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Condividere il dolore

caccia con postbruciatoreDurante un turno di servizio in sala operativa Franco (Duty Controller) e Luigi (Fighter Coordinator) si scambiano alcune confidenze. In particolare, Luigi, colpito recentemente da una disgrazia familiare (la perdita prematura di una figlia) è sempre triste e sembra assente durante i suoi rapporti con gli altri. Quella sera però sembra pronto a parlare con Franco per condividere il suo dolore e dare uno sfogo alla sua situazione psicologica.

Mentre si trova al culmine del suo racconto, un evento operativo interrompe la forte condizione d’emozione venutasi a creare. La professionalità, però, prende il sopravvento e il racconto di Luigi sembra dissolversi nel cielo con gli intercettori fatti decollare per una missione operativa di riconoscimento di un velivolo civile non autorizzato a sorvolare lo spazio aereo Nato.

Alla fine, però, Luigi, pur stanco, sembra contento sia per la buona riuscita dell’attività operativa che per la possibilità che ha avuto di poter condividere il suo dolore con Franco. Prova ne è il complice scambio di sguardi, completato da un timido sorriso tra i due, mentre si avviano verso il parcheggio delle auto per fare rientro a casa dopo il lungo e proficuo turno di servizio notturno.



Narrativa / Medio-breve Inedito; ha partecipato alla IV edizione del Premio fotografico/letterario “Racconti tra le nuvole” – 2016; in esclusiva per “Voci di hangar”

Tiberio

Erano trascorsi già quattro anni da quando Tiberio aveva inaugurato la sua base per elicotteri e di velivoli da allora ne erano atterrati tanti.

Tempo addietro, quando gli capitò l’occasione di acquistare la casetta dove abitava, era rimasto entusiasta nel sapere che con essa sarebbe diventato proprietario anche dell’appezzamento di terra antistante: avrebbe potuto coltivarvi un magnifico orto!

Dopo aver dissodato finemente il terreno vi aveva tracciato i solchi che avrebbero ospitato semenze di ogni varietà: pomodori, lattuga, rucola, ravanelli … nulla sarebbe mancato. Ogni giorno con reiterata solerzia innaffiava la sua terra e strappava le erbacce, sbirciando con impazienza i germogli spuntare.

Le piante sembravano ripagare le attese del loro padrone; senonché dopo appena una decina di giorni Tiberio le trovò tutte appassite. Riprovò più e più volte. Inizialmente i semi sembravano intraprendere un florido rigoglio, ma dopo pochi giorni non restava che terra brulla. Fu così che dopo ripetuti e vani tentativi si risolse ad abbandonare il suo intento.

Fu un suo vecchio amico a suggerirgli un uso più attuale di quel terreno: “Perché non ne fai un’aviosuperficie? È meno laborioso e ne ricaveresti un discreto guadagno”.

Dopo molti dubbi e ripensamenti abbracciò il consiglio disinteressato e in poco meno di due mesi la pista fu pronta. Le voci della sua apertura si diffusero velocemente e Tiberio scoprì che esisteva un traffico aereo non indifferente. Casa sua divenne presto approdo e punto di riferimento per tutti i  velivoli della provincia e non passava giorno che l’aria non venisse attraversata dal rumore delle eliche.

L’atteggiamento riluttante dei primi tempi si tramutò presto in una lieta attesa dei viaggiatori del cielo: ognuno di loro aveva una storia da raccontare, e se talvolta qualcuno si chiudeva in un avverso silenzio, era bello poter anche solo immaginare gli accadimenti celesti che aveva vissuto.

“Da tali altezze si perde la percezione dei piani … acqua terra e aria appaiono come un unico strato”, gli era stato detto più volte. Tiberio ascoltava affascinato quei racconti sul cielo, ma nonostante gli inviti dei piloti, aveva sempre rifiutato di volare, preferendo la sicurezza di quella terra che seppur a tratti sterile, gli dava gioia e lo rassicurava.

                                                            ***

Un’altra giornata era quasi giunta al termine e  non erano previsti altri arrivi.

Tiberio si sedette sulla terrazza più alta del vigneto che ormai non produceva che qualche stringa d’uva, e si mise a guardare il cielo, su cui di lì a mezz’ora avrebbe dominato il rossore del tramonto. L’aria autunnale aveva già lasciato il posto ad un venticello nevoso, e questo gli riportò alla mente il resoconto di uno scrittore che l’anno prima era atterrato alla sua base.

Il sole iniziava a nascondersi e gli ultimi tralci di luce colpirono l’orizzonte dei suoi occhi.

 “Esiste veramente”, aveva esordito lo scrittore, “non farti incantare dal mio modo romanzato di raccontare. E’ realtà. “Una grande montagna svetta sul lato orientale di un’isola” e il fiato gli si interruppe per l’emozione del ricordo.

 “Ha le sembianze di un volto disteso, sguardo intenso rivolto al cielo… vi si distingue il naso longilineo e la guancia tonda che digradando si unisce alla linea della fronte.  Quel giorno la superficie era innevata e percorsa da scie di nero lavico che in prossimità delle cavità degli occhi disegnavano righe quasi di pianto”

La sera era giunta e con essa un’umidità penetrante.

“Una faccia muta intenta in ogni tempo a guardare il cielo. Attorno ad essa si estende un paesaggio che l’occhio non riesce ad abbracciare per intero se non sfocatamente… fichi d’india, ginestre, i resti di un acquedotto romano, case sparse”.

Tiberio abbandonò il suo posto sul monte. L’aria umida aveva ormai coperto d’acqua ogni filo d’erba, e il pensiero di un camino frigolante lo invitava a rientrare in casa.

 “Il giorno della partenza l’isola fu scossa da boati che attraversavano le viscere della terra  –‘A Muntagna iè’- mi disse il pilota- ‘c’avi quarchi cosa ra rire’-. Avrei finalmente potuto osservare il gigante montuoso dall’alto, abbracciarlo nella sua pienezza e fissare i miei occhi nei suoi.

Quando decollammo era già l’imbrunire, mi sentivo agitato, impaziente. La Montagna stendeva il proprio manto roccioso come un’ampia gonna spiega le sue balze. Ad un certo punto vi fu un boato più forte ed il vetro si colorò di una sabbia nerastra; potevo intravvedere ancora i fiotti di lava uscire dalla bocca centrale di quel gigante, il fiume caldo raggiungere le pareti concave degli occhi e da questi colare lentamente lungo le rughe dei fianchi”.

Tiberio mise le scorze del mandarino sulla brace del camino: l’odore agrodolce unito al calore gli fece lacrimare gli occhi e gli riportò alla mente quelli altrettanto lucidi dello scrittore, che a quel punto aveva interrotto il racconto ed alzato lo sguardo nello sforzo di contenere la commozione.

La mattina dopo Tiberio comunicò che per quel giorno la base sarebbe rimasta chiusa. Solo un elicottero atterrò. Respirò a fondo, pensò al Gigante e salì.

Quei racconti che aveva ascoltato per anni, divennero ad un tratto i suoi stessi pensieri.

Ti chiedi se sei ancora in vita…

 Il bianco si accalcava sul finestrino e diradandosi si apriva su una distesa di nuvole su cui torreggiavano morbidi iceberg.

Gli occhi mi si chiudevano e un torpore accompagnava la mia morte indolore.

Cercavo di restare vigile per non perder nulla di quel biancicoreo mondo. Le nubi più leggiadre sorvolavano i banchi di nuvole che galleggiavano compatti sul mare celeste.

Il senso di stanchezza aumentava all’innalzarsi dell’altitudine. Sentivo le palpebre diventare sempre più pesanti.

Respirai profondamente e chiusi gli occhi.

 

 


§§§ in esclusiva per “Voci di hangar” §§§

# proprietà letteraria riservata #


Elena Cantarella

Tiberio

angioletto innamoratoTiberio è la storia di un volo immaginato attraverso i racconti dei viaggiatori del cielo, fino a che il protagonista decide di lasciare la terraferma e provare egli stesso l’emozione del volo.

Riassume così, nella più stringata sinossi che sia mai stata fornita alla Segreteria del Premio fotografico/letterario “Racconti tra le nuvole”, l’autrice del racconto “Tiberio”, Elena Cantarella.

Cosa altro aggiungere?



Narrativa / Breve Inedito; ha partecipato alla IV edizione del Premio fotografico/letterario “Racconti tra le nuvole” – 2016; in esclusiva per “Voci di hangar”

Manca poco

helicopter neroE’ con queste poche parole che l’autore sintetizza il contenuto del suo racconto:

Una passione che diventa follia. Il desiderio di fare qualcosa di memorabile. La scelta senza ritorno.

Da una tragedia purtroppo reale.

In effetti si tratta di un testo che merita una sinossi ben più corposa di questa. Come Redazione del sito VOCI DI HANGAR, ci teniamo a precisarlo e, in qualità di co-organizzatori della IV edizione del Premio fotografico/letterario “Racconti tra le nuvole” cui questo testo ha partecipato, ci teniamo addirittura a proclamarlo ad alta voce. Ma tant’è.  Così il suo creatore l’ha liquidato e così dovremmo presentarlo, nostro malgrado.

Premesso che detta composizione non ha avuto accesso alle fasi finali del Premio, sappiamo per certo che ha scatenato pareri molto discordi e dunque valutazioni controverse da parte di coloro che hanno composto la giuria del Premio. Non fosse altro per il tema di  recente attualità  che è il fulcro del racconto: un evento luttuoso di una crudeltà e un’assurdità che non si giustifica se non con uno stato mentalmente instabile dell’autore del gesto folle, appunto.

Ma permetteteci di rassicurarvi: non è nostra intenzione svelarvi il contenuto di questo racconto perchè ne svilirebbe il valore letterario nè vogliamo fornirvi troppe informazione a margine … tuttavia permetteteci di suggerirvi una riflessione circa l’originalità del punto di vista della voce narrante, la verosimiglianza del pensiero deviato del protagonista ricreato o comunque “ricostruito” da Alessandro Berardelli che – occorre riconoscerlo – riesce a creare il possibile processo logico squilibrato eppure ineccepibile (per alcuni versi) del personaggio unico del racconto.

Forse una nota a margine o un finale leggermente diverso avrebbero comportato un diverso giudizio da parte dei giurati del Premio, ad ogni modo, per quanto possa confortare l’autore, a noi è piaciuto. E non poco. Peccato che non sia stato inserito nell’antologia 2016 del Premio … ma questa è la nostra fortuna giacchè VOCI DI HANGAR ha il privilegio di ospitare “Manca poco ” in assoluta esclusiva.

Non aggiungiamo altro se non che attendiamo fiduciosi i commenti dei lettori.

 



Narrativa / Breve Inedito; ha partecipato alla IV edizione del Premio fotografico/letterario “Racconti tra le nuvole” – 2016; in esclusiva per “Voci di hangar”

Manca poco

Ci siamo.

Sta avvenendo tutto esattamente come avevo previsto.

La decisione l’avevo maturata già da qualche mese. Non avrei potuto sopportare che tutto potesse finire in modo diverso.

Avevo sognato fin da bambino di percorrere la strada che avrei intrapreso. Ogni Natale e ogni compleanno erano per me una festa soltanto se i miei genitori mi regalavano un aereoplanino.

Quando qualche anno fa me ne sono andato a vivere da solo, ho portato con me soltanto tutti i modellini, lasciando nella mia vecchia camera gli altri regali che avevo ricevuto con gli anni.

Regali che mi avevano sempre lasciato contrariato quando, per una qualsiasi ragione, li avevo ricevuti in sostituzione del nuovo modello che avevo desiderato. Fino ai dieci anni avevo sempre dato in escandescenze. Il più delle volte distruggendoli. Dopo, in quelle due o tre volte che è capitato, sono riuscito a reprimere il furore, mi sono limitato a ringraziare formalmente e prendendo spunto dal doverli riporre mi chiudevo nella mia camera senza più uscirne fino al giorno successivo.

Hai voglia per mio padre a bussare alla porta pregandomi di aprire perché partecipassi alla festa. Una volta ha anche tentato di buttarla giù, la porta, ma io non ho mai ceduto, rinunciando anche a quei dolci e a quella torta al cioccolato che mia madre preparava e che mi piacevano tanto.

Ciao mamma! Ti voglio bene.

Quando ho detto alla mia ragazza che sarei diventato famoso, in verità non sapevo ancora neanch’io in che modo.

Ero riuscito, è vero, a ottenere ciò che volevo: il brevetto da pilota. Ma pilotando non si diventa famosi. A meno che…

E’ vero anche che avevo nascosto le tremende depressioni a cui ero soggetto e la conquista del brevetto era frutto della mia abilità a pilotare, certamente, ma anche a dissimulare i miei malesseri.

Che sensazioni meravigliose quando ai miei esordi in cielo mi misi ai comandi dell’aliante! Silenzio assoluto rotto soltanto dal fruscio dell’aria sulla fusoliera. Mi pareva di essere il nuovo Icaro. Io, ali  e sole. Viti al posto della cera, però.

La cera invece si sta sciogliendo, ora. La cera del mio cervello. Perché l’ho voluto io, d’accordo con quell’altro che mi parla nel cervello quando sono solo e depresso. O no?

Ogni tanto, quando la depressione non se ne andava neanche con il Lorazepam, sentivo la voce di quell’altro che mi incitava a fare un gesto, un gesto per cui sarei diventato famoso. L’hai  promesso alla tua ragazza!

Un sacco di giovani in tante parti del mondo fanno gesti irreversibili e disastrosi. Ma chi ricorda il loro nome per più di cinque minuti? Di certuni non lo si sa nemmeno, come quello di quei ragazzini che si lasciano esplodere in un mercato. Credono davvero che li aspettano 100 vergini nel paradiso? O sono 1000? Boh!

E poi che fatica con tutte quelle vergini!

Non credo a queste ricompense. Ma veramente non credo a nulla, se non alla grandezza di ciò che sto facendo. State pur certi che non sarò dimenticato.

Porca miseria! Il fumo che avevo nella testa ero riuscito a nasconderlo bene, anche perché ho sempre contato sulla superficialità dei controlli ufficiali. I miei medici privati sono tenuti al riserbo e quindi non hanno mai detto niente. Che coglioni!

Ma quando mi hanno diagnosticato i problemi alla vista non ci ho visto più. Ahahah! che bel gioco di parole. Sono stato sempre bravo a farli e questo è perfetto.

Dicevo che tutto è nato da quella diagnosi. La depressione sapevo come nasconderla, ma i disturbi agli occhi non sarebbero passati inosservati alla visita che avrei dovuto fare con i medici della Compagnia. E quindi via brevetto, fine dei voli come pilota, anonimato e nulla più.

E allora mi sono deciso: avrei fatto il “gesto”, così la mia ragazza sarebbe stata orgogliosa di me.

Ho avuto un gran culo quando sono riuscito a sciogliere il Lasix nel caffè del primo pilota. Se non ci fossi riuscito avrei dovuto sopraffarlo, ma non ero certo di riuscirci. E così è andato tutto liscio.

Appena è uscito mi sono barricato dentro la cabina, ho scollegato tutti i contatti con i controllori di volo e finalmente ho innestato il comando per l’atterraggio. Non sarebbe stato un atterraggio morbido!

Eravamo a dieci minuti delle Alpi francesi.

Mi direte: ma non hai pensato a tutti quei passeggeri. Loro non avrebbero voluto che finisse così! Ci sono un sacco di ragazzi di ritorno da una vacanza! Cazzo! Non ci hai pensato?

Beh si, quando li ho visti salire allegri e spensierati, per un momento ci ho pensato. Ma non c’era più tempo per i ripensamenti e poi più orrore avessi provocato più indelebile sarebbe stato il mio nome. Era questo che volevo, no? E questo sta per succedere.

Appena dato il comando per l’anomalo atterraggio mi sono tolto la cuffia collegata alla radio e mi sono messo i miei auricolari e ora sto ascoltando a pieno volume Jimi Hendrix in una versione speciale di Little Wing. Dura più di nove minuti, più di quanto servirà per troncarla prima della fine.

Già Jimi Hendrix! Anche lui come me uno del club dei 27. Avrei potuto ascoltare The End di Jim Morrison (anche lui del Club), sarebbe stato più attinente alla situazione, ma Jimi Hendrix fa più casino e mi copre le urla dei passeggeri che sicuramente saranno già iniziate. Sento soltanto qualche colpo sordo alla porta come quelli di mio padre.

Papà è inutile che bussi, non apro!

Ecco le montagne.

Mi viene da ridere perché ho in mente la scena del Dottor Stranamore in cui il comandante dell’unico aereo rimasto in missione si immola cavalcando la Bomba. Che buffo con quel cappello da cowboy!

Ci siamo.

Chiudo gli occhi e: tre, due, uno.

Bum!

Signore, signore! Si ricorda come si chiamava quel secondo pilota che l’anno scorso ha provocato quel disastro aereo sulle Alpi Francesi?

Boh! Era tedesco, mi pare, ma il nome proprio non lo ricordo!

Non è servito neanche a questo.



§§§ in esclusiva per “Voci di hangar” §§§

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Alessandro Berardelli