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Tornado

aeroplano tunnoeE’ il racconto della sua esperienza (memorabile e per alcuni versi, traumatica) relativa alla selezione per entrare a lavorare in Aeritalia.

Anche questo racconto, come quello intitolato: “Un figlio come passeggero”, selezionato e pubblicato nell’antologia del premio letterario “Penna Alata”,  è stato tratto da un libro inedito in cui ha raccolto e ricordato le sue esperienze in campo aeronautico.

“Tornado” ha invece partecipato alla II edizione del  Premio letterario “Racconti tra le nuvole”, 2013-2014, senza però essere dichiarato finalista.


Narrativa / Breve Inedito; ha partecipato alla II edizione del premio letterario “Racconti tra le nuvole”, 2013-2014; in esclusiva per “Voci di hangar”

 

Tornado

Alla fine del 1981, finalmente mi laureai in Ingegneria Meccanica, chiudendo un lungo e pesante periodo della mia vita.

Lo studio, prettamente teorico e matematico, non si addiceva al mio carattere e fui ben contento di lasciarmi dietro le spalle il periodo universitario.

A quel tempo già lavoravo in una società della mia città ma volevo perseguire il mio obiettivo che era quello di poter lavorare in un’industria aeronautica, feci quindi tutta una serie di domande d’assunzione, indirizzate esclusivamente ad aziende del settore.

La prima a convocarmi fu la SIAI-Marchetti che, a quel tempo, cercava ingegneri da inviare in Libia come istruttori di terra, degli allievi piloti libici, che si addestravano sui SIAI 260. Quella fu la prima volta che ebbi modo di varcare l’ingresso della storica ditta, lo avrei fatto altre due volte, una da ingegnere dell’Aeritalia, l’ultima per un nuovo colloquio di assunzione.

Tutto era datato, dai capannoni ai pavimenti, ai quadri sulle pareti. Si respirava un antico sapore di cose aeronautiche ormai andate ma che avevano a lungo soggiornato in quegli spazi.

La seconda ditta a chiamarmi fu l’Aeritalia, oggi Alenia Aeronautica, e prima ancora, Fiat Aviazione, da cui erano usciti aerei famosi, quasi tutti firmati dall’ing. Gabrielli, come il G55, il G91 e il G222, solo per citarne alcuni; fu anche il mio primo contatto con Torino.

Al colloquio mi arrabbiai subito giacché non ero stato avvisato che la selezione sarebbe durata 3 giorni e non mi ero organizzato, né economicamente, né logisticamente per un soggiorno di tale durata, non avevo infatti portato con me alcun indumento di ricambio. Visto il mio sconcerto, l’organizzatore della selezione mi disse che avrebbe fatto in modo che il mio iter selettivo durasse solo 2 giorni, ravvicinando gli incontri previsti.

La sera trovai una stanza in un albergo nei pressi della stazione di Porta Nuova e ricordo che rimasi stupito dal gran via vai di gente, anche abbastanza chiassosa, durante la notte; in seguito mi fu detto che quell’albergo era molto frequentato dalle prostitute e relativi clienti; mi colpì, fra l’altro, che la padrona, dopo avermi accompagnato a vedere la stanza, mi salutò accompagnando il saluto da un colpetto alla mia spalla, saluto che mi apparve alquanto insolito e cordiale.

A sostenere la selezione eravamo in sette; ci avevano riunito in una sala con un bel tavolo ovale in legno molto grande che riempiva quasi tutta la sala; alle pareti foto storiche di velivoli dell’epoca gloriosa della Fiat aviazione. Eravamo tutti giovani ingegneri neo laureati, io ero quello che veniva da più lontano, gli altri avevano con loro copia della tesi di laurea, io non l’avevo. Ci chiamarono uno per volta, quando fu il mio turno, entrai come avevano già fatto coloro che mi avevano preceduto, in una stanza abbastanza piccola, in cui sedevano, attorno ad un tavolo, tre ingegneri della Ditta che formavano la commissione esaminatrice dal punto di vista tecnico-professionale. Mi domandarono se avessi portato la tesi, risposi che nessuno mi aveva avvisato di farlo, rimasero alquanto stupiti ma non ritennero la cosa così importante e mi chiesero l’argomento della mia tesi, argomento di carattere prettamente aeronautico, giacché avevo discusso una tesi di laurea su un progetto di un turbofan a calettamento variabile. Mi interrogarono su questo argomento, e rimasi piacevolmente stupito nel constatare la loro competenza, e devo confessare che questo colloquio-interrogazione fu decisamente più difficile, ma anche di maggior soddisfazione, della discussione della tesi di laurea stessa.

Alla fine del colloquio furono soddisfatti e nel pomeriggio fui avvisato che avrei incontrato quello che poi sarebbe diventato il mio capo. Lo incontrai nella stessa saletta della mattina, eravamo solo noi due . Il colloquio fu abbastanza generico e cordiale, teso ad evidenziare per quale settore ero effettivamente più portato, anche se, già dalla mattina, era evidente la mia propensione per un incarico in produzione.

Il mio interlocutore era il Responsabile degli stabilimenti di Caselle, e mi illustrò le varie attività svolte in quelle sedi, quella che più mi attrasse, e per la quale espressi la mia preferenza, era avere un posto al campo volo, ma mi disse che era impossibile per un giovane ingegnere, inesperto, entrare in quella sede giudicata difficile, perché lì, mi disse con testuali parole: “Sono tutti baffoni”, espressione colorita, che poi seppi significare, che chi lavorava al campo volo era tutta gente molto esperta.

Durante il colloquio questo anziano ingegnere, mi chiese in vari momenti, se una volta assunto, anche i miei sarebbero saliti a Torino. La cosa mi seccò enormemente, giacché capii di essere anche considerato il “terun” che cerca lavoro al Nord, quando invece io già lavoravo da prima di laurearmi, guadagnando significativamente più di quanto loro mi stessero offrendo e dentro di me decisi che lo avrei mandato a quel paese se me lo avesse chiesto un’altra volta, rinunciando così al posto di lavoro.

Fortunatamente non avvenne. Il colloquio continuò poi nella sua auto, poiché mi portò negli stabilimenti di Caselle Nord, che sarebbero stati la mia sede finale di lavoro. I capannoni erano vuoti perché eravamo oltre l’orario di lavoro, mi porto al “flusso”, l’hangar familiarmente così chiamato perché vi si svolgevano i tests di flusso dei serbatoi del Tornado. Quando aprì la porta dell’hangar tutti i miei sogni sembrarono avverarsi, tutti gli anni di studio faticoso trovavano infine una giusta ricompensa: di fronte a me troneggiava, in tutta la sua maestosità e potenza, un Tornado, penso che mi comparve un sorriso di ammirazione e soddisfazione che andava da un orecchio all’altro.

Dopo un po’ ci salutammo, anche perché era imminente il mio volo di ritorno a casa, dicendomi che avrebbe dato parere positivo per la mia assunzione. Assunzione che avvenne il 3 Marzo 1982.

Alla gioia per il successo avuto, si sommava il dispiacere per allontanarmi dalla mia città, dai miei genitori e, in poche parole, da tutto quanto fino ad allora era una sicurezza e una certezza. Ed era la prima volta che mi succedeva di staccarmi da queste cose, infatti quando partii per Torino, non sapevo dove avrei dormito la sera. I miei anni torinesi furono anni difficili ma di crescita, sia dal punto di vista umano che professionale. Me ne andai dopo circa tre anni perché, purtroppo, è difficile conciliare lavoro e passione ma, soprattutto, lo stipendio era realmente insoddisfacente.

Quattro anni dopo essermene andato, ebbi modo d’incontrare, durante il Salone Aeronautico de Le Bourget, a Parigi, il sig. Morbelli, capo-reparto del campo volo, il massimo dei famosi “baffoni”, e persona da me ammirata e stimata. Egli mi confidò: “Sapessi con quale insistenza abbiamo chiesto che tu fossi trasferito al Campo Volo … ma non ce lo hanno mai approvato”. Non si rese conto di avermi fatto un grande complimento, anche se masticai amaro.


§§§ in esclusiva per “Voci di hangar” §§§

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Marco Longo