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Per puro caso

Contrariamente a quanto lascia ad intendere il titolo, questo racconto è tutto fuorchè nato “per caso”.

In effetti l’autrice, alla ricerca di materiale utile con cui partecipare alla III edizione del Premio fotografico/letterario “Racconti tra le nuvole”,  è stata come folgorata da un vago ricordo: il diario del nonno. Da qualche parte della sua sconfinata biblioteca casalinga doveva essere custodito il diario che il nonno aveva compilato scrupolosamente … in pratica fino all’ultimo dei suoi giorni.

Da questo cimelio è nato appunto il racconto che ci fornisce un ritratto vivido di Umberto Facoetti, ufficiale pilota della Regia Aeronautica Italiana, volontario nella campagna di Spagna e lì scomparso nel corso di una missione.

Uomo valoroso e al contempo generoso, affettuoso nonchè molto religioso. Insomma un italiano d’altri tempi (i ’30) in quanto animato profondamente da quei principi morali che oggi appaiono a dir poco sbiaditi.

Ovviamente si tratta di un pretesto, un caso appunto, ma utile per riallacciare quei legami che il tempo, inclemente come il trascorrere del tempo sa essere, aveva quasi cancellato.



Narrativa / Medio-lungo Inedito; ha partecipato alla III edizione del Premio fotografico/letterario “Racconti tra le nuvole” – 2015; in esclusiva per “Voci di hangar”

Per puro caso

Tutto ebbe inizio per puro caso, dovevo scrivere un racconto che trattasse del volo ed avendo io conoscenza pressoché nulla di aerei e quant’altro li coinvolgesse, me ne stavo parecchio pensierosa sul da farsi.

Ad un certo punto mi tornò in mente che, da qualche parte per casa, vi era ancora il libricino che trattava delle vicende di mio nonno pilota, che io non ho mai avuto la fortuna di conoscere, essendo morto anni prima che io nascessi.

C’è da dire che sono una persona disordinata, ma in questo caso sapevo che l’oggetto in questione era nella libreria, si trattava soltanto di capire dove precisamente: la osservavo e lì, in quel mare di libri vidi subito sbucare il libricino blu che cercavo; nell’aprirlo l’emozione mi colse e mi chiedevo se fosse una semplice coincidenza che esso sbucasse tra gli altri libri, o tutto rientrasse nel dictat di Padre Pio: “Nulla accade per caso”.

Io amo scrivere, e questa mia caratteristica mi accomuna al nonno: come me, egli teneva con rigore quasi militare il proprio diario, e questo mi ha permesso di conoscerlo almeno un poco.

Mio nonno era figlio unico di panettieri bergamaschi, così come anch’io non ho fratelli; classe 1911, fu un pilota italiano dalle indubbie qualità militari, unite ad un rigido e misurato senso del dovere.

Io sono l’orgogliosa nipote del tenente pilota Umberto Facoetti che esercitò l’alta funzione umana con la giusta armonia tra l’esplicazione dei propri doveri di soldato e la vita familiare: purtroppo, queste ultime gioie furono per lui piuttosto brevi, dato che il nonno restò sposato soltanto pochi mesi, cinque per l’esattezza.

Mio nonno viveva la sua professione come una missione delle più sublimi, diceva che volare gli consentiva di avvicinarsi a Dio; lassù in cielo, lui viveva come assorto in un sentimento che occupava tutto il suo spirito.

Il nonno era fortemente cristiano, con una fede immensa, la stessa grande religiosità che è dentro di me: Dio ci ha dato la vita ed un libero arbitrio che ci permette di scegliere ogni momento da che parte stare; io oggi sono fortemente credente ma non sempre lo sono stata come ora; nella vita a volte succedono cose che la scienza non è in grado di spiegare e allora ecco che ci si ritrova dentro una religiosità forte e intensa; io sono fortemente convinta che questo aspetto della mia vita sia eredità di mamma e anche del mio nonno, che rischiava la vita e ringraziava la Madonna per averlo conservato vivo.

Posso dire di conoscere mio nonno attraverso il diario che compilava, e mi piace immaginarmelo alla sera di fronte alla scrivania dopo una delle tante missioni di pace o di guerra in cui era impegnato nella giornata; sono certa che ha affrontato quella vita difficile con tutto l’impegno, consapevole di lavorare per la pace.

Mio nonno dopo alcuni anni di professione da pilota militare, si propose volontario in Spagna. Affrontò questa scelta con impegno costante, si prodigava in ogni circostanza con slancio ed esemplare entusiasmo; partecipò a numerose azioni sui fronti di Teruel e d’Aragona, in qualità di pilota e di capo-equipaggio di apparecchio da bombardamento, dimostrando ottime doti di valoroso soldato.

Se in una giornata di sole alziamo i nostri occhi al cielo, vediamo un azzurro intenso e limpido, talmente bello da darci sensazioni meravigliose, con nuvole dalle mille forme che rendono tutto davvero bellissimo, anche quando i temporali oscurano tutto; il cielo ci fa pensare agli Angeli, non è forse lì che abitano i nostri morti?

Alle volte qualcuno ha desiderato d’attraversare quel mare infinito che è sopra di noi, l’unico modo per farlo è volare: nei secoli più gente ha provato la strana sensazione di librarsi nel cielo infinito, già quando si sciolsero le ali di Icaro per aver egli preteso d’avvicinarsi troppo al sole; fu un volo fatale, guidato dallo stesso amore che i piloti provano per quello spazio infinito. Uno di questi fu mio nonno.

Mentre mi preparo ad uscire io penso a lui; accantono il libricino per andare a messa; dopo la funzione religiosa è prevista una festa, saluto la mia amica che mi presenta suo fratello: quasi sbianco nel guardare quel ragazzone alto con un bambino in braccio; mi ricorda nonno Umberto, ha un portamento elegante e militare, ben diverso da quello che dovrebbe avere un operaio.

Mi raccontano tutti che il nonno era un gran bell’uomo, alto e di bella presenza, aveva fascino da vendere; e ora mentre osservo quel giovane uomo stringere a sé il figlio mi pare, chissà perché, di vedere mio nonno felice con il proprio bimbo che non ha fatto in tempo a vedere.

Quell’immagine di dolcezza entra dentro di me e mi commuove, cerco di contenermi mentre tengo in mano il mio tramezzino e dico all’amica che devo proprio mostrarle la foto di mio nonno.

Rimango scombussolata e mi ripeto che non è accaduto nulla, in fondo quello è un ragazzo come tanti, ma l’affetto che ho dentro mi invade mentre non posso fare a meno di pensare: “Mio nonno era proprio così, sono certa che con suo figlio sarebbe stato così.”

Il nonno era sposato da poco ed attendeva la nascita di mio padre. Non deve essere stato facile per lui restare sul campo di battaglia per compiere il proprio dovere; amava la nonna ma era innanzitutto un soldato e non poteva lasciare il tutto perché questo avrebbe significato morire dentro; se avesse rinunciato alla propria essenza di pilota, mio nonno sarebbe ancora vivo, ma non sarebbe stato felice; non si sarebbe sentito degno di stare accanto a una donna, e chiederle amore e conforto.

Il nonno non pensava alla ricchezza, sentiva dentro il grande dovere di essere un aviatore; non gli interessava una vita tranquilla né invecchiare, egli voleva fare ciò che più amava: e questo era soltanto volare; il tenente pilota Umberto Facoetti era contento di essere al posto suo di rischio, di ardimento, di sacrificio, e non desiderava altro, perché amava la sua patria. E il Re.

Mentre scrivo questo racconto, è forte la tentazione di riportare le parole scritte direttamente da lui, non vorrei esimermi dal dare voce a una persona che adoro ogni momento di più: è come se scrivere di mio nonno mi portasse su strade non ancora percorse eppur strane, che mi indicano la strada da percorrere; e allora mi confronto con alcuni amici e ne traspaiono consigli di scrittura, che è come se intanto al mio fianco ci fosse proprio mio nonno, e ora che parlo di lui egli mi guida e mi dà segni della sua presenza al mio fianco.

Inserisco il suo nome su Google, così per curiosità, mi si apre una schermata con la pagina dei caduti della città di Bergamo, quartiere di Borgo Santa Caterina, è proprio dove viveva il nonno!

C’è la foto della targa con sopra i nomi dei caduti in guerra. Quando la apro faccio una scoperta shoccante: lì in bella mostra c’è il suo nome accanto alle parole “Capitano Pilota”. Buffo: in quel suo diario lui scriveva che lo volevano promuovere di grado, e poi lo scritto si interrompe … comprendo che mio nonno è diventato capitano per aver dato la sua vita per servire la patria.

Sono orgogliosa di lui e dei suoi gradi, ma per avere il suo nome su quella pietra che io vedo dal computer di casa, mio nonno e gli altri con lui hanno scambiato la loro vita per la libertà mia e di quelli come me.

E mentre mi sale dentro il disprezzo per ogni atto di guerra, mi cresce forte l’amore per mio nonno: è diventato capitano per meriti di guerra, poiché sulla sua tomba nel cimitero di Bergamo, lui è ancora il Tenente Pilota Facoetti

L’attività gli valse più volte decori al valore militare, e quel “capitano” accanto al suo nome tra un elenco di caduti, l’ha pagato col sangue.

Mi raccontava mia nonna che il marito superò mille peripezie, come quella volta in cui, solo al comando, il giorno dopo Natale del 1937, nel cielo di Teruel fu colpito da una granata e continuava con mirabile calma nella regolare condotta del velivolo, permettendo in tal modo il completo svolgimento dell’azione; ciò gli portò la medaglia d’argento.

Egli fu un tenente pilota modesto perché, avendo volato a sufficienza in una zona di volo, decise di cambiarla per lasciare il posto ad altri che ne avevano più bisogno: aveva un grande cuore.

Capo equipaggio audace ed instancabile, esempio di spiccate virtù militari, egli compì numerosi voli di guerra (in numero nettamente superiore a quelli di pace), portando a compimento svariate missioni e sempre distinguendosi per ardimento, slancio e dedizione al dovere.

Fu un ufficiale pilota abile, sempre pronto ad offrirsi volontario nelle missioni: la nonna mi raccontava che in una spedizione organizzata per il recupero di importanti documenti del Comando Aeronautica, egli si trovava a bordo di un apparecchio incidentatosi in regione impervia: effettuò una marcia faticosa e difficile, contribuendo efficacemente a sventare l’agguato di indigeni armati e raggiungendo la meta col faticoso trasporto del materiale felicemente recuperato.

Nelle azioni di bombardamento e di mitragliamento, egli affrontava sempre serenamente e a bassa quota la reazione avversaria, confermando il suo valore e contribuendo efficacemente al successo: fu sempre un valoroso combattente che si meritò due ricompense al valor Militare.

Mio nonno aveva una forte tempra fisica, resistente alle fatiche ed ai disagi; i superiori descrivevano l’ottima educazione civile e militare e come in ogni suo atto egli dimostrasse un comportamento signorile: pare che anche una volta rimpatriato chiedesse insistentemente di essere inviato in missione speciale all’estero comportante alti ideali patriottici; conosceva bene i regolamenti che applicava con sano discernimento.

La grande fede era in mio nonno accompagnata ad un carattere franco, leale e sincero; aveva un contegno rispettoso ed educato.

Mi sembra di percepirne la presenza al mio fianco mentre scrivo.

La scrittura, nostra comune passione, è la via che lo conduce a me, come se sentissi una carezza sulla mia testa: mi pare di averlo qui con me, a osservare le parole scritte sul mio computer e guardarmi teneramente, con una tenerezza di nonno che non ho mai conosciuto.

Il giovane pilota era animato da altissimo spirito combattivo (lo stesso carattere forte che è in me); egli era audace ed insieme ponderato (caratteristica che a me purtroppo manca); in sé stesso conservava l’ottima preparazione morale che tanto ci accomuna; egli dava sempre il massimo rendimento, così come mia mamma mi ha insegnato a chinare la testa in attesa di un obiettivo, impegnandomi a fondo per raccogliere un giorno i frutti di tale fatica.

Egli era una persona decisa e riflessiva, così come anch’io sono, rifletto sempre molto sulle decisioni che coinvolgono la mia vita, pondero anche gli amici al mio fianco, evitando coloro i quali non tengono in giusta considerazione la religiosità dell’uomo, od anzi chi predilige scelte di ricchezza raggiunta ad ogni mezzo, o chi invece vive la propria vita seguendo l’indole del più forte.

La calma insita nel nonno, è forse la dote che a me più manca; il suo pieno attaccamento all’arma cui apparteneva non è certo il mio.

Non posso fare a meno di pensare a quella professione difficile che me l’ha portato via: sono sicurissima che egli amasse più di ogni cosa al mondo fare il pilota, e il sapere che è morto facendo ciò che più amava, è per me una consolazione.

Sono certa dell’alto grado di addestramento che gli ha permesso di dare sempre il massimo rendimento: le sue ottime qualità tecnico-professionali di ufficiale combattente gli hanno permesso di raggiungere con onestà livelli elevati dell’Arma Aeronautica.

La vita del soldato tenente pilota Umberto Facoetti fu davvero densa di avvenimenti, a cominciare dal periodo di prima nomina e richiamo in Eritrea, al passaggio all’arma aerea, l’assegnazione alla Scuola di bombardamento in Napoli, al ritorno in A.O. per le operazioni di guerra, poi il ritorno in patria e successiva assegnazione alla missione in Spagna.

Egli era molto devoto a colei che chiamava la “Madonnina” di Pompei, e mi ritrovo a sorridere mentre io stessa chiamo con identico affettuoso termine la Madonna, per un sentimento che mi nasce dal cuore; il nonno riteneva di essere stato molto a lungo protetto da lei nelle tante avversità che la sua vita comportava, così come anch’io ho superato qualche avversità grazie al supporto della fede.

Mancando mio nonno, la sua religiosità forte non venne mai recepita appieno dal figlio che crebbe con una madre e vedova sofferente di un pilota. Mio padre racconta che a mia nonna, a diciannove anni, vennero in un istante tutti i capelli bianchi quando seppe della morte del suo amato consorte.

Il nonno era solito specificare che egli era un credente convinto e non certo un bigotto, così come io mi rendo conto che nelle avversità “qualcuno” ci è sempre a fianco, e forse anche quel nonno che mi sembra di conoscere ogni istante di più.

Questa religiosità che mi accomuna a lui, non è insita in mio padre Umberto che, cresciuto più coi nonni che con la madre, non visse mai quel senso di stabilità che solo i genitori possono dare.

Mio nonno aveva parole affettuose di figlio nei confronti dei propri genitori, così come il mio affetto per mia madre (scomparsa prematuramente) è la cosa più importante della mia vita: vivere per lei e secondo i valori che lei mi ha ben trasmesso, è il mio compito.

Non è stato facile vivere a fianco di un padre orfano di guerra, che ha vissuto la vita con questa sofferenza nel cuore come un fallimento: rigido nell’educazione e praticamente anaffettivo, con una religiosità tutta sua che interpreta a piacimento. Mio padre è sempre stato agli antipodi di me, mentre mamma era il mio rifugio nelle difficoltà.

Ho ancora dentro i dettami dell’educazione militare che mi fu inculcata, a cominciare da quell’ossessivo: “Stai dritta”, “A tavola parlano i grandi”, e le sculacciate prese se mi cadeva una forchetta, e a letto senza cena.

Sono cresciuta con il timore di mio padre, che soltanto la presenza di mia mamma è riuscita a mitigare nei nostri due caratteri praticamente opposti: morta lei, abbiamo preso due strade diverse, io restando nella Bergamo dove il nonno ha vissuto ed è sepolto, lui da anni vive ormai in Sardegna.

Sono diventata adulta senza mai provare l’amore per il volo, che fu la causa della morte del nonno e la più grande disgrazia della mia famiglia; e chissà se in questo ha la sua parte il fatto che per il mio secondo compleanno ricevetti in regalo un volo su un aereo: non ricordo le emozioni del giorno, ma negli anni mi venne riproposto quel primo volo come un avvenimento.

Ricordo invece benissimo il volo che feci a vent’anni su un quattro posti pilotato da un amico di papà, che lui mi aveva regalato; e non posso scordare la turbolenza e le manovre acrobatiche che compiva colui che mio padre, intanto, definiva un pazzo; scesi dall’aereo con le gambe tremolanti e la testa che girava, ma quel giorno conobbi il mio ex fidanzato, pilota per hobby: stare con lui fu la più bella esperienza di quel volo.

Mio padre non riuscirà a diventare pilota: pare che all’epoca la professione fosse preclusa a chi aveva una grossa miopia; in alternativa egli svilupperà l’hobby del paracadutismo, trascorrendo ogni momento libero ai raduni sparsi per l’Italia, talvolta portandosi dietro la figlia; la sua passione continuerà anche dopo essersi fratturato la gamba per un lancio, limitandosi però ad osservare gli altri.

Passerò la vita a sentirlo sognare di spendere tutti i suoi risparmi nell’acquisto di quel biplano che poi fortunatamente non comprerà mai; vivrò le sue indimenticabili sorprese, come quel giorno di Pasqua in cui saltammo la messa per andare a Cremona a pranzare in un ristorantino ordinario ma che di fronte aveva l’enorme pista di atterraggio, l’unica cosa che io vidi di tutta la città.

Anche quando andai a trovarlo in Sardegna, l’unica cosa che mi mostrò furono le piste di atterraggio di piccoli aerei; ricordo solo quella di Alghero con un ristorante davvero eccezionale.

Non sono mai totalmente tranquilla quando sono su un aereo, anche quando è un volo di linea che mi sta portando in vacanza in Inghilterra: mentre volo prego tanto e sono contenta che anche mio nonno mentre volava lassù nel cielo pensasse a Dio; io mi rilasso un poco soltanto quando sono ad alta quota e l’aereo non fa più balzi; da lassù penso fortemente a mio nonno che è morto proprio in quel cielo infinito, e credo che lui non permetterà che possa accadermi qualcosa.

Sono contenta che scrivere tutto questo mi abbia consentito di conoscere di più mio nonno, vedere i punti affini con lui, praticamente tutti tranne quello per lui più importante; scrivere di lui me lo fa sentire vivo come mai è accaduto prima, una sorta di presenza paterna … e mi viene da dire a mio nonno che se lui non ha potuto provare la gioia di crescere suo figlio, io sono ben felice di sentire quella carezza sulla testa, e avere lui pilota che mi protegge dal cielo.

Non posso non pensare che mentre trascorrevo anni a non capire mio padre ed i suoi atteggiamenti burberi, forse la risposta era tutta qui, in quel nonno con tutti gli aspetti che mi accomunano a lui: e mi sembra di conoscere lui più ancora di quanto io abbia mai potuto comprendere mio padre.

Mi ritrovo nella fede del nonno e di mia mamma: ritrovo un nonno affettuoso come non è stato il mio genitore che forse ha cercato di comunicare con me soltanto attraverso aerei e paracadutismo praticamente in ogni salsa, a cominciare dalle grandi ali che si è tatuato sul braccio in gioventù: non ho ricordi di lui se non associati a queste ali, anche con le volte che, sprezzante del freddo, indossava camicie corte per mostrarle orgoglioso.

Oggi mi sento nipote orgogliosa di quel nonno che combatteva animosamente nei cieli di Spagna sentendo odor di vittoria; sono la nipote di un uomo speciale che era anche pilota, era mio nonno che non ho mai conosciuto ma oggi sento vicino a me, in queste cose strane ed impossibili, senza spiegazioni: un uomo che è morto settantasei anni fa ed io lo sento presente nel mio cuore, con quelle caratteristiche che sono le stesse mie nonostante i tanti anni che ci separano.

Ed era lì la mia religiosità, i miei valori e la forte moralità che mi impedisce di fare scelte sbagliate e mi indica la strada anche quando non vorrei: la mia indole interviene a decidere al mio posto.

E questo mio carattere a volte strano, che non comprendo appieno quando guardo chi vive più tranquillamente la propria vita, mi pare di comprenderlo soltanto ora che penso a mio nonno e leggo di lui.

Ho davanti a me la sua foto di giovane tenente pilota, con i gradi che brillano orgogliosi sul suo petto, lì dove vi è anche il suo cuore.

E succede l’ultima cosa strana di questa vicenda: vado a vedere il marmo posto fuori dalla chiesa parrocchiale di Borgo Santa Caterina in Bergamo, il quartiere in cui mio nonno viveva, dove è nato e cresciuto con i suoi amati genitori; sono titubante all’idea di trovare il suo nome scolpito, e la prima cosa che vedo è un enorme cuore rosso che qualcuno ha dipinto su un muro: il cuore mi accoglie, mi invade d’amore e gioia tutta l’anima.

Lì, proprio di fronte vi è il nome “Capitano Pilota Facoetti Umberto”, appena sopra ad un grosso fiore di colore rosso; scendono lacrime sul mio volto, tristezza per la guerra ingiusta e tutte le gioventù rubate alla vita; piango appena in silenzio mentre guardo quel nome piena di dolore e di affetto, lì di fronte a me vi è quel cuore che mi ha accolto e mi invade l’anima di pace: mi pare un regalo del nonno che ha voluto rendermi leggero quel momento.

E ora sono sicura: il nonno sta cercando di comunicare con me e mandarmi quell’amore che ho sempre ignorato, ma era al mio fianco.

E mentre cammino verso casa, vedo una culla di bimbo di un inconfondibile colore verde militare, e mi pare di risentire quella carezza sulla testa: la dolcezza di un pilota che era mio nonno.



§§§ in esclusiva per “Voci di hangar” §§§

# proprietà letteraria riservata #


Francesca Facoetti

Sulle ali dell’entusiasmo

Spiccai il volo alle 08:37 del mattino.

Partii dal campanile della chiesa sul colle di San Tommaso, la vetta più alta della prima periferia. Da lassù vedevo tutta la città, dai cortili del duca fino alla piccola capanna dello zio Samuele, dalla caserma dei pompieri fino all’orticello dell’Antonella. I palazzi brillavano sotto la luce del primo sole del giorno; e con calma facevano capolino i primi fiori, invitati da un caldo piuttosto insolito per il mese corrente dell’anno.

Ero estasiato, ubriacato dalla bellezza dei tetti rossastri che si alternavano alle chiome verdi delle querce, sparse qua e là a ombreggiare i passanti; e il mio sguardo sornione venne ridestato soltanto dal frastuono di un grande aereo, che volava in cielo con me solcando le nuvole bianche.

La città viveva due risvegli, nei giorni feriali: il primo, il mattino presto, dovuto a fabbriche e scuole, che muovevano una buona fetta di paesani entro le otto; il secondo, invece, iniziava una mezz’ora dopo, con molta più calma e dispersività; e vedeva protagonisti tutti coloro che, per un motivo o per l’altro, non avevano, in precedenza, nulla da fare.

Era il caso dell’ormai non più piccolo Filippo, che marinava per l’ennesima volta la scuola per vedersi con la bella Teresa, che in compenso poteva svegliarsi tardi essendo di professione mantenuta, vivendo alle spalle del povero Michele, che era invece in piedi da ore, per portare a casa qualche tozzo di pane.

Oppure era il caso di Luciano che, dopo l’ennesimo comportamento irriverente al lavoro, si era ritrovato disoccupato e viveva di piccoli furti; oppure di Maria che avrebbe, dopo una vita di sacrifici, meritato un po’ di riposo e che invece doveva svegliarsi per cucinare per tutti i suoi nipotini, rimasti orfani dopo l’incidente di maggio scorso; ma anche del duca che, vivendo di rendita e prepotenze, metteva con pigrizia gli stivaletti per andare a caccia in una delle sue varie tenute di campagna.

Ecco, in questo preciso momento della giornata scelsi di librarmi in aria.

Poi accadde una cosa che non mi sarei mai aspettato.

Come avviene nei musei e nelle gallerie d’arte, dove, in contemplazione di un quadro, inizialmente si ha una visione d’insieme e poi l’occhio cade sui vari particolari, allo stesso modo mi trovai, dopo un primo istante di meraviglia visiva in cui potei ammirare tutta la città, a mettere a fuoco alcuni piccoli, ma significanti, dettagli.

Solo certe cose attirarono, involontariamente, le attenzioni delle mie pupille. E non furono le ormai ultime foglie gialle e rosse in terra che venivano raccolte dal vento, non furono le grazie della signorina Rosaria che usciva a stendere la biancheria in terrazza, non furono nemmeno le code di biciclette che si stavano creando attorno a Porta Garibaldi in vista della corsa cittadina del pomeriggio. Furono altri i dettagli, quelli che non avresti creduto di vedere, ma che invece non puoi più fare a meno di osservare.

Subito, l’occhio mi cadde su casa mia, su quel tetto un po’ rovinato ricoperto da frisbee e palloni che mio figlio Filippo non andava mai a recuperare. Ma più che sul tetto, notai la finestra di camera sua, quella al pian terreno, ancora aperta, lasciata spalancata dopo la sua fuga per incontrare la sua focosa amante. Dall’alto dove mi trovavo io – ma anche dalla strada – si intravedevano tutti i suoi aggeggini tecnologici, dal tablet al laptop fino all’impianto stereo e alla Reflex; doveva averli visti anche Luciano che, passando di lì, stava, senza difficoltà alcuna, entrando nel vuoto edificio sapendo di poterci trovare un così ricco bottino, non solo fra le cose di mio figlio, ma anche fra le mie.

Volli distogliere lo sguardo e non pensare a quello che avevo appena visto, non potendo del resto fare nulla per evitarlo. E come si cambia punto del quadro quando di questo ormai si conosce tutto, cambiai anch’io, senza pensarci, spostando rapidamente gli occhi da destra a sinistra.

E un’altra finestra attirò subito la mia attenzione.

Era un edificio bianco, il piano era il quarto, e la struttura occupava un intero isolato; attaccata sopra al tetto, dove qualche camice bianco era andato a fumare, una grande croce rossa.

Attraverso il vetro pulito svogliatamente il giorno prima, intravedevo due occhi di donna, stanchi, pesanti. Vedevo un sorriso spento e una lacrima che solcava una guancia ormai rugosa, con le ancora delicate mani che scostavano i capelli bianchi che le cadevano sulla fronte.

Era il viso di mia madre, ormai giunta al capolinea di una lunga ma straziante malattia; guardava fuori, sulla strada dove era cresciuta, per dire addio un’ultima volta al mondo.

Feci anch’io come lei, e osservai meglio la via dietro l’ospedale, quella strada a senso unico. Poco più avanti, sempre su quella strada, due persone si abbracciavano qualche metro fuori l’uscio di casa; lui, vestito in camicia, evidentemente pronto ad andare a lavorare poco più tardi; e lei, che gli accarezzava i capelli brizzolati, in un comodo paio di jeans completati da una felpa di tuta. La donna dai capelli biondi legati sopra la testa era mia moglie, e la valigia appoggiata di fianco all’ingresso gliel’avevo regalata io, per il nostro viaggio di nozze. Evidentemente, per lei, più che a senso unico, quella strada era senza ritorno.

A volte capita che uno spettatore, davanti a un bel quadro, trovi un particolare e inorridisca; allo stesso modo feci io, di fronte a quella scena. Così cercai di cambiare completamente panorama, spostando il mio sguardo dall’altra parte della città.

Notai un’automobile che usciva da un garage condominiale; era un’auto elegante, una BMW nera, di quelle che solo a vederne il prezzo ti viene un attacco di cuore. Seguii per un po’ il percorso di quella macchina, finché non capii di chi era, e dov’era diretta: era dell’avvocato Bianchini, e veniva verso casa mia. Passava a prendermi per andare in tribunale; quel giorno era il giorno della sentenza. Sapevo già come sarebbe andata: colpevole. Quando investi i genitori di ben cinque bambini mentre attraversano la strada sulle strisce, sai già come va a finire.

Pensando a questo, mi resi conto che il mio brevissimo tempo in volo era ormai scaduto; e il mio corpo, dopo essersi lanciato dal campanile, stava per toccare, per un’ultima volta, la terra della mia città.

Sulle ali dell’entusiasmo di dire addio a quella vita.



§§§ in esclusiva per “Voci di hangar” §§§

# proprietà letteraria riservata #

Sulle ali dell’entusiasmo

angioletto senza fogliaIl racconto Sulle ali dell’entusiasmo vede il narratore raccontare, mentre si trova in volo, come se si trovasse davanti a un’opera artistica, la sua città, da una visione di insieme fino a scendere nei dettagli che lo riguardano più da vicino.



Narrativa / Breve Inedito; ha partecipato alla III edizione del Premio fotografico/letterario “Racconti tra le nuvole” – 2015; in esclusiva per “Voci di hangar”

Una notte da dimenticare

Settembre è un mese gradevole sotto vari punti di vista. Non è caldo come in luglio e agosto, le giornate sono ancora lunghe e si possono fare ancora delle belle passeggiate per godere il tiepido vento di scirocco, che spira quasi costantemente nella Sicilia occidentale. Quando si è giovani, poi, tutto è bello e anche gli episodi negativi, che entrano nella memoria con violenza e cinica realtà, pur lasciando un solco profondo nella vita di chi li subisce, col passare degli anni leniscono la loro crudezza e lasciano solo un forte dolore nello spirito di un giovane.

Un mio amico qualche tempo fa mi ha parlato di una sua terribile avventura di quando era giovane ufficiale con l’incarico di Controllore d’intercettazione in un Centro Radar. Il suo lavoro gli piaceva molto e vi si dedicava con zelo e professionalità.

A volte, però, queste caratteristiche non sono sufficienti per evitare situazioni di pericolo, specialmente quando c’è un concorso di cause nell’evento.

Dicevo settembre perché il racconto inizia proprio in quel mese in una bella città della Sicilia occidentale.

Raf, così lo chiamavano e lo chiamano gli amici, era tutto eccitato perché in quei giorni si stava preparando per una importante esercitazione/valutazione che era un punto d’arrivo nel suo lavoro e, contemporaneamente, una nuova partenza verso altri ambiti traguardi.

Nei giorni che precedettero l’evento da dimenticare, a volte, guardava verso ovest il sole tramontare e, con una certa tristezza premonitrice, sentiva una stretta al cuore. Pensava dentro di sé che tale stato di tensione era forse dovuto all’impegno che stava per affrontare per la prima volta e così, cercando di farsene una ragione, continuava nel suo addestramento con maggior impegno e continuità.

Spesso cercava di distrarsi con gli amici, trascorrendo delle serate in attività di diporto nella ridente città. Anche la sua ragazza, una splendida bionda con occhi azzurri e un fisico mozzafiato, si accorse di questa sua particolare tensione e cercò di distrarre la sua attenzione dal prossimo evento, almeno, quando era fuori servizio. Raf era molto innamorato e accondiscendeva sempre a tutte le sue richieste.

In fin dei conti, per lui era un toccasana liberare un po’ la mente e Sara, anche lei molto innamorata, per distrarlo un giorno gli diceva: “Raf mi accompagni all’atelier di Trapani, devo comperare un nuovo vestito per il matrimonio della mia cara amica Rosalba”. Un altro giorno gli chiedeva di accompagnarla dal meccanico perché la sua auto aveva bisogno di urgente manutenzione e poi dall’orefice per comperare una nuova parure da abbinare al vestito e così via giorno dopo giorno. Raf la guardava, sorrideva e le diceva: “Va bene Sara”. Erano gli unici momenti in cui il suo pensiero smetteva di pensare al lavoro.

Intanto, erano arrivate le disposizioni per l’attività da svolgere e Raf le studiò con attenzione cercando di memorizzare anche le eventuali azioni alternate da porre in essere. Si sentiva sereno ed eccitato nello stesso tempo.

L’attività di volo si doveva svolgere durante un solo giorno in tutta Italia e, perciò, era necessario uno stretto coordinamento anche con gli altri Centri Radar limitrofi e con le basi aeree a loro collegate: era la simulazione di attacchi da varie posizioni verso il territorio nazionale.

Era una Valutazione Tattica Nato dei reparti della Difesa Aerea Nazionale.

E’ opportuno ricordare che a quei tempi i coordinamenti e le trasmissioni dati erano tutti via telefono/cuffia; non esisteva ancora la trasmissione automatica dati via computer.

Arrivò il grande giorno e tutto era pronto. La sala operativa era a pieno organico, compreso il Comandante, il Capo Ufficio operazioni e il Capo Servizio tecnico. Inoltre c’era il team di valutazione composta da personale Nato e personale nazionale per i necessari coordinamenti relativi all’esercitazione.

Il Capo Controllore della Sala Operativa coordinava l’attività di volo attraverso i suoi assistenti ed assegnava gli intercettori ai Controllori d’intercettazione che ricoprivano due postazioni. In una di queste postazioni sedeva Raf con il suo assistente che provvedeva a fornirgli i dati necessari per l’attività.

Il tutto cominciò intorno alle ore 19:00 quasi in contemporanea in tutta Italia. I Capi Controllori potevano impiegare dei velivoli intercettori (F104S) in volo (Combat Air Patrol – CAP, ndA) per avere un margine di vantaggio sui target che potevano giungere in qualsiasi momento, da ogni direzione e a qualsiasi quota.

La prima CAP toccò a Raf che la mantenne, come ordinatogli, 10 miglia nautiche (NM, nautical miles, ndA) a nord dell’aeroporto di Trapani Birgi, in attesa di un target da intercettare.

Non aspettò molto. Il Capo Controllore gli assegnò un bersaglio proveniente da est, a circa 80 NM. Immediatamente Raf ordinò agli intercettori sotto il suo controllo di dirigere nella direzione del target.

Mentre gli intercettori si stavano avvicinando (circa 40 NM), il Capo Controllore diede l’ordine di interrompere la missione in quanto il velivolo indicato era stato identificato come traffico aereo civile.

Raf ordinò l’interruzione dell’intercettazione e il ritorno nella posizione di CAP. Nel frattempo il numero due, poiché aveva perso il contatto con il leader, chiese a Raf delle indicazioni di azimuth e distanza per riportarsi sul suo numero uno. Il numero due si trovava dietro il leader a circa 15 NM.

Raf iniziò a fornire le necessarie informazioni fino a quando il gregario non informò il Controllore d’Intercettazione di avere il contatto radar sul numero uno. Proprio in tale momento il Capo Controllore ordinò a Raf di dirigere verso un nuovo target a circa 50 NM proveniente da Nord con direzione 180°.

Gli intercettori sotto il controllo di Raf si trovavano quasi su Palermo e subito eseguirono l’ordine.

Il momento era abbastanza concitato perché sarebbe stata la prima missione effettiva della valutazione.

I piloti eseguirono l’ordine e giunsero in breve tempo in posizione idonea per intercettare il target ed effettuare l’abbattimento simulato come da procedura.

Appena completata tale procedura, il leader della formazione chiese: “Potete darmi delle informazioni sul numero due in quanto non lo vedo?”.

Raf, che non aveva avuto altre richieste dal numero due per ricongiungersi con il leader, era convinto che i due fossero in formazione; di rimando chiese: “Perché non siete in formazione?” In quel preciso momento, Raf ebbe la sensazione che qualcosa di grave era successo.

Cominciò a chiamare il numero due sulla frequenza operativa per varie volte senza ricevere alcuna risposta. Intanto, con i suoi giovani occhi, cercava sullo schermo radar dell’UPA-35 possibili tracce da ricollegare al velivolo. Erano quasi le 22:00.

Cominciò a chiamarlo anche sulle frequenze di guardia e, anche, tramite il leader: nessuna risposta.

Raf non voleva credere a un possibile incidente e continuò a chiamare il velivolo in tutti i modi possibili. Venne definita l’area di perdita di contatto radio/radar e il leader, fino al raggiungimento del bingo fuel (esaurimento del carburante, ndA), continuò a scandagliare la stessa.

Purtroppo, l’esito fu negativo e il leader, suo malgrado, fu costretto a rientrare sull’aeroporto di Birgi.

Nel frattempo, serata nefasta, furono riportati altre due incidenti di volo: uno a Brindisi ed uno a Grazzanise.

Messi davanti a tale situazione, il Control Team della valutazione decise con effetto immediato di sospendere l’attività di volo.

Si rafforzava, laddove fosse stato necessario, in Raf la percezione che il velivolo sotto il suo controllo radio/radar era precipitato. Non ci poteva credere. Non era possibile che un tale evento fosse capitato proprio a lui.

Intanto, era stato allertato il Soccorso Aereo (SAR, ndA) che dopo circa un’ora raggiunse l’area per osservare a bassa quota eventuali rottami nell’area indicata.

Raf rimase in contatto con tale elicottero per fornire possibili indicazioni. Intanto il Capo Controllore e i suoi assistenti facevano delle ipotesi sulle aree da esplorare.

La mente di Raf era in tilt. Guardava il monitor ma i suoi pensieri andavano al pilota di cui ormai da più di tre ore non si sapeva più niente.

Contemporaneamente, come dei “flash”, il suo pensiero gli poneva davanti il volto di Sara, triste per l’accaduto, alla quale stava raccontando la triste storia. Si sentiva in colpa, pensava che forse avrebbe dovuto fare qualcosa di più e nel profondo dell’anima provava un senso di rimorso e piangeva, piangeva con singhiozzi sentendo tutto il peso dell’accaduto sulle sue spalle.

Rimase, in uno stato semi-confusionale, attaccato all’UPA 35 fino all’alba, sperando in un ritrovamento in vita del giovane pilota. Niente da fare. Non fu trovato neanche un minimo indizio in merito all’accaduto e alla possibile posizione del velivolo e del pilota. Tutti erano andati via e, ormai, la sala operativa era in normale assetto notturno.

Arrivò un altro collega a sostituirlo verso le sette del mattino. Raf non voleva andar via ma fu convinto che era meglio che andasse a riposare un po’.

Dopo circa due ore, senza dormire ma solo pensare e pensare, sentì il bisogno di incontrare Sara per avere un po’ di conforto e ritornare mentalmente alla realtà; Raf, infatti, si trovava con la sua testa ancora davanti al monitor.

Sara non sapeva cosa dire: era completamente a digiuno del lavoro svolto da Raf. Cercò di distrarlo in qualche modo e, quando sembrava di esserci riuscita, ecco arrivare la camionetta dei Carabinieri: “Signor tenente, deve venire con noi presso la base operativa per delle dichiarazioni in merito all’incidente”.

Raf senza parlare lasciò la mano di Sara guardandola con profonda tristezza come se fosse l’ultima volta. Si sentiva come un condannato a morte.

Era il tardo pomeriggio e, anche se il cielo era sgombro di nuvole, a lui sembrava di un grigio cupo come quando in sospensione nell’aria, portata dal vento di scirocco, c’è tanta sabbia mischiata alle goccioline di pioggia pronte a precipitare e sporcare tutto.

Ovviamente, era stata avviata un’inchiesta interna all’Aeronautica Militare tesa ad accertare l’accaduto. Insieme ad altri colleghi ascoltò e riportò per iscritto le registrazioni audio dalle quali emerse che Raf aveva svolto correttamente il suo lavoro e che la possibile causa dell’incidente era dovuta ad un guasto tecnico del velivolo.

I piloti degli altri due velivoli incidentati si salvarono. Del pilota controllato da Raf, purtroppo, non se ne seppe più niente.

Questo evento sconvolse profondamene Raf che per alcuni giorni provò un senso di paura inconscia nell’avvicinarsi al monitor di controllo. Aiutato psicologicamente dal suo Capo Ufficio Operazioni e dai colleghi, però, riuscì a vincere il timore che si portava dentro da quella sera e ricominciò a lavorare con maggior zelo e continuità. Non smise, però, mai più di pensare a quella notte e a quel ragazzo, che aveva la sua stessa età, di cui non seppe più niente.

Ancora oggi, dopo più di quarant’anni, mentre mi raccontava la storia, traspariva dalla sua voce, un po’ più roca, il suo forte coinvolgimento e il ricordo ancora vivo nella sua mente. Il sole era quasi all’imbrunire e lui d’istinto diresse lo sguardo in quella direzione come se aspettasse il rientro del pilota di quella sera e che qualcuno lo svegliasse da quel terribile sogno e gli dicesse: “Raf, svegliati … devi andare in sala operativa per l’esercitazione”.

Sara era diventata sua moglie e, durante il racconto, si sentì coinvolta emotivamente come quando l’evento era accaduto, manifestando una profonda commozione.

Subito dopo, in linea con il suo carattere gioviale e cordiale, cercò di riportarci fuori dal passato verso la realtà in una giornata calda di settembre con un gradevole vento di scirocco, offrendoci un bicchierino di Rosolio di sua zia.



§§§ in esclusiva per “Voci di hangar” §§§

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Dirigibile
Raffaele Carlino