Bleeding Sky

titolo: Bleeding Sky – The Story of Captain Fletcher E. Adams and the 357th Fighter Group.

autore: Joey Maddox

editore: Xlibris Corporation

anno di pubblicazione: ottobre 2009

ISBN libro: 978-1441555588

ISBN ebook: 978-1-4415-5 




Nella recensione di “The Great Rat Race For Europe“, di Joey Maddox, avevo accennato a uno dei piloti del 357° Gruppo Caccia statunitense, di stanza in Gran Bretagna nel corso della Seconda Guerra Mondiale. Il suo nome è Fletcher E. Adams.

Avevo solo accennato alla sua storia, dicendo che ne avremmo riparlato.

Ecco, ne riparliamo adesso. Questo libro è dedicato proprio di lui.

Yoey Maddox, l’autore, nel mettere insieme un gran numero di racconti, che tanti piloti avevano scritto e gli avevano inviato, affinché non si perdesse la memoria delle loro storie, si era trovato addirittura con troppo materiale da inserire in un solo libro. Perciò, ne aveva scritti due.

Una delle pochissime immagini che ritraggono Fletcher E. Adams e che, inevitabilmente, è stata scelta come copertina del volume di Joey Maddox.

Il primo è “The great rat race for Europe“, che si può tradurre come “I grandi combattimenti aerei per l’Europa“, oppure anche “Le grandi battaglie aeree per l’Europa” ma così, in italiano, non suona troppo bene. Anche se, all’epoca, il cosiddetto dog-figthing, cioè il combattimento tra aerei da caccia, a volte veniva chiamato anche “rat race”, come dire “corsa di topi”, o “caccia al topo”.

Le frasi idiomatiche sono difficili da tradurre, a volte.

Questo libro, invece, ha un titolo che non necessita di spiegazioni. E’ la storia di un capitano pilota, un asso della caccia.

A lui è dedicato il Museo, della cui inaugurazione avevamo parlato a proposito dell’altro libro. Chiunque fosse interessato può andare a leggere la mia recensione in questa sezione dell’hangar.

All’inaugurazione erano presenti molti piloti che, come Adams, avevano fatto parte del 357° Gruppo caccia. Erano tutti molto anziani, prossimi o già oltre i novanta anni.

Il logo del 357th Fighter Group dal quale si comprende facilmente lo spirito che animava i suoi membri: “combattenti per la vittoria” Questo libro è dedicato in parte anche a loro oltre che ad Adams Fletcher. (foto proveniente da https://www.americanairmuseum.com)

Yoey Maddox aveva accennato a questa età elevata, dicendo, senza mezzi termini che “ormai stiamo cadendo tutti come mosche“. E aveva ragione.

Oggi anche un altro illustre asso, presente all’inaugurazione del Museo, uno dei più famosi tra di loro, se ne è andato di recente: Chuck Yeager.

Ora resta in vita un solo altro nome famoso del gruppo: Bud Anderson.

Anderson, nella prefazione di questo libro, scrive:

“The story of Fletcher Adams is one of the vast number of tales that could be told about WWII”.

“La storia di Fletcher Adams è una delle tante storie che possono essere raccontate riguardo alla Seconda Guerra Mondiale”.

Il velivolo ritratto è il famoso North American P-51B denominato affettuosamente “Southern Belle”con il quale volava Fletcher E. Adams. E’ una delle pochissime immagini disponibile giunte fino a noi. [

Sì. Esattamente. Solo una delle tante storie.

Allora, perché su di lui si scrive addirittura un libro?

Lasciamo ancora la parola a Bud Anderson.

“This book gives us the best insight into a tragic casuality of WWII and the mistery of what happened to captain Fletcher E. Adams. Yoey Maddox’s use of other voices, quotes, and investigative interviews make the story interesting. You’ll not only learn about Fletcher Adams but also the history of the 357th Fighter Group. I found the use of Adams’ personal diary, an illegal practice in wartime, particularly interesting to learn of his personal feelings during his training and combat”.

“Questo libro ci dà la migliore visione dall’interno di un fatto tragico della Seconda Guerra Mondiale e del mistero di cosa accadde al capitano Fletcher E. Adams. L’uso che Yoey Maddox fa delle tante voci, citazioni, e delle interviste investigative, rende la storia interessante. Non soltanto si finisce per conoscere Fletcher Adams, ma anche il 357° Gruppo Caccia. Ritengo l’uso del diario personale di Adams, una pratica illegale in tempo di guerra, particolarmente interessante per scoprire cosa aveva provato durante l’addestramento e durante il periodo di combattimento”.

La copertina del libro che idealmente fa coppia con “Bleeding Sky”, non fosse altro perché è dello stesso autore e perché tratta le vicende belliche del famoso stormo caccia statunitense di stanza in Gran Bretagna durante l’ultima parte del II conflitto mondiale

Adams, infatti, teneva un diario, dove annotava diligentemente tutti i fatti salienti di ogni giorno.

Inoltre, ogni giorno scriveva alla giovane moglie, Aline.

Molti altri piloti tenevano un diario, anche se , formalmente, era proibito farlo. E tutti, o quasi, avevano una ragazza, o una famiglia, a cui scrivere quasi quotidianamente.

La posta era censurata, ma tante cose, apparentemente banali, potevano essere scritte.

Dopo la fine della guerra, la grande quantità di informazioni contenute nei diari e nella lettere, ha aiutato tanti autori a tracciare e tenere vivo il filo dei ricordi. Molti libri sono stati scritti così. Compreso questo.

Il diario di Adams ha costituito una traccia degli avvenimenti del periodo di guerra da lui vissuto. Si comincia dal periodo di addestramento negli Stati Uniti, si continua con la storia del viaggio verso l’Europa, con la storia del primo periodo a Leiston, un aeroporto a poca distanza da Londra, e poi si prosegue con i racconti dei combattimenti aerei successivi. Parliamo del 1943 e dei primi mesi del 1944.

Una bella immagine originale di un P-51 Mustang in forza al 357mo Gruppo Caccia statunitense di cui faceva parte anche il protagonista principale del lodevole libro di Joey Maddox. (foto proveniente da https://www.americanairmuseum.com)

E si termina, purtroppo, con l’abbattimento dell’aereo di Adams sul cielo della Germania, il 30 maggio 1944. Il momento più sbagliato per essere costretti a scendere in un paese ostile, che subisce ogni giorno bombardamenti e mitragliamenti e si trova sul punto di perdere la guerra.

Lo sbarco in Normandia e l’invasione (con la conseguente liberazione) dell’Europa occupata dai tedeschi, sarebbe avvenuta soltanto pochi giorni dopo, il 6 giugno.

Il libro è una raccolta di racconti di diversi piloti. Ogni racconto va a collocarsi lungo la traccia segnata dal diario di Adams.

Un B-24 Liberator scortato da un P-51 Mustang appartenente al famoso 357th Fighter Group, il reparto che aveva tra le sue fila diversi assi della caccia statunitense. Il pilota del caccia qui consegnato alla storia è il Capitano Don Bochkay. La maggior parte delle missioni consisteva nello scortare i bombardieri pesanti che scaricavano i loro micidiali ordigni esplosivi sulle città tedesche e talvolta venivano attaccati rabbiosamente dagli ultimi caccia operativi della Luftwaffe. (foto proveniente da https://www.americanairmuseum.com)

In questo modo possiamo seguire Adams, non solo nella sua stessa narrazione, ma anche in quella dei suoi commilitoni. E’ come vederlo in azione con gli occhi di chi gli viveva e volava accanto.

Un lavoro davvero ben fatto.

A Leiston era di base il 357° Gruppo Caccia, del quale faceva parte Adams, come abbiamo detto.

Come tanti altri, Adams era partito per l’Europa a bordo della famosa nave Queen Elizabeth. E come tanti, anche lui aveva lasciato la famiglia. E una ragazza.

La ragazza era sua moglie.

Si erano sposati poco prima della sua partenza. Nel diario di Adams non c’è annotazione che non contenga una dichiarazione d’amore per Aline.

E poi, c’era un altro elemento importante, in questa storia: Aline aspettava un bambino.

Sin dal suo arrivo a Leiston (ma diciamo pure sin dalla partenza), non passava giorno senza che Adams scrivesse a sua moglie. E lei faceva altrettanto.

Poiché che il libro è costituito da racconti scritti da tanti piloti, dove Adams si vede partecipare alle azioni, e dalle registrazioni che lui stesso annotava sul diario, possiamo seguire la vita di reparto per tutti i mesi del 1943.

Un velivolo P-51 Mustang del 357° Fighter Group parcheggiato all’interno di un hangar della base aerea di Leiston. Considerato che ogni velivolo aveva “a corredo” almeno quattro specialisti e un pilota, che l’aeroporto era dotato di officine per lavori “pesanti”, magazzini di ricambi, mense, dormitori e tutto quanto necessario per la logistica di un reparto operativo, Leiston era una vera propria cittadella abitata da circa un migliaio di persone (foto proveniente da https://www.americanairmuseum.com)

In questo periodo Adams diviene un asso, viene promosso, conduce il suo aereo P-51 Mustang in ogni tipo di missione di guerra.

E continua a scrivere alla sua Aline.

Nei primi mesi del 1944 parla spesso della prossima nascita del loro figlio, di quale nome vorrebbero dargli etc.

La corrispondenza si fa sempre più serrata. Spesso le lettere di Aline tardano ad arrivare e Adams freme, chiedendosi cosa può essere successo. Poi arrivano tutte insieme.

Insomma, la vita normale di due sposi.

Ma la loro vita non era affatto normale. Aline si trovava a migliaia di chilometri di distanza. E lui andava in volo ogni giorno per combattere e in qualunque momento poteva morire, per un motivo o per un altro.

All’epoca, il servizio di spionaggio era molto organizzato. Alla radio tedesca trasmetteva spesso un signore che parlava benissimo l’inglese e che sembrava dedicare il suo programma proprio ai reparti americani e inglesi di stanza in Gran Bretagna. E sembrava conoscerli ad uno ad uno.

Appena arrivato a Leiston, Adams si trovò ad ascoltare quella radio. Il signore di cui sopra, in perfetto inglese, li salutò e diede loro il benvenuto, riferendosi ad essi come agli “Yoxford Boys“.

Infatti, vicino all’aeroporto c’era un piccolo paese che portava questo nome. E dove spesso il gruppo andava in libera uscita.

Segno evidente che il Regno Unito pullulava di spie.

Anche se questo velivolo faceva parte del 357° Fighter Group non è dato sapere chi fosse il pilota. Da notare i voluminosi serbatoi alari che consentivano al possente caccia statunitense di estendere la già notevole autonomia di cui era dotato. L’elevata velocità unita a una potenza di fuoco invidiabile e la notevole autonomia resero il Mustang come la macchina da guerra quasi perfetta (foto proveniente da https://www.americanairmuseum.com)

Comunque questo nomignolo rimase in uso e da allora i ragazzi del 357° Gruppo Caccia continuarono a chiamarsi gli “Yoxford Boys“.

E il signore che trasmetteva fu, a sua volta, battezzato “Lord Haw Haw“.

Arriviamo al mese di maggio 1944.

La nascita del bambino era sempre più imminente.

Aline aveva scelto già un nome, sia per un maschio che per una femmina. Ma questi nomi non piacevano ad Adams.

Lui sperava in un maschietto e nel caso, per lui avrebbe scelto il nome Jerry.

Perché proprio Jerry?

Perché, come abbiamo detto sopra, il combattimento aereo era anche chiamato “rat race”, dove il nemico era il topo. E ognuno di loro si sentiva di essere il gatto.

Tom e Jerry, in altre parole.

Infatti, il nascituro si rivelò essere un maschietto. E prese davvero il nome di Jerry.

Dal diario di Adams, un’annotazione del 28 aprile 1944 riporta la nascita di Jerry il 23 o il 24. Qualche giorno prima.

Le altre annotazioni riguardano missioni di guerra, piloti che sono stati abbattuti, notizie di vario genere. Fino al 22 maggio 1944.

Da questo punto in poi, inspiegabilmente, nulla. Le pagine vengono sbarrate da una riga e nessuna annotazione compare più.

Il libro prosegue facendo riferimento ai racconti degli altri.

Ma da questo punto comincia la parte più tragica della vita di Fletcher Adams.

Ora bisogna occorre in evidenza un particolare importante, avvenuto proprio in quei giorni.

Hitler era sempre più rabbioso.

Un scatto che mette in risalto la forma in pianta dell’ala del P-51 Mustang. Inutile precisare che lo scatto ritrae un velivolo in forza al 357° Fighter Group. I caccia decollavano all’alba per la scorta dei bombardieri e rientravano dopo aver svolto una missione mediamente di sei o sette ore di volo, quindi venivano riforniti e manutenuti – molto spesso durante la notte – per tornare in volo il giorno dopo secondo le stesse modalità (foto proveniente da https://www.americanairmuseum.com)

Infischiandosene delle convenzioni internazionali riguardo ai prigionieri di guerra, aveva emanato una direttiva che condannava a morte qualunque pilota alleato che fosse stato costretto a paracadutarsi sul territorio della Germania. Questi piloti dovevano essere considerati criminali, delinquenti, che osavano colpire la popolazione civile inerme. Come se non fosse stato proprio lui, Hitler, ad aggredire per primo la popolazione civile inerme degli altri paesi europei.

Goebbels, dal canto suo, aveva rafforzato l’ordine di Hitler.

E Lord Haw Haw, ovviamente, aveva trasmesso la notizia, per spaventare gli ascoltatori alleati.

La retrocopertina di Bleeding Sky. Spicca la fotografia di un Mustang con la inconfondibile livrea  della cofanatura motore a scacchi gialli e rossi  tipica del 357° Fighter Group.

Non si sa se Adams avesse sentito alla radio tedesca di questi ordini criminali … possiamo solo ritenerlo molto probabile. Non c’è nessun accenno nel suo diario, che comunque si interrompe improvvisamente e inspiegabilmente al 22 maggio. Ma se anche non avesse ascoltato direttamente la radio, almeno i commenti dei suoi commilitoni li sentì eccome, ne siamo quasi certi.

“On the night of May 29, 1944, the pilots of the 362nd Fighter Squadron were in the pilots’ room listening to German radio. They probably laughed as Lord Haw Haw threatened the next “Dirty Yoxford Boy” shot down, and captured alive with death. We’ll never know whether Fletcher Adams heard the broadcast; he made no mention of it in his last letter to Aline”.

“Nella notte del 29 Maggio 1944, i piloti del 362° Gruppo Caccia erano nella stanza dei piloti e stavano ascoltando la radio tedesca. Probabilmente risero quando Lord Haw Haw minacciò di morte il prossimo degli “Sporchi Ragazzi di Yoxford” abbattuto e catturato vivo. Non sapremo mai se Fletcher Adams ascoltò la trasmissione; non ne fece menzione nella sua ultima lettera ad Aline”.

Se anche l’avesse sentita, di sicuro non ne avrebbe scritto nulla ad Aline, per non farla preoccupare.

Il giorno dopo, nel pomeriggio, Adams era in volo sulla Germania. Stava scortando i bombardieri in una missione di bombardamento della città di Bernberg e stavano sorvolando un piccolo paese, Tiddische.

Il suo aereo, un Mustang P 51 che aveva nominato The Southern Belle (La Bella del Sud, cioè Aline, ma lui aveva evitato di proposito di nominarla  perché non voleva andare in guerra con il nome di sua moglie scritto sulla fusoliera) fu colpito. Un gruppetto di caccia tedeschi Me 109 li aveva  attaccati.

Un dato storico è sicuramente inconfutabile: i piloti del 357° Fighter Group sapevano stare in formazione serratissima. Di sicuro lo scatto è originale giacché è assai improbabile che sia stato foto-ritoccato (foto proveniente da https://www.americanairmuseum.com)

Un gregario della sua squadriglia raccontò che ci fu un’azione eversiva per sfuggire all’attacco. Ma vide che il The Southern Belle era stato raggiunto da alcuni colpi e stava perdendo liquido refrigerante dal motore: lasciava una scia bianca dietro di sé.

Adams si lanciò immediatamente, prima che l’aereo prendesse fuoco.

Il paracadute si aprì regolarmente e Adams scese dolcemente verso terra.

Nello stesso momento, a poca distanza, era stato abbattuto anche un caccia tedesco e il pilota, Ferdinant Spychinger, era morto nello schianto.

Da questo punto in poi il libro riporta la storia di ciò che avvenne dopo l’atterraggio di Adams, in un campo vicinissimo al paese di Tiddische.

L’aereo, senza controllo, aveva urtato il terreno in una maniera talmente piatta che, dopo alcuni rimbalzi, si era fermato proprio al limite dell’abitato, quasi intatto. E non si era neanche incendiato.

A dimostrazione delle notevoli dimensioni di P-51 Mustang, si noti che, mentre la squadra degli specialisti addetti alla manutenzione del velivolo dialoga con il loro pilota appena uscito dalla cabina di pilotaggio, essi sono poco più alti del bordo di attacco dell’ala. (foto proveniente da https://www.americanairmuseum.com)

Ora la storia si fa davvero tristissima. Per questo motivo preferisco tracciarne solo le linee essenziali, lasciando al lettore l’onere di leggerla dal libro di Maddox.

Adams venne catturato. Il capo della polizia di Tiddische, Adolf Funke, un fanatico nazista, assolutamente privo di umanità, lo arrestò. Lo portò subito all’interno della sua casa che fungeva anche da ufficio, coadiuvato da un suo nipote, capo della locale sezione della Gioventù Hitleriana.

Adams fu spinto brutalmente, colpito più volte e fatto sedere su una specie di poltrona.

La moglie di Funke lo colpì a sua volta, ripetutamente, con un ferro da stiro, facendolo cadere a terra svenuto.

A queste scene assisté parecchia gente, gli abitanti del paese, che si assembrarono fuori dalla casa e sentirono le urla di Funke, di sua moglie e del nipote. Ma dopo poco furono brutalmente dispersi da Funke, che li minacciò e ordinò loro di andare a casa.

Bisogna dire che la gente comune non voleva che il pilota fosse maltrattato. Era sufficiente prenderlo prigioniero e trattarlo secondo le convenzioni internazionali in vigore.

Ma le rabbiose direttive di Hitler e di Goebbels avevano fatto presa sul nazista Funke.

A differenza del nostro paese che spesso dimentica la propria storia più o meno recente, in Gran Bretagna – che pure ha una storia millenaria pari alla nostra –  alcuni luoghi speciali o alcuni eventi particolari vengono commemorati in modo tangibile o comunque ne viene mantenuta viva la memoria. A prescindere. E’ il caso di questo piccolo sacrario che si trova nei pressi di Leiston, laddove trovò la sua sede operativa il 357° Fighter Group dell’USAAF (l’aviazione dell’esercito statunitense), vicino alla cittadina di Theberton a partire dal 01 febbraio 1944 fino al 8 luglio 1945. Nel bel mezzo del nulla, o meglio della campagna del Suffolk è possibile imbattersi in questa piccola staccionata posta a contorno di un semplice memoriale che ricorda il legame inscindibile di quel luogo (in terra britannica) con i piloti statunitensi. Il grazioso monumento, allestito nel 1997 a cura dei “Friends of Leiston Airfield” , ossia “Gli amici dell’aeroporto di Leiston”, è collocato nella Harrow Lane in quella che una volta era l’intersezione delle vecchie piste dell’aeroporto di Leiston. Nella pietra centrale, appena sotto la croce, è possibile leggere la seguente iscrizione:THEY FLEW AWAY AS EAGLES TOWARDS HEAVEN”. WE WILL REMEMBER THEM che tradotto in italiano diventa: “Loro volarono via come aquile verso il paradiso. Noi li ricorderemo”. Lo scopo del sacrario è infatti quello di ricordare e onorare gli 82 piloti che persero la vita nello svolgimento del loro dovere decollando appunto dall’aeroporto di Leiston. Tra questi, elencato in ordine alfabetico di cognome nella pietra posta a sinistra, primo della lista, è possibile leggere proprio il nome di Adams E. Fletcher (foto proveniente da https://www.americanairmuseum.com).

Il nipote, pur essendo il capo della Gioventù Hitleriana, non era come lo zio. Provò a dissociarsi, ma rischiava di farsi denunciare e arrestare, se non lo avesse assecondato.

A ridosso della staccionata che delimita il memoriale di Leiston è presente la targa mostrata in questa immagine. E’ possibile individuare la cronologia dell’aeroporto di Leiston  dalla sua  apertura (avvenuta nel febbraio del 1942) fino alla sua pressoché totale riconversione a terreno agricolo nel 1955 (a oggi rimangono solo poche centinaia di metri di una delle piste originarie) nonché alcune informazioni relative alle missioni svolte dagli Yoxford Boys.(foto proveniente da www.flickr.com)

E nessuno della popolazione osò muovere un dito. Tutti si ritirarono nelle loro case, spiando dalla finestra. Quelli che potevano vedere qualcosa. Altri non videro più nulla, o almeno così dichiararono dopo la guerra.

Più tardi Adams, che aveva ripreso i sensi, fu condotto a piedi lungo la strada che usciva dal paese, verso un bosco vicino.

Funke sparò due colpi al pilota, che non morì subito. Il nipote, con la pistola cal. 45 di Adams, sparò il colpo di grazia.

Il corpo fu lasciato nel bosco fino al giorno dopo, quando alcuni prigionieri che lavoravano nei campi al comando dei civili tedeschi furono incaricati di prendere il cadavere e seppellirlo in un punto che fu loro indicato, nei pressi di un muro, ad un angolo del locale cimitero.

Nella primavera del 1945, le truppe americane arrivarono a Tiddische e cercarono i resti del loro pilota.

Poi catturarono i responsabili del suo omicidio.

Tutti, tranne Funke, che non fu mai trovato e non pagò mai per i suoi crimini.

Nel libro Maddox rivela che il corpo di Adams subì altri oltraggi. I suoi resti, riesumati, mancavano di alcune parti, come le mani, i piedi e la testa, che non furono mai ritrovati.

Una ripresa aerea d quello fu l’aeroporto di Leiston. Situato a 3 miglia dal Mare del Nord, l’aeroporto operativo più orientale della Gran Bretagna durante il conflitto mondiale, aveva la caratteristica forma ad “A” con una pista principale di circa 1800 metri di lunghezza e due da quasi 1300 metri. Lo scatto proviene dal sito web dedicato all’asso Bud Anderson (https://toflyandfight.com/357th-tribute/leiston-airfield/) che viene citato nel libro di Joey Maddox fin dalla prefazione. Si notano alcune strutture di supporto dell’aeroporto e le piazzole di decentramento ove venivano parcheggiati i velivoli del reparto.

A seguito di questo episodio ci furono interrogazioni, processi e condanne. 

E solo dopo parecchio tempo i poveri resti di Adams furono riportati negli Stati Uniti.

A questo punto, specialmente dopo aver letto il libro, sarebbero moltissime le considerazioni da fare.

Ci si interroga sul perché di tanta brutalità, gratuita, senza scopo alcuno. Ma questa è la guerra.

Anzi, questa è l’Umanità.

C’è ben poco da aggiungere: l’Umanità è questa ed è capace di compiere azione tanto agghiaccianti.

L’Umanità non è capace di imparare e migliorare davvero. In questo momento storico assistiamo al ritorno di condizioni capaci di rimetterci a rischio di ripetere episodi simili. Anzi, nel mondo non è mai cessata la crudeltà. L’Uomo sembra incapace di vivere in pace evitando di fare del male al mondo intero e a sé stesso.

Anni fa ho letto l’autobiografia del famoso Horst Tappert, meglio noto come l’Ispettore Derrick.

Lui aveva fatto la guerra. Nel libro diceva di essere stato sempre contrario alla violenza e che tutto il popolo tedesco, in generale, lo era. Tranne una piccola minoranza, che però era stata capace di trascinare il resto in un turbine di violenza senza fine.

Derrick aveva scritto una frase che mi aveva colpito:

“Noi tedeschi avevamo imparato a diffidare di chiunque parlasse a voce troppo alta”.

Credo a questa affermazione. Ma credo anche che la memoria della gente sia piuttosto breve.

A distanza di qualche decennio, secondo me, sono pochi quelli che continuano a diffidare. E sempre di più quelli che, invece, sono pronti a seguire.




Recensione a cura di Evandro A. Detti (Brutus Flyer)

Didascalie e fotografie a cura della Redazione di VOCI DI HANGAR

Il Viaggio – L’inizio dell’avventura


Come già anticipato nella recensione del libro intitolato “Sullandai“, questo racconto costituisce idealmente il prologo o – utilizzando un’espressione mutuata dalla gastronomia – l’antipasto del volume pubblicato nel 2004 a opera del Com.te Glauco Nuzzi.

In verità il “Il viaggio – l’inizio dell’avventura ” è molto più giovane, cronologicamente parlando (primavera 2021) rispetto al libro in questione. Come mai – vi chiederete -?

Il Fairchild C-119 Flying Boxcar fu per l’autore il fidato amico su cui contare durante le avventure nei cieli africani. Ne è qui ritratto uno splendido esemplare – appena restaurato – che faceva e tuttora fa bella mostra di sé a Pisa, presso la 46a Brigata aerea ove svolse il suo gravoso ininterrotto ruolo di trasporto pesante per vent’anni e più, praticamente a partire dal 1953 fino al 1979, data registrata negli annali dell’aviazione come ultimo volo ufficiale tra le fila del’AMI (foto proveniente da www.flickr.com)

Semplicemente perché il racconto costituisce una sorta di concreto apprezzamento da parte dell’autore nell’essere stato esortato – e non comandato volontario – a partecipare alla IX edizione del nostro premio letterario RACCONTI TRA LE NUVOLE. Anzitutto in qualità di giurato speciale, poi di ospite d’onore nel corso della cerimonia di premiazione e poi, se proprio gli fosse avanzato del tempo e se la memoria lo avesse supportato, anche di autore di almeno un racconto ambientato nel Congo.

Dalla spontanea disponibilità dell’autore è nato dunque il primo capitolo rivisto e corretto, condensato e migliorato di quello che è – e rimane tuttora – il primo capitolo stampato di “Sullandai” .

D’altra parte il titolo del racconto lo lascia facilmente intendere: è l’inizio dell’avventura che visse l’autore, poco più che ventenne,  nei loghi aerei e terrestri del continente africano. Suo malgrado – sottolineiamo perché comandato volontario ad andarci e, prima ancora, comandato a trasferirsi a Pisa presso la 46a Aerobrigata trasporti pesanti come destinazione al reparto, appena terminata l’Accademia Aeronautica.

Non sappiamo se vi è mai capitato di salire a bordo di un C-119 … ad ogni modo questa potrebbe essere la vista, piazzandosi dietro ai seggiolini dei piloti … di sicuro questa è la vista che ebbe l’autore quando fu inviato d’autorità a Pisa, ancora fresco di Accademia. E dire che all’inizio il Com.te Nuzzi odiò il velivolo ma, dopo aver trascorso sopra una parte importante della sua vita professionale, lo lasciò dicendogli un sincero: “ti voglio bene, bestione!”. Sebbene non l’abbia dichiarato apertamente in “Sullandai”, non stentiamo a immaginare che versò pure una lacrimuccia  … ma ci sarà l’occasione di scrivere un racconto a margine del romanzo, non è vero com.te Nuzzi? (foto proveniente da www.flickr.com)

Forse sarà per questo che il comandantissimo Nuzzi si è subito adoperato per migliorare e riscrivere il primo capitolo del suo libro e farne un racconto peraltro piacevolissimo e godibilissimo: perché nessuno degli organizzatori del Premio letterario l’ha comandato … al massimo “pregato di”, certamente non “obbligato a”.     

Tornando all’espressione iniziale “antipasto”, ebbene “Il viaggio – l’inizio dell’avventura ” è sicuramente un antipasto appetitoso, sapido, gustoso che appaga la mente e solletica la curiosità del lettore.

La prosa è semplice, senza particolari artifici narrativi, quasi confidenziale.

La trama è snella ma l’intreccio è davvero ben congegnato per essere confinato allo spazio di un medio-breve racconto.

Pochi ma fondamentali i personaggi e, sebbene la narrazione sia in prima persona, sono presenti alcuni periodi con il discorso diretto evitando così il rischio di un testo piatto se non monotono. E’ pur vero che la vicenda narrata è così dinamica che …

In definitiva un racconto che vi farà venire la voglia di leggere il romanzo o – ci auguriamo – la recensione del libro ospitata nel nostro hangar.

A conclusione di questa recensione permetteteci invece di ringraziare il Com.te Glauco Nuzzi per averci regalato questo cammeo. Lo interpretiamo come un segno di stima e di affetto nei nostri confronti. Come quello che abbiamo noi nei suoi. Nel nostro caso però non disgiunto da un reverenziale rispetto verso quel ventenne oggi cresciuto e divenuto solo per motivi anagrafici un delizioso ultraottantenne, comandato volontario a diventarlo.



Narrativa / Medio-lungo

Inedito

In esclusiva per la IX edizione del Premio letterario “Racconti tra le nuvole” – 2021 




Attenzione: Non esiste il Tag IL VIAGGIO - L'INIZIO DELL'AVVENTURA

 

Glauco Nuzzi


All’interno dell’antologia del nostro Premio letterario RACCONTI TRA LE NUVOLE, in coda a tutti i racconti, vengono citati i giurati che hanno permesso di stilare la classifica e dunque il vincitore. A conferma della bontà dei giurati coinvolti e affinché gli autori/autrici ma anche il lettori creino idealmente un’immagine del giurato, è presente una breve nota biografica relativa appunto a ciascuno di loro.

Quando si è trattato di stilare la biografica del giurato speciale della IX edizione, al secolo Com.te Glauco Nuzzi, non è stato affatto facile redigere la sua scheda personale. Come rendere l’idea di avere a che fare con un monumento dell’aviazione italiana? Come essere leggeri o brillanti senza risultare offensivi agli occhi dell’interessato? Ci abbiamo provato e forse ci siamo riusciti … questo è quanto:

“Pimpante ultraottantenne, ha svolto una lunga carriera militare (dapprima nella 46a Aerobrigata di Pisa, poi al 103° Gruppo Cacciabombardieri di Treviso), altrettanto lunga nell’aviazione commerciale (Alitalia, comandante di MD-80) e infine in quella generale/sportiva. Oltre a “Sullandai“, ha pubblicato le avventure di volo con il FIAT G-91 in “Centotreesimo”, mentre in “Quasi … manuale di volo” ha riversato la sua esperienza da istruttore in una serie di suggerimenti per i piloti, giovani e non. Ovviamente non poteva mancare un volume dal titolo piuttosto polemico, “AH! L’Italia” che ne lascia presagire il tono generale ed è dedicato, ovviamente, alla nostra Compagnia di bandiera.”


Per inviare impressioni, minaccie ed improperie all’autore:

glauco.nuzzi (chiocciola) gmail.com



Nel sito sono ospitati i seguenti racconti:


Ali sull'acqua

Buon anniversario a me

Pilota e marinaio per salvare l'ambiente

Raid dei due mari, ci saremo!

Roma-Venezia da passeggero

16 maggio 2008 - Dismissione KC707A

Il pappagallo


I Lupi della 46° Aerobrigata erano chiamati così perché a quei tempi era l’unico reparto che volasse con qualsiasi tempo per arrivare dovunque e sempre.

Il C-119 era una gran bella macchina per l’epoca e consentiva un’operatività molto vasta. Due meravigliosi motori, da 3500 cavalli ciascuno, un grosso vano di carico ed equipaggi molto preparati con un forte spirito di corpo.

Quel giorno mi fu affidata una missione di routine. Andare a caricare del materiale in una base statunitense della NATO in Germania, non ricordo quale. La navigazione non fu delle più tranquille. Maltempo su tutta la rotta così come previsto nella base di arrivo.

L’unica cosa che mancava al “vagone volante” era un radar meteo, a quei tempi tutt’altro che diffuso, e a volte la cosa creava qualche problema. In altre parole quando in volo si notavano grosse nubi cumuliformi … si evitavano accuratamente variando la prua in maniera da non finirci dentro, ma poteva capitare di trovare un cumulo nembo embedded che noi definivamo “affogato”, quando si trovava proditoriamente ben occultato in altre formazioni di nubi inoffensive. Capitava, in tali casi, che il velivolo venisse sbattuto da tutte le parti come se si trovasse dentro una lavatrice in centrifuga. In cabina si creavano scene da tregenda, manuali, matite, carte di navigazione, occhiali e altri oggetti che volavano e sbattevano dappertutto. Il velivolo doveva essere pilotato manualmente perché l’autopilota era poco affidabile anche con aria calma e la situazione era tutt’altro che allegra.

Quel giorno, per l’appunto, la navigazione divenne IMC subito dopo il decollo e prosegui verso la Germania con tutti i dispositivi antighiaccio in funzione, ma senza turbolenza particolare.

In avvicinamento al campo le cose presero una piega diversa. Turbolenza da media a forte, turbinio di fiocchi di neve davanti al muso, colpi continui contro la fusoliera per i blocchi di ghiaccio che si staccavano dall’elica grazie all’antighiaccio sulle pale …

Passammo alla frequenza GCA. Un operatore piuttosto bravo, con una cadenza  di voce da afroamericano, ci condusse speditamente verso il tratto finale. Nel turbinio di fiocchi bianchi, a qualche centinaio di piedi sul terreno intravidi la luce guizzante dell’EFAS e finalmente la pista, non molto lunga, con larghe chiazze bianche … che non erano zucchero vanigliato, ma semplicemente ghiaccio.

Atterrai con molta attenzione e non senza una certa apprensione per le vaste aree ghiacciate, usando i freni con parsimonia. Mi fermai, tirando un sospiro di sollievo, poco dopo metà pista, in attesa di istruzioni.

Back track on the active, strangle parrot” … Strangola il pappagallo! Questo è scemo, pensai.

Temendo di non aver capito replicai: “Say again”, mentre girando, mi accingevo a tornare indietro.

Strangle parrot” … Aridaje col pappagallo! Mi girai verso l’equipaggio. Qualcuno c’ha un pappagallo? … così ‘o strozzamo e famo contento ‘sto matto col mio inguaribile accento romanesco.

L’operatore GCA, pensando che non capissi l’inglese, me lo disse in italiano … beh insomma, quasi … “Sciangoula pep ghelou” e finalmente intuii … spensi l’IFF.

“Clear runway on the first intersection on your left and check the marshal”

Anni ‘60, guerra fredda. Gli americani avevano fatto installare su tutti i velivoli NATO un apparato il cui acronimo ne chiariva l’intento: IFF stava per  Identify Friend or Foe. In altri termini: identifica se è dei nostri o no. Era il precursore degli odierni transponder e forse i piloti giovani non ne hanno mai sentito parlare. In pratica non faceva altro che ritrasmettere un codice ricevuto da terra … ecco perché pappagallo. Serviva a discriminare i velivoli NATO da eventuali visite indesiderate dal Blocco di Varsavia.

Gli americani lo chiamavano parrot per il fatto che ripeteva quello che aveva ricevuto, ma per me, giovane capo equipaggio non ancora venticinquenne, era un IFF



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Glauco Nuzzi

Il viaggio – L’inizio dell’avventura


Con un leggero sorriso il Comandante del 2° Gruppo della 46° Aerobrigata, del quale facevo parte: “Allora lei parte volontario per il Congo?”

Che fossi un volontario per la missione africana non me ne ero ancora accorto … ma a 23 anni lo spirito di avventura spesso ha il sopravvento. Inoltre, avvelenato come ero per essere stato destinato a un sonnolento reparto di trasporti, dopo aver conseguito il Brevetto Militare alla Scuola Aviogetti per una ovvia destinazione a un reparto da caccia, questa variante nel mio impiego non mi dispiacque. Sì, il Congo era una zona di guerra, ma …

Che un reparto di trasporti non fosse poi tanto “sonnolento” lo scoprirò ben presto …

Avevo appena terminato l’addestramento per l’impiego previsto del Reparto e avevo raggiunto la qualifica di combat ready, secondo gli standard NATO. Praticamente “pronto al combattimento”, in altre parole non ero più un addestrando, ma un pilota pronto all’impiego bellico e se dovevo andare in zona di guerra … beh, faceva parte del copione.

L’Italia aveva aderito, come membro ONU, all’operazione Congo e segnatamente con una cooperazione dell’Aeronautica Militare per il supporto logistico dei reparti multinazionali schierati nell’area per aiutare il governo centrale nella lotta contro la secessione mossa da Tchombe

Dopo qualche giorno ci fu il volo di trasferimento. Dovevamo portare un velivolo a Leopoldville (oggi Kinshasa) dove era la nostra base operativa, per ampliare la flotta dei velivoli già schierati in loco. La rotta prevedeva una sosta ad Atene, poi Il Cairo, quindi Khartoum, Entebbe e finalmente Leopoldville. C’è da tener presente che la velocità di crociera del panciuto C 119 era di circa 150 nodi e, date le distanze da percorrere, si prevedevano tratte lunghissime con pilotaggio manuale … sì, perché l’autopilota c’era, ma spesso, anzi troppo spesso, si surriscaldavano i servomotori dei comandi e l’aereo cominciava a prendersi iniziative strane per cui toccava sbrigarsi a staccarlo …

Dopo la breve sosta ad Atene iniziò il volo verso l’Africa, tratta interminabile alternandosi ai comandi con i colleghi (l’equipaggio era doppio o forse di più perché c’era anche da sostituire chi aveva terminato il suo periodo in area operativa).

Si interrompeva il digiuno ogni tanto con le combat rations, dette le “razioni K”. La dotazione consisteva in una scatola di cartone (che poteva far supporre che all’interno ci trovassimo un paio di scarpe). Ci si trovava uno scatolame vario, preparato negli USA, con gusto ben lontano da quello italiano. Il contenuto, spesso carne con sughi piuttosto grassi e rappresi … richiedeva uno stomaco robusto ma avevamo trovato il modo di renderli più appetibili … scaldando il barattolo. Non c’erano fornelli di nessun tipo su un velivolo spartano come il C-119, ma, l’italica fantasia, aveva trovato la soluzione … A metà fusoliera, all’altezza grosso modo delle semiali, c’era un vano nel quale era alloggiato un cilindro metallico con alettature … era il regolatore di tensione dei generatori che in volo diventava pressoché rovente … un barattolo adagiato sopra per una ventina di minuti pareva uscito dal forno. Aperto i barattolo … il tutto diventava profumato (beh, insomma) e appetibile.

Quando all’orizzonte vidi apparire una striscia gialla che si staccava dal blu del mare “Ecco l’Africa”, pensai e cominciammo una lenta discesa. Sorvolato il delta del Nilo ci addentrammo verso Il Cairo, dove, finalmente, atterrammo.

Al Cairo, ormai è un bel po’ che non ci passo, a quei tempi, anni ‘60, la città appariva alquanto caotica. Traffico intenso, un perenne coro di clacson, costruzioni di scarso valore architettonico, palme dappertutto, venditori ambulanti e un senso olfattivo completamente diverso.

Che ci fosse un ristorante italiano al Cairo, il “Roma”, non me lo aspettavo. Alcune cose restano indimenticabili anche col passare degli anni. Mi restò impresso il sapore della rucola e dei ravanelli, molto più grossi di quelli che abitualmente vediamo in Italia, le bistecche (qualcuno dubitò, sarà mica cammello?) in realtà erano ottime, anche se di zebù, un bovino diffuso in Africa.

La sera una lunga passeggiata fra negozietti e bancarelle. Da bravo turista subito comprai qualche souvenir africano: una sella di cammello, che ancora uso come sgabello e una capiente borsa di pelle che diventerà la mia borsa “operativa” per tutto il periodo. Era capiente abbastanza per farci entrare, oltre ai ricambi necessari, anche il MAB, caricatori, bombe a mano e tutto quello che mi accompagnerà in tutti i voli operativi a venire.

Uno o due giorni dopo, non ricordo, partimmo per Khartoum. La rotta prevedeva un percorso che faceva risalire il Nilo e mi faceva vedere dal vivo quello che avevo studiato, a scuola, in geografia. Larghe chiazze di verde costeggiavano il fiume: le periodiche esondazioni fertilizzavano le aree circostanti rendendo le zone abitabili.

Mano a mano che si procedeva verso sud le temperature, naturalmente, aumentavano e a bordo non c’era nessun tipo di condizionamento. Il fatto che si volasse fra gli otto e diecimila piedi portava un sollievo solo parziale e, avvicinandosi al suolo per l’atterraggio, i 40 e oltre gradi di temperatura si sentivano tutti.

La sosta in Sudan mi è rimasta in memoria come una lunga sauna. L’albergo non disponeva di aria condizionata (anni ’60!) e anche di sera le temperature erano insopportabili. Ricordo che, per potermi addormentare, dovetti bagnare il lenzuolo.

Ma il problema principale era il decollo. Esaminando le tabelle di pista ci rendemmo conto che con quel carico dovevamo aspettare che la temperatura scendesse a non oltre 31 gradi, cosa che si verificava intorno alle tre di notte, ma durava poco … subito dopo si tornava verso i 35/36 gradi.

Scegliemmo, o meglio, fummo costretti a scegliere, di decollare alle tre di notte.

A Entebbe era tutto diverso. Sull’altopiano la sera si godeva di una temperatura piacevolmente fresca. La città, ex colonia britannica, mi apparve come un gioiello. Costruzioni di tipo europeo contornate di vegetazione africana e fu in quella occasione che ebbi la sensazione di essere un privilegiato, remunerato per fare il turista. Ci fermammo qualche giorno e fu una vera vacanza. Passeggiate lungo il lago Vittoria, vegetazione e fiori che mi incuriosivano e mi sorprendevano ad ogni passo, il pensiero che stavo andando verso una zona di guerra al momento non mi sfiorava nemmeno.

Lasciai a malincuore quel piccolo paradiso africano per l’ultima balzo, il volo per Leopoldville.

La tratta era piuttosto lunga e si ponevano problemi di autonomia: esaminammo la possibilità di un eventuale scalo tecnico per rifornimento, ma, un imprevisto e robusto vento in coda che ci fece aumentare la velocità e diminuire il consumo, ci risparmiò la fatica.

A Leopoldville fummo accolti calorosamente dai colleghi che ci aspettavano con ansia, per pezzi di ricambio e rifornimenti vari dalla madrepatria … nonché  per l’atteso avvicendamento di personale. Ci furono assegnate, due ufficiali per abitazione, delle belle villette nel quartiere di N’Djili, a una decina di chilometri dalla città.

Ci fu un briefing generico al palazzo ONU sul tipo di attività che avremmo svolto, raccomandazioni generiche e indicazioni sulle norme di comportamento con i nativi. Alcuni particolari mi sorpresero: “Donne, se dicono di sì, ok, altrimenti non insistere, potrebbe finire male. Se fate a pugni non colpiteli alla testa … è inutile … pugni allo stomaco …”.

L’ambiente non mi appariva particolarmente familiare ma tenni conto delle raccomandazioni e mi resi conto che dovevo, in qualche modo, adattarmi all’ambiente.

L’alloggio del Comandante del distaccamento era il più grande e aveva un ampio salone che diventò la mensa ufficiali e faceva anche da sala briefing. A cena venivano formati gli equipaggi e si assegnavano i voli per l’indomani. Si parlava dei voli del giorno, problemi vari, pericoli potenziali e difficoltà generale per portare a termine le varie missioni. Aeroporti con piste corte, affogati nel verde fitto della foresta, difficoltà dei rifornimenti (da un bidone su una carriola il negretto pompava a mano … centinaia di litri di benzina 115/145 e passavano ore nel caldo torrido) e l’alea di trovarsi, dopo l’atterraggio, invece che i Baschi Blu, i mercenari dei secessionisti katanghesi …

Mi resi conto che per conoscere l’Africa … beh, forse ci potevano essere condizioni migliori, ma ero un militare … e poi “volontario”.

All’inizio qualche giro per Leopoldville. Era una bella città, costruzioni europee, vegetazione africana, giardini fioriti dappertutto e si apprezzava un certo ordine e pulizia (… rispetto al Cairo e Khartoum …) ordine e pulizia che tornandoci molti anni dopo, volando per l’Alitalia … erano un bel ricordo.

Mercatino dell’avorio e manufatti artigianali locali, un forte vocio di contrattazioni, un odore tipico africano indescrivibile, di cuoio e pelli animali. Mi accorsi che il francese imparato a scuola … non era stato inutile e cominciai a integrarmi nel nuovo ambiente. Bar affollati di varie razze, qualche ragazza indigena carina e disponibile, birra fredda che attutiva il caldo soffocante, cambio dei dollari  con franchi congolesi (borsa nera, in banca ci si rimetteva troppo ) … ed un po’ per volta mi trovai a mio agio … beh, a terra. Durante le operazioni un po’ meno …

Indimenticabile il mio primo volo operativo.

Luluaburg, si carica il velivolo col materiale da portare a destinazione, Stanleyville. Vedo imbarcare casse su casse, bidoni di carburante, altre cassette metalliche di munizioni … un ufficiale svedese mi consegna il piano di carico … peso totale piuttosto elevato … sento il Comandante chiedere il pieno di carburante … regolo di bilanciamento in mano … faccio qualche calcolo e …

“Comandante … siamo fuori peso, e con questa temperatura …”.

Senza cambiare espressione del volto o mostrare alcuna emozione: “Ragazzo! Qui c’è la guerra e si fa così. Salta a bordo e fai i controlli che andiamo!”

Decollo indimenticabile (ma non sarà l’unico in quel periodo) … lunga corsa si accelerazione, a fondo pista (sì, proprio fondo pista) … una cabrata secca e ci troviamo per aria … con le cime degli alberi che parevano spazzolarci il fondo della fusoliera …

Deglutii sospirando … bell’ambiente pensai … ma in seguito questo tipo di volo diventerà abituale …



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