E’ appena decollata la VIIa edizione di RACCONTI TRA LE NUVOLE, il premio letterario organizzato dall’associazione di velivoli storici HAG, Historical Aircraft Group, e dal sito di letteratura aeronautica VOCI di HANGAR con la collaborazione della rivista VFR AVIATION e della FISA, Fondazione Internazionale per lo sviluppo aeronautico.
L’edizione 2019, sovvertendo la convinzione diffusa che il VIIo sia l’anno dell’omonima crisi, sarà invece quella del sostegno economico di VR MEDICAL, azienda farmaceutica che ha sviluppato dei prodotti per il trattamento non chirurgico dell’artrosi, fratture ossee, tendiniti e neuropatie, oltre alla salute della donna. Per ultimo ha anche cura della nuova letteratura aeronautica italiana.
Il Premio torna ad essere quello delle origini: puramente letterario. Dunque solo racconti di volo, cielo, piloti, insetti, nuvole e ogni altra entità organica e inorganica purché appartenente alla dimensione aerea.
Altre novità: il cosiddetto personaggio storico.
Nelle intenzioni degli organizzatori, esso costituisce il pretesto per mantenere vivo il ricordo di figure che recano lustro alla storia dell’Aviazione italiana.
La figura scelta per questa VIIa edizione è: Celestino Rosatelli.
I racconti che conterranno riferimenti alla vita e al lavoro dell’ingegnere reatino (ufficialmente nato a Belmonte, a pochi chilometri da Rieti) verranno premiati dalla giuria con una valutazione proporzionale all’entità e alla. bontà del coinvolgimento del personaggio storico nel racconto: maggiore la bontà e l’originalità dei riferimenti presenti nel testo, migliore sarà la valutazione da parte della giuria
Rimangono inalterate: partecipazione gratuita, giuria prestigiosa e anonima fino alla dichiarazione dei vincitori, pubblicazione gratuita dei racconti finalisti nell’antologia del Premio edita dall’editore LOGISMA, volo gratuito a bordo di un velivolo monomotore HAG, pubblicazione dei racconti non vincitori nel sito VOCI di HANGAR, targhe e diplomi di partecipazione.
Ad essi si aggiunge il premio speciale VR MEDICAL che verrà attribuito al racconto più meritevole secondo il giudizio insindacabile dell’amministratore dell’azienda.
Novità importanti sono previsti anche per la premiazione che si terrà a Bagnoli di Sopra (PD), sede dell’HAG, la mattina di domenica 13 ottobre in luogo prestigioso ancora da destinarsi. Si tratterà di un evento specifico, pensato per rendere il giusto onore agli autori finalisti e ovviamente aperto a tutti i soci dell’HAG che potranno raggiungere l’aviosuperficie “Ali di Bagnoli” anche a mezzo dei loro splendidi velivoli storici.
Ulteriori novità nel prossimo comunicato.
A questo punto rompete gli indugi perché l’atterraggio della VIIa edizione di RACCONTI TRA LE NUVOLE è prevista per il 30 giugno mentre per il 1 agosto è fissata la divulgazione dei nomi dei 20 finalisti. Per la classifica finale e proclamazione del vincitore occorrerà invece attendere fino al 1 settembre.
E ora … scaldate i motori e … di corsa a scrivere!
editore: Ponte alle Grazie – Adriano Salani Editore
anno di pubblicazione: 2018
ISBN: 978-88-3331-024-4
“Quei maledetti piccoli aerei. Arrivano solo di notte, scendono silenziosi, lanciano il loro carico di fuoco e tornano rapidi fra le nuvole… Possibile siano donne? Così brave, abili, precise, incuranti del pericolo?
Arrivano la notte all’improvviso, seminano il terrore e poi toccano di nuovo il cielo.
Misteriose, sfuggenti, inafferrabili. Sembrano streghe. Nachthexen, streghe della notte”
E’ l’8 ottobre 1941 quando, in Unione Sovietica, con l’ordine numero 0099, vengono istituiti tre reggimenti di aviazione composti interamente da sole donne.
I tre reggimenti erano: il 586° caccia bombardieri con in dotazione gli YAK-1; il 587° bombardieri in picchiata con in dotazione i bimotori Petliakov-2; il 588° per i bombardamenti notturni con in dotazione i biplani Polikarpov Po-2.
Sarà proprio delle donne del 588° reggimento, che i tedeschi, con rispetto, soprannomineranno “Nachthexen” ovvero “streghe della notte“, che Ritanna Armeni ci parlerà, o meglio ci farà conoscere la loro storia raccogliendo la testimonianza di una Strega: Irina Rakobolskaja, vice comandante del 588° reggimento.
Il Polikarpov aereo in dotazione al 588° reggimento, che erroneamente nel libro viene definito come un bimotore (si può pensare che questa inesattezza provenga da un errore di traduzione dal russo all’italiano confondendo il significato di biplano con bimotore), è un biplano monomotore degli anni venti in legno, non è veloce con i suoi 120 km/h di velocità massima e non vola alto (tangenza operativa di soli 1000 metri).
Ma richiede una manutenzione minimale, è facilmente riparabile, non ha bisogno di aeroporti per decollare e atterrare: un qualunque campo appena pianeggiante va bene.
Un aeroplano apparentemente non adatto all’impiego in guerra e un gruppo di giovani donne apparentemente non adatte all’impiego in guerra, formeranno un connubio formidabile e una perfetta macchina da guerra.
Il libro non contiene racconti dettagliati di missioni di guerra, nè troveremo foto, l’unica è quella di copertina una giovane “Strega” che abbraccia l’elica del suo Polikarpov, ma è una storia che inizia nel giugno del 1941 con il comunicato radio di Molotov:
“Alle 4 di questa mattina, senza alcuna dichiarazione di guerra e senza che prima sia stata fatta alcuna rimostranza all’Unione Sovietica, le truppe tedesche hanno attaccato lungo le nostre frontiere …”
Seguiremo questo gruppo di giovani donne, rivivremo le loro emozioni: gioia, dolore, delusione, amarezza, ma anche caparbietà, ostinazione e grandissima forza di volontà e la consapevolezza che potevano farcela.
Sono tutte volontarie, vogliono dare il loro contributo per la difesa della patria, ma soprattutto non vogliono sentirsi dire: “no”, solo perché sono donne. Il Socialismo aveva sancito la parità tra uomo e donna, e ora loro erano lì a pretendere di fare la loro parte.
La prima battaglia che dovranno combattere e vincere è quella contro il pregiudizio, lo scetticismo e l’ironia che non verrà loro risparmiata.
Formeranno un gruppo eccezionale che porterà, nel 1943, al 588° reggimento il conferimento del titolo di “46° Reggimento della Guardia”, è un riconoscimento importante: le Streghe sono diventate “sentinelle della patria”.
La storia termina il 15 ottobre 1945, quando il 588°, divenuto 46° reggimento della Guardia, è sciolto. Vengono consegnati al museo dell’Armata Rossa i documenti di volo, la bandiera e gli oggetti che avevano riguardato il reggimento.
L’Unione Sovietica, unica nazione coinvolta nella II Guerra Mondiale ad impiegare le donne in combattimento lungo le linee del fronte, archivia così un esperienza, e con paternalismo rinvia le donne a casa affinché ora, in tempo di pace, riprendano il loro ruolo di mogli e madri all’interno delle famiglie dalle quali erano state per troppo tempo lontane.
Le Streghe hanno compiuto 23000 voli in 1100 notti di combattimento, 31 di loro sono morte in missione.
Sono donne che hanno affrontato da guerriere l’orrore della guerra, senza mai lasciarsi scoraggiare.
Una storia poco ricordata se non addirittura lasciata cadere volutamente nell’oblio nella stessa ex Unione Sovietica da una storia scritta al maschile. L’Unione Sovietica aveva coraggiosamente osato tanto. Le donne sovietiche avevano risposto con entusiasmo e hanno ben ripagato la fiducia in loro riposta.
Ma neanche il Socialismo sovietico riesce ad accettare quello che queste donne avevano dimostrato con i fatti: la loro capacità di affrontare, alla pari, gli stessi compiti affidati ai loro colleghi uomini. Non sono scese in piazza a gridare slogan, ma sono andate a combattere in guerra affianco ai reggimenti maschili.
Il loro successo sembra infastidire, quasi impaurire, i vertici politici di allora ma anche quelli successivi alla caduta dell’Unione Sovietica. Dare enfasi o semplicemente ricordare queste pagine di storia poteva forse far crescere nelle donne l’aspirazione a ruoli di rilevanza politica? Il fatto che le donne non si erano tirate indietro, non avevano chiesto di rinunciare a questo progetto ma erano arrivate sino alla fine, ha lasciato spiazzati tutti. Cos’altro avrebbero potuto chiedere e pretendere ancora?
In Italia il servizio militare femminile effettivo su base volontaria verrà introdotto solo nel 1999. Prima del 2000 l’impiego in guerra, delle donne, era limitato al solo Corpo delle infermiere volontarie della Croce Rossa Italiana.
Un libro alla memoria delle Streghe che furono. Di riflessione per le Streghe che sono e che saranno.
Recensione a cura di Franca Vorano.
Didascalie a cura della Redazione di VOCI DI HANGAR
Non è facile scrivere racconti, ancor meno è facile scrivere racconti aeronautici. Ecco spiegato il perché apprezziamo molto coloro che, pur essendo dei navigati e talentuosi praticanti della scrittura creativa, si cimentano per la prima volta, non senza una buona dose di audacia, nella narrativa a carattere aeronautico.
E’ questo il caso di Bruno Bolognesi che, dall’alto della sua pluriennale esperienza di autore di narrativa, ha raccolto la nostra sfida partecipando alla VI edizione del Premio fotografico/letterario RACCONTI TRA LE NUVOLE organizzato dal nostro sito e dall’HAG.
L’autore – lo confessa nella sua biografia – non è un addetto ai lavori (aeronautici) e, benchè abbia conseguito ottimi risultati in numerosi altri Premi letterari, non ha mai affrontato il complesso mondo dell’aviazione. Dunque, a maggior ragione, gode di tutto il nostro rispetto.
Purtroppo il racconto non ha goduto dei favori della giuria che lo ha relegato al di fuori dei 22 fortunati finalisti (e dunque pubblicati nell’ambito dell’antologia del Premio), forse a torto o ragione … chi può dirlo? Tutto sta al gusto personale.
Ad ogni modo, l’idea narrativa concretizzata dall’autore a noi è piaciuta; leggere questo racconto ci ha recato un sottile piacere perché la storia fila via con il supporto di vicende parallele innescate dagli immancabili ricordi di un professionista dell’aria. Inoltre i personaggi sono freschi e genuini, il testo è scorrevole e privo di tecnicismi inutili, anzi, al contrario, ha un certo spessore divulgativo giacché spiega con infantile chiarezza delle nozioni spesso clamorosamente travisate da un certo tipo di giornalismo sensazionalistico. In definitiva: un racconto che si legge tutto d’un fiato in quanto si tratta di una composizione leggera, senza spigoli vivi o pretesti di riflessione profonda.
Per concludere un racconto che siamo lieti di ospitare nel nostro hangar, fiduciosi che, un po’ egoisticamente, il buon signor Bruno ce ne regali degli altri. Magari con la scusa di proporli al nostro Premio letterario.
Intesi, sig Bruno?
Nel frattempo leggiamoci la breve sinossi di questo racconto preparata dall’autore medesimo:
Un nonno, un nipote, un cane. Comune denominatore dei personaggi che, di volta in volta, si affacciano nel racconto: volare, sfidare la forza di gravità; nutrirsi di storie di aviazione nel bel mezzo di un giardino, per poi costruire nei sogni di bambino, un mondo parallelo, fantastico dove piloti di aeroplani supersonici sfondano il muro del suono e spengono incendi a bordo delle loro macchine volanti. Il nonno pilota traccia la sua carriera di aviatore spezzettandola in tanti episodi avvenuti qua e là per il mondo. Il nipotino approva e si incanta, mentre anche Fido, il bassotto di casa, sembra gradire.
Tre personaggi in un continuo viaggio che inizia nella realtà vissuta e che decolla, con le ali della fantasia, per navigare nel meraviglioso mondo dei sogni.
Amen!
Narrativa / Medio – Lungo
Inedito;
Ha partecipato alla VI edizione del Premio fotografico/letterario “Racconti tra le nuvole” – 2018
titolo: Falling to Earth – an Apollo 15 astronaut’s journey [Cadendo sulla Terra – un viaggio dell’astronauta dell’Apollo 15 ]
autore: Al Worden with Francis Franch
editore: Smithsonian Books – Washington
(2011, edizione digitale, prima edizione)
eISBN: 978-1-58834-310-9
Questo è davvero un libro speciale.
Tutti i libri possono esserlo, ma alcuni sono più speciali di altri. Già l’argomento, le missioni spaziali, le prime in assoluto da quando esiste l’essere umano sulla Terra, è di un interesse travolgente. Queste missioni si sono svolte in un periodo di pochi decenni. Un tempo insignificante, se messo in confronto con i millenni che l’umanità aveva già alle spalle. E considerato anche che la conquista dell’aria, cominciata si nel 1800, ma realmente perfezionata solo nei primi anni del 1900, aveva avuto anche questa uno sviluppo esponenziale che ha del prodigioso.
Nessuno si sarebbe mai immaginato di poter camminare sul suolo lunare così presto.
Sulla scia della rivalità e della competizione con l’Unione Sovietica, il presidente Kennedy aveva promesso di portare l’Uomo sulla Luna prima della fine del decennio. Erano gli anni sessanta.
Per mantenere la promessa, gli Stati Uniti avevano posto in atto uno sforzo immenso, sia dal punto di vista tecnologico che economico. E anche di risorse umane. Gli equipaggi erano stati selezionati tra i migliori piloti del momento, quasi tutti piloti sperimentali, super qualificati e provenienti da tutte le aviazioni, sia dell’Aeronautica che dell’Esercito, della Marina e dei Marines.
Lo spazio, però, è un ambiente diverso rispetto all’atmosfera. Dal 1969, l’anno del primo allunaggio ad opera dell’Apollo 11, fino al 1972, anno dell’ultimo allunaggio portato a termine dall’Apollo 17, possiamo contare tre meri anni durante i quali 12 uomini hanno passeggiato sulla Luna e sei sono rimasti ad orbitare velocemente sopra di loro, soli a bordo e con una miriade di compiti da svolgere.
Poi tutto è finito. Le missioni Apollo hanno lasciato il posto all’epoca dello Shuttle, alla costruzione delle stazioni spaziali, una russa (la MIR) e una americana, ma più che altro internazionale, la I.S.S. (International Space Station).
Solo in questo periodo, un paio di decenni dopo il 2000, si sente di nuovo parlare di ritorno nello spazio profondo, lontano dall’orbita terrestre, addirittura si parla di Marte e di alcuni asteroidi lontani.
Il libro di cui parliamo riguarda la vita di uno dei membri dell’equipaggio dell’Apollo 15. E precisamente di colui che non era destinato a scendere sul suolo lunare, ma a restare in orbita, solo e con tantissime cose da fare.
E già qui la storia comincia a farsi interessante. Perché Alfred Worden è un tipo speciale e tutta la sua storia lo è, a cominciare dalla sua infanzia fino ai giorni nostri.
Ha scritto solo questo libro, ma che libro!
Le prime pagine cominciano con la prefazione del Capitano Dick Gordon, astronauta e pilota della Gemini 11, poi pilota del modulo di comando dell’Apollo 12 (anche lui destinato ad orbitare la luna senza scendere al suolo) e poi comandante di riserva dell’Apollo 15. Ogni equipaggio in addestramento per una missione aveva un altro equipaggio che si addestrava in parallelo ed ogni membro di backup era immediatamente pronto e disponibile a sostituire il titolare per qualunque ragione che gli avesse impedito di partire, fosse pure un banale raffreddore.
Poiché una recensione è essenzialmente una presentazione, destinata a chi, venuto a conoscenza dell’esistenza di un libro, vorrebbe conoscerne il tipo di contenuto per decidere se leggerlo o meno, non esito a consigliare chiunque abbia un Kobo a comprare “Falling to Earth” subito e cominciare a leggerlo. E’ in inglese. Purtroppo non esiste, per quanto ne so, la versione italiana. Ma di questo problema ho già parlato nelle altre recensioni, qui su VOCI DI HANGAR.
Per chi ha letto le mie precedenti recensioni di libri sullo stesso argomento e scritti da altri astronauti, diciamo subito che anche questo traccia un po’ la vita dell’autore, dall’infanzia fino alle scuole iniziali, al periodo dell’Accademia militare, in questo caso West Point (forse la più prestigiosa), fino ad arrivare alla scuola di volo.
Worden opta per l’Air Force. Molti suoi colleghi vennero arruolati invece dalla Navy, la Marina americana. Altri scelsero i Marines.
Alcuni, molti, finirono a combattere in Vietnam.
Erano molti i reparti di volo dove tutti questi piloti prestavano servizio e dove furono raggiunti dalla notizia che la NASA, l’ente spaziale americano, ricercava piloti da avviare alla carriera di astronauti. Anche se, all’inizio, li cercava solo nei reparti sperimentali di volo.
Infatti, tutti i primi neo-astronauti, tranne qualche eccezione come Buzz Aldrin, erano test-pilots, i piloti sperimentali, il meglio in assoluto per esperienza e capacità. In altre parole i più indicati per entrare a far parte di un settore nuovo come l’astronautica, dove ogni cosa sarebbe stata essenzialmente sperimentale. Con tutte le incognite e i rischi associati.
Molti piloti mandarono il proprio curriculum e furono inviati alle visite mediche e ai colloqui necessari. Worden si trovava in Inghilterra, presso il Centro sperimentale inglese. Fu fatto rimpatriare, superò i test ed entrò a far parte della NASA come membro di equipaggio.
Gli anni che seguirono furono anni durissimi, come si può immaginare. La disponibilità degli equipaggi doveva essere totale, il lavoro andava ben oltre le canoniche otto ore, spesso durava giorni e notti con appena qualche ora di sonno. Si lavorava anche nei fine settimana. Inoltre i centri della NASA e le sedi dove venivano costruiti i veicoli spaziali, i centri di addestramento e i simulatori di ogni tipo erano sparsi per tutto il paese. Gli astronauti dovevano attraversare gli Stati Uniti in lungo e largo, migliaia di chilometri che percorrevano a bordo del caccia biposto T38. Questo meraviglioso addestratore veniva usato come aereo executive personale. Ogni astronauta ne aveva uno e lo usava per andare dove serviva, quasi come un’automobile.
Worden era sposato con Pamela. Avevano una figlia e poi ne ebbero un’altra. Ovviamente la moglie restava da sola per periodi lunghissimi e aveva sulle proprie spalle la responsabilità della famiglia della quale mancava sempre un elemento importante. I trasferimenti erano molto frequenti, bisognava cambiare stato, città, casa. Una vita dura.
Tutti questi disagi non andavano certo a favore di una serena unione familiare.
Dopo alcuni anni anche Worden si trova ad affrontare un divorzio. Come quasi tutti i suoi colleghi.
Ci furono almeno due incidenti terribili, in quegli anni. Sapevo già, dalla lettura dei libri di altri astronauti, dell’incendio della navicella sulla piazzola di lancio, di quella che doveva essere la missione Apollo 1 (che per questo cambiò anche nome, anzi, numero), dove persero la vita tutti i tre membri di equipaggio e dell’incidente di volo di due colleghi di Worden, mentre cercavano di atterrare in condizioni di scarsissima visibilità, a bordo di un T38. Morti entrambi.
Ma Worden rivela in questo libro anche altri incidenti di cui non sapevo nulla.
La moglie Pamela, però, sapeva eccome. E aveva cominciato a capire che il lavoro del marito era estremamente pericoloso. E non stava mai tranquilla. Aveva visto come altre mogli di astronauti avevano ricevuto la notizia della morte dei loro mariti e si aspettava anche lei, in ogni momento, una visita del genere. Non ce la faceva più.
In questo libro, Worden mette bene in evidenza tanti elementi, compresi i rischi inerenti al suo lavoro. Diciamo che, leggendo i capitoli, si viene ad avere, via via, una idea molto più chiara di tanti episodi già letti in altri libri.
L’autore è un tipo deciso, caparbio, meticoloso. Sa scrivere in modo molto vivido ed ha le idee chiare su ogni cosa. Si percepisce dalla lettura, ma oggi si può anche fare riferimento ai tanti video di Youtube. Andate a vedere il tipo, come è oggi, come parla e come si muove. Ha una simpatia innata, modi amichevoli e tranquilli, ma si vede la decisione in ogni suo gesto.
Negli anni che hanno preceduto il suo divorzio da Pam, tanto per fare un esempio, sperimentava i voli sub-orbitali, utilizzando un velivolo F104 modificato. Decollava, saliva ad un livello altissimo, accelerava al massimo, poi tirava su il muso in una ripida cabrata che lo portava oltre il limite dell’atmosfera, intorno ai cento chilometri di quota. Il motore veniva spento e l’aereo entrava in una traiettoria balistica che per alcuni momenti avveniva in uno strato basso dello spazio. Poi ricadeva nell’atmosfera, il motore veniva riacceso e si tornava a terra, spesso atterrando sulla superficie dura e liscia di un lago asciutto della California.
Chuck Yeager, il famoso pilota sperimentale, aveva già perso un velivolo in questo modo e si era dovuto lanciare. Nel lancio, il canottino gonfiabile che aveva addosso, aveva preso fuoco e per spegnerlo e sganciarlo si era ustionato le mani.
Come dare torto a Pamela?
Alla fine, sia pure in condizioni di massima civiltà e senza liti, i due si separano.
Al Worden ne parla nel libro.
“Although I will always regret that my marriage to Pam did not work out, once it ended I saw I never could give her what she needed in life. She wanted stability and comfort. That wasn’t me”.
“Sebbene sarò sempre rammaricato che il mio matrimonio con Pam non abbia funzionato, una volta finito mi sono accorto che non avrei mai potuto darle ciò di cui lei aveva bisogno nella sua vita. Lei voleva stabilità e comodità. Quello non ero io”.
E dice che solo due mesi dopo il divorzio Pam venne a trovarlo a casa insieme al suo nuovo compagno. Il suo nome era Jim e a lui piaceva lavorare dalle nove alle diciassette, tornare a casa mettere le pantofole e fumare la pipa.
Beh, certo, era tutto un altro tipo di uomo. Dice Worden:
“Pam had found happiness, at last”. “Pamela aveva trovato la felicità, alla fine”.
Gli scienziati che contribuivano a preparare le missioni lunari erano interessati soprattutto a scoprire l’origine geologica del suolo lunare e delle rocce che erano presenti intorno ai crateri. Pensavano che i crateri fossero originati dall’impatto di meteoriti, ma volevano scoprire se fossero anche il risultato di eruzioni vulcaniche.
Negli anni, prima della missione Apollo 15, Worden fece tanto addestramento in giro per l’America, per essere in grado di riconoscere e distinguere l’origine di ogni roccia, se era vulcanica o no.
Divenne quasi un geologo lui stesso, ma nell’ultima missione, Apollo 17, la NASA mandò sulla luna un geologo vero, come ho scritto nella recensione del libro di Gene Cernan.
I capitoli si susseguono, il racconto della vita operativa di Worden contiene tanti aspetti che altri, nei loro libri, non hanno neppure sfiorato. Si impara, da questo libro. Devo dire che la missione Apollo 15 ha avuto molti più compiti delle precedenti, molti più esperimenti da portare a termine. Una delle pareti del modulo di servizio, quello che contiene il motore e resta in orbita lunare insieme al modulo di comando, in un tutt’uno che si separerà solo poco prima del rientro nell’atmosfera terrestre, era letteralmente zeppa di strumenti, sensori e macchine fotografiche.
Le pellicole impressionate, gli archivi con le registrazioni di tutti questi strumenti dovevano essere recuperati nel volo di rientro perché il modulo di servizio non era destinato a tornare a terra. Worden portò a termine questa operazione (E.V.A. Extra vehicular activity) nel primo terzo di percorso tra la Luna e la Terra. Nessuno aveva mai fatto questo. E’ la passeggiata spaziale più lontana dalla Terra di sempre. E da lì poteva vedere Terra e Luna contemporaneamente.
Worden rimase in orbita lunare da solo per sei giorni, mentre i suoi due colleghi scendevano al suolo a bordo del LM (Lunar Module). Ad ogni giro intorno alla Luna fotografava e mappava la superficie con strumenti di ogni tipo. Un lavoro enorme. Gli strumenti erano in grado di rilevare la presenza di qualunque elemento chimico, gas o particella, specialmente di origine vulcanica.
Una cosa curiosa che Worden riporta nell’ambito di questa ricerca è abbastanza impensabile e non mi sarebbe mai venuta in mente, se lui non l’avesse detta.
Ad un certo punto, mentre orbitava e faceva rilevamenti con i suoi sensori, questi hanno scoperto la presenza di particelle di origine terrestre e che… non dovevano essere lì. Ma subito il fatto aveva trovato la sua spiegazione.
Durante il viaggio verso la Luna, in tre giorni e mezzo, è umano che si debbano espletare le tipiche funzioni fisiologiche. Sia la pipì che il resto veniva messo in apposite buste, sulle quali veniva segnato il nome, l’ora etc. Questi reperti sarebbero stati studiati al rientro. Ma a volte il contenuto veniva inserito in uno scomparto che lo sparava fuori nel vuoto spaziale. Però nello spazio ci sono altre leggi fisiche. La nuvola di scorie non si disperdeva, ma seguiva la navicella, anche quando questa entrava in orbita intorno alla Luna. In una di quelle orbite, i sensori ne avevano rilevato la presenza, con una certa sorpresa per l’astronauta che operava quei sistemi.
Bene. Fin qui, a parte la meticolosità e l’abbondanza delle descrizioni e la vividezza del modo di narrare dell’autore, potrei quasi dire che si tratta di un normale libro scritto da un astronauta.
Worden era al suo primo volo spaziale, a differenza di altri che avevano partecipato alle missioni Gemini. Veniva da anni di addestramento, da studi di tutti i tipi, corsi di geologia e voli parabolici per simulare la condizione di assenza di gravità. E da lunghe sessioni subacquee per simulare la cosiddetta attività extra veicolare (E.V.A. o extra vehicular activity).
Era entusiasta e aveva un gran rispetto gerarchico per i superiori, compreso il suo comandante Dave Scott. Ed era animato da un grande senso di cameratismo e amicizia per l’altro membro di equipaggio, James Irwin.
E forse proprio per questo, poco prima del lancio, avvenne qualcosa di sconcertante, di banale e allo stesso tempo di gravissimo. Qualcosa che avrebbe rovinato la carriera di questo grande pilota e grande uomo. E dopo aver portato a termine la missione in maniera tanto perfetta. Dopo aver fatto molto di più di altri astronauti. E dopo aver ricevuto continui elogi e riconoscimenti per la perfezione della sua opera, sia dai colleghi, che da tutto l’apparato di controllo a terra e sia dai membri del congresso e dalla Casa Bianca.
Cosa era successo?
Il lettore lo scopre sin dalle prime parole della prefazione, scritta da Worden stesso.
“It was the worst day in my life. I’d had low points before. A failed marriage. Friends dead in car wrecks, aircraft, and spacecraft. This day was almost worse than death. Everything I had worked towards over a lifetime of service was ruined, and I was all alone. Yust a few months before, heads of state had onored me. Congress asked me to address them. I was called a hero. Now I was clearing out my rented apartment, loading boxes into a trailer, and preparing to leave Houston forever. I’d been fired in disgrace and frozen out by my colleagues. I had lost everything: My career, and the respect and trust of those for whom I would have given my life”.
“Era il giorno peggiore della mia vita. Avevo già avuto punti bassi prima. Un matrimonio fallito. Amici morti nei rottami di un’auto, aereo e veicolo spaziale. Questo giorno era quasi peggio della morte. Tutto ciò per il quale avevo lavorato attraverso una vita di servizio era rovinato, ed ero solo. Pochi mesi prima, capi di stato mi avevano onorato. Il congresso mi aveva invitato a fare un discorso. Ero stato chiamato eroe. Ora stavo pulendo il mio appartamento in affitto, caricando scatole in una roulotte e mi preparavo a lasciare Houston per sempre. Ero stato scacciato e scaricato dai miei colleghi. Avevo perso tutto: la mia carriera ed il rispetto e la fiducia di coloro per i quali avrei dato la vita”.
Parole terribili. Specialmente se le leggiamo già all’inizio di un libro.
Il giorno di cui Worden parla si riferisce all’estate de 1972. La missione Apollo di cui aveva tanto onorevolmente fatto parte risaliva al 1971. Pochi mesi erano passati, ma un grande guaio era scoppiato, come una bomba ad orologeria.
A questo argomento sono dedicate tante pagine, perché si tratta di una cosa complessa. Ma per sintetizzarla al massimo, diciamo che si era trattato di qualcosa di molto banale. Tutti gli equipaggi, ad ogni volo, portavano con sé alcuni gadget che poi, una volta tornati, avevano acquistato valore per essere stati nello spazio. Figuriamoci se erano stati addirittura sulla luna.
Nel corso delle missioni ai semplici gadget si erano aggiunte certe buste affrancate, con annulli che ogni filatelico avrebbe pagato a peso d’oro. Il comandante Dave Scott, nella missione Apollo 15, ne aveva portate centinaia, un po’ per l’equipaggio stesso, quindi anche per Worden, e un po’ per alcuni personaggi estranei. Questi faccendieri, alla fine della missione avevano subito messo in vendita le buste, facendo scoprire un illecito che la NASA si era trovata a dover giustificare, con grande imbarazzo, verso l’opinione pubblica e verso il governo degli Stati Uniti.
Ovviamente non era consentito trarre vantaggi economici da una professione per la quale si era già pagati.
La vicenda entra in una spirale perversa, passano decenni prima che se ne venga a capo. Alla fine la colpa si riduce ad un illecito di scarso valore e tutti sono riabilitati, ma intanto la rovina era fatta.
Jim Irwin si ritirò subito e andò in pensione, Dave Scott rimase, ma ebbe comunque gravi ripercussioni nella carriera.
Worden, invitato a lasciare la NASA e a rientrare nei ranghi dell’Aeronautica, dove la sua carriera sarebbe stata comunque compromessa, ci pensò sopra per alcuni giorni. Poi, il suo carattere indomito si rifiutò di subire la conseguenza di una stupida leggerezza indotta più che altro dall’intraprendenza del suo comandante. Lui aveva solo acconsentito per rispetto gerarchico, ma non aveva mai pensato di lucrare su una cosa del genere.
Perciò decide di rifiutare l’invito e di passare al contrattacco.
Chi leggerà questo libro vedrà come si svolgono i fatti negli anni successivi.
Il danno era fatto, ma…
Giusto per la cronaca, in questa missione c’è stato anche un altro elemento di rilievo che Worden mette bene in risalto. Dave Scott e Jim Irwin, durante i giorni passati sul suolo lunare, si sottoposero ad un lavoro estenuante. Il loro cuore si era talmente affaticato da preoccupare gli scienziati a terra già durante il volo di rientro. Infatti richiesero loro di indossare sempre un sensore per tenerli sotto controllo continuo. Senza comunque rivelare che almeno Jim rischiava una attacco di cuore in ogni momento.
Dave Scott si riprese abbastanza bene. Irwin no. Ebbe problemi, subì interventi chirurgici e alla fine, nel 1991, solo venti anni dopo essere tornato, morì di infarto. Nella sua vita successiva alla missione Apollo e al pensionamento si era dedicato interamente alla religione. Della quale non aveva mai parlato prima. Strani effetti della Luna.
Senza dubbio l’Apollo 15 ha tante cose particolari che lo caratterizzano. Al Worden ne parla diffusamente.
Ma ce ne è anche una che riguarda l’ultima parte della fase di rientro, quando si devono aprire i paracadute che frenano la caduta della navicella fino al cosiddetto splashdown sull’oceano.
Prima che la capsula tocchi l’acqua è necessario scaricare il carburante rimanente, quello che alimenta i piccoli getti di stabilizzazione. Si tratta di un elemento chimico tossico. Meglio non rischiare che una eventuale perdita contamini l’acqua. Di solito si scarica nell’atmosfera, dove i forti venti di alta quota disperdono tutto.
Stavolta i venti non ci sono e l’elemento tossico e corrosivo finisce sui paracadute. Uno di questi si deteriora. Grandi buchi si allargano sulla calotta, che si affloscia.
Anche un secondo paracadute incomincia a bucarsi, ma per fortuna la navicella ammara prima che succeda il peggio.
Su Youtube si trovano i video sulla discesa della navicella. Uno dei paracadute è quasi chiuso.
Oppure, per chi volesse approfondire l’argomento, ci sono tante foto, filmati e articoli sul sito www.alworden.com.
Una frase conclusiva che sintetizzi tutto quanto esposto sopra?
Un gran bel libro.
Vale la pena cercarlo e scaricarlo sul Kobo. Anche se per farlo dovesse essere necessario comprare anche il Kobo.
Recensione a cura di Evandro Aldo Detti (Brutus Flyer)
Didascalia della Redazione di VOCI DI HANGAR
Nota della Redazione
Tutte le fotografie presenti in questa recensione sono state prelevate gratuitamente dallo splendido sito web Apollo archive che vi invitiamo a visitare in lungo e largo. Troverete centinaia di scatti a colori e in bianco e nero che ripercorrono le missioni Apollo nonchè le pre e post Apollo. Ricco di didascalie e di ulteriore materiale collaterale, è un sito divulgativo cui non smetteremmo mai ti attingere. Perchè se è vero che la storia, per essere viva, deve essere vissuta, ebbene siamo certi che questa è la migliore opportunità offerta a coloro che vogliano farlo davvero
Esistono tanti modi per fare divulgazione storica come pure esistono soluzioni originali per insegnare ai bambini la storia, per appassionarli alle vicende e ai personaggi che hanno animato il passato.
Rosa Danila Luomi, insegnante elementare in pensione, ce ne fornisce un esempio illuminante con il suo singolarissimo racconto “Geo Chàvez, alata avventura” con il quale ha partecipato, senza godere dei favori della giuria, alla VI edizione del Premio fotografico/letterario RACCONTI TRA LE NUVOLE.
La composizione non è stata ritenuta meritevole di avere accesso alla fase finale dell’iniziativa promossa dal nostro sito e dall’HAG, tuttavia approda nel nostro hangar con grande giubilo da parte nostra. Inutile negarlo. Certo, l’autrice ne se sarà amareggiata, ma sappia che gode del nostro più sincero apprezzamento giacchè ci consente anzitutto il privilegio di leggere un racconto inusuale e poi, soprattutto, ci concede l’opportunità di poter ricordare le gesta di Geo Chàvez, appunto, che è poi è lo scopo ultimo di questo cameo narrativo.
Ma andiamo con ordine.
Siamo nel 1910 e, se da una parte, l’aviazione è considerata ancora una pratica pericolosa riservata a pochi rompicollo dell’aria, dall’altra, per gli audaci pionieri del cielo si sono appena aperti sconfinati orizzonti di gloria.
E’ ancora vivida, ad esempio, l’impresa compiuta nel luglio del 1909 che ha consentito all’ardimentoso pilota francese Louis Bleriot di attraversare La Manica, lo stretto braccio di mare che separa il continente europeo dall’isola britannica. Per la cronaca, impiegò la bellezza di 36 minuti volo alla media di 64 km/h; oggi lo stesso tratto si percorre in un tunnell sotterraneo in una manciata di minuti, comodamente seduti nelle poltrone di un confortevole convoglio ferroviario …
Ma non divaghiamo … sull’onda dell’impresa di Bleriot, dicevamo, i continentali europei potevano essere da meno? Certo che no! Ed ecco allora che, l’Aeroclub di Milano e il Corriere della Sera, in occasione del Circuito Aereo Internazionale di Milano del settembre 1910, mettono in palio un congruo montepremi per chi per primo riuscirà a valicare le Alpi. Ebbene quell’uomo sarò Jeorge Chàvez Dartnell, ricordato confidenzialmente da tutti come: Geo Chàvez.
Per dovere storico siamo tenuti a precisare che Geo decollò da Briga, in Svizzera, e, dopo aver effettuato due tentativi infruttuosi (a causa delle avverse condizioni meteo), atterrò rovinosamente a Domodossola dove precipitò al suolo da un’altezza di circa 20 metri.
Il suo monoplano Bleriot XI, costruito per lo più in legno e tela, era stato messo a dura prova dai voli in montagna e incappò in quello che oggi chiameremmo: cedimento strutturale. Le semiali si chiusero sulla fusoliera e Geo fu letteralmente ritrovato, neanche gravemente ferito, sotto ai rottami del suo stesso velivolo.
Era il 23 settembre 1910 e un’altra tappa della storia dell’aviazione era stata scritta.
Ora, ricordare brevemente le vicende di Geo Chavez, ospiti in un hangar come il nostro, tra appassionati di volo o anche tra semplici curiosi di aviazione, apparirà alquanto banale; viceversa, tutta altra sfida è farlo con dei bambini, proverbialmente disinteressati e oggi fin troppo tecnologici, più inclini ad appropriarsi del proprio futuro che non a recuperare il passato altrui.
Come fare, cosa fare?
Inventare una storia? Dare un alito di vita al personaggio? Coinvolgere l’interlocutore sempre distratto stimolandone la fantasia? Fargli rivivere le medesime sensazioni che l’eroe-protagonista provò realmente? Recandosi nei luoghi che lo videro compiere quelle sua gesta? … ebbene “Geo Chavez, alata avventura” è la cronaca di questo esperimento, è il resoconto di come sia possibile far appassionare un nipotino di soli nove anni a una storia lontana più di cento.
E di questo siamo grati alla nostra Rosa Danila perchè, almeno con noi, che nove anni li abbiamo compiuti da qualche lustro, ha funzionato. Non farà testo, ma il suo racconto ci ha appassionato, ci ha costretto ad appronfondire, a cercare le foto e i siti web che celebrano o comunque ricordano la figura del giovane pilota peruviano. E brava Rosa: missione compiuta!
E per concludere questa breve scheda critica, vi riportiamo la breve sinossi elaborata dalla stessa autrice:
“Una storia vera raccontata con semplicità , la storia di Geo Chavez ricostruita per far nascere curiosità ed entusiasmi.
Questo eroe dell’aria per tanti anni dimenticato, in occasione del centenario della sua impresa, si è riproposto quasi prepotentemente all’attenzione di tanti e per lui sono stati organizzati spettacoli, celebrazioni, gemellaggi.
Tutto il Verbano, Cusio e soprattutto l’Ossola hanno ripercorso passo passo la storica trasvolata delle Alpi e magicamente Geo Chàvez ha ripreso vita comunicando gioia e spirito d’avventura.
I magici giorni che ho vissuto con Giacomo ripensando e rivivendo quel volo straordinario sono stati unici ed emotivamente intensi: oggi quando insieme ne parliamo quasi non ci sembrano veri . Ma è successo ed è stato uno dei tanti regali che Giacomo ha saputo farmi. Gliene sarò sempre grata.
Perché ho scritto questa storia? E’ semplice … perchè temo di dimenticare .”
Narrativa / Breve
Inedito;
ha partecipato alla VI edizione del Premio fotografico/letterario “Racconti tra le nuvole” – 2018;