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Alan Mc Carthy


Avete mai letto un libro di Emilio Salgari?

Al di la della pronuncia (non si sa mai se quella corretta sia Sàlgari o Salgàri ma parrebbe buona la seconda), siamo certi che in età infantile o al massimo adolescenziale abbiate letto almeno un libro del ciclo dei pirati della Malesi o del ciclo dei pirati delle Antille. E corretto? Confessate!

Il Britten -Norman Trislander è il velivolo protagonista delle avventure di sir MC Carthy. Evoluzione migliorativa del più convenzionale Britten-Norman BN-2 Islander, è stato costruito complessivamente in 85 esemplari a partire dal 1971 ma la sua produzione è cessata dopo che l’azienda è stata assorbita dalla Pilatus negli anni ’80. Da diversi anni è in programma una seconda generazione di Trislander ma, al momento, rimane probabilmente solo un bel progetto in attesa di tempi migliori . O di cieli migliori? – foto proveniente da www.flickr.com –

Chi vi scrive non ha invece alcun timore ad ammettere che rispolvera volentieri le imprese di Sandokan, di Tremal-Naik o del Corsaro Nero e che, non più tardi di alcuni mesi orsono, ha scovato addirittura un audiolibro tratto da un romanzo di Emilio Salgari. Il titolo? Semplice: “Le meraviglie del 2000”. Un ascolto molto illuminante, specie se consumato in pieno lock down.

Ma torniamo al nostro autore veronese, universalmente riconosciuto come il re della narrativa d’avventura, ingiustamente definita “per ragazzi”. Ebbene occorre ricordare a chi non ne conosce i tratti biografici, che il nostro Salgari non visitò mai i luoghi così magistralmente descritti né partecipò mai alle traversate o alle scorribande per i quattro angoli del pianeta che sono spesso presenti nei suoi romanzi. Egli visse tutto con la fantasia, chino sullo scrittoio della sua modestissima abitazione e nelle austere sale delle biblioteche che frequentò quasi quotidianamente.

Affermare che il Trislander sia alquanto singolare come velivolo è oltremodo eufemistico. Anche perchè, fatto salvo per alcuni i grandi velivoli commerciali che sono dotati di un terzo motore alla base della deriva (leggasi: il Dassault 900, il Lockeed L1110 Tristar, il Mc Donnell Douglas MD 11, il DC10,  ecc ecc), l’architettura del Trislander non è proprio così ortodossa tanto che non conosce uguali nel settore degl executive dotati di motori alternativi a combustione interna. Praricamente è unico nel suo genere … – foto proveniente da www.flickr.com – 

Non viaggiò mai in luoghi esotici e non incontrò mai qualcuno che potesse somigliare – anche lontanamente – ai personaggi che così vividamente ritratti troviamo nei suoi scritti. Salgari inventò tutto da fermo, lui statico e il suo mondo di eroi che gli turbinava tutto attorno.

Questa è la vista di cui  sarebbe possibile godere dalla cabina di pilotaggio di un Trislander in procedura di avvicinamento ad Alderney, una delle Isole del Canale della Manica così chiamata dai britannici mentre i francesi la chiamano Aurigny. Si tratta di una piccola isola di circa 15 chilometri quadrati vicina più alla costa francese che a quella britannca. Ha circa 2500 abitanti. Un’isoletta sperduta – penserete – e invece si tratta di un paradiso fiscale inserito a pieno titolo nella lista nera dei luoghi deputati alle frodi fiscali. Dunque frequentata, eccome, da uomini d’affari o sedicenti tali. Da qui la necessità di una linea aerea con voli regolari. Chissà se dispongono di un vano speciale per il trasporto delle valigette!? – foto proveniente da www.flickr.com –

Qualcosa del genere deve essere capitato anche a Bruno Bolognesi che, seduto nella sua abitazione di Esanatoglia e con l’ausilio del suo fido pc, ha creato quel turbinio di avventure che hanno per protagonista il suo comandante Alan Mc Carthy.

Il Trislander è considerato un velivolo da trasporto commerciale per uso regionale. I suoi tre motori gli consentono infatti il decollo e l’atterraggio in circa 500 metri e un’autonomia di circa 1600 km. E’ in grado di trasportare 18 persone a bordo mentre il suo carrello fisso assai robusto gli consente di operare anche da superfici semipreparate. E’ maneggevole a bassa velocità, robusto e con un buon carico utile unito ad un livello di rumorosità ragionevole. Non ultimo un certa economicità di gestione. – foto proveniente da www.flickr.com –

Ovviamente tutto in chiave moderna.

Dunque non lo troveremo sulla tolda di un praho (tipica nave usata dai pescatori e dai pirati malesi) bensì ai comandi del suo Brittan-Norman Trislander (singolare trimotore britannico), non con indosso il turbante degli uomini del Borneo bensì con i Ray-Ban Aviator che gli proteggono gli occhi. E non ci sarà neppure il muscoloso malese seminudo dalla pelle olivastra che si muove con fare flessuoso tra la fitta vegetazione della jungla, no. Qui troverete un flemmatico pilota dal tipico aplomb britannico eppure capace di decisioni fulminanti e con un fegataccio che nulla avrebbe da invidiare allo Yanez de Gomera di salgariana memoria.

Non c’è immagine migliore di quella dal basso per apprezzare la bontà di forme del Britten Norman Trislander – foto proveniente da www.flickr.com –

Ma andiamo con ordine.

Il racconto ha due livelli narrativi: il presente con i due personaggi protagonisti e il variegato passato avventuroso di Mr MC Carthy. Alla staticità di un tavolo di un bar di una tranquilla cittadina britannica si alternano le avventure di questo pensionato sui generis. E’ il racconto di un’intera notte perché sono le confessioni di un settantenne alla fine della sua carriera di pilota militare e civile che ne ha viste e ne ha fatte in vita sua. Il suo interlocutore è un giovane giornalista di una rivista specializzata di aviazione curioso quanto basta. E ne sentiremo delle belle.

Ancora una bella immagine di un Trislander in rullaggio verso l’area di parcheggio di un aeroporto toccato dalla linea aerea che collega diverse città della Gran Bretagna con Aurigny. In risalto la notevole apertura alare che consente a questo velivolo non certo “smilzo” di decollare e atterrare in spazi relativamente brevi. – foto proveniente da www.flickr.com –

Di più non possiamo aggiungere – altrimenti finirebbe la sorpresa – ma possiamo certamente anticiparvi che non mancheranno le invenzioni folgoranti, seducenti personaggi femminili, gesti di altruismo e atti di bontà come li trovereste nei romanzi di Salgari.

L’autore così sintetizza il contenuto del suo racconto:

Volare, librarsi nel cielo con un artifizio meccanico a tre eliche, rimbalzando tra l’emisfero Boreale e quello Australe, rincorrendo o anticipando albe e tramonti, come ha fatto il Comandante Alan Mc Carthy nella sua lunga e rocambolesca carriera, non è cosa da tutti.

Robert Sinclair, con una sua intervista al Comandante, ha raccolto il succo dolce-amaro della sua storia, sospesa ad un’altezza intermedia, dove è ancora possibile riconoscere i dettagli delle case e quasi, quasi gli umori di coloro che le abitano.

Noi aggiungiamo che, come Salgari, il buon Bolognesi ha inventato luoghi, situazioni, personaggi e riferimenti verosimili dando vita ad un racconto piacevole e, per alcuni versi, avvincente.

Qualora ce ne fosse stata necessità, l’occhio impietoso del fotografo, ha esaltato un particolare che non passa certo inosservato: la coda e la deriva motorizzata di questi tre Trislander al parcheggio nell’aeroporto di Manila. – foto proveniente da www.flickr.com –

Certo al nostro servizio di intelligence non è sfuggito il dettaglio che il Trislander non ha mai fatto parte delle British Armed Forces (l’equivalente delle nostre Forze Armate) o che nel mondo aeronautico piace ricordare che un motore Lycoming O-540 ha 260 roboanti cavalli e non degli asettici 195 chilowatt di potenza. Ma non per questo gliene vogliamo, anzi … siamo sinceramente dispiaciuti che il racconto non abbia raggiunto la fase finale del premio letterario RACCONTI TRA LE NUVOLE, forse tradito dalla sua lunghezza (di una notte) o dalla minuziosa ricostruzione ambientale che ha distratto la giuria del Premio.

Se nel 1974 vi foste affacciati dalla terrazza dell’aerostazione dell’aeroporto di Glasgow, area passeggeri, ebbene avreste visto questo Trislander muoversi nel parcheggio. Poco dopo, per i soliti motivi di sicurezza, la terrazza fu chiusa e così, ad oggi, ci rimane solo questo scatto. – proveniente da www.flickr.com – 

Certo non ci spiacerebbe indossare i panni del giornalista e intervistare noi il sedicente pilota Bruno Bolognesi, magari seduti ai tavoli di una graziosa pasticceria italiana posta lungo le vie del suo stupendo borgo medievale marchigiano. Magari ci potrebbe svelare quanto c’è di fantasioso nel suo personaggio, a chi si è ispirato, come è scattata la molla della storia che ci ha regalato … Emilio Salgari? No, davvero?

Ma, fatto salvo per questa nostra insana curiosità, dobbiamo ammettere che troviamo questo racconto come assolutamente godibile sebbene la formula del lungo monologo del protagonista rischi facilmente di risultare banale … ma non tra le sapienti dita dell’autore che l’ha felicemente amministrata e dunque ha digitato una vicenda che mantiene sempre alta la curiosità del lettore. In questo testo la noia non trova appiglio.

Certamente il racconto è relativamente lungo ma è scritto con dovizia di particolari, reali o inventati che siano ma comunque credibili mentre i personaggi sono tratteggiati in modo encomiabile.

In definitiva un racconto da leggere e apprezzare tanto che, al termine, sognerete di diventare anche voi un po’ Alan MC Carthy … magari nella prossima vita, eh?



Narrativa / Lungo

Inedito

Ha partecipato alla VIII edizione del Premio letterario “Racconti tra le nuvole” – 2020


L’alba delle fate

Sebbene il processo evolutivo gli abbia negato la dimensione aerea, quello del volo è un sogno che accompagna da sempre il genere umano tuttavia, l’ingegno che lo contraddistingue gli ha consentito di elevarsi comunque al di sopra della dimensione terricola e di guadagnare con dei congegni volanti un mondo che, per sua natura, non gli è congeniale.

Così, benché nel corso dei secoli della storia dell’umanità si annoverino molteplici tentativi di ascendere e solcare gli spazi sconfinati dell’atmosfera – alcuni più probabili, altri avvolti letteralmente dalla leggenda – la conquista dell’aria è avvenuta in epoca abbastanza recente. Se infatti consideriamo una macchina più pesante dell’aria (annuari della storia dell’aviazione alla mano) sappiamo per certo si è involata solo agli inizi del ‘900 mentre una più leggera dell’aria verso la fine del ‘700. Dunque una conquista agognata eppure sfuggente, tecnicamente assai complessa da conseguire.

Oggi sono milioni i passeggeri che viaggiano in lungo e largo attraversando la dimensione aerea a tutte le quote e latitudini, per motivi di lavoro o di piacere, con il risultato che il volo ha perso un po’ del suo fascino ancestrale.

Esistono tuttavia diversi modi di volare: con gli autobus dell’aria, appunto, o con improbabili agglomerati di metalli leggeri assemblati in garage passando per minutissimi gusci d’uovo ma in materiali compositi o per finire ai grandissimi lenzuoli colorati pieni di funi e cordicelle … certo è che il volo rimane un’esperienza unica nel suo genere. E lo è tal punto che per alcune persone mantiene inalterato il suo fascino unico. Forse si tratta dei soggetti più sensibili oppure di quelli meno corrotti dall’abitudine o magari quelli più riflessivi. Semplicemente perché il volo comunica loro un senso di pace, è l’occasione per ritrovarsi di fronte alla visione della Terra dall’alto, per rimuginare sul proprio vissuto o pianificare il proprio futuro con rinnovato slancio.

Ancora un breve passo tratto dal racconto di Agnese Pelliconi: “Si guardò attorno: decine di mongolfiere si erano sollevate in volo assieme alla loro. Ognuna coi suoi colori e coi suoi passeggeri, tutte trasportate dal vento, in silenzio. Non aveva mai visto nulla di simile, era come essere dentro una fiaba. In effetti il paesaggio sotto di loro era veramente uno scenario da favola”

C’è poi un altro aspetto di cui occorre tenere conto. Esistono molti luoghi sul pianeta Terra in cui ci si può involare. Dal Polo Nord, percorrendo i due emisferi fino a giungere all’altro Polo, è ormai possibile volare pressoché ovunque ma è pur vero che ci sono dei luoghi cosiddetti “speciali” dove l’esperienza di volo – già di per sé speciale – assume dei connotati davvero unici quanto memorabili.

Ebbene uno di questi luoghi è senz’altro la Cappadocia in Turchia e, in particolare, il parco nazionale di Goreme, una sorta di museo all’aperto che – non a caso – gode dello status di Patrimonio dell’umanità dell’Unesco.

In quel luogo, la presenza di particolari formazioni rocciose denominate: “camini delle fate” e di una moltitudine di mongolfiere che svolgono voli turistici all’alba rende possibile a moltissimi visitatori l’opportunità di vivere un’esperienza memorabile che segnerà loro l’esistenza.

Non ci credete? … beh, allora leggete il racconto di Agnese Pelliconi e di Paola Trinca Tornidor che – incredibile a dirsi – hanno descritto minuziosamente – ciascuna a suo modo, s’intende – la medesima situazione.

Non sappiamo dire se Agnese e Paola abbiamo partecipato assieme allo stesso viaggio, tuttavia entrambe hanno descritto il loro volo in mongolfiera con la medesima vividezza. Così, se la prima ci ha regalato un racconto di più ampio respiro e dal taglio più intimista, la seconda ha preferito un breve racconto dai toni giornalistici piuttosto più che da quelli psicologici; eppure entrambe incuriosiscono il lettore e lo inducono a documentarsi oltremodo.

Una grande verità espressa da Agnese Pelliconi nel suo racconto applicabile più che altro a chi vola con macchine più pesanti dell’aria: “Chi pilota un volo non guarda indietro, guarda avanti.

Un altro aspetto le accomuna: hanno partecipato entrambe alla VII edizione del premio letterario RACCONTI TRA LE NUVOLE e, purtroppo, entrambe non hanno ricevuto un giudizio benigno da parte della giuria giacché non sono state ritenute meritevoli di accedere alla fase finale del Premio. Peccato.

Poco male, cara Agnese e Paola perché ci è stato concesso l’onore di ospitarvi entrambe nel nostro grande hangar. Perciò ci permettiamo di affermare: grazie giuria!

Occorre aggiungere altro rispetto a quello che narra la protagonista del  racconto “L’alba delle fate”? Probilmente no. Eccolo: “Quel volo continuò per un’ora: il paesaggio si trasformava in continuazione sotto la luce crescente, frutto della mano di un artista che non esauriva la fantasia e aveva una tavolozza di colori infinita. Le mongolfiere nulla toglievano a quel paesaggio, anzi, col loro ondeggiare aggraziato aggiungevano bellezza alla bellezza.”

E’ la prima volta che accade ma, a questo punto, con un’unica recensione vorremmo accennare contemporaneamente al racconto “L’alba delle fate” e a “Pensieri sospesi … in mongolfiera”. Come metterle a fattor comune.

La mongolfiera è un aerostato, ossia una macchina volante più leggera dell’aria, evoluzione di quella che i fratelli Mongolfier fecero volare nel 1783 e rimane ancora oggi un aeromobile non direzionabile, alla mercé dei venti e capace solo di ascendere o discendere a discrezione del pilota. Il volo della mongolfiera è morbido, il suo distacco da terra è dolce e anche la salita in quota avviene nel più completo silenzio (fatto salvo il rumore del bruciatore che provvede a immettere nell’involucro aria calda e i prodotti della combustione del propano) con una fluidità che è tutta una sua prerogativa.

Se questo volo si svolge alle prime luci dell’alba sopra un territorio come quello della Cappadocia con lo sfondo dei “camini delle fate” la magia è compiuta, E se poi ai colori dei primi raggi del sole riflessi sulle rocce si unisce una distesa a perdita d’occhio di mongolfiere multicolori che s’innalzano tutte assieme e tutte attorno, beh … la magia si amplifica a dismisura.

A questo punto però, la recensione si biforca e quella che segue è relativa solo al racconto “L’alba delle fate” di Agnese Pelliconi.

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Così descrive l’ascensione in mongolfiera la protagonista del racconto di Agnese Pelliconi: “Lentamente, un centimetro alla volta, il pallone, il cesto e i suoi occupanti si staccarono da terra. Una sensazione nuova, quell’innalzarsi verso il cielo piano piano. Tutta un’altra cosa rispetto alla roboante partenza di un aereo.”

Dicevamo … per chi e si trova dentro al cesto di vimini della mongolfiera, intento a osservare quell’incantesimo, lo staccarsi da terra e la lenta ascensione diventano la metafora del lasciarsi andare – finalmente -, dell’abbandonare il peso di un’esistenza travagliata e del raggiungere progressivamente una nuova consapevolezza di sé.

La vista, ammaliata da quel panorama indicibile, diverrà così il nutrimento di questa lenta metamorfosi e il silenzio in cui tutto è avvolto sarà il catalizzatore che ci renderà migliori. Chiunque di noi sia in quel momento emotivamente ricettivo e, naturalmente, la protagonista del racconto di Agnese Pelliconi.

Inoltre l’alba sopra ai camini delle fate, il ricordo di quel preciso istante del mattino in Cappadocia, diverranno per lei – e per noi, ovviamente – una fonte inesauribile di energia e di certezze cui attingere nei momenti di difficoltà che – inevitabilmente – la quotidianità le e ci dispensa. Come? … sarà sufficiente chiudere gli occhi e rivivere quei momenti magici per recuperare quella leggerezza del vivere che sarà venuta meno.

Un passo che troviamo splendido: “La luce del sole che sorgeva faceva risaltare la tavolozza dei colori delle rocce: dal bianco all’ocra, dal terra bruciata a tutte le sfumature del rosso. Ad ogni minuto che passava la luce dell’aurora cambiava e i riflessi delle rocce mutavano.”

Il racconto di Agnese, benché di estensione apprezzabile, si legge piacevolmente. Il vissuto e il presente si amalgamano perfettamente tanto che non annoiano a dimostrazione delle indubbie qualità narrative dell’autrice. E’ vero: sono presenti ampie digressioni e il contenuto aeronautico è relativamente blando tuttavia il racconto è armonico, l’avvio incuriosisce e il finale strappa lo stesso senso di sollievo provato dalla protagonista.

Agnese Pelliconi ha una facilità di scrittura che – onestamente – le invidiamo. In quello che scrive si legge a caratteri cubitali che in lei c’è talento – quello vero – e che i viaggi sono per lei sono solo il pretesto per inserire uno sfondo verosimile da inserire nelle sue storie. E’ un’autrice che non vorremmo mai incontrare in un premio letterario perché ha tecnica, inventiva e sa tratteggiare come un sapiente pittore luoghi, persone e i loro trascorsi. Tutto nella stessa tavolozza.

Non sappiamo dire quanto di biografico ci sia alla base del racconto di Agnese Pelliconi ma di certo – qualora l’abbia provato in prima persona – il volo in mongolfiera le ha giovato giacché, avendo avuto la fortuna di incontrarla in occasione della premiazione della VI edizione di RACCONTI TRA LE NUVOLE, abbiamo apprezzato la sua giovialità, il suo sorriso radioso e il piacere di vivere che sprizza da tutti i pori.

Un magnifico colpo d’occhio che l’obiettivo della macchina fotografica è riuscito a malapena a riprendere per l’enormità di quanto  gli si prospettava davanti

Rimane però una considerazione a margine dal sapore vagamente campanilistico: Agnese, occorreva per forza andare fino in Turchia per volare in mongolfiera? … hai ragione … affinché la magia si compia occorre sorvolare i “camini delle fate” … vero … e allora replichiamo: perché i camini delle città italiane non funzionano? … sapessi quante fate ci sono in quelle case!?


Recensione  a cura della Redazione


Narrativa / Medio lungo

Inedito;

ha partecipato alla VII edizione del Premio fotografico/letterario “Racconti tra le nuvole” – 2019;

§§§§ in esclusiva per “Voci di hangar”§§§


NOTA: le foto di copertina e quelle presenti nella recensione provengono da Flickr.com

Alta velocità

L’edizione 2018 del Premio fotografico/letterario RACCONTI TRA LE NUVOLE è da considerarsi, senza ombra di smentita, una tra le più “toste” tenutasi fino ad ora. Racconti di altissimo qualità, ben sviluppati e di notevole originalità l’hanno contraddistinta; dunque rientrare nella rosa dei 20 finalisti (rivelatisi poi 22 se si considerano gli ex equo) ha costituito di per sé un notevole successo.

Qualcuno si domanderà come il fotografo sia riuscito a realizzare questa istantanea che, se scattata in volo, avrebbe qualcosa di letteralmente miracoloso. Ebbene, a ben guardare l’immagine, questo ipotetico qualcuno si renderà conto che lo scatto, per quanto splendido per inquadratura, luminosità e originalità, è avvenuto utilizzando uno “Spillone” impiegato quale “gate guardian”. In verità, osservando questa fotografia, chiunque ammetterà che mai nomignolo è stato così azzeccato. Perchè questa è l’impressione che sia ha: un enorme spillo che penetra il cielo. Evviva lo “Spillone”!

“Consideratevi tutti primi!” ha dichiarato l’editore durante la cerimonia di premiazione di quella VI edizione, a conferma della bontà dei testi premiati dalla giuria.

“D’altra parte” gli ha fatto da contraltare il segretario del Premio, “una classifica andava stilata, seppure discutibile o non rispondente a propri gusti personali”.

Uno degli esclusi da questa benedetta/maledetta classifica è proprio il nostro Claudio di Blasio. Utilizziamo l’aggettivo possessivo “nostro” perché con Claudio abbiamo instaurato ormai un rapporto parallelo che ha visto crescere assieme il Premio, edizione dopo edizione, e, di pari passo, le sue esperienze narrative/editoriali.

Inutile precisare che Claudio ha partecipato a diverse edizioni del Premio letterario RACCONTI TRA LE NUVOLE sebbene con risultati alterni ma, ad ogni modo, si può considerare un affezionato frequentatore di questa iniziativa che, più di ogni altra, ben si addice al suo narrare squisitamente aeronautico.

Lo Starfighter (letteralmente: “cacciatore delle stelle”) è stato radiato dal servizio nel 2004 dall’Aeronautica Militare italiana, ultima forza armata al mondo ad utilizzarlo per scopi operativi e di prima linea. Godeva di grande reputazione presso i reparti da caccia e, in miisura minore, anche presso quelli che lo utilizzavano (snanturandolo non poco), quale cacciabombardiere. Il nomignolo “Spillone” è la dimostrazione dell’affetto che i piloti italiani nutrivano per questo velivolo benchè le rigide norme di impiego innescassero spesso, se non osservate, situazioni di pericolo talvolta mortali. Il verificardsi sempre più frequente di incidenti e la vetustà delle cellule (benchè rinnovate radicalmente o manutenute con notevole dispendio di risorse economiche) combinate all’avvento di nuovi velivoli (come l’Eurofighter) e ai mutati scenari geopolitici, indussero anche l’Aeronautica italiana a radiarli dal servizio giusto appunto dopo 46 anni di onorato servizio operativo (da che fu utilizzato per la prima volta dall’USAF) o la bellezza di 50 anni dalla data del suo primo volo di collaudo.

Lo stile di Claudio, delineatosi racconto dopo racconto, si è ormai consolidato e anche in quest’ultimo suo testo, “Alta velocità”, non si smentisce. Non smentisce il suo raccontare con dovizia di particolari senza però scendere troppo nel tecnico, non tradisce il suo dipanare la trama con la linearità che non lascia spazio a figure retoriche o a colpi di scena imprevedibili, non viene meno al suo modo di descrivere le persone che poco hanno di inventato e che potremmo realmente incontrare nei reparti di volo operativi.

Una macchina volante come lo “Spillone” non può non adornare l’ingresso di un aeroporto militare in qualità di “gate guardian” come pure non può non adornare un museo dell’aria degno di questo nome.

Insomma: Claudio è una certezza e i suoi racconti sono pressoché inconfondibili. Talvolta questo può essere una fortuna, talvolta una iattura. Perché se è vero che la lettura dei suoi testi è piacevole e scorrevolissima, dall’altra non possiamo e non dobbiamo attenderci dei picchi narrativi, dei sussulti nell’intreccio o delle descrizioni approfondite dei personaggi; rare le riflessioni interiori, scarne le descrizioni dei luoghi. La narrazione di Claudio è tutto movimento, aviazione allo stato puro con scenari di volo a gogò con qualche momento di vita a terra. Che poi, in fin dei conti è proprio quella che conducono o che vorrebbero praticare la maggior parte dei piloti nati con le ali addosso.

Certamente, da un autore con all’attivo due romanzi pubblicati (“Il mio cielo” e “Ali di fantasia” di cui vi abbiamo dato conto nella sezione MANUALI DI VOLO del nostro sito) ci attendiamo di più di un semplice esercizio di stile personale. Specie se, a detta del nostro servizio di intelligence, ne ha un terzo in via di elaborazione,

Il vigoroso esubero di spinta del mitico motore General Electric J79 (dotato di postbruciatore) che ha equipaggiato l’F104 sin dalla prima versione, lo ha reso per decenni il velivolo di intercettazione per antonomasia. Capace di decollare e di salire praticamente in verticale, riusciva a raggiungere rapidamente lo scramble e a identificarlo in men che non si dica con grande soddisfazioni dei piloti e del comando della difesa aerea. Ai piloti piaceva molto il colpo nella schiena che, al decollo, confermava l’inizio della corsa di rullaggio e, benchè la piccola ala trapezia fosse molto più adatta all’alta velocità che al combattimento manovrato, lo Starfifghter possedeva anche una certa manovrabilità … o almeno la dimostrava se pilotato dai quei “manicacci” dei cacciatori italiani. In questo scatto del nostro Giorgio Levorato il magnifico colpo d’occhio del cruscotto del 104.

Tornando a questo racconto, il protagonista assoluto è, da un lato, Roberto, un giovane pilota militare italiano di stanza alla base di Grosseto e, dall’altra, lo “Spillone”, nomignolo che fu affettuosamente attribuito al Lockeed F104 Starfighter per via della sua forma di razzo con le ali che ricorda la forma, appunto, di uno spillo.

L’apertura dell’episodio vede Roberto in uno stato di profonda prostrazione a seguito di un incidente mortale che ha visto coinvolto un suo compagno di corso durante la fase di atterraggio di un 104 causato da un’errata gestione della macchina.

La vita di un pilota con le stellette però non conosce pause ed ecco che Roberto verrà messo a dura prova da un volo addestrativo con implicito esame da parte di un pilota veterano dopodiché lo attenderà una vera missione operativa di intercettazione (in gergo: scramble) nel corso della quale egli vivrà un’esperienza indelebile come può esserlo solo l’eiezione dall’abitacolo.

Non vi sveleremo di più se non che, nel racconto, incontreremo un’affascinante ragazza con cui Roberto …

Questo il contenuto in breve del racconto. Qualora ne vogliate sapere di più, ecco come l’autore lo sintetizza:

Roberto è un giovane pilota in addestramento presso il XX Gruppo del 4° Stormo, la celebre base maremmana, fucina dei futuri piloti del leggendario F-104 Starfighter.

         Le giornate sono segnate da intense e continue missioni e una triste mattina Edoardo, suo compagno di studi in Accademia, perde la vita in un tragico incidente durante la fase di atterraggio. Il giovane pilota accusa molto la perdita dell’amico e cerca di distrarsi passeggiando la sera sul lungomare. Molti gli interrogativi ed i dubbi che affollano la sua mente: – Ne varrà la pena? Chi ce lo fa fare? –

Poco dopo la cerimonia funebre incontra la figlia del suo Capo velivolo, conosciuta proprio assieme a Edoardo al circolo della base. Assieme scambiano poche parole confortandosi davanti a una tazza di cioccolata calda e lasciandosi senza alcun appuntamento.

         Le missioni si susseguono fino a giungere a quelle di carattere operativo: le intercettazioni. Un vecchio istruttore lo sfida sprezzante ma Roberto dimostra di avere le doti e le capacità per diventare un ottimo intercettore. Poco prima di essere destinato alla base di Cameri, Roberto accetta l’invito a cena da parte di Lorenzo, il proprio Capo velivolo. Al termine della serata la figlia lo accompagna all’auto e s’intrattengono in una piacevole conversazione che termina con un saluto, un abbraccio e un bacio affettuoso. Tra i due ragazzi nasce un forte sentimento anche se il giovane pilota deve partire per la nuova destinazione.

Tornando al tema che non si tratta di un vero museo dell’aria se non  presente uno “Spillone”, al Museo storico dell’Aeronautica Militare Italiana di Vigna di Valle (Roma), ad esempio, è conservato un esemplare assai  particolare. Fu l’unico velivolo F-104G italiano costruito negli Stati Uniti ed il primo ad essere stato consegnato all’Aeronautica Militare nel ’62. Un vero pezzo unico!

         Il nuovo Reparto di assegnazione è un ottimo ambiente, in particolare per la cordialità e l’affiatamento tra i componenti. Il giorno successivo al suo arrivo, Roberto è assegnato a un volo in formazione con il Comandante, il quale si complimenta vivamente per la sua impeccabile esecuzione delle manovre.

         Una sera, durante una missione di scramble simulato per la valutazione dello Stormo in ambito Nato, a causa delle pessime condizioni atmosferiche, lo Spillone di Roberto e quello di un suo collega entrano in collisione. Momenti tragici, durante i quali il protagonista esce indenne dal lancio con il seggiolino eiettabile e cerca disperatamente di conoscere le sorti dell’altro pilota. Dopo il contatto con il suolo, in una risaia, infangato e bagnato raggiunge una casa colonica ove viene accolto dal contadino e da sua moglie, gente semplice che si presta a fornire aiuto allo sventurato e a metterlo in contatto con la propria base. Purtroppo la sorte non è stata benevola con il collega che alcune ore dopo viene trovato sotto i resti del proprio caccia.

Trascorsa una breve convalescenza Roberto riprende l’attività di volo con lo Spillone. Tra loro è nato un particolare rapporto e certamente non lo tradirà più.

 

In definitiva, si tratta di un racconto da leggere ad alta velocità come il titolo che reca e che lascia ben sperare gli ammiratori di Claudio per i suoi racconti futuri, romanzi compresi.


Narrativa / Medio – Lungo Inedito;

Ha partecipato alla VI edizione del Premio fotografico/letterario “Racconti tra le nuvole” – 2018;

 

In esclusiva per “Voci di hangar”

 


Aria

deltaplano rogalloUna sera di primavera, un posto unico nel cuore d’Italia, tre amici deltaplanisti – una ragazza e due compagni di avventure – si preparano per volare. L’attesa, l’allestimento dei mezzi e, infine, il decollo in condizioni impegnative. E l’abbandono totale alla natura che prevale su tutti e su tutto, a terra come in aria, protagonista assoluta.



Narrativa / Breve Inedito; ha partecipato alla II edizione del premio letterario “Racconti tra le nuvole”, 2013-2014; in esclusiva per “Voci di hangar”

 

Avevo paura di volare

acrabazia su new yorkPaura di volare: un sentimento irrazionale che alza un ostacolo apparentemente insormontabile fra di noi e la libertà di viaggiare.

L’autrice ci confida che: “Anch’io ne ho sofferto, e in questo breve scritto mi racconto, immaginando di tendere la mano a un’anonima conoscente occasionale che deve riprendere in mano la propria vita.”

Riuscirà nell’intento?


Narrativa / Breve Inedito; ha partecipato alla II edizione del premio letterario “Racconti tra le nuvole”, 2013-2014; in esclusiva per “Voci di hangar”