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La fortezza in fondo al mare

Tempo di guerra, in Corsica un giovane pescatore ritornato dalla prigionia dell’Africa del Nord, vede una “Fortezza Volante” davanti all’altra “fortezza”, la Cittadella di Calvi, in pericolo di morte e salva l’equipaggio.

Ci sarà tra Ange, il pescatore, e il comandante una vera esperienza di vita.

Una foto d’epoca: formazione di Boeing B-17 Flying Fortress – Fortezza Volante – che costituivano il 381mo Gruppo in volo. Sono accompagnate da un caccia Mustang P51 (uno è visibile sullo sfondo) del 359mo Gruppo. Secondo la fonte dello scatto, certo tormentor4555 presente su Flickr, della formazione facevano parte il velivolo soprannominato: “Marsha Sue”, dismesso dopo un atteraggio pesante nel gennaio del ’45, “Patches,”, “Flak Magnet”, “Terror”, e “Trudie’s” . Chissà se si è mai appurato a quale reparto appartenesse il B17 di Calvi …

Sintetizza così, con queste poche righe, il proprio racconto una delle autrici più talentuose – lo ammettiamo senza riserva alcuna – e anche  più assidue nel partecipare al Premio fotografico/letterario “Racconti tra le nuvole”. Il suo nome? … Maria Teresa Limonta ma, per i veri amici,  semplicemente: “Mara”.

In occasione della V edizione, praticamente a ridosso della scadenza ultima di partecipazione, ecco che Mara, puntualmente, regala al Premio il suo “raccontino”, come ama chiamare tutte le sue composizioni.

La foto-cartolina che Mara ha regalato ai suoi affezionati followers. Ritrae la cittadella di Calvi che, fondata dai Romani, divenne insediamento cardine della Repubblica di Genova. Per la fedeltà dimostrata alla signoria genovese, la città ottenne dei privilegi e se ne fece un vanto al punto che il suo motto è proprio quello citato da Mara in coda al suo racconto.

In effetti si tratta di un racconto breve che, a giudicare dalle foto postate nella sua pagina personale, è nato a seguito della vacanza estiva di Mara in quell’angolo magnifico dell’Alta Corsica che ha, come perla incastonata nella costa, proprio la città fortificata di Calvi o Calvì – alla francofona – secondo il costume moderno.

Una splendida immagine di una “Fortezza Volante” in volo. Si tratta del velivolo denominato: “Menphis Belle”, il famoso B17 reso famoso dall’omonimo film di cui fu protagonista. In realtà la pellicola girata nel 1990 si concesse un po’ troppe licenze cinematografiche rispetto alla verità storica e, una volta nei cinema, provocò non pochi malesseri nei reduci ancora viventi e negli storici dell’aviazione USA. Anche il velivolo, per dovere di cronaca, è un altro B17 riadattato e verniciato come il glorioso “Menphis Belle” in quanto il bombardiere originale, a causa di una serie di vicissitudini, non sarebbe in grado di volare in sicurezza. E’ conservato, restaurato più volte, nel National Museum of the United States Air Force di Dayton – Ohio, mentre il suo clone se la spassa – si fa per dire – in manifestazioni aeree come velivolo volante o in mostra statica oltre – s’intende – ad essere stato inquadrato in lungo e largo durante le riprese del film.

Che Mara abbia visitato la presunta casa natale di Cristoforo Colombo non ne abbiamo la certezza, viceversa sappiamo per certo che sia venuta a conoscenza della presenza di un relitto aereo collocato sui fondali appena al largo dello sperone di roccia di Calvi. Ed ecco la scintilla! Perchè non parlare di quel bombardiere? Del dramma dell’equipaggio decimato dai caccia nemici? Dell’ammaraggo rocambolesco e del salvataggio provvidenziale dei pescatori locali? … fin troppo facile per Mara!

Un’altra bella immagine scattata in epoca moderna del B17 “Fortezza Volante” “Menphis Belle” con i portelloni del vano bombe semiaperti. Lo scatto mostra l’enormità di questo tipo di velivolo costruito complessivamente in 12 mila e 731 esemplari dall’industria bellica statunitense.

Ne è scaturito un racconto semplice, leggero che ha per protagonista un pescatore, Ange, anche lui reduce dalla guerra – ma nel deserto nordafricano – che non esita un istante a gettarsi tra i flutti per salvare i malcapitati aviatori.

Un racconto che si legge in un sospiro, tutto d’un fiato, che provoca il desiderio di vedere la foto-cartolina di Calvi e del B17, entrambe “fortezze”.

Ma noi faremo di più: ecco il link del video disponibile in rete proprio del relitto di Calvi: 

https://www.youtube.com/watch?v=-XsZAAN-Vxw

Tornando al racconto di Mara che dire? … se non chè è scritto con il garbo e la delicatezza ormai marchio di genuinità dell’autrice milanese. Forse troppo breve? Forse troppo poco aeronautico? Probabile, tanto che la giuria del Premio non lo ha ritenuto sufficientemente aderente allo spirito di racconto tra le nuvole tipico dei finalisti della sezione letteraria e dunque presenti nell’antologia relativa. Peccato per Mara, fortuna per noi che possiamo averlo ospite nel nostro hangar.

Grazie, Mara, per aver ricordato questa storia di guerra.


Narrativa / Breve

Inedito; ha partecipato alla V edizione del Premio fotografico/letterario “Racconti tra le nuvole” – 2017; in esclusiva per “Voci di hangar”

 

La fortezza in fondo al mare

L’odore del mirto era aspro, pungente, vivido nelle colline a picco sul mare, strade sterrate e muli, fatica e selvaggia bellezza a Calvi, tempo di fame, tempo di guerra.

Poche case di pescatori allora, a riparare le reti, a guardare il tempo, aria di tempesta nel litorale, i vecchi seduti nel bar bevevano un goccio di vino novello e aspettavano che si fermasse la tempesta, per oggi nulla da portare ai bambini e domani, domani chissà …

“E risorge la passione di la Corsica Nazione”, cantavano, pensavano alla guerra che non finiva mai, correva l’anno 1944, il conflitto tra le forze tedesche e gli Alleati era lungo, estenuante, si vedevano aerei in ricognizione tra le montagne corse, fragore e paura nelle antiche fattorie dell’entroterra, e lutti, tanti, al Col di Teghime, dove i goumiers marocchini stavano aprendo la strada per liberare Bastia, l’inquietudine era palpabile, la speranza, forse, un’illusione.

I corsi amavano la libertà e si arruolavano nella Legione per combattere in Nord Africa nella “campagna del deserto”, presi e sbattuti in qualche carcere tedesco, niente cibo né medicine, solo sabbia.

Liberati alla fine dagli inglesi gli ex prigionieri erano stati portati in Italia, a Palermo oppure a Napoli ed imbarcati verso Bastia, con le scarpe rotte salivano per i ripidi sentieri degli Agriates, vento, bufera, non importa, volevano vedere la Cittadella in lontananza, casa e tepore, ricominciare a vivere finalmente.

Tra quelli c’era Ange Acquaviva. Con una piccola barca pescava pesci e leggende meravigliose per i bambini alla sera, per sorridere e dimenticare la paura, ma adesso che era tornato stentava ad addormentarsi, anche tra le braccia di Marie Jo, la sua compagna.

Le donne sembrano fragili ma sono di roccia, la gente corsa era, ed è ancora così, arcana e indomita e lei non era da meno, non aveva pianto quando lui era partito soldato, una carezza e via, a badare alla casa, a guardare i flutti in tempesta e attendere serena i suoi baci, il suo ritorno.

E vedeva Ange agitarsi nel sonno, tremare sognando gli spari nelle aride dune, gli amici di pattuglia caduti nel deserto, si svegliava senza fiato e si calmava solo vedendo gli occhi ardenti di Marie Jo, le sue carezze lo riportavano alla vita ed ai semplici affetti, si assopiva tranquillo.

Viveva di pesca Ange, nel suo peschereccio riponeva le cime d’ormeggio, issava le vele con esperta sicurezza, era il suo lavoro e la sua passione, andava per mare sempre, di burrasca o di bonaccia.

Quella volta  c’era  tramontana, raffiche impetuose di vento ma cielo terso. “Andiamo a pescare”, pensò e partì, quasi non si vedeva il porto di Calvi, ma vivide erano le cime della Balagna, la cresta del Montegrosso, regina delle nuvole.

“A chi male un face paura un fa”, e sorrise, quando sentì un sibilo sempre più forte, un fragore di tuono, alzò gli occhi e vide un’apocalisse purpurea precipitare nel blu delle onde mosse, fermarsi nelle acque agitate, istintivamente si fece il segno della croce, ma cos’era?

Era un grande aereo, un bombardiere pesante quadrimotore, un Boeing B-17, la “Fortezza Volante”, così era il suo soprannome, impiegato dagli americani durante la Seconda Guerra Mondiale contro gli impianti industriali, civili e militari della Germania nazista.

Uno stormo aveva la consegna di bombardare i raccordi ferroviari di Verona, ma durante l’attacco il bombardiere si ritrovò isolato, inseguito dai caccia tedeschi, colpito più volte, i motori erano in fiamme e alcuni componenti dell’equipaggio feriti o uccisi.

Il comandante Frank Chaplick tentò di atterrare a Calvi, ma la pista di atterraggio era troppo corta, allora si decise per l’ammaraggio.

Il giovane Ange, sgomento, vide il velivolo planare verso il mare, arrestarsi violentemente sulle onde, era questione di attimi, la Fortezza Volante stava per inabissarsi e con essa il resto degli uomini.

Ange non ci pensò un attimo, si tuffò dalla barca, due bracciate ed era già sopra la carlinga che lentamente stava andando a fondo.

Con la forza della disperazione cercò di spalancare la porta bloccata, ma si accorse che dall’altra parte qualcuno disperatamente premeva dall’interno: erano i superstiti che volevano uscire per non morire come topi in gabbia.

Dio volle che il battente si aprisse ed Ange aiutò i militari a rivedere sole e vita.

Ultimo uscì il pilota, era americano, parlava poco e male il francese, d’altra parte il ragazzo corso era nato, amato, perso e ritrovato nella sua terra, non poteva, né voleva dire altro, ma un’occhiata penetrante, un cenno d’intesa ed un sorriso ruvido, questo bastò tra i due uomini, un muto “grazie”.

Così Ange e il pilota tornarono a fare il loro lavoro: pescare, volare e  combattere.

E più di settant’anni dopo la Fortezza Volante è qui che dorme in fondo al mare per proteggere e servire tutti noi, uomini di domani, insieme alla Fortezza di Calvi fiera e gentile, “Civitas Calvi semper Fedelis”.

Fedele. Sempre.

 

 


§§§ in esclusiva per “Voci di hangar” §§§

# proprietà letteraria riservata #


Maria Teresa Limonta

Mio nonno

liberator B24La II Guerra Mondiale raccontata dagli occhi di un reduce di guerra arruolato nella Regia Aeronautica grazie alla sua profonda passione per gli aerei.

A scavare nella sua memoria è Simona, la nipote ventiduenne, alla quale è affidato dal suo professore il compito di redigere una tesina sul conflitto più distruttivo della storia contemporanea.

Il protagonista del lavoro è proprio suo nonno e il suo importante vissuto bellico, fatto ancora una volta di aerei e campi di prigionia.


Narrativa / Medio-breve Inedito; ha partecipato alla IV edizione del Premio fotografico/letterario “Racconti tra le nuvole” – 2016; in esclusiva per “Voci di hangar”

Mio nonno

Roma, 5 gennaio 2010.

Entro in cucina, saluto mio nonno. Ed è così che comincia la mia intervista: “Nonno, nonno tra due settimane ho l’esame di storia contemporanea e devo presentare una tesina sulla Seconda Guerra Mondiale. Ho scelto di parlare della figura del reduce di guerra. Mi aiuti?

Va bene”, esclama lui tangibilmente felice di aiutarmi. Lo vedo dai suoi occhi.

Molti sono i dubbi, tante le domande da porgli. È un anziano signore come tanti, classe 1919, ma forse sono proprio la sua età e la sua ricca esperienza a renderlo una persona unica: è facile intuire dalla sua data di nascita che ha vissuto, e soprattutto combattuto, durante gli anni della Seconda Guerra Mondiale. Sono proprio seduta di fronte ad un reduce di guerra. Ma in fondo chi sono questi reduci? Sono curiosa di sapere di più sulla sua storia.

La mia prima domanda è di natura psicologica: “Come può aver vissuto un reduce il ritorno alla vita normale col finire della guerra?”.

È un quesito complesso, profondo, ma di certo la risposta la si può trovare solo domandandolo a chi realmente ha vissuto una tale esperienza di vita. Sicuramente è una di quelle sensazioni che si riescono a provare solo vivendole in prima persona, forse anche il racconto di terzi potrebbe essere superfluo, ma io sono di fronte a mio nonno e provo a porgli la mia domanda. Comincia così a raccontarmi la sua importante esperienza, il suo vissuto bellico.

Tutto cominciò in quella piccola realtà, in qual paesino tra Marche ed EmiliaRomagna che probabilmente già gli andava stretto. Era ancora molto giovane quando crebbe in lui una grande passione per gli aerei, vedendoli ogni giorno volare e fare acrobazie, e fu per questo che, quando terminò gli studi all’età di 19 anni, decise di raggiungere Roma per arruolarsi come volontario nella Regia Aeronautica.

Il suo compito era quello di sorvegliare il traffico aereo dal centro comunicazioni. Così, prima dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale, fu mandato in Africa, dove venne assegnato all’aeroporto di Asmara. Si trovava lì all’inizio del conflitto, e questo primo periodo di guerra fu caratterizzato soprattutto dall’impatto con una dura realtà, nella fattispecie per via delle ripetute incursioni aeree dei nemici.

Decide allora di regalarmi uno degli episodi più importanti della sua vita: durante uno di questi pericolosi momenti, attardatosi nel centro comunicazioni per dare l’allarme, all’uscita del-l’ufficio si ritrovò sulla testa ben tre cacciabombardieri, tipi di aerei progettati per la distruzione in volo di aerei nemici, nonché con lo scopo di annientare gli obiettivi terrestri, sia civili che militari.

Ben tre si lanciarono su di lui in picchiata per mitragliarlo. La morte in faccia, l’ultima cosa che vide nella sua vita. Ma invece no, quando riaprì gli occhi era ancora lì, vivo: per sua gran fortuna, nella manovra, i tre caccia si ritrovarono troppo vicini l’un l’altro e, per sviare al pericoloso impatto tra di loro, dovettero fare manovra di disimpegno riprendendo quota. In tal modo mio nonno poté uscire indenne dall’attacco e tornare dai suoi compagni nel rifugio.

A seguito di questi numerosi bombardamenti il personale superstite dovette evacuare l’aeroporto. Furono così condotti sul monte africano Amba Alagi, luogo nel quale si trovavano le ultime provviste e munizioni utili alla sopravvivenza. Ce l’avrebbero fatta?

Non ci fu tempo per pensare: mio nonno e i suoi compagni furono presi prigionieri dagli inglesi solo poche ore dopo. A lungo viaggiarono via mare, giorni, forse settimane, patendo il freddo e la fame, e sempre con la paura di possibili attacchi da parte di sottomarini tedeschi da un momento all’altro. E soprattutto una domanda sempre ben ancorata in testa: dove stavano andando?

Mio nonno lo scoprì una mattina presto: si risvegliò in India, precisamente a Bhopal. Rimase lì per tre anni, tre lunghissimi anni, costretto ai lavori forzati da coloro che lo tenevano prigioniero insieme ai suoi compagni.

Successivamente la sua esperienza di prigionia continuò in Inghilterra, dove fu portato sempre via mare sbarcando a Liverpool. Da lì furono condotti in un campo a sud di Londra, dove lui e gli altri prigionieri di guerra furono organizzati in squadre per compiere lavori agricoli.

Vi rimasero per due anni, ma stavolta fu diverso rispetto all’esperienza precedente. Si trattava di campi deserti, abbandonati in quanto tutti gli uomini inglesi erano stati chiamati al fronte. Solo poche donne erano rimaste a lavorarvi, e quindi fu molto importante inserire la manodopera dei prigionieri.

Fu lì che mio nonno imparò a realizzare cestini di vimini, piccola attività che con il tempo si rivelò per lui un gustoso passatempo, lontano dal suo mondo, dai suoi aerei, ma pur sempre un gustoso passatempo.

Organizzavano spettacoli teatrali serali mio nonno ed i suoi compagni, ai civili inglesi piacevano. Lo immagino recitare come attore protagonista nell’opera scritta proprio da loro per l’occasione, “The dream of a prisoner”, tutta in inglese poi. In fondo non deve essere stato facile. Ma quelli che sembrarono probabilmente essere per lui gli anni più tranquilli di prigionia arrivarono ad un triste epilogo: nell’ultimo anno di guerra fu nuovamente condotto altrove, stavolta fu portato prigioniero in Francia. Solo nel 1945, col finire del conflitto, fu finalmente liberato, riuscendo a rimpatriare attraverso il Brennero in Italia.

          È da qui che ha inizio la sua “nuova vita”, una vita da reduce di guerra.

Mentre mi parla del suo ritorno in Italia riesco a leggere nei suoi occhi la liberazione, la vita che si accende. Mi sottolinea il fatto di aver provato una gioia immensa nel tornare a casa, come normale che fosse d’altronde. La sua è una storia particolare: i suoi familiari lo credevano ormai morto, non avendo per anni ricevuto più notizie da lui dal fronte, e fu proprio per questo che fu accolto con enorme stupore e felicità da tutti nel suo piccolo paesino tra Marche ed Emilia-Romagna. Mi sembra di immaginarlo tra la sua famiglia il giorno del ritorno a casa, forse irriconoscibile, ma non fisicamente, nella sua anima…

Gli domando del suo stato emotivo in rapporto al ritorno alla vita normale e, fiero, mi dice di essere riuscito a riprendersi subito dall’esperienza della prigionia, grazie ai suoi affetti, nonché all’ambiente ritrovato, definito da lui stesso “ancora molto italiano”, conforme ai suoi sentimenti. Inoltre fu subito reintegrato nella Regia Aeronautica, che da lì a poco avrebbe assunto il nome attuale di Aeronautica Militare, proprio per questo suo stato di reduce e per essere rimasto fedele alla patria.

Fu mandato all’aeroporto di Ciampino, dove si occupò di sorvegliare il traffico aereo internazionale, anche grazie alla sua conoscenza dell’inglese acquisita negli anni di prigionia. Perché in fondo è vero, anche dalle esperienze più dure si può infine ricavare qualcosa di utile, e con questo reintegro lavorativo fu possibile per lui ritornare alla vita normale facilmente.

Inizio allora a pensare tra me e me che purtroppo non fu così per tutti i combattenti, e che molti di loro continuarono invece per anni a vivere nel terribile ricordo della guerra, delle bombe, della morte, senza poter tornare a condurre una vita serena e con difficoltà nel raccontare la propria esperienza.

Pongo un’ultima domanda a mio nonno: “Sei rimasto in contatto con gli altri reduci al termine della guerra?

Mi risponde che all’aeroporto di Ciampino dove lavorava c’erano altri che avevano combattuto la guerra, ma non suoi ex compagni di prigionia, ed inoltre non avvertì mai l’esigenza di prendere parte ad associazioni di reduci o movimenti sindacali, nonostante molti suoi colleghi sentirono il bisogno di ritrovarsi, di rimanere in contatto dopo questa profonda esperienza di vita vissuta insieme.

         §§§

Roma, 19 gennaio 2010. “Simona Rossi sostiene l’esame con il professor Latini”.

Mi avvicino alla cattedra, ho paura delle domande che sta per pormi. Prima di me ha già bocciato tre ragazze, anche Patrizia che sta studiando da novembre per questo esame. E la tesina poi? Gli sarà piaciuta? Ho il cuore in gola e la mente annebbiata.

Mi riconsegna il mio lavoro, recante in alto a destra la nota a penna “Nonno aviatore: ok”. Insieme a questa mi porge anche il verbale d’esame. E le domande? E non mi chiede nulla sui restanti novantacinque anni del Novecento? Sono confusa. Prendo il verbale e leggo: 30 e lode.

Non è possibile, non riesco a trattenere le lacrime.

Grazie a mio nonno anche io ora sto volando in alto, molto in alto…


§§§ in esclusiva per “Voci di hangar” §§§

# proprietà letteraria riservata #


Valentina Ferrari

Condividere il dolore

E’ notte fonda mi chiamo Franco e mi trovo in sala operativa a svolgere le mie mansioni di “Duty Controller” (responsabile della Difesa dello Spazio Aereo Nazionale) e poiché l’orario lo consente, visto che il traffico aereo di notte diminuisce sensibilmente, scambio qualche parola con i colleghi che come me, anche se con mansioni diverse, vegliano sulla sicurezza della nostra bella nazione.

La sala è in penombra e viene illuminata da una luce soffusa e dai monitor della varie postazioni di lavoro dove viene visualizzata la RAP (Recognized Air Picture) cioè il traffico aereo significativo ai fini della Difesa Aerea che i reparti dipendenti trasmettono.

La nostra attenzione è così abituata a osservare quei piccoli monitor con quei simboletti strani che anche se chiacchieriamo, siamo sempre in grado di tenere la situazione sotto controllo: è la forza dell’abitudine. Nel giro di pochi secondi, infatti, possiamo riconoscere una situazione di traffico regolare da una situazione anomala; basta solo guardare la forma del simbolo della traccia e leggerne i parametri di volo.

Così, tra un’interruzione ed un’altra, iniziamo a scambiarci delle confidenze.

Luigi, così si chiama il mio “Fighter Coordinator” (coordinatore degli intercettori d’allarme), comincia a parlare di sé e della sua vita, passando con semplicità logica da un discorso relativo all’attività faticosa da noi svolta alle problematiche che ne derivano per la famiglia e per i figli.

E’ alto, magro, capelli brizzolati con una parlata tipica romana: infatti è originario di Rieti. Trasferitosi per lavoro in Emilia si è sposato con una ragazza del posto. Poi, si sa come vanno certe cose, col passare degli anni, finisce la passione e si rientra nell’abitudine quotidiana. Ci si rispetta fino a quando un nuovo incontro, per l’uno o per l’altro, non accende una nuova fiamma di passione. Forse è una definizione riduttiva della vita di coppia, ma il valore della famiglia ha subito (e ancora subisce) attacchi sociali pesanti ed incontrollabili in un mondo dove ormai tutto viene vissuto secondo un criterio di “usa e getta”, purtroppo.

Così è successo a lui quando si è invaghito di un’altra donna che aveva conosciuto durante una lunga missione all’estero. A seguito di tale relazione, ha deciso di separarsi e di andare a convivere, rientrato in Italia, con la nuova compagna abbastanza lontano dalla sua prima famiglia.

Questo fatto, ovviamente, gli ha impedito di mantenere dei rapporti regolari con le figlie. Inizialmente, a dire il vero, le incontrava spesso e sembrava che non ci sarebbero stati problemi di sorta. Un po’ alla volta, però, la situazione è degenerata. Per vari motivi, ed in particolare per il fatto che le figlie vivevano con la mamma, non è più riuscito ad avere un regolare rapporto con loro. Gradualmente le ragazze, tutte maggiorenni, hanno finito per schierarsi dalla parte della mamma.

Tale cosa gli ha procurato e ancora gli procura un grande dolore.

La situazione, all’improvviso, è precipitata quando l’anno scorso una delle figlie, quella che più aveva sofferto per la sua lontananza, è morta. Questo tragico evento lo ha fatto quasi impazzire per il dolore. Non è riuscito a farsene una ragione ed è ancora convinto che la colpa dell’accaduto sia tutta sua e che se fosse rimasto vicino alla figlia forse lei ora sarebbe ancora in vita.

Spesso, mentre si chiacchiera tra colleghi, sembra che la sua mente sia lontana e, chiaramente, si capisce che annuisce senza aver capito niente di quello che si sta dicendo.

Dopo i funerali, non è più riuscito ad andare, per vari motivi, al paese dove è sepolta la figlia e questo fatto l’ha condotto in una profonda situazione di tristezza e, ormai, è molto raro vederlo sorridere. Da qualche turno lo vedo molto depresso e mi sembra che con questo suo atteggiamento mi stia comunicando il desiderio di parlare con me.

Tra un’interruzione ed un’altra, mentre rispondiamo ai reparti dipendenti o riceviamo le condizioni  meteo delle basi aeree, finalmente si apre.

Viene fuori tutto il suo dispiacere e il suo senso di colpa che non lo lascia un attimo.

Continuando mi dice: “Sai la settimana scorsa, finalmente, sono riuscito ad andare a pregare sulla tomba di mia figlia, ho provato un po’ di sollievo e l’ho sentita, finalmente, vicino a me”.

A questo punto tira fuori dalla tasca della tuta di volo un foglietto piegato dove aveva scritto alcuni versi a seguito della visita alla tomba della figlia.

Luigi, infatti, si diletta a scrivere poesie, che gli danno molta soddisfazione interiore, con le quali riesce a tirare fuori dal suo animo i suoi sentimenti migliori.

In preda ad una forte emozione, quasi come se vedesse la figlia davanti a lui, comincia a recitare:

“E’ quasi un anno

da quando l’ultimo saluto ti lasciai

e d’allora solo la mente mia e il tuo spirito

quotidianamente han ragionato.

Ora, finalmente, il fato m’ha concesso

di sostar sul tuo sarcofago

ove il tuo corpo giace immobile.

Quel corpo che tante volte ho difeso,

a cui non diedi la forza vitale,

insita nella natura umana,

che a te fu negata.

Breve e pur sofferta la vita tua,

quando, pur volendo, non riuscivi a fare

ciò che era semplice per altri della tua età.

Eppure con tenacia e costanza

sei riuscita a raggiungere ambìti traguardi

senza il mio aiuto, senza di me,

lontano per sempre in altri lidi dove il destino

aveva indirizzato il mio futuro.

Padre spezzato, padre a metà per te sono stato,

anche se il tuo spirito, più vivo che mai

ben sa quanto t’ho amata e quanto ancora io t’ami”.

L’emozione gli blocca in gola le ultime parole mentre una timida lacrima, appena visibile nella penombra della Sala Operativa, gli solca lentamente il viso. Cerca di riprendere il suo normale atteggiamento, ma si vede chiaramente che soffre per quella sua figlia che il destino prematuramente ha voluto. Faccio finta di non accorgermi della sua profonda emozione per non imbarazzarlo ulteriormente.

“Luigi, Luigi” – dico intanto tra me e me – “se non ti conoscessi così determinato nello svolgimento della tua attività, non crederei a quello che i miei occhi stanno vedendo”.

Giunge improvvisa, a rompere l’incantesimo di quel momento d’emozione, la chiamata di un reparto dipendente che ci pre-allerta in merito ad un velivolo di linea non autorizzato che da piano di volo dovrebbe entrare nello Spazio Aereo Nato.

Di colpo, il suo volto cambia aspetto e riprende la professionalità che gli è solita mentre parla al telefono con le basi d’allarme per acquisire gli ultimi dati meteo in previsione di un possibile “scramble  (decollo rapido) degli intercettori teso a  verificare l’identità di quel velivolo.

Le telefonate cominciano ad intrecciarsi a vari livelli per risolvere la situazione operativa.

Il Controllore del Traffico Aereo conferma che il velivolo, pur non autorizzato intende passare sul nostro territorio. Lo scramble è inevitabile e in qualità di Duty ordino lo scramble agli intercettori della base più idonea per il riconoscimento del velivolo non autorizzato.

Ormai i pensieri di Luigi sono lontani dall’emozione di pochi minuti prima e il suo unico obiettivo è quello di metter gli intercettori nella condizione più idonea per intercettare e riconoscere il velivolo non autorizzato.

Appena decollati li affida al sito radar più vicino per un controllo corretto. All’improvviso, però, succede una cosa inaspettata: il velivolo non autorizzato cambia rotta e decide di circumnavigare il nostro territorio (la Sicilia) rendendo quasi inutile lo scramble. Cosa fare? Poche parole tra Luigi e me e, sapendo che il velivolo doveva dirigere comunque verso est, decido di far dirigere gli intercettori verso Malta da dove doveva passare il velivolo.

La situazione è quasi al limite.

Luigi decide per l’Hand Over (passaggio di controllo) al Centro di Controllo più vicino all’area di possibile intercettazione.

Gli intercettori hanno ormai lasciata la Sicilia e stanno per entrare nella FIR (Flight Information Region) di Malta che, allertata, autorizza l’ingresso dei nostri intercettori.

Il contatto radio comincia a diventare difficoltoso e a tratti intermittente. Luigi mantiene il collegamento con il centro radar che conduce la missione e, quando gli viene riferito che il Controllore d’intercettazione ha perso il contatto radio con gli intercettori, subito me lo riferisce e si concentra sui segnali radar in arrivo che mostrano gli intercettori in avvicinamento al velivolo sconosciuto.

Passano i minuti (solo pochi, ma sembrano interminabili) senza alcuna notizia di contatto radio del guida caccia con gli intercettori.

Sono momenti terribili. Sapendo di essere responsabili dell’Azione Tattica sia Io che Luigi ci guardiamo dalle rispettive posizioni esterrefatti.

Continuiamo a guardare la RAP e sembra che gli intercettori (riconoscibili dai loro codici) stiano dirigendo verso la Sicilia. Il contatto radio però è ancora negativo.

Pur essendo bassa la temperatura, Luigi sente caldo ed è vistosamente impallidito.

All’improvviso, finalmente, la comunicazione dal Centro Radar che il contatto radio con gli intercettori è positivo porta un po’ di serenità in lui.

Subito chiede il carburante rimanente degli intercettori e fa comunicare loro le informazioni necessarie per un sicuro rientro.

Il velivolo è stato riconosciuto e sarà posta in essere la prevista procedura per il suo comportamento contrario alle norme vigenti.

Gli intercettori sono al limite con il carburante per fare rientro alla base e, nonostante le meteo sulla base di partenza siano buone, Io e Luigi rimaniamo in apprensione fino al loro atterraggio.

Che sospiro di sollievo in quel momento.

Di colpo, noto che Luigi si siede e tiene la testa tra le mani segno che sta cercando di ritornare almeno per un attimo all’emozione precedente.

Quel breve momento di forte emozione, però, ormai è andato via nel cielo scuro di quella notte insieme ai sogni di buona parte delle persone che stanno riposando le stanche membra mentre il loro subconscio  puntualmente proietta, come in un film, in modo indecifrabile e caotico la somma delle loro esperienze e dei loro sentimenti.

Incrociamo per un attimo i nostri sguardi e mi rendo conto che il suo volto è più sereno e rilassato e forse contento di aver condiviso con me questa sua terribile angoscia e di essersi liberato del senso di solitudine che attanagliava la sua anima.

L’indomani mattina dopo il passaggio di consegne con il turno montante, recandoci lentamente verso il parcheggio delle auto, Luigi mi dice: “Grazie, Franco per avermi ascoltato”.

Accenno un timido sorriso, mentre il caldo sole di giugno illumina i nostri volti stanchi: siamo già proiettati con la mente verso casa


§§§ in esclusiva per “Voci di hangar” §§§

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Dirigibile
Raffaele Carlino