulsavano all’impazzata contro il casco e la testa era in fiamme per la pressione. Cercai il microfono per chiedere aiuto, ma era inutile, non c’era più tempo per niente, solo per la disperazione. Urlai con tutta la voce che avevo in gola ma non riuscivo a sentirla. E la terra si avvicinava velocemente a me e alla mia fine.

Riuscii a fatica ad aprire gli occhi e provai ad orientarmi alla luce soffusa della cabina. Giacevo sdraiato nel letto, in una posizione scomposta; ed ero dannatamente sudato.

Mi avvicinai al frigo e sorseggiai una bevanda fresca. Non ero mai stato preda di un sogno di tale intensità e ne ero scosso.

Camminai intorno alla cabina, tentando di stimolare nuovamente il sonno, ma un po’ per timore di chiudere nuovamente gli occhi e un po’ per la sensazione di disagio che provavo, decisi presto di rinunciare.

Che strano incubo, pensai: non sono certo io che dovrei avere certe visioni notturne.

Non ho mai voluto provare l’ebrezza del volo, se non dentro a una sicura e affidabile astronave. Al lancio dall’esito imprevedibile con il paracadute avevo sempre preferito la meno adrenalinica  rampa di lancio. Eppure era stato tutto troppo realistico, soprattutto il terrore provato, e i particolari sembrava li avessi vissuti di persona, ma probabilmente erano frutto di qualche racconto sentito in famiglia che mi era rimasto in memoria. 

Guardai dall’oblò per ammirare Titano, una delle lune di Giove, la nostra prossima tappa del lungo viaggio che ci attendeva.

Mi venne in mente “Dalla Terra alla Luna” di Jules Verne e pensai a quanta strada aveva fatto l’uomo rispetto a quanto narrato in quelle pagine. Ci chiamavano viaggiatori, esploratori, colonizzatori alla ricerca di altri possibili mondi, ma c’erano anche mercenari, fuggitivi e commercianti. Chi lasciava la Terra lo faceva con un biglietto di sola andata, e la motivazione doveva essere forte. Il cosmo offriva spazi e opportunità infinite ed era al tempo stesso attraente ma denso di incognite, quindi non adatto a tutti.  

All’improvviso suonò l’interfono. Aprii il microfono e vidi che la chiamata proveniva dalla sede dell’Ammiragliato. Indicava una comunicazione diretta, senza possibilità di risposta: una cosa piuttosto inconsueta.

Sfiorai lo schermo trasparente per avviare la trasmissione.

“Capitano Travis, a nome delle alte cariche militari, con sommo dispiacere le comunico il decesso di suo fratello.

Durante una missione notturna di sabotaggio, che prevedeva il lancio con il paracadute, si è verificato un problema al sistema di apertura.

Purtroppo non si è potuto intervenire in nessun modo per evitare la tragedia e …”


§§§ in esclusiva per “Voci di hangar” §§§

# proprietà letteraria riservata #


Massimiliano Murgia

In volo tra le nuvole … e nello spazio

L’autore di questo breve racconto – forse fin troppo breve – ci ha confessato che “[…] non è altro che la trasposizione su carta di un sogno che ho fatto tempo fa”.

Ha inoltre ammesso: “Essendo uno scrittore per hobby ho dato una mia interpretazione al sogno per integrarlo con la mia passione per le letture e il cinema di fantascienza, soprattutto quello dei classici anni ’40 e ’50”.

Una possibile versione onirica in cui potrebbe essere in volo nello spazio il protagonista del racconto di Massimiliano Murgia

Dunque una confessione chiara e articolata cui, per concludere ha aggiunto: “Ne è uscito forse un racconto dai tratti inquietanti, ma credo che ognuno di noi abbia un incubo ricorrente, che vorrebbe magari esorcizzare traducendolo in parole.

In sintesi, qui in poche righe si narra di un volo virtuale e di uno reale”

Può il rapporto parentale attraversare il cielo e lo spazio … ebbene questa è la congettura sulla quale si base il racconto “In volo tra le nuvole … e nello spazio”. Questa è una raffigurazione creativa di Titano, una delle lune di Giove

La giuria della V edizione del Premio, purtroppo, non lo ha valutato di particolare originalità e neanche di sufficiente contenuto aeronautico tanto che non ha ritenuto opportuno promuoverlo alla fase finale del concorso e dunque ammetterlo alla rosa dei 20 racconti che sono stati poi inseriti nell’antologia del Premio. Purtroppo per l’autore, fortuna per noi che possiamo leggerlo in anteprima.

Ad ogni modo, al di là di ogni personale opinione, il racconto a noi è piaciuto nella sua scorrevolezza, nella rapidità espositiva, nel parallelismo della vicenda reale e onirica che unisce i due fratelli (gemelli?). Certo non piacerà ai praticanti del paracadutismo e neanche a coloro che amano i testi ben sviluppati in tutte le loro sfaccettature … ma se faranno una ragione perché i racconti tra le nuvole sono così: imprevedibili, eterei, informi … praticamente come volare tra le nuvole e nello spazio


Narrativa / Breve

Inedito

Ha partecipato alla V edizione del Premio fotografico/letterario “Racconti tra le nuvole” – 2017;

in esclusiva per “Voci di hangar”

Cronache interplanetarie


Ormai qui è diventata una mania a livello planetario. Su tutto il nostro pianeta che noi chiamiamo UNO, tramite i canali telematici ed i Social Network non si fa altro che parlare del pianeta TERRA.

Da qualche millennio stavamo cercando un pianeta grande come il nostro, con un’atmosfera come la nostra, distante dalla sua stella come il nostro e finalmente, ecco la Terra.

Finora abbiamo trovato centinaia di pianeti, generalmente senza alcuna forma di vita, oppure con forme di vita elementari, muffe, organismi monocellula. Ma la Terra è un’altra cosa. La Terra è un pianeta con vita intelligente, ha una natura bellissima, animali grandi e piccoli diversi dai nostri. L’ambiente non è dissimile dal nostro, ma ci sembra che le foreste siano più folte, le cascate più imponenti, i fiumi più impetuosi, gli oceani più vasti, le montagne più alte ed impervie, ma soprattutto l’Uomo, che spinto dalle sue passioni ha domato gli elementi, e ne conquista cime, abissi, copre distanze, mosso da un fuoco a noi sconosciuto.

Il nostro governo – c’è solo una nazione che occupa tutto il pianeta UNO – ha deciso che non avremmo interferito con i terrestri, non saremmo scesi sulla superficie della Terra, non avremmo preso contatto con nessuno. Abbiamo invece una grande attività di studio sul pianeta e sui suoi abitanti. Ci sono migliaia di sonde nostre che orbitano attorno alla Terra, ed altre che penetrano a livello del suolo, invisibili agli strumenti terrestri.

Le sonde sono in grado di rilevare immagini a tutti i livelli, riusciamo a vedere la signora che accarezza il gatto e che questo inarca la schiena dal piacere; il bimbo che fa tardi a scuola e la mamma che teneramente lo sollecita, i dettagli della vita lavorativa, dei momenti di svago e, quello che appassiona i nostri sociologi; le infinite liti, le faide ed ogni sorta di divisioni che si hanno tra gli abitanti della Terra.

Io sono uno dei co-piloti della nave spaziale che si è lanciata alla velocità della luce moltiplicata venti milioni verso la Terra.

Aziono l’acceleratore. E’ un complesso meccanismo costituito da ruote montate in serie: l’unità minima di lunghezza, poi, la decina, il centinaio, ecc. fino ad arrivare alla velocità della luce; poi il moltiplicatore; per due, per tre, ecc.

Aziono il puntatore direzionale, una sfera grande come la mano, e ne seguo le rotte sullo schermo.

Il viaggio è durato due anni, durante i quali aggirammo gli ostacoli, pianeti, asteroidi ed una grande varietà di corpi celesti.

Ora che siamo “arrivati”, cioè stiamo orbitando a duecentomila chilometri di distanza dal Pianeta Azzurro, in teoria, dovrei essere disoccupato, quindi il comandante della nave spaziale mi ha aggregato alla squadra Sonde cioè quella che si occupa di dirigere il volo di invisibili droni, ovvero le sonde scese sulla superficie della Terra. A ciascuno è affidato un centinaio di sonde, che vanno pilotate abilmente seguendo alcuni avvenimenti prescelti, e non la funzione di sorveglianza territoriale. Il gruppo di sonde affidate a me, sono scese sulla zona geografica chiamata Italia, un luogo grazioso con la forma curiosa di uno stivale.

Le sonde mandano il loro segnali alla nostra centrale di bordo, ed un team di analisti le invia alle nostre agenzie spaziali che ne traggono le informazioni  necessarie agli scienziati del governo di UNO, mentre alcuni filmati  sono invece canalizzati sui canali telematici, e trasmessi dai televisori degli abitanti del nostro pianeta. Ormai su UNO si guarda solo quello.

Ci sono canali sulla natura, gli animali. Nei periodi di pausa, anch’io mi godo questi filmati. Mi piacciono quei canali che trasmettono i comportamenti degli abitanti della Terra.

Gli umani terrestri sono simili a noi, a parte naso e bocca più grandi, e poi la curiosità: i maschi  hanno i capezzoli.

Ma la cosa che incuriosisce di più, è la passione con la quale i terrestri conducono la loro vita. Su UNO non è così. 8.500 anni fa (siamo infatti nell’anno 8500) sul pianeta UNO si decise di atrofizzare la passione. Eravamo stanchi di guerre, di lotte, di soprusi di ogni tipo, di prevaricazioni. I nostri scienziati comportamentali avevano capito che è la passione a portare l’uomo a commettere ogni sorta di nefandezze. E quindi ci fu tolta. Noi non abbiamo più la passione, di conseguenza non ci sono più tutti gli eventi tragici che sa creare l’uomo quando è pervaso da essa. Abbiamo avuto da subito più risorse ed abbiamo creato uno standard di vita decisamente superiore a quello della Terra. Però la vita con la passione, vista dal nostro pianeta, dove non corriamo alcun pericolo, è più divertente, più interessante.

Da alcune settimane una delle mie sonde  si sta muovendo su uno speciale campo di volo. Ai margini del campo, in un grosso hangar sono rimessati alcuni velivoli storici, ad attorno a questi si sviluppa un’attività quasi frenetica inerente la manutenzione di questi velivoli, vecchi anche di cento anni, costruiti con una tecnologia antiquata, elementare, ma di certo ingegnosa.

E’ un’attività questa che non è capita su UNO, ed uno speciale commentatore deve spiegare che non essendo facile mantenere in funzione questi velivoli, tutto il lavoro sembrerebbe noioso, se non rappresentasse una sfida continua nel reperire i ricambi che non esistono più, nello studio di soluzioni tecniche che non alterino l’originalità del velivolo e poi il reperimento di fondi che sembra non bastino mai. Ma alla fine c’è il premio. Questi aviatori amatoriali, dopo aver lavorato parecchie ore, in modo gratuito, finalmente possono far uscire il velivolo dall’hangar, e lo fanno con una cura tale, che sembrano giovanotti che accompagnano il nonno in un luogo dove ritorna giovane ed aitante.

La sonda registra dati quali il battito cardiaco del pilota, la produzione di adrenalina, la pressione sanguigna, e ne deduciamo che il godimento è altissimo.

L’aereo viene fatto rullare su una vecchia pista in erba, il motore emana un rumore assordante, ma fa parte anche questo del godimento, e poi via, si lancia in cielo.

Il pilota ha ben pochi strumenti che lo aiutano. Le semiali vengono governate ad occhio, secondo l’esperienza e la sensibilità. Le correnti aeree sbattacchiano il leggero velivolo come un fuscello, ma il pilota non perde il controllo, anzi, alcuni si lanciano in voli acrobatici; inanellano looping, tonneau, si lanciano in Schneider azzardate, si gettano in basso verso la pista per acquistare velocità, e per risalire poi in un volo verticale, fino a cercare la posizione di stallo.

All’atterraggio il pilota viene accolto, salutato e complimentato; si beve vino buono, per aggiungere ebrezza all’ebrezza.

Un altro gruppo di sonde, delle quali sono pilota, segue alcuni eventi lavorativi meno ludici.

Una delle mie sonde segue la vita di un uomo in particolare, in modo che noi del nostro pianeta riusciamo a capire la vita sulla Terra e ad imparare che quegli sono esempi che non vanno imitati.

Il tipo in questione si chiama Danilo Bianchi. E’ un quarantenne, sposato, ha una bella moglie, spiritosa e sensuale, un figlio. Danilo Bianchi lavora al comparto vendite di una fabbrica di mobili. Lavora dieci ore con una resa molto al di sotto di quella del pianeta UNO. Su UNO si lavora per quattro ore e si produce molto di più.

Le vicende di Danilo Bianchi sono seguite mediamente da seicentomila persone del mio pianeta.

Danilo a volte va a giocare a calcetto, a bere una birra con gli amici, ma per il resto fa vita di casa, così tutti possono vedere le liti, che da noi non avvengono, però si vedono anche i baci, gli abbracci, tutti gli atteggiamenti amorosi che da noi sono ridotti al minimo. Ma quello che ha combinato ieri sera Danilo Bianchi resterà memorabile per tutti i suoi fans. Danilo è stato invitato ad una cena tra impiegati della sua azienda.

In quelle cene i maschi non si portano le mogli né le femmine i mariti, e già per questo, a noi, abitanti di UNO, cominciano a scorrere brividi sulla schiena.

Danilo si sedette vicino alla signora Ileana-dell’ufficio-Acquisti. Una bella mora procace, elegante, più attraente della moglie di Danilo. Tutti i seguaci della rete cominciarono a mandarsi messaggi dicendo che qualcosa di interessante stava succedendo a Danilo.

La scena sopra la tavola era abbastanza noiosa, ma io inviai la sonda a spiare  quello che accadeva sotto la tavola: Ileana-dell’Ufficio-Acquisti, che aveva delle belle gambe inguantate in calze scure, cominciò a strusciare il ginocchio contro quello di Danilo.

Danilo non si spostò, né la rimproverò, anzi, prese anche lui a massaggiare il ginocchio di Ileana in su ed in giù. Infine le due gambe si accavallarono l’una sull’altra. La rete era stracarica di spettatori. Quanto accadeva sopra il tavolo non aveva niente a che fare con le manovre sotto di esso. Discutevano di politica, di sport, ed immancabilmente del lavoro.

La cena finì, ed eravamo tutti curiosi di vedere come sarebbe evoluta la situazione tra Danilo ed Ileana.

I due lasciarono che tutti partissero. Danilo salì in macchina, ma invece di uscire dal parcheggio del ristorante, andò a posteggiare dietro ad un grosso cespuglio. Dopo un attimo arrivò anche Ileana aprì la portiera dell’auto di Danilo e si accomodò.

Chi si aspettava un discorso d’amore rimase deluso. L’unica parola che disse Ileana fu: “Finalmente!” iniziarono presto a spogliarsi di alcuni indumenti ed a baciarsi freneticamente, poi ebbero un amplesso. Una specie di ginnastica erotica nella quale Ileana-dell’ufficio-acquisti si dimostrò più sfrenata e disinibita della moglie di Danilo.

Sul pianeta UNO esplosero letteralmente le reazioni nella rete. Il che significa che qualche milione di persone postò dei simboli di mani che battevano. Su UNO questo corrisponde a quanto accade sulla Terra quando una squadra di calcio porta a casa la Coppa Continentale.

Ma non finì qui. Il nostro eroe, finito l’amplesso, stette ancora un poco a godersi gli abbracci della bella Ileana, poi aprì il cruscotto della macchina, ne trasse due arance, le sbucciò e prese a strofinarsi i vestiti con le bucce.

Noi del pianeta UNO non capivamo un accidente, ma anche Ileana si trovò a chiedere: “Ma cosa fai?”

Danilo, il nostro eroe, disse che così la moglie non avrebbe rilevato l’odore di Ileana sui suoi vestiti.

Una trovata così geniale non l’avrebbe avuta nessuno sul pianeta UNO. Danilo Terrestre aveva messo in ombra gli scienziati di UNO!

Piovvero i consensi in rete, ancor più che per la bella performance dei due amanti.

Ma non finì così. I terrestri non finiscono di stupirci: Danilo rientrò a casa. Fu accolto dalla moglie in vestaglia, lei gli buttò le braccia al collo, fece aderire tutto il suo corpo a quello di Danilo (immaginatevi l’eccitazione su tutto il pianeta: qui da noi ci si unisce in amplesso solo per procreare ed è un atto meramente meccanico).

L’eroe terrestre si trovò a spiegare alla moglie che i colleghi a cena lo avevano spruzzato per scherzo con le bucce d’arancia. La scusa fu ritenuta debole e la reazione della rete dimostrò la delusione degli spettatori remoti. La signora Bianchi però non considerava conclusa la serata; in breve si liberò della vestaglia, apparve in tutta la sua bellezza con un completino nero di pizzo, e parlando sottovoce strascicando le parole, pretese quanto le era dovuto in materia di coccole.

Il nostro eroe indossò la sua maschera di faccia-di-tolla e con un sorriso poco convincente rispose alla moglie. :”Ma certo amore! Non aspettavo altro che questo momento” e tolse le coperte dal letto con fare invitante.

A questo punto il canale telematico che segue Danilo Bianchi registrò numerose domande di adesione. Pare che il trenta percento degli  spettatori  del pianeta fosse collegato.

Si spensero le luci della stanza, la sonda dedicata a Danilo passò alla visione notturna e potemmo, tutti noi del pianeta UNO, sapere che alcuni terrestri hanno potenzialità sessuali decisamente avanzate, dato che Danilo Bianchi, esibendosi in un’altra sessione di ginnastica erotica, fu in grado di far credere alla moglie che quella serata era stato innocente.

A noi del pianeta UNO queste cose sono sconosciute, inibite, vengono considerate pericolose. Come poi spiegò il responsabile dell’emittente, invariabilmente queste scene finiscono male. Prima o poi il colpevole viene scoperto e si aprono tutti gli scenari più orribili: fallimento dell’unione, figli senza più i due genitori, ultimamente sulla Terra sono perfino in aumento i femminicidi. E poi noi del pianeta UNO non abbiamo neppure questi desideri, o almeno non dovremmo averli. Da 8.500 anni ci hanno tolto la passione, così come si toglie l’appendice, ed ormai genitori con sentimenti atrofizzati generano figli uguali a loro. Abbiamo l’obbligo di unione e di procreazione. Sfoghiamo i nostri istinti con il lavoro e con l’inventiva, ma mi sembra che non arriviamo mai agli apici di gioia che raggiungono i terrestri, e questo, appunto per non raggiungere gli abissi di dolore, terrore, paure di cui sono preda gli abitanti della Terra.

Su questo argomento le discussioni tra di noi sono infinite, anche nelle aule universitarie si dibatte il tema della passionalità dei terrestri, e dei suoi effetti positivi e negativi. Per ordine del governo, gli effetti negativi sono ingigantiti e quelli positivi minimizzati.

Ma a me però piace sognare. Vorrei essere inviato sulla Terra, rischiare di rimanere ucciso in Congo, o in una favela brasiliana, rimanere magari vittima di quelle incomprensibili guerre di religione. E se rimango vivo? Allora mi può capitare di essere vittima dei soprusi del mio capo o dei colleghi sul lavoro, del bullismo, posso cadere nelle innumerevoli truffe astute che ci sono sulla Terra. Ma forse no, potrei uscirne indenne, trovarmi una ragazza come la moglie di Danilo Bianchi, provare ad essere tutto per lei, e lei tutto per me, e la sera, quando rientro a casa, lei mi bacia, e se è solo un bacetto, io che sono a credito di baci da infinite  generazioni, la stringo a me, voglio sentire il suo corpo che aderisce al mio, provare ad approfondire il bacio. Chissà cosa si prova. Ma non solo quello; quando lei è in difficoltà, sollevarla, alleviare la sua pena, essere per lei la soluzione, per guadagnarsi quell’occhiata carica d’amore che sanno lanciarti solo le donne terrestri.


§§§ in esclusiva per “Voci di hangar” §§§

# proprietà letteraria riservata #


Vito Grisoni

 

Cronache interplanetarie

Nel dicembre 2017 tutti i mezzi d’informazione hanno concesso un notevole risalto alla notizia secondo cui la NASA, a mezzo del portentoso telescopio orbitale Kepler e di un mirabolante sistema di interpretazione dei dati rilevati, avrebbe avvistato un sistema solare del tutto simile al nostro, ossia dotato di un Sole e otto pianeti orbitanti attorno ad esso tra cui – almeno uno – forse capace di ospitare delle forme di vita così come la intendiamo noi.

Ecco come apparirebbe il nostro pianeta ad un potenziale osservatore esterno. Casualmente vedrebbe alla sua sinistra una magnifica terra emersa dalla singolare forma di stivale chiamata “Italia” mentre n basso non potrebbe fare a meno di notare uno strano agglomerato di scatole metalliche e pannelli riflettenti che prendono il nome di ISS – International Space Station o semplicemente Stazione Spaziale Internazionale

E in questo – penserete voi – nulla di sconvolgente, fatto salvo che il sedicente sistema planetario si troverebbe ad una distanza inimmaginabile secondo le unità di misura terrestri. Si parlava di alcune migliaia di anni-luce: praticamente irraggiungibile con gli attuali sistemi di propulsione aerospaziali.

Per quanto ci riguarda – intesi come Redazione di VOCI DI HANGAR – la questione ci è subito apparsa ancora meno sconvolgente in quanto, già a settembre dello stesso anno, un partecipante della V edizione del Premio fotografico/letterario “Racconti tra le nuvole” di cui – lo ricordiamo – il nostro sito è uno degli organizzatori, ci aveva già preannunciato l’esistenza del pianeta UNO nonché di una civiltà ivi residente addirittura più tecnologica della nostra. E questo alla faccia della NASA e a dispetto del costosissimo telescopio Kepler o dell’intelligenza artificiale ad esso associata.

Ecco come apparirebbe ad un eventuale osservatore interplanetario la semiala di un aeroplano in restauro da parte di un invasato soco dell’HAG. Roba dell’altro mondo!

Ed ecco come apparirebbe, spendendo centinaia di ore di lavoro, la fusoliera di un glorioso Stinson L5-Sentinel durante un restauro radicale. Viene davvero da pensare: sono proprio alieni questi piloti dell’HAG!

Noi, con pochissima o nulla spesa, grazie a quel mostro di veggenza visionaria di Vito Grisoni – così si chiama il nostro scrittore -, sapevamo già tutto. Anzi sapevamo molto di più perché il nostro Vito ha redatto nientemeno che delle “Cronache interplanetarie” in cui ci spiega come gli abitanti di UNO ci osservino già da tempo, di quanto siano curiosi di fronte al grande spettacolo costituito dall’umanità e dai suoi molteplici singolari comportamenti.

Insomma – la NASA non ce ne voglia – ma a noi, per giungere su Keplero 90 – così è stato battezzato il lontanissimo sistema planetario – è stato sufficiente leggere il racconto anziché viaggiare nello spazio per diversi miliardi di miliardi di chilometri!

A parte gli scherzi, contrariamente a quanto lascia presagire il titolo, queste “cronache interplanetarie” non hanno nulla a che vedere con quelle ben più blasonate di Asimoviana memoria (Cronache della galassia). Il nostro affezionato Vito ci ha infatti regalato un breve testo, leggero, piacevole, scritto in modo disinvolto e che vuol essere il pretesto per additare taluni vezzi ma anche talaltri malcostumi di cui il genere umano è depositario. Vezzi e malcostumi che saltano agli occhi specialmente ad un probabile osservatore esterno, magari proveniente appunto dal pianeta UNO.

In realtà, il tema aeronautico è presente in modo davvero marginale e – non a caso – la giuria ha pesantemente penalizzato questa composizione non ritenendola meritevole di accedere alla fase finale del Premio tuttavia, l’autore ha tentato di porre in risalto l’insano entusiasmo che anima certi sedicenti piloti – pochissimi in verità – nel restaurare e poi far volare antiche macchine volanti, cimeli di un’aviazione terrestre ormai datata. Praticamente il ritratto dei piloti dell’HAG! HAG che – lo ricordiamo – è l’associazione italiana composta proprio da piloti che riportano in condizioni di volo i velivoli storici più disparati e che – casualmente – assieme al nostro sito, è l’altro organizzatore del Premio letterario “Racconti tra le nuvole”. In altre parole: un racconto scritto su misura dell’HAG,

In verità le nostre “cronache” diventano addirittura goderecce quando mostrano anche qualche sfumatura di nero, di grigio, di rosso o di fucsia – se lo preferite – in quanto riportano, sempre secondo il racconto del famoso osservatore del pianeta UNO, le prestazioni coniugali nonché extra coniugali di un maschio terrestre preso a campione.

Per il resto, sebbene l’invenzione narrativa non sia proprio originale, consente all’autore di additare nefandezze molteplici e comportamenti miserabili di cui l’umanità non può certo esserne fiera. Inoltre – diciamolo chiaramente – appare come un’occasione mancata dal punto di vista squisitamente letterario. Forse per l’eccessiva brevità, forse per il tentativo – peraltro assai difficile – di dare un taglio aeronautico/aerospaziale che lo rendesse pertinente al tema stringente del Premio. E sì che il notevole numero di battute ammesse dal bando di concorso avrebbe consentito all’autore di dare corpo e spessore al racconto che – lo ripetiamo a scanso di fraintendimenti – risulta comunque godibile.

Lo Stinson è stato finalmente restaurato ed è in volo assieme al suo figliolo prediletto:  un Cessna L19 Bird Dog.

In definitiva un racconto da leggere anche per riflettere su ciò che siamo come genere umano, che strappa un accenno di sorriso in alcuni punti e produce una sensazione agrodolce in altri cui – ci auguriamo – Vito Grisoni vorrà dare un seguito … perché questo – in fin dei conti – potremmo considerarlo a tutti gli effetti un “pettegolezzo interplanetario” più che delle vere e proprie “cronache interplanetarie”. Con grande pace del il grande Isaac Asimov, buonanima. 


Narrativa / Medio – Breve Inedito;

Ha partecipato alla V edizione del Premio fotografico/letterario “Racconti tra le nuvole” – 2017;

In esclusiva per “Voci di hangar”