titolo: NEIL ARMSTRONG – The success of Apollo 11 and the first man on the moon – [Neil Armstrong – Il successo dell’Apollo 11 e il primo uomo sulla Luna]
autore: Roman Parmentier in collaborazione con Romain Prevalet
traduzione dal francese di: Carly Probert
editore: 50minutes.com
ISBN e-book: 978-2-8062-7609-4
Neil Armstrong è stato il primo uomo a mettere piede sulla Luna. Insieme a Buzz Aldrin è sceso con il modulo lunare (LM, Lunar Module) denominato “Eagle” ed è arrivato sulla superficie polverosa del nostro satellite nel luglio del 1969. Intanto, nel modulo di comando, denominato “Columbia”, dal quale l’LM si era separato e che era rimasto ad orbitare intorno alla Luna, Mike Collins effettuava da solo una gran mole di calcoli e controlli e teneva aggiornati i dati della missione in costante contatto con la Terra.
Neil Armstrong era nato il 5 Agosto 1930 in Ohio. Appassionato di aeronautica, aveva conseguito il brevetto di pilota prima ancora della patente per l’automobile.
Si era laureato in ingegneria aeronautica all’Università Purdue. Dopo essersi arruolato come pilota militare della Marina era andato a combattere nella guerra di Korea.
Al suo ritorno divenne pilota sperimentale (test pilot), operando insieme ad un altro leggendario pilota, Chuck Yeager, il primo uomo ad aver superato il muro del suono.
Nel 1962 passò alla NASA, nel 1965 partecipò alla missione Gemini 8. Dunque Armstrong, a differenza degli altri suoi colleghi, tutti militari, era civile. Anche se era stato in servizio nell’Aviazione della Marina ed aveva le stesse origini militari degli altri.
Poi venne selezionato come comandante della famosa missione Apollo 11, quella che effettivamente compì il primo allunaggio.
Molti astronauti, dopo il ritorno da queste complesse e stressanti missioni spaziali, ebbero conseguenze che influenzarono la loro vita successiva. Molti cercarono di continuare e si impegnarono in altri compiti nello stesso settore, altri faticarono per lunghi anni a riadattarsi alla vita normale.
Armstrong decise di non ritornare nello spazio. Con la fama che derivava dall’essere stato il primo conquistatore della Luna avrebbe potuto avere accesso a professioni importanti, con alte retribuzioni. Invece si limitò ad essere un semplice professore all’Università di Cincinnati.
Anche il suo matrimonio finì con un divorzio, come era accaduto agli altri suoi colleghi.
Morì il 25 Agosto 2012 a Cincinnati.
Durante la sua carriera ha pilotato innumerevoli tipi di macchine volanti, aerei, elicotteri, prototipi dell’ LM e alianti.
Era appassionato di volo a vela, tanto che ha continuato a volare in aliante per molti anni.
Sebbene si sia guadagnato un’eterna fama per essere stato un pioniere delle imprese spaziali e primo uomo sulla Luna, Armstrong ha condotto una vita piuttosto ritirata. Evidentemente timido e riservato per natura, ha sofferto il gran numero di viaggi di rappresentanza e di conferenze che ha dovuto tenere insieme ad Aldrin e Collins, in tutti i paesi del mondo, subito dopo il ritorno dal viaggio sulla Luna.
Non sono a conoscenza di libri scritti da lui stesso. Sicuramente non ne ha mai scritti.
Altri autori hanno invece scritto libri su di lui, utilizzando il materiale ufficiale esistente, spesso di provenienza militare.
Questo libro è stato scritto da due autori francesi e tradotto in lingua inglese. In pratica si tratta di una stringata biografia della sua vita. Riporta i fatti principali della carriera militare e di quella di pilota sperimentale, proseguendo con il susseguirsi degli eventi da lui vissuti presso la NASA, culminati con l’allunaggio dell’Apollo 11.
Uno dei capitoli, ad esempio, si intitola: After the moon landing (dopo l’allunaggio). E riporta il ritiro dalle missioni spaziali per divenire un professore universitario. E non solo, in verità. Armstrong ha fatto anche parte delle commissioni di inchiesta per la NASA ed ha investigato sugli incidenti dell’Apollo 13 del 1970 e dello Space Shuttle Challenger nel 1986.
Il libro prosegue con una trattazione analitica della situazione internazionale degli anni successivi, la Guerra Fredda, con riferimento allo sviluppo delle altre imprese spaziali di Stati Uniti e Russia in questa nuova realtà politico-economica.
Segue un’altra panoramica sull’Apollo 11 ed il racconto particolareggiato di tutta la missione. Evidentemente gli autori hanno utilizzato resoconti disponibili in grande abbondanza, ma che non aggiungono nulla di nuovo sul nostro distaccato e riservato astronauta.
Il libro infatti finisce così.
Nel complesso è un documento interessante. Sta bene nel kobo. Magari insieme ad altre biografie di Armstrong, scritte da altri autori. Giusto per comparazione.
Recensione a cura di Evandro Aldo Detti (Brutus Flyer)
Didascalie a cura della Redazione
Nota della Redazione
Tutte le fotografie presenti in questa recensione sono state prelevate gratuitamente dallo splendido sito web Apollo archive che vi invitiamo a visitare in lungo e largo. Troverete centinaia di scatti a colori e in bianco e nero che ripercorrono le missioni Apollo nonchè le pre e post Apollo. Ricco di didascalie e di ulteriore materiale collaterale, è un sito divulgativo cui non smetteremmo mai ti attingere. Perchè se è vero che la storia, per essere viva, deve essere vissuta, ebbene siamo certi che questa è la migliore opportunità offerta a coloro che vogliano farlo davvero
titolo: Mission to Mars. My vision for Space Exploration – [Missione verso Marte. La mia visione dell’esplorazione dello Spazio]
autore: Buzz Aldrin e Leonard David
prefazione di: Andrew Aldrin (figlio di Buzz)
editore: National Geographic Society
ISBN: 978-1-4262-1018-1
Questo libro di Buzz Aldrin è l’ultimo che ho letto in ordine di tempo. E forse è anche l’ultimo che ha scritto. Aldrin è nato nel 1930. Nonostante la veneranda età ha ancora molto entusiasmo e un inesauribile interesse per lo Spazio, per i viaggi spaziali in generale e per la conquista del pianeta Marte in particolare. Infatti non perde occasione per promuovere iniziative in tal senso. Partecipa a conferenze, incontri, manifestazioni, gestisce un apposito sito Internet e scrive libri.
Questo libro, in particolare, è diverso dagli altri scritti precedentemente. Gli altri erano autobiografie, resoconti di missioni nello spazio e del primo allunaggio.
Qui, sin dalle prime pagine, si comprende che l’argomento non riguarda il passato, ma il futuro.
Sono otto capitoli densi di tecnica, scienza, finanza, politica, progetti veri e propri di conquista, utilizzo, sfruttamento delle risorse energetiche di Luna, asteroidi e del pianeta rosso.
Non si tratta di studi dell’ultima ora, ma di un resoconto finale del lavoro costante e certosino di un’intera esistenza.
Già da studente si era laureato in scienze aerospaziali al famoso MIT, la prestigiosa università con sede a Boston. Al Massachusetts Institute of Technology aveva discusso una tesi sulle tecniche di aggancio e sgancio di due navicelle spaziali fuori dall’atmosfera terrestre. Un argomento che gli si rivelò oltremodo utile per essere assunto alla NASA. Quest’ultima aveva iniziato a reclutare piloti militari, ponendo come requisito essenziale che fossero tutti piloti collaudatori (test pilots).
Il primo gruppo, infatti, proveniva dalla base dell’aeronautica di Edwards, dove era la sede del reparto sperimentale. Erano tutti esperti test pilots.
Aldrin non lo era. Al primo tentativo fu rifiutato, proprio per questo motivo. Ma ripresentò la domanda, mettendo in risalto l’argomento della sua tesi di laurea e stavolta lo accettarono.
Come ben si sa, la tecnica di rendezvous è stata l’elemento chiave di tutte le missioni Apollo.
Dopo l’Apollo 11, quello del primo sbarco sulla Luna nel 1969, per Aldrin cominciò una vitadifficile (curiosamente, prima di congedarsi dall’Aeronautica fece in tempo a prestare servizio come comandante della USA Test Pilot school Air Force base di Edwards, California), ma nel corso deidecenni successivi, pur con tutti i problemi di vita personale, non ha mai cessato di cercare un progetto in ambito spaziale al quale dedicarsi con impegno. Sembra che tutti gli astronauti avessero un bisogno psicologico di sostituire lo scopo elevatissimo appena raggiunto con uno altrettanto elevato, se non addirittura superiore.
Aldrin ha scelto la conquista di Marte.
Dopo il 1972, anno dell’ultima missione sulla Luna, l’Apollo 17, sono seguiti decenni di relativamente basso profilo, in ambito spaziale. Ci si è limitati a restare poco fuori dall’atmosfera, alcune centinaia di chilometri appena. Si è costruita la ISS (International Space Station), la Stazione Spaziale Internazionale e si è sviluppato lo Shuttle per i collegamenti con essa.
Niente più viaggi nello Spazio profondo.
Andrew Aldrin, il figlio di Buzz, così scrive nella prefazione di questo libro:
This book represents a journey of its own. It began the moment my father set foot back on Earth. Since that time he has been constantly thinking about how people from Earth will inhabit another planet – [“Questo libro rappresenta un viaggio esso stesso. Cominciò nel momento in cui mio padre tornò sulla Terra. Da allora non ha fatto altro che pensare a come i terrestri avrebbero potuto colonizzare un altro pianeta]”.
Andare su Marte richiede mesi di viaggio. Dai sei agli otto, con la tecnologia attuale. Ma secondo Aldrin non ha molto senso andarci giusto per piantare una bandiera e tornare indietro con un fagotto di pietre, come è stato per la Luna. La sua idea non è una corsa tra nazioni, per stabilire chi ci arriva prima. Lui pensa che questo modo di fare sia ormai retaggio del passato, andava bene giusto all’epoca della Guerra Fredda. Oggi si deve pensare ad una collaborazione tra nazioni, al contributo che ognuna può apportare allo sforzo economico richiesto da un’impresa simile, allo sfruttamento congiunto delle risorse energetiche contenute nel sottosuolo degli asteroidi, delle cosiddette lune di Marte e nel sottosuolo e nell’atmosfera di Marte stesso. E bisogna abbandonare l’antica idea del coinvolgimento unico dei governi dei paesi partecipanti, lasciando campo aperto alle iniziative delle imprese private, comprese quelle turistiche. I viaggi intorno alla Luna possono essere organizzati per scopi turistici, come quelli verso la Stazione Spaziale Internazionale o addirittura verso una serie di Hotels spaziali costruiti allo scopo. In questo modo viene coinvolta l’intera umanità.
E se si va su Marte, ci si deve andare per restare. Lo scopo deve essere quello di colonizzarlo.
I tempi sono maturi, secondo Aldrin, per pensare alla specie umana che vive su più pianeti.
Questo libro, comunque, non è un libro di teorie più o meno ardite.
Aldrin presenta in queste pagine lo studio di tecniche perfettamente attuabili adesso, come lo studio dell’Aldrin Cycler.
Di cosa si tratta?
Spiegarlo in poche parole sarebbe troppo riduttivo. In estrema sintesi, si tratta di un veicolo spaziale, assemblato nello Spazio come la ISS, di ampie proporzioni per essere vivibile e confortevole. Una volta pronto, questo Cycler viene accelerato ed inserito in un tipo di traiettoria perenne che si snoda attraverso il sistema solare, tra la Terra e Marte. Per mantenere velocità e traiettoria viene sfruttata l’energia gravitazionale dei pianeti e per le necessarie e periodiche correzioni richiede l’impiego di poco carburante.
Quando il veicolo si trova a fare il giro intorno alla Terra può essere raggiunto da un altro veicolo apposito che può trasportare merce, carburante e persone e si può agganciare al primo con la tecnica del rendezvous.
La stessa cosa avviene nell’orbita marziana. Un veicolo che si sgancia e scende sulla superficie porta rifornimenti e persone. Ma un altro veicolo può partire da Marte e andare ad agganciarsi al Cycler per tornare verso la Terra. Dove scenderà mentre un altro salirà, e così continuativamente.
Geniale.
Sul libro tutto quello che ho ristretto in poche frasi è invece descritto nei minimi particolari. Ma la genialità non finisce qui. Aldrin non pensa ad un semplice spostamento di uomini e cose verso Marte. Piuttosto considera questo come la meta finale di un viaggio più lungo.
La Luna, per esempio.
Tornarci ha senso?
No, se ci si torna solo per passeggiarci sopra per ore o giorni.
Si, se si considera invece la costruzione di insediamenti definitivi allo scopo di sfruttarne le risorse del sottosuolo o altri tipi di opportunità, non ultimi, come ho detto, quello turistico.
Ormai si sa che sulla Luna c’è acqua, sebbene sia depositata, sotto forma di ghiaccio, all’interno di alcuni crateri, tanto profondi da essere sempre al riparo dei raggi solari in qualunque periodo dell’anno e in qualunque punto della sua traiettoria. Una risorsa praticamente inesauribile.
E’ necessario collocare alcuni satelliti stazionari che orbitino intorno alla Luna per consentire le comunicazioni costanti con la Terra e magari con altri veicoli spaziali.
Si, perché secondo Aldrin è possibile collocare veicoli spaziali opportunamente concepiti in ben determinati punti dello Spazio dove restano in equilibrio gravitazionale (sempre con minima richiesta di energia per correggere la propria posizione, quando serve).
E alcuni appositi veicoli spaziali potrebbero portare materiali ed equipaggi sulle lune di Marte, specialmente su Phobos, quella più vicina al pianeta, ma anche l’altra, Deimos, non è meno interessante e sfruttabile. Aldrin spiega in questo libro che per costruire gli insediamenti sul pianeta rosso si dovrebbero impiegare dei robot.
Da Phobos sarebbe possibile telecomandare le operazioni dei robot, in tempo reale ed immediato, senza dover fare i conti con il ritardo temporale del comando inviato dalla Terra. Nel caso di Marte, sia pure alla velocità della luce, un comando impiega una ventina di minuti per raggiungere il robot che opera sul suolo marziano. Troppo.
Solamente dopo aver realizzato questi insediamenti preliminari sulle lune di Marte, si potrà procedere alla colonizzazione permanente del pianeta rosso. Perché allora tutte le infrastrutture saranno pronte ad accogliere i primi occupanti.
Ho detto che l’idea di Aldrin è quella di un coinvolgimento globale di tutti gli stati e delle imprese private. Tuttavia, considerato che la Luna è stata conquistata dall’America, deve essere questa ad avere, di diritto, la leadership di tutte le operazioni spaziali. E questa idea, secondo me, potrebbe divenire quella meno condivisa…
Il libro contiene foto, schemi, disegni, che nel kobo non rendono al meglio.
Tuttavia, dal momento che questa carenza si può integrare con Internet e poiché su Youtube ci sono innumerevoli video di Aldrin e delle sue vicende, molte delle quali ricalcano proprio il contenuto dei suoi scritti, non esito ad esortare chiunque abbia un kobo o un altro tipo di ebook reader e una minima conoscenza della lingua inglese ad acquistare e leggere questo ebook.
E’ veramente illuminante.
Recensione a cura di Evandro Aldo Detti (Brutus Flyer)
titolo: Flying to the moon. An astronaut story – [Volando alla Luna. La storia di un astronauta]
autore: Michael Collins
editore: I edizione 1976;
II edizione, Sunburst edition 1985;
I edizione libro digitale maggio 2011, editore Harper Collins Canada Ltd
ISBN: 9781429929479
L’Apollo 11 resterà nella storia come la prima missione spaziale ad aver portato il primo uomo sulla Luna.
L’equipaggio era composto da tre piloti americani, divenuti astronauti attraverso un lungo percorso di durissimo addestramento. Tutti avevano già fatto parte delle precedenti missioni Mercury e Gemini, durante le quali avevano sperimentato le tecniche di rendezvous e di EVA (extra veicolar activity- lavoro extra veicolare) nello spazio fuori dell’atmosfera terrestre.
Il primo a scendere la scaletta del LM (modulo lunare) fu Neil Armstrong, che entrò nella storia e sarà ricordato per l’eternità. Già il secondo, Buzz Aldrin, pur essendo membro del primo equipaggio a camminare sulla Luna, gode di minor risalto, brilla di meno. E infatti questa condizione ha finito per condizionare la sua vita successiva.
Ma c’era un terzo membro in quell’equipaggio.
Michael Collins, nell’orbita lunare, salutò i suoi compagni, li vide entrare nel LM, denominato “Eagle”, osservò questo staccarsi dal modulo di comando denominato “Colombia” ed iniziare la discesa verso la Luna.
E restò solo, in una cabina tanto piccola, nello spazio immenso, a girare intorno alla Luna.
Durante ogni orbita, mentre la capsula Columbia girava dietro la Luna, ogni comunicazione con la Terra si interrompeva. Collins restava solo, con una grande mole di controlli e calcoli da fare, ignorando la sorte dei suoi due compagni, finché la sua posizione non gli consentiva di tornare in linea ottica con la Terra o con il LM Eagle.
Un compito gravoso il suo, senza nemmeno la soddisfazione di scendere sul suolo lunare, dopo esserci arrivato tanto vicino.
In una missione del genere tutto doveva funzionare con la precisione più assoluta. I rischi erano tanti. La ripartenza del LM dal suolo della Luna doveva avvenire in perfetto sincronismo con l’orbita del modulo di comando, per poter eseguire al meglio la ricongiunzione dei due veicoli.
Se il LM non fosse potuto tornare, per qualunque motivo, Collins avrebbe dovuto, suo malgrado, tornare tutto solo verso la Terra, abbandonando i due amici al loro destino. Una risoluzione molto dura da sostenere, seppur doverosa.
Ma c’era anche la possibilità che il LM riuscisse a ridecollare, senza però essere in grado di portarsi alla quota del modulo di comando. Allora Collins avrebbe dovuto calcolare ed eseguire una discesa fino all’orbita dell’ Eagle e manovrare per eseguire il rendezvous d’emergenza a quota più bassa e ad una velocità molto diversa da quella standard.
Il libro di cui stiamo parlando è scritto da quest’uomo. Ed è una cosa fantastica leggerlo.
Il primo capitolo comincia proprio dalla descrizione della separazione dei due veicoli nell’orbita lunare e del commiato tra Collins e gli altri due. La descrizione di questa fase, proprio perché fatta da chi c’era, da chi ha compiuto veramente quelle azioni, è qualcosa di eccezionale (benedetto Kobo).
Dice Collins:
“We were a little nervous that morning. We were concerned about how well our spacecraft and computers would work. We also worried about the rocket blast from Eagle, our lunar module, which might kick up a lot of dust and prevent Neil Armstrong from being able to see well enough to land. Or suppose Neil couldn’t find a spot smooth and level enough to put Eagle down? – [Eravamo un po’ nervosi quella mattina. Eravamo preoccupati su come la nostra capsula spaziale e i computer avrebbero funzionato, Eravamo anche preoccupati del soffio del razzo del modulo lunare Eagle che avrebbe potuto alzare molta polvere e impedire a Neil di vedere abbastanza bene per atterrare. O supponiamo che Neil non riuscisse a trovare un punto abbastanza liscio e livellato per posarci il LM”]
Dal secondo capitolo comincia la narrazione della sua vita aeronautica, a cominciare da quando era un ragazzino di nove anni e voleva tanto imparare a volare. Viveva in San Antonio, Texas e c’erano tanti campi di aviazione nei dintorni. Ad 11 anni, infatti, riuscì a fare un volo su un bimotore e addirittura il pilota gli lasciò i comandi per un po’ di tempo. Questo gli permise di capire che non era semplice pilotare, ma gli piacque al punto che, quando il volo ebbe termine, sapeva cosa avrebbe voluto fare nella vita: il pilota.
Così cominciò la sua vita di pilota militare, addestrandosi su un aereo che è stato per lungo tempo il padre di un gran numero di piloti nel mondo: il T-6.
Ma quella era l’epoca dei primi jets e Collins, in breve entrò nel mondo della propulsione a getto.
“In some ways a jet is easier to fly than a plane with a piston engine and a propeller” – [“Per alcuni versi un jet è più facile da pilotare di un aereo con il motore a pistoni e l’elica”], afferma.
Il libro ripercorre tutta la storia delle missioni spaziali, stavolta vissuta da lui. Una storia che ricalca quella narrata dagli altri astronauti. Ma dal punto di vista di Collins.
Sono rimasto sorpreso dalla strana facilità con la quale ho letto questo lungo libro in inglese. Gli altri astronauti sembrano usare un linguaggio più colloquiale, usano molte frasi idiomatiche, una sorta di slang addomesticato, ma spesso di non facile comprensione, perché non si possono tradurre alla lettera certe frasi e il loro significato non fa certo parte della mia cultura di italiano.
Collins, invece, sembra scrivere in un inglese più classico. Infatti si legge bene e senza dover troppo spesso cercare il significato delle parole. Mi è capitato di scorrere pagine e pagine con l’impressione di leggere in italiano. Forse è solo una sensazione mia personale, tuttavia la confronterei volentieri con qualche altro lettore. Se qualcuno si vorrà avventurare nell’acquisto di questo libro digitale e lo leggerà, gli sarei grato se volesse scrivere qualcosa a commento di questa recensione.
L’inglese è una lingua molto espressiva e non è vero, come sostengono alcuni, che si presta bene solo per le faccende tecniche. Collins descrive l’iter addestrativo con una proprietà di linguaggio che sfocia nella poesia. In alcuni passaggi, descrive le sue sensazioni durante il corso di sopravvivenza, durante i voli parabolici che simulano la condizione di assenza di peso e perfino l’effetto della centrifuga a più di otto G. Sembra di vivere le sue esperienze come se fossimo noi stessi coinvolti nelle situazioni.
In verità, tutto è descritto in maniera molto vivida.
Il libro contiene parecchie foto. Ma purtroppo, la resa delle immagini non è un pregio dell’ebook. Per fortuna, nell’epoca di Internet, non è difficile trovare le stesse foto, e perfino i filmati, relativi a tutto ciò che il libro racconta.
Gli ultimi capitoli riprendono il racconto di tutto il resto delle operazioni di allunaggio e del rientro verso la Terra. Racconto che Collins aveva iniziato nel primo capitolo, che aveva interrotto per parlare di come era arrivato fin lì, e poi riprende da dove l’aveva interrotto. Ma è una narrazione piena di particolari, parla perfino di come dormivano nel ristretto spazio della capsula, di come mangiavano, di cosa parlavano delle battute che si scambiavano con il Centro di Controllo a Terra.
Come tutti gli altri autori, racconta la vita comune che ritrova dopo una simile impresa. E come altri dedica una parte all’esame delle possibilità future dell’esplorazione dello spazio e dell’interesse per uno dei pianeti a noi terrestri più cari: Marte.
Di questo argomento si è occupato con più enfasi ed entusiasmo Buzz Aldrin. E continua ancora a farlo.
Sembra che Collins non abbia avuto da affrontare i tracolli familiari che hanno coinvolto i suoi colleghi. E’ rimasto sempre con la moglie Patricia e con i loro tre figli.
Oggi si torna a parlare di spazio. Esistono, e operano, società private che effettuano lanci di veicoli spaziali per scopi commerciali. Alcuni di questi attraccano alla Stazione Spaziale Internazionale. Ma il vero passo in avanti, in questo campo, è lo sviluppo e l’impiego di vettori riutilizzabili. Sono razzi che portano in orbita un veicolo spaziale e poi tornano a terra, atterrando sulla piazzola dalla quale erano partiti, scendendo all’indietro in verticale con assoluta precisione.
Un risparmio non da poco. Come dice Collins, fino adesso abbiamo operato come se si andasse dall’America all’Europa con un aereo di linea e dopo l’atterraggio buttassimo l’aereo.
La riusabilità dei vettori, unita ad altri tipi di ottimizzazioni, con la disponibilità di nuovi materiali, nuove tecnologie e computer più potenti, dovrebbe portare al riaccendersi dell’interesse per i viaggi spaziali e la colonizzazione di asteroidi e del pianeta rosso. Negli anni a venire dovremmo sentir parlare sempre più spesso e diffusamente di questo argomento.
Il duemiladiciannove è l’anno del cinquantesimo anniversario del primo allunaggio. Sono cinque decenni. E’ già passato anche troppo tempo.
Recensione a cura di Evandro Aldo Detti (Brutus Flyer)
titolo:No dream is too high – Life lesson from a man who walked on the moon[Nessun sogno è troppo elevato – Lezioni di vita da parte di un uomo che ha camminato sulla Luna]
autore: Buzz Aldrin
con la collaborazione di:Ken Abraham
editore: Editore National Geographic Partners, LLC.
anno di pubblicazione:2016
ISBN:9781426216497 e 978-1-4262-1650-3
C’era una volta il libro. Intendo il libro fisico, fatto di pagine, copertina e rilegatura, con testo ed immagini e odore di carta.
Un odore che inebria. La prima cosa che ci si sente dire quando paragoniamo il libro fisico con quello elettronico è questa: “a me piace ficcare il naso tra le pagine e sentire l’odore della carta …”
Il libro elettronico, l’ebook, il nuovo venuto che ha sostituito il libro tradizionale, non ha odore. Non ha consistenza, non si può prendere da uno scaffale e sfogliarlo tra le mani. Non si può neppure prestare, scambiare tra amici e riavere indietro dopo un certo tempo.
L’ebook sta nel suo scaffale virtuale, non occupa spazio fisico. Si apre all’interno di un lettore, su uno schermo e si sfoglia per modo di dire mandando avanti e indietro le sue pagine che sono solo schermate elettroniche.
Tuttavia, l’ebook è destinato ad inserirsi profondamente nel mercato del libro, per tanti motivi. Solo per citarne alcuni:
I libri elettronici non occupano spazio, non necessitano di enormi scaffalature, non raccolgono polvere e non costringono ad approfondite e frequenti pulizie.
In un Kobo o in un Kindle, che sono i più comuni lettori di ebook, entrano tanti libri, anche alcune migliaia, occupando solo la memoria interna, ma poi questi lettori hanno lo slot per una memoria aggiuntiva, tipo micro SD, di parecchi Gb. Allora nel lettore possiamo stivare l’equivalente di intere biblioteche.
I libri elettronici non si comprano in libreria, ma su siti internet appositi. Si pagano online e si scaricano in pochi minuti e subito sono disponibili per la lettura.
E’ possibile reperire libri da ogni parte del mondo. In altre parole non serve andare in America per avere un libro disponibile solo sul mercato americano, né dobbiamo ordinarlo e farcelo spedire. Si apre un mondo enorme di possibilità che non esisteva solo una decina di anni fa.
Che dire? Il futuro è già qui.
Mi è stato regalato un Kobo. Le mie sorelle sapevano che ordinavo libri negli Stati Uniti attraverso una libreria specializzata che si trova al centro di Roma. Hanno pensato di farmi cosa gradita, così che potessi scaricare i libri desiderati, se disponibili.
Quando ho ricevuto questo regalo, mi ha fatto piacere, ma ero scettico sulla sua reale utilità. Anch’io appartengo a coloro che vogliono sentire l’odore della carta. Solo dopo un certo tempo mi sono deciso a scaricare qualche libro, giusto per fare la prova.
Poi mi si è aperto un mondo sterminato. In meno di un anno ho scaricato oltre centocinquanta libri nel mio Kobo. Ne ho letti molti e continuo a leggerli ogni volta che posso.
Tra gli argomenti di mio interesse c’è, ovviamente, il volo. Ma anche l’informatica, la scienza, i viaggi, la geografia etc.
E la storia della conquista dello spazio e le missioni Apollo.
Ho scaricato tutti i libri disponibili scritti dagli astronauti stessi, quelli che hanno fatto parte delle prime esperienze preparatorie alla corsa alla conquista della Luna e che poi sulla Luna ci sono andati veramente.
Uno dei personaggi più illustri tra questi astronauti è il secondo uomo a mettere piede sul suolo lunare: Buzz Aldrin.
Molto recentemente mi imbattevo spesso nella pubblicità di un libro che Aldrin aveva scritto, intitolato: “No dream is too high”. Su Facebook girano spesso notizie del genere. Non avevo idea su come poterlo ordinare e leggere, ma da una breve ricerca ho scoperto che era disponibile la versione ebook. Avevo il Kobo e in pochi minuti il libro era nella sua memoria interna, pronto per essere letto. Fantastico.
Aldrin è stato il secondo essere umano a posare il piede sulla superficie lunare. Il primo è stato Neil Armstrong.
Già essere stato sulla Luna non è un fatto di poco conto per chiunque. Sin dalle prime pagine si può intuire che l’autore è rimasto profondamente influenzato dall’esperienza. Il libro è un’autobiografia un po’ particolare, ma la cosa che traspare maggiormente riguarda proprio l’effetto che una tale impresa ha avuto sulla vita personale di Aldrin dopo il rientro sulla Terra.
E’ un discorso complesso, tanto articolato da non poter essere sintetizzato in poche parole, neppure in una recensione come questa. Aldrin ha scritto diversi libri e, non esagero a dire, bisogna leggerli tutti per avere un quadro, se non completo, almeno migliore.
Il primo capitolo ha per titolo: “The sky is not the limit. There are footprints on the moon – [Il cielo non è il limite. Ci sono impronte sulla Luna]”.
Certo, si dice che il limite è il cielo. Perfino noi che voliamo usiamo questa espressione. Ma per un astronauta non vale. Lui va ben oltre il cielo. E già questo, si intuisce, può dare una sensazione di onnipotenza dalla quale diviene poi difficile difendersi affinché non diventi patologica.
Il capitolo quattro è altrettanto illuminante: “Second comes right after first”
Il secondo viene subito dopo il primo. Questa è la frase che Aldrin si è sentito ripetere molto spesso, sia prima che dopo l’impresa di sbarco sulla Luna. Tutti lo volevano in qualche modo consolare della delusione di essere stato il secondo a scendere dalla navetta. Il mondo avrebbe ricordato il primo. Lui sarebbe passato alla storia. Il secondo avrebbe avuto una minore importanza, la sua figura sarebbe rimasta inesorabilmente nell’ombra del primo. E pensare che secondo le regole in vigore fino a pochi giorni prima del lancio sarebbe spettato a lui scendere la scaletta davanti ad Armstrong. Ma poi le regole sono state cambiate per ragioni forse politiche e anche di opportunità.
Ma per lo spirito ferocemente competitivo esistente a quel tempo tra gli equipaggi … la differenza tra il primo e il secondo era abissale. Infatti per tutto il libro se ne percepisce l’effetto sulla capacità di riadattamento alla vita comune dell’autore.
Nessun sogno è troppo alto, dice il titolo. Ma il sottotitolo dice anche che nel contenuto ci sono lezioni di vita da parte di chi ha camminato sulla luna.
Le lezioni ci sono. Resta da capire se Aldrin le ha scritte per aiutare gli altri nelle scelte di vita, per raggiungere i sogni, per quanto alti questi possano essere, oppure per aiutare se stesso ad affrontare la propria incapacità di tornare ad una vita normale, dopo essere salito tanto in alto.
Tutta la vita di questo astronauta è stata eccezionale. Pilota militare, ha combattuto in Corea, abbattendo anche un MIG. Laureato al MIT in scienze aeronautiche con una tesi che riguardava proprio le tecniche di aggancio tra due veicoli spaziali, il famoso rendez-vous che è divenuto poi la manovra chiave che ha reso possibile la conquista della Luna, è entrato alla NASA ed ha cominciato un difficilissimo programma di formazione e addestramento durato anni.
Lanci e passeggiate spaziali eseguiti con successo si sono svolti insieme alle vicende di vita personale, come il matrimonio, i figli, i viaggi, lo studio etc.
Infine il programma Apollo, funestato da un paio di incidenti che ne hanno rallentato lo svolgimento. L’Apollo 11, quello del primo sbarco sulla Luna rappresenta la vetta più alta raggiunta. Il libro riguarda anche questo. Ma soprattutto riguarda il dopo. La vita che segue un simile, grandissimo evento. Gli effetti inaspettati e all’epoca sconosciuti che da quel momento in poi, in un lento crescendo, hanno travolto la vita personale e familiare di Aldrin, con problemi di alcolismo e di depressione.
Gli astronauti erano tutti piloti, tranne uno, che era un geologo e ha fatto parte dell’Apollo 17, sbarcato sulla luna nel 1972 insieme a Gene Cernan.
Impensabile parlare di depressione per un pilota. Solo parlarne avrebbe avuto ripercussioni sulla carriera. E l’alcolismo non era considerato un problema. Tutti bevevano, era un fatto comune.
Aldrin ha capito che le cose non stavano così. Ha avuto il coraggio di affrontare l’argomento e i rischi connessi ed ha chiesto aiuto.
I luminari di allora non erano molto preparati. Tutto andava studiato e sperimentato.
Lo studio e la sperimentazione di cure idonee per problemi del genere sono iniziati grazie ad Aldrin. Di questo, poi, hanno tratto beneficio anche altri astronauti, che si sono trovati a dover affrontare gli stessi problemi.
Il libro parla anche di queste cose.
Leggere il racconto dettagliato di chi ha vissuto fatti tanto eclatanti è molto interessante. Se ne percepisce la complessità, la difficoltà, le emozioni che hanno accompagnato avvenimenti che conosciamo solo attraverso i giornali e la televisione. Il primo sbarco sulla Luna è stato per tutti un fatto epocale e ognuno di noi sa dire dov’era in quei giorni. Tutti ricordano la notte di luglio e le immagini in bianco e nero dei due uomini che per la prima volta si muovevano sul suolo lunare. Leggendo il libro mi sono ritrovato spessissimo a ricordare e a fare un parallelo tra le mie vicende personali di quei giorni, mentre Aldrin descrive la sua storia.
Ci sono tante altre cose da dire su questo argomento. Come ho già detto, non è possibile sintetizzare in poche righe la storia delle conquiste spaziali. Ma Aldrin ha scritto altri libri. Ed anche molti altri astronauti lo hanno fatto. Ci sono elementi in comune tra queste storie.
Avremo modo di riparlarne.
Recensione a cura di Evandro Aldo Detti (Brutus Flyer)
titolo: Falco F8L – Album del Falco Club – I capolavori di Stelio Frati
a cura di: Gherardo Lazzeri con la collaborazione diSandro Rosati e Luigi Aldini
editore: LoGisma
anno di pubblicazione: 2008
ISBN: 9788887621730
Questo libro, pubblicato dall’editore LoGisma in collaborazione con il Museo aeronautico “Gianni Caproni” di Trento, è una raccolta di articoli, notizie, pubblicazioni e presentazioni, corredate da moltissime foto e da interessanti documenti. La prefazione è di Maria Fede Caproni Armani, di recente scomparsa.
Le 168 pagine del libro tracciano la storia di un fantastico aereo, l’F8L, in particolare, ma anche di tutti gli altri aerei usciti dalla mente e dalla matita del grande progettista Stelio Frati.
Questo aereo fu costruito inizialmente dalla ditta Aviamilano, con sede proprio a Milano, poi la produzione si spostò a Trento, presso lo stabilimento industriale Caproni. La ditta che lo costruiva era la Aeromere, ma in seguito divenne Laverda.
Ho sempre sostenuto che l’aeronautica e il motociclismo hanno gli stesso cromosomi e qui, una volta in più si dimostra che un aereo può essere costruito da una fabbrica di motociclette (ma, ovviamente, la Laverda non costruiva solo quelle).
La Laverda, comunque, da quel momento in poi, costruì tutti gli esemplari oggi ancora volanti, veri gioielli, contesi dagli appassionati e dai collezionisti di tutto il mondo.
L’F8L è conosciuto anche come “la Ferrari del cielo”. Le sue linee pulite, la levigatezza delle sue superfici ed il ridotto ingombro frontale fanno sì che l’aereo possa beneficiare di una ridottissima resistenza aerodinamica e possa raggiungere velocità considerevoli, con una motorizzazione di limitata potenza, di cento o centocinquanta cavalli. Il tutto, unito a consumi davvero molto contenuti.
Oltre al Falco, dalla matita di Stelio Frati sono usciti altri prestigiosi aeroplani, citati ed illustrati nel libro:
l’F7 Rondone,
l’F15 Picchio,
l’F14 Nibbio,
l’F20 Pegaso
l’SF 260
L’ultimo nato era l’LN 27 Furio.
Le caratteristiche eccellenti de questi aerei ne hanno fatto, specialmente nel caso del Falco, una macchina ideale per le gare di rallye aereo, che sono gare di regolarità, ma anche per le gare di velocità, disputate prevalentemente intorno a dei piloni. Infatti nel corso di tanti anni hanno partecipato e vinto numerose gare. Qualche pilota è diventato perfino famoso.
Uno dei più famosi è stato Luciano Nustrini. Un personaggio piuttosto particolare che ho avuto modo di conoscere di persona per aver partecipato al Giro Aereo d’Italia del 1982. Il mio aereo era un Morane Saulnier 150, uno dei più lenti. Il suo era un F8L Falco, velocissimo, divenuto famoso per le vicende che si sono svolte negli anni successivi. Il nominativo era I-ERNA.
Nustrini emigrò in Nuova Zelanda e si portò appresso molte cose, tra cui il suo Falco. E con questo, purtroppo, precipitò in mare perdendo la vita, insieme alla moglie Giuliana, mentre sorvolava una regata che era appena cominciata e alla quale partecipava il suo amico Giovanni Soldini. Pochi giorni prima, Nustrini aveva volato su quelle acque neozelandesi con Soldini come passeggero.
Come ho detto il libro è una raccolta di tanti racconti e articoli, molti scritti dai proprietari stessi, tra cui proprio Nustrini. Nel Giro aereo d’Italia del 1982, nella tratta tra Crotone e Lamezia Terme, il percorso attraversava lo stretto di Sicilia e prevedeva il sorvolo di un punto di controllo situato su una montagna, nella punta nord orientale della Sicilia. Mi ricordo di quella tratta, perché non capita tutti i giorni di attraversare lo stretto a volo d’uccello. Non sono mai stato in Sicilia. L’ho sorvolata quel giorno e basta. Ma la salita verso la montagna siciliana, Antennamare, fu memorabile. Avevo cominciato a salire già dal traverso di Reggio Calabria. Impiegai tutti i circa venti km di mare per raggiungere la quota.
Sul libro Nustrini racconta come condusse lui la traversata e la salita. Altro aereo, altro approccio al problema. Lui si fece i venti chilometri dello stretto a due metri dall’acqua, a 360 km orari, per poi salire ripido, sfruttando anche la spinta di alcune correnti ascensionali dinamiche lungo i costoni che incontrava.
Questo libro è opera di Gherardo Lazzeri, editore LoGisma, che si è avvalso della collaborazione di due piloti proprietari di Falco F8L, Luigi Aldini e Sandro Rosati.
Di Luigi Aldini ho già scritto la recensione del suo libro,”Passione”. Ed ho accennato al Falco che si è costruito da solo. Andate a leggere la recensione pubblicata proprio qui, su Voci di Hangar. Comunque, anche su questo libro, si trova tutta la storia della costruzione, raccontata da Aldini stesso.
Sandro Rosati, del resto, è proprietario di un altro Falco ed è il Presidente del Falco Club. Anche lui partecipa alle gare e insieme ne abbiamo fatte molte, in passato.
Ho citato questi due illustri piloti solo come esempio, ma il libro contiene racconti di altri. Ognuno ha dato il proprio contributo per aggiungere qualcosa alla storia di questi splendidi aerei. Nel libro sono citati tutti i nominativi, con foto ed informazioni. Perfino Stelio Frati, l’ingegnere che li ha creati, ha fornito materiale proprio.
Ma un aereo tanto blasonato non poteva rimanere confinato nel ristretto ambito del paese di appartenenza. Negli Stati Uniti, dal 1982 la “Sequoia Aircraft Inc.” ha messo in vendita un kit di montaggio dell’F8L e sono già stati costruiti centinaia di modelli. Molti tra i proprietari degli esemplari di cui abbiamo parlato fin qui storcono il naso, quando si parla dei Falchi statunitensi. Ma si sa. I puristi lo fanno. In realtà la Sequoia Aircraft Inc. ha impedito che una macchina tanto ben riuscita si disperdesse tra i rottami di un’infinità di altri modelli, nei vari cimiteri degli aeroplani che ogni tanto capita di vedere in qualche angolo di aeroporto o tra mucchi di auto degli sfasciacarrozze delle nostre città. Gli esemplari storici sono qui. Aerei d’epoca, ancora tanto attuali. Quelli della Sequoia sono giovani, lucenti e splendidi. Almeno altrettanto apprezzati dai loro proprietari. Ammirati dai visitatori degli airshows.
La vita del Falco continua.
Recensione a cura di Evandro A. Detti (Brutus Flyer)
L'unico sito italiano di letteratura inedita (e non) a carattere squisitamente aeronautico.
Aforismi
Impara dagli errori altrui. Non vivrai abbastanza a lungo per farli tutti tu.
(proverbio aeronautico)
Q.T.B.
PILOTA: autopilota in modalità \"volo livellato\" scende 200 piedi. MECCANICO: non è possibile riprodurre il problema a terra
(Suggerita da Herr Professor)
Check-In
PASSEGGERA con bimbo piccolo: Senta scusi, siccome la bimba non sta tanto bene, posso usare le maschere d’ossigeno dell’aereo per farle un po’di aerosol?