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Sullandai

titolo: Sullandai

autore: Glauco Nuzzi

editore: Pagine

anno di pubblicazione: 2004

ISBN: 88-7557-058-2




Il protagonista indiscusso e ineguagliabile della premiazione del nostro premio letterario RACCONTI TRA LE NUVOLE, VIII e IX edizione, è stato sicuramente il Com.te Glauco Nuzzi e il suo Sullandai.

Racconta Glauco Nuzzi nel suo libro a proposito del C-119: «Viaggiava ad una velocità di 150 kts e praticamente arrivava dappertutto.» e aggiunge: «Non aveva un radar meteo per cui se si incappava in qualche cumulo nembo affogato erano botte da orbi per il malcapitato equipaggio». (foto proveniente da www.flickr.com)

Nella fantasmagorica cornice dell’Auditorium del Palazzo dell’Aeronautica di Roma, domenica 17 ottobre 2021, egli ha raccontato con la vividezza della sua voce le sue esperienze di volo – e di vita – in Congo così come, in modo articolato e ben più esteso, aveva già confessato nel 2004 in forma scritta nel suo libro autobiografico Sullandai, appunto.

Appena ventenne, nei primissimi anni ’60, partecipò infatti alla missione di pace in quel martoriato paese africano sostenuta dall’Aeronautica Militare Italiana e sotto l’egida dell’ONU. Missione che comportò un massiccio impegno di uomini e velivoli della 46a Aerobrigata di Pisa e purtroppo tragicamente passata la storia per il terribile eccidio di Kindu in cui due equipaggi di C-119 italiani furono barbaramente trucidati dai tagliagole congolesi.

C119 motore
Una splendida immagine frontale della enorme elica con passo variabile e con antighiaccio di cui era dotato il velivolo. Il Com.te Nuzzi ricorda ancora oggi il rumore assordante – e sinistro – prodotto dall’elica quando i grossi frammenti di ghiaccio impattavano contro la fusoliera minacciando da un momento all’altro di frantumarla o comunque di aprirle un grosso buco. I motori di cui era dotato il C-119 erano quasi identici a quelli che avevano equipaggiato il bombardiere strategico B-29 Superfortress (quello che aveva sganciato la bomba su Hiroshima e Nagasaki , giusto per intenderci). Li distingueva solo l’assenza della sovralimentazione che non invalidò particolarmente le prestazioni del C-119, anzi ne elevò notevolmente  l’affidabilità … certo agli equipaggi che operarono sovraccarichi, a temperature infernali e su piste semi-preparate del Congo non sarebbero dispiaciuti. (foto proveniente da www.flickr.com)

Il drammatico episodio, in occasione del suo sessantesimo anniversario, è stato assunto quale personaggio storico del Premio letterario appunto, edizione 2021. O meglio, lo sono stati i due equipaggi rispettivamente del velivolo Lyra 5 e del Lupo 33 che sono dunque divenuti oggetto di numerosi racconti in qualità di protagonisti o elementi principali della trama. Un modo diverso per unire la conservazione della memoria con la divulgazione storica e al contempo per onorare i tredici aviatori caduti nello svolgimento del loro dovere; storia e narrativa unite in un connubio snello eppure evocativo.

Il velivolo protagonista del libro di Glauco Nuzzi è stato per anni il nerbo fondamentale della 46a Brigata Aerea di Pisa, poi sostituito dal Lockeed Hercules C-130 con tanto di scandalo all’italiana. Nel suo volume il Co.m.te Nuzzi ammette che il Fairchild C-119 Flying Boxcar (letteralmente “Vagone volante”) : “Aveva una buona autonomia e una discreta strumentazione elettronica il che ci obbligava moralmente a partire sempre e dovunque per andare dovunque e sempre.». Da qui l’affermazione che quelli della 46a – a differenza degli aviatori degli altri reparti dell’AMI – erano ognitempo, non si fermavano mai e arrivavano dappertutto. (foto proveniente da www.flickr.com)

Per gli organizzatori del Premio, una volta stabilito il personaggio storico della IX edizione, associarlo al nome dell’autore è stata una questione di pochi istanti. Per il Presidente dell’HAG, Stefano Gambaro, Glauco Nuzzi è stato infatti un istruttore di volo fondamentale – quanto indimenticabile – nel corso della sua carriera professionale di pilota commerciale; per il gestore di VOCI DI HANGAR nonché Segretario del Premio, Glauco Nuzzi era invece l’autore di un romanzo autobiografico recuperato in modo singolare e letteralmente divorato un paio di anni prima. Un autore da cui era stato molto favorevolmente impressionato per la semplicità narrativa ma anche per il realismo del racconto.

A testimoniare l’apprensione che nei piloti inevitabilmente innescava il minimo sussulto dei motori, il Com.te Nuzzi così ricorda i suoi lunghi voli sopra la jungla inatterrabile: «Guardavo sull’ala l’elica che girava tranquilla nel suo alone luminescente, l’ogiva rossa del II Gruppo, il grosso Wright Cyclone da 3500 HP …” e con il suo immancabile dialetto romanesco parlava direttamente con il motore: «Aoh! Nun fa lo scemo, cerca de regge che se ce ammolli …» In effetti, in caso di piantata motore, il velivolo non era in grado di volare con un solo motore, specie se carico. L’atterraggio di fortuna era pressoché inevitabile e quasi sempre con risultati rovinosi. Anche perché non esisteva la possibilità di soccorso e recupero aereo ma solo via terra. E possiamo immaginare quanto problematico potesse essere giungere sul punto dell’impatto attraversando centinaia di chilometri di foresta vergine.Oltre ai 13 aviatori di Kindu, l’AMI subi infatti altre perdite di vite e mezzi proprio a causa .di guasti tecnici e conseguente atterraggi nella jungla. Gli annali dell’AMI riportano che, durante tutta le operazioni in Congo il reparto subì la perdita complessiva di 21 aviatori, 6 feriti e 3 velivoli distrutti in incidenti di volo. (foto proveniente da www.flickr.com)

Da qui è nato il comune desiderio di coinvolgere in modo fattivo il Com.te Nuzzi in quelle che sarebbero state le dinamiche del Premio, ossia: preparare una speciale prefazione da inserire nell’antologia, svolgere lo spinoso incarico di giurato – nel suo caso, speciale – da aggiungere alla schiera dei giurati ”convenzionali” del Premio, godere della sua presenza in occasione della cerimonia di premiazione attribuendogli il ruolo dell’ospite d’onore.

In realtà, presi dall’onda dell’entusiasmo di poter attingere a una fonte autorevole quanto mirabile, gli organizzatori hanno avuto l’ardire di chiedere al loro beniamino anche la stesura di un eventuale racconto inedito che traesse spunto dalla sua pluriennale carriera di pilota cominciata proprio tra le fila della 46a Aerobrigata in Africa.

Un esemplare di C-119 che, generoso nelle dimensioni ancora oggi non passa inosservato, è conservato nel museo di Piana delle Orme a Latina. L’AMI ricevette un lotto iniziale di 40 velivoli ma, anche a seguito dell’intensa attività svolta in Congo a partire dal l’11 luglio 1960 al 19 giugno 1962 (ossia 22 mesi continuativi) la flotta risultò rapidamente usurata e costrinse la forza armata a rimpinguare le fila con con altri 25 esemplari della serie C-119J denominati in gergo “cacciavite”, per la particolare forma dei portelloni posteriori. Resteranno in servizio (sempre molto intenso) fino al 1973 quando verranno sostituiti dagli Hercules, affiancati poi – a partire dal 1978 – dai più piccoli Aeritalia G222. In giro per l’Italia, a mo’ di “gate guardian” esistono perciò diversi esemplare in buone-discrete-cattive condizioni. (foto proveniente da www.flickr.com)

La risposta dell’ormai ultraottantenne autore romano non si è fatta attendere né si è fatto pregare di fronte a tante richieste audaci – non c’è che dire – tanto che si è dichiarato subito disponibile su tutta la linea e anzi, tempo qualche giorno, ha fornito alla Segretaria del Premio ben due racconti inediti, uno dei quali costituisce virtualmente un gustoso antipasto di quello che è il suo romanzo Sullandai.

Il risguardo sinistro di “Sullandai” contenente le note biografiche dell’autore e una sinossi estremamente stringata

E’ dunque consapevoli del grande privilegio che ci ha concesso che pubblichiamo in questo speciale angolo del nostro hangar i racconti intitolati:

Il viaggio – L’inizio dell’avventura

e

Il pappagallo

oltre che la presente recensione del volume.

Il risguardo destro del volume del Com.te Glauco Nuzzi, classe 1938, romano.

A proposito della recensione, in verità, contavamo di pubblicarla diversi mesi orsono ma la scelta di non influenzare gli autori/autrici impegnati con il Premio in corso ci ha fatto desistere; ora che la classifica di RACCONTI TRA LE NUVOLE è stilata, divulgata e i premi sono stati consegnati, possiamo renderne partecipi i nostri visitatori. E senza indugio alcuno.

Ebbene … se la motivazione che si pone quale causa scatenante della stesura del libro è alquanto singolare, altrettanto fortuite sono state le combinazioni che hanno reso possibile per noi recuperare una copia del volume. Ma di questo ne verrete edotti in coda alla recensione …

Tra le pieghe delle vicissitudini narrate dall’autore in “Sullandai” è possibile imbattersi in questa confessione: “Deglutendo mi pareva che il rumore dei motori cambiasse: uno sguardo al torsiometro, CHT, pressione e temperatura olio dei motori.». E’ tangibile la tensione dell’autore che ammette: «Sapevo benissimo che bastava un semplice calo di potenza ad uno dei motori per fare una gran bella fiammata per terra.». La foto in bianco e nero ritrae invece un C-119J dell’AMI denominato confidenzialmente “cacciavite” per via della forma dei portelloni posteriori che non era più tondeggiante bensì a punta come un cacciavite, appunto. Siamo a Biggin Hill nel 1969 al Raf Open day. (foto proveniente da www.flickr.com)

Viceversa ci teniamo a precisare che Sullandai – e non ce ne voglia l’autore – non è un best sellers né mai lo diventerà nonostante la genuina pubblicità che gli organizzatori del Premio hanno svolto nel corso della premiazione. Anche perché, a oggi, non ci risulta che ne siano disponibili copie nella rete di vendita on line o che qualche editore sia disposto alla sua ristampa. Forse ne esiste qualche rara copia usata in circolazione. Nulla più. Peccato. E questo rende vieppiù pregiata la copia in nostro possesso o in possesso dei fortunati possessori.

Il Flying Boxcar venne utilizzato nel film del 2004 “Il volo della fenice” remake dell’omonimo film proiettato nei cinema nientemeno che nel 1965 (dove però si utilizza un C-82 Packet). Nella versione moderna del film, fatto salvo per la radiosa bellezza degli effetti speciali impensabili nella prima edizione, la sceneggiatura e i personaggi sono pressoché immutati: nel corso di un volo di trasferimento attraverso il deserto libico di un gruppo di tecnici addetti alla trivellazione petrolifera, il velivolo incappa in una terribile tempesta di sabbia e precipita, distruggendosi parzialmente. I superstiti, non senza difficoltà, riusciranno dopo varie peripezie a ricavarne un’improvvisata macchina volante  che consentirà loro, in modo a dir poco rocambolesco, a involarsi e a raggiungere la civiltà salvandosi da soli la pelle. E’ la trasposizione cinematografica moderna del mito della Fenice – araba – che, dopo la morte risorge dalle sue ceneri e spicca il volo. E’ il simbolo della capacità – propria del genere umano e di alcuni suoi esponenti in particolare – di far fronte in maniera positiva alle avversità facendo leva su risorse insospettate insite nell’uomo (e nella donna, s’intende). (foto proveniente da www.flickr.com)

Sullandai è’ invece un piacevolissimo diario che non ha le fattezze del diario – in termini di rigidità cronologica – bensì ha la fisionomia di un lungo racconto quasi confidenziale. Si snoda lungo un periodo di tempo incentrato agli inizi degli anni ’60 e in quei loghi distribuiti principalmente sul suolo/cielo del Congo e dintorni.

Protagonista – neanche a dirlo – è l’autore che narra gli eventi e gli innumerevoli episodi in prima persona senza però stancare il lettore o rallentare il suo resoconto.

C’è poi una cospicua messe di coprotagonisti tra cui spicca Giulio Garbati – soprannominato dall’autore  Garbulio – che il destino beffardo vorrà privarlo per sempre all’affetto dei suoi cari e consegnarlo alla storia come uno dei tredici martiri di Kindu.

L’autore – sempre il destino ha voluto – visse gli eventi congolesi prima e dopo l’eccidio di Kindu tuttavia, da commilitone ma soprattutto da vero amico del capitano Garbati, fu letteralmente travolto dalla drammatica vicenda di Kindu.

Il romanzo infatti si colloca in diverse situazioni, non necessariamente di servizio e di volo. Dunque, parafrasando il sottotitolo del volume, contiene storie varie degli aviatori italiani in terra d’Africa, specie in Congo, ma non solo.

Che l’autore fosse stato accidentalmente comandato volontario in Africa, ce lo confesserà subito; che prima ancora fosse stato destinato d’autorità ai “pesanti” (gli aerotrasporti) anziché ai caccia (come era nei suoi desideri) ce lo ricorderà più volte nel corso della sua narrazione. Anzi la svolta finale, peraltro del tutto imprevista – finalmente secondo il suo volere – lo coglierà ugualmente contrariato perché ormai si era affezionato al reparto e agli aeroplani che non si fermavano mai perché volavano ognitempo. Quelli della 46a

Il titolo del volume trae dunque origine da una delle tante situazioni rocambolesche vissute dall’autore. E’ una parola in lingua svedese ed è la parola magica che salverà l’equipaggio del C-119 impegnato in una missione impossibile – una delle tante – dalla concreta minaccia di abbattimento ad opera dell’unico “pseudo caccia” nemico (un Fougà Magister) che imperversa nei cieli congolesi.

Vi possiamo anticipare che – incredibile – l’espediente funzionerà e i nostri uomini la faranno franca ancora una volta grazie alla loro inventiva e alle loro indubbie capacità tecniche ma anche freddezza unita a una sottile vena di audacia. Al lettore, viceversa, rimarrà la tensione che trasuda dalle righe di questo episodio e vi assicuriamo gli rimarrà addosso per molte pagine ancora.

Un piccolo inciso: anche in questa missione il nostro beniamino parteciperà come volontario accidentalmente comandato.

In effetti l’autore ci spiega il senso figurato della parola – e ce lo ha ribadito nel corso della premiazione, immancabilmente interrogato sull’argomento – ma non ci spiega il significato espressamente letterale del termine “sullandai” né ci è stato fornito alcun conforto dal tanto osannato traduttore universale disponibile in rete. Purtroppo in Redazione non disponiamo nessuno/a di origine scandinava, come pure non abbiamo amici, conoscenti, lontanissimi parenti capaci di sciogliere questo enigma. Confidiamo però nei nostri visitatori/lettori. In verità auguriamo loro di intrattenersi con uomini/donne provenienti da quell’area geografica, magari nel corso di qualche vacanza balneare, affinché il contatto sia anche culturale. Oltre che di corpi e di anime, s’intende.  Sullandai, ricordatevi. E fateci sapere.

La prosa dell’autore è rapida, efficace, leggera in quanto inframezzata di brevi note esplicative a carattere tecnico ma anche di riflessioni intime come pure di battute fulminanti – spesso in dialetto romanesco – mentre non mancano le descrizioni delle bellezze naturali  o le situazioni grottesche sottolineate da quel disincanto o quel pragmatismo tipicamente romano di cui l’autore era già illustre esponente. Il tutto unito a una sottile sagacia congenita con l’autore.

La cabina di pilotaggio del C-119 era spaziosa e relativamente confortevole, almeno per l’epoca. Questo scatto riprende due piloti statunitensi intenti a svolgere i loro compiti. In realtà erano coaudiuvati dal motorista che rimaneva appollaiato tra di loro, nel bel mezzo tra i due sedili, impegnato a gestire i vari comandi dei due motori collocati nella consolle centrale tra i due sedili, appunto.(foto proveniente da www.flickr.com)

L’alchimia tra periodi in terza persona e quelli con discorso diretto è ottima e non ci si accorge di leggere un romanzo di memorie tanto che, senza le opportune premesse, si può scambiarlo tranquillamente per un buon romanzo di fantasia. Inoltre non mancano le irrinunciabili battute in dialetto, romanesco e pisano che rendono assai veraci i dialoghi e i personaggi evocati.

Il nostro Glauco dimostra perciò di  saper usare sapientemente l’ostica lingua italiana alla stregua dei comandi di volo del pesante “Vagone volante” e il lettore, capitolo dopo capitolo, quasi non si accorge di essere giunto al termine delle 188 pagine che compongono il volume. Perché vicende drammatiche e tragicomiche, avventurose, di terra e di cielo si alternano in un susseguirsi per nulla artificioso.  Il tutto è inoltre inframezzato da numerose foto in bianco e nero, generose nelle dimensioni e dotate di preziose didascalie.

Il formato del libro è ottimo, la carta di stampa impeccabile, la dimensione dei caratteri di stampa è standard, l’impaginazione professionale.

Avremmo qualche riserva sul contorno nero della copertina tuttavia – occorre ammetterlo – esalta la foto di copertina. Non è invece presente la IV di copertina.

Il C-119 in assoluto meglio conservato – ma non volante – nel nostro paese è quello collocato a mò di “gate guardian” di fronte al Sacrario delle vittime di Kindu, in prossimità dell’ingresso dell’aeroporto di Pisa San Giusto, sede della 46a Brigata Aerea che oggi come allora è operativa 365 giorni l’anno, 24 ore il giorno e impiega i suoi uomini e i suoi velivoli in ogni parte del mondo in molteplici attività non necessariamente a carattere militare bensì per lo più per scopi umanitari e di soccorso. (foto proveniente da www.flickr.com)

Valida la biografia presente nei risguardi interni e, sebbene la sinossi sia pressoché inutile, è davvero striminzita.

Onesto il prezzo di vendita (di allora) a testimonianza che sia l’autore che l’editore non intendevano fare business con un libro che aveva tutt’altri scopi.

Insomma un volume che consigliamo agli appassionati di volo ma anche di viaggi, non solo alla ricerca di informazioni circa l’eccidio di Kindu.

Di certo questo volume ha appassionato l’autore nello scriverlo giacché, giusto qualche anno dopo, ha  pubblicato altri volumi (di cui vi daremo conto in altre recensioni), ugualmente piacevoli e meritevoli di attenzioni.

Se non fosse per la venerabile età di Glauco – lungi da noi volersi prendere gioco di lui – vorremmo scrivere che, come autore, è certamente destinato a crescere e a migliorarsi in futuro … tuttavia sappiamo che il Com.te Nuzzi, con i suoi libri, ci ha regalato le sue preziose esperienze come pilota a tutto tondo (militare, commerciale, sportivo, amatoriale) con lo stesso spirito con cui un qualsiasi nonno trasmetterebbe le sue esperienze di vita al suo amato nipotino, convinto che l’inesorabilità del tempo li allontanerà per sempre. Prima o poi.

La schiettezza dell’autore è davvero disarmante ma rende l’idea di quale spirito di gruppo creò l missione in Congo. Alla fine del volume così si confida: «Alla 46° Aerobrigata non ci ero andato volentieri, anzi decisamente inviperito, ma cominciavo ad essere orgoglioso di questo Reparto». (foto proveniente da www.flickr.com)

Ebbene, per quanto ci riguarda, possiamo dire di aver avuto il privilegio di conoscere fisicamente il Com.te Glauco Nuzzi, di aver goduto della sua squisita compagnia, di essere stati partecipi delle sue vicissitudini aeronautiche. Grazie Glauco. Ciò nonostante il viso radioso degli occhi guizzanti di questo nostro grande nonno lo serberemo in un angolo speciale del nostro cuore mentre alle sue testimonianze scritte concederemo volentieri l’angolo migliore della nostra memoria. Perché tanto ci ha reso senza nulla pretendere.

Lunga vita a Glauco!!!





Prologo di “Sullandai”



“Aeroporto di Milano Linate. In attesa dell’imbarco passeggeri […]

Rassegnato a un potenziale ritardo mi accomodo su una delle poltrone anteriori del MD-80 […] sfoglio distrattamente un quotidiano.

Vedo con la coda dell’occhio salire a bordo l’atteso personaggio che si mette a discutere con l’Assistente di Volo 

– Va bene, fra due minuti vi arriva tutto quello che manca, scusate il disservizio […] Arrivederci, otikala malamu!

– Kenda malamu – rispondo istintivamente mentre l’uomo si avvia alla scaletta per scendere. […]

– Io ho salutato per scherzo in dialetto lingala …

– E io ho risposto sul serio in lingala, ma lei come fa a sapere il dialetto congolese?

– E lei?

– Sono stato in Congo […]





Recensione e didascalie a cura della Redazione di VOCI DI HANGAR