Storia e tradizioni aeronautiche della provincia di Grosseto dal 1833 a oggi.
autore: Massimiliano Arienti
editore: Innocenti Editore
pagine: 192
anno di pubblicazione: 2023
ISBN: 9791281486089
La segnalazione del mio collega controllore del traffico aereo Alfredo Stinellis, in pensione come me e anche lui con legami di vario genere con la terra di Maremma e la città di Grosseto in particolare, mi ha permesso di conoscere l’esistenza di questo libro. Non sapevo niente del volume, ma per questo sarei scusato perché la data di pubblicazione riporta l’anno 2023, quindi è recente. Invece, cosa molto più grave, non sapevo granché proprio del volo in Maremma, dove sono nato e cresciuto fin oltre i diciassette anni. E dopo, per oltre mezzo secolo ho volato in questi cieli con ogni tipo di aereo, aliante o motoaliante e perfino con ultraleggeri.
Per decenni sono passato sopra siti storici senza vederli come tali, con le mani sui comandi e lo sguardo verso l’orizzonte, verso il mare, verso le colline e le pianure, senza sapere quanta Storia dell’Aviazione mi circondasse ad ogni metro di avanzamento lungo la mia rotta. E senza avere coscienza del fatto che più di un secolo prima di me, altri piloti, con aerei diversi, vestiti in un’altra maniera e con ben altri scopi rispetto al mio, erano passati di lì, erano atterrati nei campi che ora stavo sorvolando, erano ammarati nel blu delle lagune oltre la linea della costa.
E mi tocca dire, anche, che tanti di loro hanno terminato proprio qui la loro vita, caduti nell’intento di sviluppare aeroplani, idrovolanti, sistemi e tecniche di volo. Impossibile, ormai, determinare con accuratezza dove si trovassero quei luoghi. Tranne alcuni che hanno fatto parte di una Storia più recente, i campi di volo di allora e i luoghi precisi di incidenti o atterraggi di fortuna sono stati inglobati da modifiche e urbanizzazioni. Si sa solo approssimativamente dove si svolsero le varie vicende.
L’idroscalo di Orbetello è sicuramente una delle perle dimenticate della storia aviatoria della Maremma. Oggi, a causa della distruzione operata dalle truppe naziste in ritirata, della gloriosa area che vide tanti record e tante trasvolate di massa del periodo anteguerra rimane ben poco tra cui uno degli ingressi: questo. Ce n’è poi uno definito “monumentale” anche se di monumentale all’interno dell’idroscalo è rimasto ben poco, purtroppo (foto proveniente da www.flickr.com)
Oggi tutto è diverso. Gli aeroporti, prima, erano semplici campi pianeggianti, strisce di terreno libere da ostacoli troppo vicini, senza infrastrutture, senza costruzioni a parte qualche baracca, senza mezzi terrestri di supporto. Senza nulla, tranne la passione e l’impegno di un piccolo uomo capace di volare, in mezzo a pochi altri che non ne erano capaci, ma potevano preparare per quel pilota una macchina di legno e tela con un motore di debole potenza. E a un certo punto, quando il vento diventava solo un leggero movimento di aria quasi inesistente, la fragile macchina poteva decollare e il miracolo si realizzava.
Questo libro è una rivelazione.
Un altro volume che potrebbe fare da corollario a quello di Massimiliano Arienti è stato recensito dal nostro Evandro Detti e si trova ospite in questo angolo del nostro hangar: https://www.vocidihangar.it/w/il-mio-idroscalo-orbetello/ ove, per i più curiosi, sarà possibile avere maggiori dettagli a proposito di questo luogo singolare che tanto lustro diede alla Regia Aeronautica e all’Aviazione italiana in genere
Come recita il sottotitolo, la Storia e le tradizioni aeronautiche della provincia di Grosseto partono dal 1833. Allora non c’erano aeroplani, ma già esistevano le mongolfiere. E proprio da queste, e dalle immagini d’epoca, disegni bellissimi, parte la narrazione. Uno dei primissimi capitoli si intitola: Primi voli umani a Grosseto.
Non avevo neanche sospettato che la mia terra fosse stata protagonista di simili imprese. Tutt’al più sapevo che durante le feste paesane c’è sempre stata la tradizione di far partire palloncini aerostatici, anche di notevoli dimensioni, con uno straccio intriso di benzina o altro in funzione di generatore di aria calda. Era uno spettacolo vedere il pallone partire, superare l’altezza delle case che circondavano la piazza principale del paese e salire alto nel cielo della notte, fino a diventare una vivida luce, come una stella veloce, portata dal vento chissà dove. E il giorno dopo, immancabilmente, arrivavano le storie raccontate da chi aveva visto il pallone, lo aveva seguito, lo aveva recuperato, magari a chilometri di distanza.
In tema di storia del volo in Italia non potrà mancare nella biblioteca degli appassionati questo prezioso volume di Alfredo Stinellis, collega di lavoro del recensore nonchè “informatore” dell’esistenza del volume “Volare in Maremma”. Anche di “Storia di un aeroporto” il buon Evandro ha stilato un’eccellente recensione che è ospitata nel nostro hangar all’indirizzo: https://www.vocidihangar.it/w/storia-di-un-aeroporto-da-roma-littorio-a-roma-urbe/
Qualche volta, spesso, avevano dovuto spegnere l’incendio dell’erba secca là dove il pallone era caduto, con ancora un residuo di fiamma dello straccio “propulsore”.
Oggi questo genere di spettacoli sarebbero proibiti.
Ma di voli con vere mongolfiere con esseri umani a bordo non avevo mai sentito parlare. Una Storia sconosciuta, ormai svanita nel passato. E che questo libro riporta giustamente alla luce.
Il capitolo successivo parla brevemente dei piccioni viaggiatori che venivano lanciati nel corso di manifestazioni e gare di vario tipo. Anche loro erano parte della tradizione del volo e lo sono ancora oggi.
Non costituisce certo un’impresa aviatoria storica, ossia degna di essere citata all’interno del volume “Voli sulla Maremma” tuttavia, atterrare con un Pa19 dell’AeroClub di Viterbo, due persone a bordo, sull’aviosuperficie dell’isola di Giannutri è senz’altro meritevole di menzione. E chi poteva essere l’audace pilota ritratto nello scatto se non l’autore della presente recensione? Ma certo: il nostro Evandro Detti che, ancora nell’età dell’incoscienza, ebbe l’ardire di toccare terra su una strisciolina di terra quasi piana dalla fantasmagorica lunghezza di 500 metri (simile al ponte di una portaerei) ricavata su una piccola spianata posta sulla sommità di un’isola già minuscola di suo, figuriamoci la pista! Ma non è tanto questo l’evento memorabile quanto il fatto che i due manigoldi, terrorizzati all’idea di non poter ridecollare (questo tipo di velivolo non aveva l’avviamento elettrico bensì l’elica veniva lanciata a mano dal pilota con risultati spesso incerti), lo lasciarono in moto e, assurandosi che non scappasse loro verso il baratro, si scattarono alternativamente il fotogramma incriminato per poi ripartire alla volta dell’aeroporto di Viterbo, felici come se avessero toccato il paradiso. Beata incoscienza! Per chi non fosse ferrato in geografia, ebbene Giannutri è la più meridionale delle isole dell’Arcipelago toscano e si trova a circa 12 chilometri a Sud dall’Argentario, dunque Maremma piena. Inutile dire che l’aviosuperficie è attualmente in stato di abbandono in quanto ufficialmente chiusa intorno al 2000, giusto il tempo per consentire a Evandro di farsi scattarse la foto (foto fornita da Evandro Detti)
Poi arriva l’epoca dei dirigibili. E per qualche decennio la loro Storia si mescola con quella del suo successore: il più pesante dell’aria.
L’enormità della pista dell’aviosuperficie di Giannutri. Occorre aggiungere altro? (foto fornita da Evandro Detti)
Da questo punto in poi il libro passa in rassegna le vicende dello sviluppo dell’aviazione a Grosseto.
Parla dei raid di centinaia e perfino migliaia di chilometri di percorso effettuati con gli aerei primordiali e fragili di allora. Raid lunghi, come quello da Parigi a Roma e poi ancora su fino a Torino.
La rotta tendeva a seguire la costa, ove possibile e questo ha reso Grosseto e altre località vicine, punti strategici per il rifornimento, eventuali emergenze e riparazioni.
Il libro contiene tanti capitoli, tante pagine, di questi racconti, resoconti, fotografie.
Emergono nomi mai sentiti prima, eppure appartengono a personaggi importantissimi, molto famosi all’epoca. Personaggi di immenso valore, che hanno sacrificato la loro vita per lo sviluppo del volo, non solo in Maremma, ma proprio sul pianeta Terra. Nomi e imprese che andrebbero fatte riemergere dalla pesante coltre dell’oblio che le ha coperte e sommerse.
E’ presente dal settembre 2023 nell’enorme spazio espositivo del museo aeronautico di Volandia, nei pressi dell’aeroporto di Malpensa di Milano, l’unico Savoia Marchetti S.55 esistente sul suolo nazionale. Non si tratta però di un esemplare originale bensì di una replica in scala 1:1 realizzato da un gruppo di aziende italiane e dai Lavoratori Anziani del Savoia Marchetti Historical Group. Meglio di niente! (foto proveniente da www.flickr.com)
Arriviamo così agli aerei della prima guerra mondiale, ai piloti grossetani, all’aeroporto di Grosseto e al suo sviluppo. Arriviamo anche al volo sportivo, che tanta spinta ha dato proprio allo sviluppo del volo in generale, ma altrettanta spinta l’ha data agli aeroporti e alle relative infrastrutture.
Di immenso interesse sono le fotografie, quasi tutte inedite o almeno, per quanto mi riguarda, non le avevo mai viste.
L’aeroporto di Grosseto è molto vicino alla città e alle sue mura.
Le mura che circondano Grosseto sono molto alte e un tempo costituivano il sistema difensivo del suo centro storico. Intorno c’erano solo campi, coltivati con i sistemi di allora. Coppie di buoi tiravano un aratro, un erpice, un carro. Poche case, per lo più capanne, baracche o casotti di rimessaggio degli attrezzi. Tutto era piatto e pulito, le strade erano strette, quasi sentieri. Un ambiente che si prestava perfettamente a delimitarne aree idonee al decollo e all’atterraggio dei piccoli aerei di legno e tela dei primi anni del novecento. E quando questi vi operavano era uno spettacolo incredibile. Tutti volevano assistervi. Intorno al perimetro di questi campetti di volo improvvisati si radunavano molti spettatori.
Non poteva mancare un’immagine d’epoca di quello che fu l’idroscalo di Orbetello nei suoi anni migliori. Ricordiamo a puro titolo di dovere storico che da questo luogo s’involarono le seguenti trasvolate collettive: 1928 – Crociera del Mediterraneo occidentale (Orbetello – Los Alcazares); – 1929 – Crociera del mediterraneo Orientale (Taranto – Odessa – Orbetello); – 1930 – Prima Crociera Atlantica (Orbetello – Rio de Janeiro); – 1933 – Secondo Crociera Atlantica (Orbetello – Chicago – New York – Roma) (foto proveniente dal sito web “Crociera del decennale.it” presente all’indirizzo: http://www.crocieradeldecennale.it/index.php?idlang=1 ove sarà possibile visionare un’infinità di materiale preziosissimo)
In occasione di manifestazioni aeronautiche, a quel tempo, venivano allestite delle tribune proprio sopra le mura. La loro posizione sopraelevata sulla pianura ne faceva il luogo ideale per vedere tutto lo svolgimento delle operazioni, dal decollo all’atterraggio, compreso il volo, che spesso avveniva proprio sopra la città.
Oggi fuori dalle mura si estende il resto di Grosseto, con i suoi quartieri e le sue vie. I campi non ci sono più. Al loro posto troviamo strade e palazzi e risulta difficile credere che un tempo tutte le zone fossero un teatro così affascinante.
Nel libro si fa riferimento a un pilota che ha tanto contribuito allo sviluppo dell’aeroporto di Grosseto e al volo militare e civile in Maremma: Bindo Tosti Balducci, autore di un libro intitolato “Con l’elica in croce”. Questo libro, stampato in proprio e mai commercializzato, mi era capitato tra le mani tempo fa e lo avevo letto con molto interesse. Tra le tante disavventure narrate, una riguardava proprio l’ennesima avaria in volo, la classica piantata di motore che lo aveva fatto ritrovare a bassa quota, con l’elica in croce, appunto, e nella necessità di atterrare al più presto in un campo idoneo.
Atterrò nella zona appena fuori dalle mura di Grosseto, dove oggi passa la via Giulio Cesare, vicino al Tiro a Segno Nazionale. Un’area molto urbanizzata, ma allora c’erano soltanto campi, come dicevo più sopra.Incredibile.
Il volume di Bindo Tosti Balducci citato dall’autore non fu mai pubblicato e commercializzato nella rete libraria italiana in quanto stampato a Grosseto presso la tipolitografia “La Commerciale” nel 1986, tuttavia in rete è possibile visionare del materiale alla pagina: https://prezi.com/oqwut-ba3wyq/con-lelica-in-croce/ dove la pronipote Chiara Costanzi ha allestito una singolare presentazione con alcune informazioni (comprese foto d’epoca) che rendono onore all’autore del volume in questione. (foto proveniente dalla pagina sopracitata)
Infine, uno degli argomenti al quale l’autore Massimiliano Arienti dedica tante pagine: l’idroscalo di Orbetello. In quanti lo conoscono? In quanti sanno che proprio da questo luogo storico sono partite le famose trasvolate di Italo Balbo? Basterebbe fare qualche domanda in giro…
Il libro traccia la Storia, le origini e lo sviluppo dell’idroscalo. Parla delle crociere, delle formazioni di idrovolanti che attraversarono il mediterraneo e l’oceano, che raggiunsero terre e popoli altrimenti divisi da migliaia di chilometri di mare.
Questo è un argomento che mi sta particolarmente a cuore. Oggi l’idroscalo di Orbetello è lasciato nel più totale abbandono. Le storiche palazzine militari di quel tempo glorioso per l’aviazione e per il volo in Maremma e nel mondo intero sono ormai fatiscenti. Gli storici hangar costruiti dal famoso architetto Nervi e bombardate durante la guerra, o fatte esplodere dai tedeschi in ritirata, non esistono più.
Il colpevole disinteresse dei politici che si avvicendano al comando, incapaci di distinguere la Storia del volo da quella dei governi, dei regimi e delle loro vicende, lascia alla disgregazione un luogo unico, interessantissimo per quanto ha dato allo sviluppo dell’aviazione, alle tecniche di navigazione, alla tecnologia e alle capacità organizzative necessarie per compiere imprese che sono rimaste ineguagliate nei decenni successivi.
Invece l’idroscalo di Orbetello dovrebbe diventare un museo, che racconti le vicende del volo, non quelle di un regime politico nel quale si sono svolte. Verrebbero a vederlo da ogni parte di mondo.
Riemergerebbe dall’oblio e brillerebbe nella Storia dell’Aviazione.
Speriamo che ciò avvenga, prima o poi.
Questo libro ne parla ed è già un notevole merito.
Un breve capitolo riguarda il campo di fortuna di Albinia.
A suffragare quanto rivelato nella sua recensione, ecco uno scatto storico: Evandro Detti che rulla con il suo Morane Saulnier MS-893 sull’aviosuperficie di Albinia Costa d’Argento in occasione della manifestazione aerea che consegnò ufficialmente piccola struttura prossima alla città di Grosseto alla comunità dei piloti e soprattutto ai paracadutisti italiani (foto di Evandro Detti)
La storia di questo luogo, che nel passato era stato, appunto, un campo di fortuna nelle imprese aviatorie del secolo scorso, nei raid di cui ho parlato, non la conoscevo.
Eppure, negli anni ottanta, un personaggio di cui non ricordo più il nome, riaprì l’aviosuperfice di Albinia. Organizzò una manifestazione aerea e chiamò qualcuno che potesse renderla spettacolare.
Rispondemmo noi del volo a vela dell’Aeroclub di Viterbo.
Allora operavamo anche sull’aviosuperficie di Torre Alfina, dove oggi ha sede un club e una scuola di volo acrobatico in aliante. Partimmo da lì, con un traino, un aliante e un motoaliante.
Arrivammo sul cielo campo di Albinia.
Eravamo in quattro. Io pilotavo un aereo da traino, un istruttore pilotava l’aliante trainato, un altro pilota venne con un motoaliante Falke e una ragazza, pilota anche lei, venne con funzioni di speaker per descrivere le nostre evoluzioni.
La manifestazione fu un successo.
Oggi sull’aviosuperficie di Albinia ha sede un gruppo di paracadutisti che svolgono una intensa attività e fanno anche lanci in tandem per far provare a chi lo desidera l’ebbrezza della caduta libera.
La Storia continua.
Il resto del libro riguarda il periodo bellico e le vicende che hanno riguardato l’aeroporto di Grosseto e i vari campi che furono realizzati a supporto di esso e che oggi sono scomparsi. Ma, con buona approssimazione, ancora si potrebbero ritrovare le loro tracce.
Poi si parla dei Gruppi di volo che ancora risiedono nell’aeroporto di Grosseto, si parla della loro storia, delle macchine che si sono avvicendate nei decenni, dei simboli, delle vicende, dei personaggi…
Ed infine del volo civile, dell’Aeroclub di Grosseto che ormai da anni risiede in aeroporto.
La IV di copertina del bel libro di Massimiliano Arienti ha come protagonista il singolare idrovolante Siai Marchetti S.55 divenuto celebre per essere stato utilizzato nel corso delle trasvolate atlantiche ad opera di Italo Balbo e che ebbero l’idroscalo di Orbetello (provincia di Grosseto) quale quartier generale.
Ultimamente gli aeroporti militari hanno aperto anche al traffico aereo civile e Grosseto non fa eccezione, infatti vi operano alcune compagnie, sia di linea che di aerotaxi.
Chiudiamo questo pregevole libro che invito a leggere. Mi sembra che per il momento non esista come ebook, ma ho inserito qui i riferimenti per averlo con facilità.
Chiunque sia appassionato di volo e della storia del volo potrà trarre da esso notevole conoscenza.
E’ una conoscenza nascosta, che non capita di incontrare facilmente. Ci vuole proprio che qualcuno te la riveli, come ha fatto il mio collega con me. E come ho fatto io per altri con questa recensione.
Non basta volare sopra tanti luoghi storici per impararne la storia.
Lo dimostrano i miei innumerevoli voli in tutta la Maremma e in tutto l’arcipelago toscano, senza sapere e senza vedere nulla di più del paesaggio.
Recensione di Evandro A. Detti (Brutus Flyer).
Foto e didascalia a cura della Redazione di VOCI DI HANGAR
Un padre o un nonno, per i propri figli e nipoti, eroe e mito lo è per definizione, anche se non ha compiuto gesta mirabolanti. Ma se questo padre, o questo nonno, si è reso protagonista di cose che pochi nella vita possono dire di aver compiuto, sarà un eroe e soprattutto un esempio per molti altri anche al di fuori della sua cerchia familiare.
Ecco perché oggi parliamo di Giancarlo Silva. Ed ecco perché questa sua autobiografia vive una seconda vita editoriale.
Questa è un’autobiografia così ricca di eventi, riflessioni, accadimenti e opportunità di conoscenza, che sarebbe stato davvero un peccato lasciarla confinata al ristretto ambito della “lettera ai figli e ai nipoti” com’era nelle intenzioni dell’autore, e infatti qualcuno ha giustamente ritenuto opportuno proporla al vasto pubblico, nella certezza che avrebbe incontrato interesse e apprezzamento.
Io stessa di questo ne sono testimone.
Lo splendido libro di Giancarlo Silva prenderà ufficialmenrte nuova vita il giorno 24 maggio a Rieti, quella stessa Rieti che lo vide primo campione italiano di Volo a Vela nel 1957. I suoi familiari, gli amici, i suoi estimatori si ritroveranno presso la Sala Convegni dell’Hotel Serena di Rieti per parlare di Giancarlo sfogliando l’album dei ricordi contenuti nella nuova versione del volume ora fruibile dall’intera comunità dei piloti e appassionati di volo italiani. Nel febbraio 2011, data della prima stampa del volume, l’autore decise di farne un omaggio esclusivo ai nipoti e agli amici privandoci così di un testo piacevolissimo, a tratti spiritoso, scritto con la leggerezza e la sintesi tipica di un ingegnere talentuoso nella scrittura. Questo fino al 24 maggio appunto, quando l’editore Logisma in persona sarà lieto di fornire delle copie freschissime di stampa della rediviva autobiografia di Giancarlo Silva a chi gliene farà richiesta.
LoGisma, l’editore di questa nuova edizione, si sa, è un editore di nicchia, una nicchia invero ampia perché, tra le altre cose, si rivolge a quel nutrito gruppo di lettori che sono i piloti e tutti coloro che in un modo o nell’altro si occupano di aerei, volo, insomma, cieli. Io non sono certo tra questi, in altre parole, sono una lettrice comune, come i più, eppure, dopo aver superato le prime pagine un po’ tecniche, per una come me ma certo non per gli addetti ai lavori, ho goduto poi di una lettura non solo piacevolissima per la scrittura semplice e scorrevole che la caratterizza, ma anche perché ricca di spunti di riflessione, e soprattutto capace di coinvolgere e interessare le persone tutte, sia quelle che anagraficamente possono avere riscontri diretti, sia quelle più giovani che attraverso queste pagine possono se non riconoscere, senz’altro conoscere un’epoca che è sì tramontata, ma che è stata anche la più prodiga nel regalarci quel che costituisce la ragione ultima dell’esistenza: la scoperta.
Incontriamo subito un ragazzo nato “bene”, in una famiglia di un certo lignaggio, con un padre però troppo assente per via dei suoi impegni d’affari, e una madre al contrario troppo presente per via del suo carattere. Allora come fa quel ragazzo ad allentare la morsa che gli tarpa le ali? Va in Francia a studiare per diventare ciò che la famiglia si aspetta da lui, un ingegnere. Ma, guarda il destino, proprio a pochi metri da dove studia, lui fa la sua migliore scoperta, un campo di volo, gratuito! E cosa c’è di meglio per un ragazzo squattrinato e in cerca di libertà di volare?
Un fotoritratto dell’autore a dir poco vintage: Rieti – 1957. L’anno magico in cui, all’indomani della sorprendente vittoria di Giancarlo Silva nel Trofeo Bonomi (gara nazionale che valeva come I Campionato italiano di Volo a Vela), il campionissimo Walter Vergani sul periodico dei volovelisti italiani “Volo a Vela” così scrisse a proposito dell’autore: “Con Silva il Volo a Vela italiano ha acquistato un buon pilota che certamente farà parlare di sé; un pilota che ha l’aria di voler movimentare il libro d’oro dei primati italiani, senza atteggiarsi a unico depositario di virtù soprannaturali. Forse con Silva avrà termine il divismo volovelistico italiano”. Occorre aggiungere altro? (foto proveniente dalla rivista “Volo a Vela” – settembre 1957)
Così ha inizio una vita straordinaria. E, diciamolo pure, fortunata, molto fortunata. Per molte ragioni che il lettore scoprirà via via. Ma soprattutto perché una grave avversità, segretamente benedetta, occorsa all’azienda di famiglia nella quale, finiti gli studi, il nostro ragazzo era stato costretto a lavorare, sarà il suo lasciapassare per riprendere (e non smettere più) a volare dopo l’inevitabile interruzione.
Quando si dice che non tutti i mali vengono per nuocere!
Dice lui stesso in prefazione:
Dopo tanti anni di guerra, milioni di morti, povertà e fame, la gente aveva voglia di darsi da fare, di vivere. Tutto era facile allora: trovare lavoro, viaggiare, fare qualunque cosa. Credo di averne approfittato.
Eccome se lo ha fatto, è per questo che la sua storia superando ampiamente i confini del racconto privato, ci porta in quell’epoca magnifica di boom economico ed emotivo che inutilmente inseguiamo oggi, magari con l’ausilio dell’ingegno artificiale.
Ben altri furono gli ingegni allora, e tutti assolutamente naturali. Un esempio? Domanda: come trovare volando una città in un paese enorme e senza riconoscibilissime coste come le nostre italiane? Semplice. Basta costruire un’enorme freccia lunga almeno 100 metri sul fianco di una montagna con sotto la scritta Cannes.
Meglio di un radiofaro!
Ecco, sono perle così che si trovano in questo libro e che ricostruiscono lo spirito dei tempi. Quelli in cui si arrivava a Roma
sempre senza radio e senza bussola in un viaggio meraviglioso, grazie a un vecchio biplano di legno e tela che non ha mai perso un colpo.
Ebbene, quel biplano è uno dei grandi piccoli aerei che il titolo del libro richiama.
Ce ne furono molti nella vita di Silva.
Tutti con una storia degna d’essere conosciuta.
La quarta di copertina del volume “Piccole storie di grandi aeroplani” nella sua nuova veste grafica elaborata da Gherardo Lazzeri, alias Logisma editore. La stampa commerciale del libro autobiografico di Giancarlo Silva è avvenuta a coronamento di una lunga gestazione cominciata ben cinque anni prima. Tutto cominciò appunto nel 2020 quando, sventolando un trafiletto della rivista JP4, il mite Gianfranco Battisti, accanito lettore di testi aeronautici quanto appassionato volovelista romano frequentatore assiduo dei cieli reatini, si presentò da Marco Forcina non già per chiedergli un intervento tecnico sul proprio aliante bensì con una richiesta alquanto pornografica: procurargli una copia del libro di Giancarlo.Il manutentore reatino, noto “spacciatore di libri” a carattere aeronautico a beneficio di amici e clienti, accettò con disinvoltura la sfida non immaginando minimamente in quale vicolo cieco si fosse imbattuto. Grazie all’aiuto di tanti amici, primo fra tutti il dottor Gianfranco Ales (socio di Giancarlo Silva) e ovviamente della famiglia dell’autore, VOCI DI HANGAR è lieta di annunciarne finalmente la pubblicazione commerciale. Gianfranco Battisti sarai contento ora?
A me però ha colpito in particolare uno di essi, l’Aztec, che il nostro Giancarlo assieme all’inseparabile Carlo acquistò credo nel 1966, dopo aver dovuto a malincuore lasciare il precedente Aerocommander. La storia di questo Aztec – anzi di due – è affascinante perché affascinanti sono i luoghi che grazie ad essi Silva, i suoi amici e la sua famiglia hanno potuto raggiungere in tempi e modi a dir poco unici.
Per chi come me subisce da sempre il fascino del continente nero (e del mal d’Africa) e in particolare della civiltà nilotica e si è nutrita di storia classica sognando le isole greche sin da bambina (sia pur faticando molto poi con le traduzioni dal greco, dure come rocce e come, nomen omen, il relativo vocabolario che non per niente si chiamava Rocci), pensate quanto può essere grata a questo libro che cita nomi di città, oasi, eremi e regni che sedurrebbero chiunque abbia anche una minima cognizione del loro significato nella storia della civiltà umana.
In uno scatto relativamente recente, ecco l’autore e l’amatissima figlia Irina a bordo del velivolo di famiglia nel corso di una delle tante scorribande nei cieli itlaiani o forse europei. L’autobiografia è sempre una formula narrativa che nasconde il rischio concreto di autoincensarsi, di autoglorificarsi; di sicuro Giancarlo Silva non ha mai sfiorato minimamente questo rischio, sin dalla prima pagina del suo volume dove, come vuole la migliore tradizione editoriale, ha espresso “a chi” e “perché” del suo libro. Ecco la sua dedica: “Ai miei due figli: Irina e Michelangelo e soprattutto ai miei tre nipoti: Timoteo, Giacomo e Tommaso. Timoteo ha quattordici anni ma vive in America e ci siamo visti pochissimo, Giacomo non ne ha ancora dieci e Tommasino appena cinque. Pensando a voi mi sono reso conto che quasi non mi conoscete e così mi è venuta voglia di raccontarvi un po’ della mia vita e di dedicarvi questo piccolo libro. Almeno, se vi capiterà di pensare al “nonno”, ne avrete un’idea. Quindi questa è piuttosto una “lettera” che arriverà solamente fra qualche anno. Sono stato felice di scriverla, ho rivissuto momenti bellissimi.“ (foto proveniente da “Piccole storie di grandi aeroplani”)
E così I-BURY, il nome di questo esuberante bimotore con il quale volare era un gran piacere, conduce l’autore e il suo gruppo a visitare per esempio la Tunisia.
Leggendo questa parte mi è inevitabilmente venuto in mente il terribile destino dei cartaginesi; certo è che fra tutti i problemi che ebbe Annibale con i romani, di sicuro non ci fu quello di far marciare i propri mezzi di trasporto, quegli elefanti dotati di autonomia pressoché illimitata, problema che invece hanno avuto i nostri amici.
Perché il loro mezzo, l’aereo, c’è, i piloti pure, i passeggeri più che motivati anche, ma senza carburante si fa poco, e la benzina in Tunisia non si trova, neanche a Monastir: finiti i bei tempi degli omini della Shell. Ciò nonostante essi riescono a visitare gioielli come Monastir, Tozeur, persino un piccolo Colosseo romano, e poi non si perdono d’animo, soffrono un’ora, volano lungo una rotta calcolata in economia centellinando il carburante, arrivano di misura a Malta, fanno il pieno e finalmente tornano a Roma.
E pensare che conosco gente che non va in macchina dall’Eur a Ostia se non ha il pieno, tanto non gli va di rischiare di rimanere a secco!
Bè, pensate che dopo questo, i nostri amici lasciano perdere l’Africa? Ma certo che no.
Eccoli di nuovo sull’I-BURY alla scoperta delle oasi delle palme da dattero e della cerimonia del thè, che non c’è solo in Giappone.
La copertina della prestigiosa rivista “Volo a Vela” del settembre 1957 ritrae lo schieramento di alianti che avvenne sull’aeroporto di Rieti in occasione del “Trofeo Bonomi”, di fatto il I Campionato di Volo a Vela Italiano che vide il buon Giancarlo Silva prevalere su piloti ben più blasonati come Walter Vergani, Mario Cattaneo, Riccardo e Leonardo Brigliadori, Umberto Mantica o lo stesso Angelo Zoli, veri “manicacci” dell’agonismo praticato con gli alianti che negli anni a venire ascriveranno sempre il loro nome alle gare di Volo a Vela italiana più prestigiose. All’interno della rivista è presente un lungo resoconto e un articolo dello stesso Giancarlo, a dimostrazione di capacità narrative e di sintesi dell’ingegnere-scrittore che nella sua biografia troverà la sua massima espressione.(foto proveniente dalla rivista “Volo a Vela” – 1957)
Questi fortunati viaggiatori, badate bene, viaggiatori, non turisti, hanno visto paesi costruiti in modo che nessun occhio indiscreto possa penetrare all’interno delle case e che si dice abbiano ispirato il grande architetto Le Corbusier, hanno osservato genti di tante culture e incontrato tradizioni e stili di vita affascinanti e sorprendenti.
Tutto estremamente avvincente. Ma… ma anche in questo caso c’è un ma.
Ce lo racconta l’autore con queste parole: Volare tra un’oasi e l’altra è una questione di “fede”. Si parte pensando di seguire una strada asfaltata, ma dopo pochi chilometri la strada sparisce, coperta dalla sabbia o inghiottita dal deserto.
Era così che si volava allora, fidandosi dei propri calcoli e della bussola. Insomma, se non proprio da pionieri, qualcosa che gli somigliava molto.
Ma ve l’immaginate quale soddisfazione deve essere stato avvistare una macchia verde (Tamarrasset ai confini del Niger) e constatare che a dispetto della sabbia ininterrotta sorvolata (e sollevata) per ore, I- BURY anche in questa occasione non ha mai perso un colpo?
L’F-86 Sabre è uno di quei velivoli che rimase sempre nel cuore dell’autore, probabilmente perchè a bordo di questo ottimo caccia post II Guerra Mondiale compì una di quelle marachelle memorabili pagata a caro prezzo, è vero, ma che procurò all’autore una delle più grandi soddifazioni della sua vita. Quale? Beh, ve la racconterà lui stesso nel suo libro! E lo farà con l’ironia e la leggerezza del buontempone com’era solo lui (foto proveniente da “Piccole storie di grandi aeroplani”)
Sì davvero piccoli grandi aeroplani, capaci di affrontare con la stessa disinvoltura i climi torridi africani, ma anche la peggior tempesta degli ultimi cinquant’anni mai vista in Corsica. Però comandante, scambiare la fila di portaerei della VI Flotta americana per una linea di costa, sorvolarla e rischiare di farsi abbattere…
Bè, visto che l’ha raccontata, che dirle, complimenti!
Anche il gemello di I-BURY ha fatto però la sua parte. E che parte. Perché ha portato i protagonisti del libro a scoprire la culla della civiltà, sparsa su miriadi di isole e isolette in quell’Ellade che richiama fiumi di versi memorabili, da Omero a Saffo, da Pindaro a Euripide, fino alla terraferma, alla capitale di quel mondo simboleggiato dal tempio più perfetto, elegante e imponente dell’antichità, il Partenone di Atene. Evocando così a ogni riga personaggi e archetipi che dopo trenta secoli indicano ancora la strada del pensiero, della scrittura, della fede, e costituiscono i riferimenti immortali dell’essere esseri umani. Per lasciare ai lettori il piacere di scoprirli da sé, non racconterò qui i dettagli di quel peregrinare mozzafiato che, volando come farfalle tra un fiore e l’altro, li ha portati da un’isola all’altra di questo arcipelago unico, di cui già solo i nomi sono un brivido continuo: Corfù dal sapore veneziano, la romantica Cefalonia, Itaca, patria dell’astuto Ulisse e della paziente Penelope, Zante (come non ripensare all’immortale A Zacinto del nostro Foscolo) e poi ancora Creta e la sua reggia tutta d’oro, Mikonos e Santorini splendidi frammenti del mistero di Atlantide, Citera l’isola di Venere, Rodi e il suo colosso… ma su un momento di quel lungo peregrinare voglio soffermarmi un attimo in più, tanto è suggestivo e qui ben scritto.
Si tratta dell’incontro con i mulini. Antichissimi, autentici, non come quelli fantastici donchisciotteschi, ma altrettanto pieni di magia e suggestione.
Siamo a Kos, l’isola benedetta dal meltemi il vento che soffia forte per tutta l’estate venendo giù da Istanbul a ore fisse e che è una vera garanzia di lavoro per i tanti mulini disseminati sul suo territorio, e quindi una vera garanzia anche di avere grano, pane, cibo a volontà. Così l’autore.
Forse è proprio la sicurezza di avere a disposizione questa enorme energia che ha spinto alcuni uomini a inventarsi qualcosa per smettere di faticare come schiavi solo per un poco di farina, un bel marchingegno che funzionasse da solo. Non lo potevano ancora sapere ma stavano facendo nascere una nuova civiltà, quella delle macchine…
Vi fa venire in mente niente questo passaggio? No?
Allora ci facciamo aiutare ancora dall’autore, poco dopo leggiamo infatti:
Questi uomini straordinari avevano addomesticato la forza del vento anche se per secoli le vele latine avevano solcato i mari e rimontato il vento. Sfruttavano il vento per andare contro vento. Ma nessuno sapeva perché. Fino a quando tante piccole vele latine, montate come i petali di una margherita intorno a un pilone centrale, hanno cominciato a svelare il mistero. Guardando bene si scopre che la forma di un’ala di aeroplano, di una vela gonfiata dal vento e di una pala di mulino che gira, è la stessa. La forma: il colpo di genio della natura! Gli uomini che avevano lavorato ai mulini non lo sapevano, ma avevano addirittura scoperto una scienza nuova: l’Aerodinamica.
L’autore giustamente si rammarica che Leonardo si perse per un soffio la possibilità di volare con le sue straordinarie macchine solo perché si lasciò affascinare dal battere delle ali dei passerotti di casa sua e non andò a guardare invece i gabbiani, i falchi e le aquile veleggiare felici senza muovere le ali, mancando così la possibilità di capire meglio le potenzialità del vento, di cui pure aveva intuito la forza di muovere addirittura macine di pietra. Per fortuna però qualcun altro lo ha fatto successivamente.
Sono numerosi gli episodi a dir poco rocamboleschi in cui incappò e che visse intensamente il buon Giancarlo Silva nel corso della sua pluriennale carriera di pilota sportivo, militare e commerciale … e non abbiamo intenzione alcuna di accennarvene nemmeno uno giacché, disseminati all’interno di questo scrigno della memoria che è appunto “Piccole storie di grandi aeroplani”, rendono la narrazione dell’autore appassionante nonché singolare … come poi in definitiva è stata sua esistenza: articolata e unica. Leggere per credere. Al biplano ripreso in questa foto è legata uno di questi episodi memorabili (foto proveniente da “Piccole storie di grandi aeroplani”)
Ed ecco perché il nostro Giancarlo ha potuto scrivere uno dei capitoli più affascinanti di tutto il libro, quello che s’intitola Rieti. Ovvero il Volo a Vela.
Di tutti i piccoli aerei che si citano qui, l’aliante è quello forse più piccolo, e certamente più straordinario, perché non ha il motore. E perché il
pilota d’aliante si sgancia da quella specie di trattore che lo ha strappato dal suolo e diventa un uccello. Nessuno potrà mai spiegare a un profano cosa sia la sensazione di salire in una ascendenza, di guadagnare anche solamente qualche centinaia di metri, senza spendere una lira di benzina… Ecco che il pilota d’aliante si trasforma: non è più dentro un aliante, è lui stesso un aliante.
Lo lasciamo raccontare a lui stesso, nelle sue bellissime pagine, cosa è stata questa esperienza, ma noi, noi che l’abbiamo provata sia pure una sola volta, ci pare di vederlo Giancarlo ai comandi del suo aliante, immerso in un’esperienza alla quale alla fine non si vuole, né si può aggiungere aggettivi. Perciò citerò me stessa, quando fui io a provare quel tipo di volo proprio a Rieti e commentandolo dissi: quando si esce sconvolti dalla bellezza di un paesaggio naturale e mistico e dalla sua capacità di ritornare ogni volta in guise diverse, allora questa parola strana, sfuggente e talvolta paurosa, volare, diventa una parola dietro la quale intendiamo milioni di cose diverse, ciascuno la sua, e che tuttavia rimanda a un ricordo condiviso; questa parola ci dice quanto il mistero dell’arte di volare sia più forte di noi e interamente ci possieda.
Ma lassù non si sperimenta solo ciò che è all’esterno dell’aliante, ma si ha tutto il tempo anche di osservare ammirati l’uomo seduto al posto davanti al tuo, ai comandi, e anche quello suscita un’emozione infinita.
Si sperimenta l’esecuzione perfetta del decollo, il controllo continuo del volo.
Si percepisce che in ogni gesto dell’uomo ai comandi non c’è solo tecnica, studio, esperienza, ma anche il sogno, la notte, il mistero, la fiaba, il cuore, l’ignoto: ogni gesto rimanda a qualcosa che lui padroneggia con altissimo professionismo ma che soprattutto induce il fortunato passeggero a lasciarsi andare senza paura, fino a mettere in scacco le inevitabili incertezze che si provano un attimo prima di staccarsi dal suolo. Fino a che si prende coraggio e si chiede una virata più audace, un loop, un cambio di quota, una corrente ascensionale più generosa, per salire ancora di più, fino a dimenticare del tutto la terra di sotto, e magari a incontrare le poiane, i falchi e a eseguire gioiosamente assieme a loro una incredibile danza dell’aria. E un uomo che pilota così, secondo voi poteva non partecipare ai campionati mondiali di volo a vela?
Ve lo lascio scoprire da soli tra le pagine del libro.
A questo punto avete certamente capito che quest’uomo, Silva, se l’è veramente goduta questa sua capacità di pilotare ogni genere di aeroplano.
Ma probabilmente vi starete anche chiedendo, e il lavoro?
C’è, c’è, e tanto. In un certo senso il nostro autore comincia a lavorare sin dai tempi del servizio militare. Lo devo dire? In Aeronautica.
E lì ci sono tanti aneddoti e tanti episodi, alcuni che rasentano il tragicomico.
L’autore sarebbe mai riuscito a resistere alla tentazione di lanciarsi con il paracadute? Che ne pensate? Certo che no! Una tentazione che per un soffio a momenti gli costa la pellaccia! Praticamente un miracolato. (foto proveniente da “Piccole storie di grandi aeroplani”)
Ed è proprio nel mondo del lavoro che i piccoli aerei diventano grandi, addirittura grandissimi, come l’indimenticabile 747 o Jumbo che dir si voglia.
A Pratica di mare – perdonate il gioco di parole – il nostro fa pratica di volo come di più non si potrebbe, e già che c’è ci include un po’ di volo acrobatico (secondo voi se lo faceva mancare?). Coi giochi di parole si diverte però anche Giancarlo, e fa sorridere anche noi quando ci racconta come nell’etere si palleggiarono un Mambo e un Bombo… Che vuol dire? Lo scoprirete.
Ma eccoci alla svolta “seria”.
Arriva nella vita di Giancarlo l’Alitalia, la gloriosa compagnia di bandiera che, purtroppo, fu e non è più. E lì comincia subito con un aeroplano che proprio piccolo non è, si tratta infatti di un quadrimotore a elica di grande autonomia, un DC 6.
Arriva anche il Caravelle, sono gli anni Sessanta, e con quelli si toccano città che oggi sono sinonimo di guerra, oscurantismo, terrorismo, ma allora erano ancora epigono del fascino d’Oriente, Damasco, Bagdad, Teheran… roba da mille e una notte.
Tra una cosa e l’altra “capita” persino di farsi un voletto da Roma a Johannesburg con un Macchi AL-60, ed eccolo di nuovo un piccolo aereo, ma per un grande, grandissimo tragitto. Posso dirlo? Ma che invidia!
Della parentesi nell’azienda di famiglia ho già detto, ecco perché il sodalizio con Alitalia si interromperà; si riprenderà in seguito (al capitolo Alitalia 2), ma intanto si passa per Alisarda e altre vicende lavorative straordinarie che hanno travalicato l’età lavorativa e sono continuate in quella della pensione, trasformata da Silva nell’occasione per tornare a volare addirittura su aerei antiincendio!
Su Alisarda, o meglio sulla Sardegna, mi voglio soffermare un attimo in più perché lì subentra “la rossa”.
Ecco la sua descrizione originale.
Era una rossa. Passionale, nervosa, affettuosa, fedele, intelligente. Mi ha dato le più grandi emozioni che un uomo possa mai provare.
Era bella, agile e scattante, si muoveva con eleganza. Vibrava di energia, ansimava e gemeva di piacere. Mi faceva rizzare i capelli in testa e quando finalmente si fermava, in catalessi quasi, era come se si fermasse il mondo. Poteva durare un secondo, un minuto, un secolo. Non riuscivo più nemmeno a respirare. Mi domando come non abbia mai avuto un infarto tanta era l’emozione di quel momento. Il sudore freddo mi colava lungo la schiena e le mani mi tremavano…
Capito eh?
Ma no, che avete capito? Non si tratta di Rita Hayworth, si tratta di Tosca.
No, no, non la conturbante e focosa amante di Cavaradossi!
Ho capito. Ve lo faccio dire direttamente da Giancarlo chi era Tosca.
La mia indimenticabile, insostituibile spinona a pelo corto, colore rosso brizzolato, dai peli duri e pungenti come la schiena di un cinghiale. Quando era bagnata aveva un profumo indimenticabile. Quante volte abbiamo dormito insieme, in letti turchi o tunisini, o in tenda.
Ecco, ora ci siamo. Perché il nostro autore, studiava, lavorava, pilotava, viaggiava, e poi andava a caccia (e talvolta anche a pesca).
Le pagine che raccontano questi momenti sono indimenticabili.
Lo sono per il racconto vivido, la scrittura fluida e le immagini nitide, ma anche perché l’autore non perde l’occasione per fare profonde riflessioni sull’arte venatoria intrecciata in apparente contraddizione all’amore per gli animali. Questo mi fa ricordare anche qualche frecciatina dell’autore ai “Verdi”, quelli cioè che in nome del “politicamente ecologico” pensarono bene di far dipingere di verde i piloni dell’alta tensione che attraversavano i boschi. Un vero regalo ai piloti che sorvolandoli dovevano a tutti i costi evitarli!
Come avrete facilmente notato, questa è l’unica foto a colori recente presente in questa recensione. Ritrae il velivolo a bordo del quale Giancarlo Silva concluse la sua variegata carriera di pilota. Si tratta del “bombardiere d’acqua” Canadair CL-215 che era in forza anni orsono tra le fila del Servizio Antincendio italiano. Ed è lì che ci piace immaginarlo: a bordo di questo spartanissimo, rumorosissimo e puzzolentissimo anfibio. E se vi capiterà di vederlo scendere davvero dalla cabina, beh non vi spaventate: è il comandante Michelangelo Silva, il figlio di Giancarlo che svolge tuttora la sua attività professionale a bordo dei nuovi CL-415 come fosse l’eredità lasciata dal babbo. Ma questa è solo un’altra piccola storia di grandi aeroplani che vi racconterà il buon Giancarlo nel suo libro (foto proveniente da www.flickr.com)
In conclusione mi viene da dire che se è vero che «L’aviazione è l’arte di avere degli incidenti non mortali», questo pilota è consacrato di diritto Artista. Nessuno meglio di lui ha interpretato il volare come gioia, libertà, e insieme competenza e consapevolezza, forse perché non si è mai staccato del tutto da quella terra che sotto di lui gli ricordava anche quanto fosse pericoloso. Come avrebbe detto il grande Saint Exupery basta
un colpo di tosse del suo motore per ricordargli quanto fragile sia il sogno di Icaro e quanto debole la presa della sua mano sui comandi.
E inevitabile va il ricordo di Silva anche ai colleghi periti, perché volare, purtroppo ogni tanto costa anche qualche vita umana.
Ora ci congediamo sperando, con le nostre modeste parole, di aver fatto onore alle belle pagine di Giancarlo Silva, e che i suoi figli Irina e Michelangelo e i nipoti Tommaso, Giacomo e Timoteo ne siano contenti. Ma prima di lasciarvi alla lettura, è doveroso dire che la vicenda della nascita di questo libro è raccontata nelle due prefazioni, di Vicenzo Parma e Gianfranco Ales, e che se al termine della seconda leggiamo
Grazie di cuore a Marco Forcina, unico vero promotore di questa nobile e felice iniziativa,
un motivo per ringraziarlo a nostra volta ci sarà, no?
titolo: Le ali sotto la giacca – Diario di vita e di volo di un pilota di Aeroclub
autore: Franco Angelotti
editore: Cartabianca Publishing
pagine: 232
anno di pubblicazione: 2024 (tascabile ed e-book)
ISBN: 13 978-888885559
Scrivere è un viaggio, e dai viaggi si torna quasi sempre cambiati.
È l’autore il primo a uscire cambiato dalla sua storia, soprattutto se la sua storia è la sua autobiografia, cioè il luogo in cui ci si espone senza filtri e ci si mette la faccia mentre si racconta al mondo la propria vita.
Non sappiamo se e come è uscito cambiato dalla sua autobiografia Franco Angelotti, ma sappiamo, perché l’abbiamo letta con vero piacere e partecipazione, che la sua storia è qualcosa che va oltre la sua persona e racconta a noi lettori come esperienze assolutamente singolari e private si possano trasformare in regole generali, paradigmi ai quali ciascuno può fare riferimento per la propria vita, insomma la sua storia è qualcosa che riesce a centrare l’obiettivo più difficile: universalizzare ciò che si racconta rendendolo fruibile a tutti.
Una delle bestie nere che un allievo pilota incontra a bordo di un aeroplano, sin dalle prime missioni di addestramento, è costituito da questo strumento: il famoso virosbandometro. Tecnicamente è composto dall’indicatore di virata (volgarmente chiamata “paletta”, la lancettta bianca in alto) e dallo sbandometro (più semplicemente “pallina”, la bolla da muratore con la pallina nera in basso) da cui il termine abbreviato “palin-paletta”. Apparentemente si tratta di uno strumento innocuo … in realtà è l’incubo di qualunque allievo pilota giacchè la difficoltà maggiore che incontrerà lo sventurato sarà proprio quello di riuscire a mantenere la cosiddetta “pallina al centro”. Quando si è in volo è relativamente facile procedere diritti, tutta un’altra storia è eseguire “virate corrette”, ossia effettuare una traiettoria curva (la virata, appunto) con l’ala inclinata senza cadere all’interno o uscire all’esterno da quella traiettoria ideale. E aggiungiamo pure: a quota costante! Raccontata così sembra quasi una banalità ma salite a bordo di un aeroplano e vedrete che sudata! E soprattutto le urla dell’istruttore che vi trapanerà le cervella fino alla fine dei vostri giornoi con: “pallina al centro”, “pallina al centro”, “pallina al centro” (foto proveniente da www.flickr.com)
Chi non ha amato e poi si è perso, chi non si è trovato a dipendere dalle scelte altrui. Amore e perdita, libertà e oppressione, potere e corruzione, verità e menzogna, in altre parole aggiungere alla cronologia personale un valore universale che incrocia la nostra vita, associare la propria storia a valori con cui la gente si confronta nel quotidiano, ecco cosa ha costruito Angelotti capitolo dopo capitolo.
Una piccola variante migliorata del virosbandometro è il coordinatore di virata ma tranquilli: rimane sempre lo strumento infernale di cui sopra. Oltre alla presenza più discreta della “paletta”, visibile solo nella parte alta dello strumento, potrete infatti notare il simulacro di un aeroplano visto di fronte che visualizza meglio l’assetto trasversale del velivolo.Insomma cambia la veste ma le difficoltà di mantenere l’aeroplano con la pallina al centro in virata non cambiano affatto. Anche l’autore, in tutta la sua onestà, dedica una buona frazione del capitolo “La pratica: mettere in linea quell’aereo” a questo ostacolo quasi insormontabile del suo percorso addestrativo. Inoltre, pungolato da Rossana Cilli, anche nella notevolissima intervista rilasciata ad Ameriaradio, ha dedicato una lunga riflessione circa il senso del “vivere con la pallina al centro”. Perchè se a bordo di un aeroplano è necessario saper coordinare perfettamente i comandi di volo per volare diritti, ebbene allo stesso modo nella vita quotidiana occorre saper dosare le proprie risorse e capacità … e tutto per andare diritti o, se preferite, per non uscire di traiettoria. Un simbolismo che merita da solo la lettura del libro di Franco Angelotti! (foto proveniente da www.flickr.com)
Noi, che pure scriviamo e pubblichiamo, non abbiamo mai percorso gli insidiosi sentieri dell’autobiografia, perché sappiamo bene che rielaborare la propria storia permetterebbe di leggerla diversamente e magari di scoprire altre verità, su di noi, su gli altri. Senza dimenticare un’altra paura bloccante, quella del giudizio. Chi di noi non ha mai pensato: e se questo passaggio lo leggesse mia madre, mio padre, il mio capo, mio fratello? Come qualcuno ha detto, la scrittura è farsi mettere le mani addosso. Si è nudi, a carne viva, quando si scrive. E questo fa paura. Ma Franco non ha avuto paura.
Anzi, ce ne parla disinvoltamente e apertamente della paura. Della sana paura.
Magari a 17 anni, l’età in cui lui si avvicina al mondo del volo, la paura ancora non appartiene al bagaglio di un ragazzo che piuttosto se la gode a fare cabrate e picchiate sull’hangar del suo aeroclub, e persino qualche puntata sul giardino di casa propria, ma… Ma sa già che non si vola sulla testa della gente, che affrontare le cose, tutte, non solo quelle del volo, con studio, attenzione e un rigoroso briefing di ogni dettaglio, è l’indispensabile disciplina che porta a condurre bene indifferentemente un aeroplano e una vita degna, e darà le chiavi per aprire tante porte, anche quelle del cielo, come si dice in gergo quando si consegna a una persona la licenza di volare da sola per la prima volta. E allora la paura arriva davvero, ma a suggerire una cosa straordinariamente vera perché – lo diciamo con le parole dell’autore:
“Quello che traggo è una maggiore consapevolezza di quanto si possa andare vicini al pericolo e quanto in quelle condizioni diventa determinante decidere, magari per eccesso di prudenza piuttosto che solo sulla base dell’esperienza, superando quel timore di apparire deboli, in primo luogo con sé stessi”.
E vi pare poco?
La scrittura è sottrazione. Non si può raccontare tutta una vita, bisogna selezionare gli episodi più significativi, quelli che ci hanno ‘segnato’ di più, trovando un equilibrio tra intimità e riservatezza. Angelotti sceglie qui di raccontare la parte di vita che riguarda il suo tempo libero. Non racconta quasi nulla della sua vita lavorativa o della sua famiglia, se non laddove strettamente necessario per contestualizzare il suo racconto, ci porta infatti solo, si fa per dire, in un percorso all’interno di quella che è stata la sua passione sin da bambino: il volo sportivo, amatoriale, che, diciamolo, solo per un dettaglio non è diventata la ragione anche professionale della sua vita quando la allora compagnia di bandiera Alitalia lo considerò candidabile per il suo staff di piloti.
Nelle Valli di Comacchio, nella Salina di Cervia e nell’area del delta del Po, dunque non lontano da Fano, aeroporto presso il quale al buon Franco Angelotti spuntarono le ali, è insediata la colonia più numerosa d’Italia di fenicotteri rosa. Questo scatto al tramonto, a nostro modo di vedere, costituisce metaforicamente il saluto che l’autore offre ai suoi lettori: al tramonto della sua carriera di pilota sportivo ma rimanendo comunque un gran volatile, nella mente e nell’animo. Grazie, Franco, ringraziamo commossi per il regalo che ci hai concesso. In realtà lo scatto ritrae delle gru canadesi che, all’imbrunire si raccolgono casualmente in grandi assembramenti tali per cui si fanno sicurezza gli uni con gli altri … che poi è esattamente quanto praticano i piloti negli aeroporti, non vi pare? E ora vorrei sapere se c’è ancora qualcuno che si ostina a sostenere che i piloti non siano uccelli mancati!? (foto proveniente da www.flickr.com)
Ma quando si fa una scelta di questo genere, cioè quando si sceglie cosa raccontare, quale parte, quali dettagli, ecco è in quel momento che le cose si fanno davvero difficili. Perché, come si fa a scegliere fra i ricordi?
Sono molte le cose a cui attingere, un oggetto, una vecchia fotografia in cui molte persone non le riconosciamo più, come spesso succede per esempio nei vecchi ritratti di gruppo di matrimonio; ma è proprio davanti a queste cose che si mettono in moto all’improvviso le sinapsi, si mette in moto un meccanismo interiore che va a pescare nelle suggestioni che tutto ciò suscita, e lì si trova il materiale che ci sembra più adatto.
Noi crediamo che Angelotti abbia corredato il suo libro di bellissime fotografie proprio perché quelle immagini gli hanno rievocato le cose che poi racconta, suscitato, dato stimoli per la scrittura, anche se lui stesso in verità dichiara di avere avuto da sempre in mente l’idea di scrivere un libro così, a prescindere.
Comunque sia, l’autobiografia è quasi un atto dovuto per sé stessi e anche quando parliamo di altri parliamo di noi, i serbatoi dell’autobiografia dopotutto sono la nostra vita e la vita degli altri, e anche la distanza che c’è tra i noi di ieri e i noi di oggi.
Qui però sembra che il percorso dell’autore accorci sensibilmente quella distanza, come se fosse sempre stato così tanto consapevole della propria passione per il volo da saperne trarre tutte le gioie, le fatiche, i patemi, le speranze e le sfide allo stesso modo ieri come oggi, e questo tanto più è ammirevole perché ci mette davanti un autore solido, strutturato, sicuro, sicché alla fine questa sua autobiografia, proprio in virtù dell’accorciamento delle distanze temporali, si fa anche qualcosa d’altro, si fa – sappiamo che lui non approverebbe ma ci perdonerà – manuale.
Un pilota e il suo aeroplano. Si può sintetizzare così il contenuto dell’ottimo volume di Franco Angelotti che, raccontando di sè e delle sue vicende legate al mondo del volo, lancia ai suoi lettori dei messaggi dal contenuto universale giacchè ogni esperienza narrata, piacevole o spiacevole che sia, avventurosa o anche no, ha un profondo significato ed è un’occasione di riflessione (se non d’insegnamento) nella vita quotidiana di ciascuno di noi. Ed è proprio questo il pregio e il valore aggiunto di “Le ali sotto la giacca” perchè è molto di più di un semplice testo autobiografico, per quanto piacevole e, in taluni passi, addiruttura avvincente ma pur sempre di nicchia.(foto proveniente da Flickr.com)
Sì certo ha ragione lui quando dice che il suo libro non è e non voleva essere tale, e infatti probabilmente non si impara a volare leggendolo, ma, come gli stessi piloti che l’hanno letto hanno detto, è talmente pieno di materiale e spunti che se ne potrebbe trarre una buona base per farne davvero uno, di manuale.
Questo lo diciamo soprattutto per un aspetto: qui il futuro pilota (ma anche il pilota compiuto) trova tanti richiami al comportamento, agli atteggiamenti che deve tenere per esempio l’allievo nei confronti del maestro, o istruttore che dir si voglia: di rispetto, ascolto, ma anche interazione, sinergia, collaborazione, e trova anche sottinteso quanto il fattore umano conti oltre la tecnica. E anche questo non ci sembra poco. Tanto più in tempi in cui l’intelligenza artificiale (che, ricordiamolo, si avvale però di ciò che gli insegna l’uomo) sembra insidiare l’intelligenza naturale, nonché artigianale, che tanto sa risolvere nella pratica a fronte degli inceppamenti e défaillance dell’imprevedibile e sofisticata sapienza robotica. La missione spaziale Apollo 13 docet.
Una bella immagine di un Macchi MB 308 in volo, l’aeroplano cui l’autore è inevitabilmente più legato. Se ne conservano alcuni esemplari nei musei italiani e alcuni sono addirittura volanti per merito dei soci dell’HAG (Historical Aircraft Group) che li hanno sapientemente restaurati e così facendo mantengono viva la memoria storica di una macchina volante gloriosa per i piloti italiani e per l’industria aeronautica nazionale. (foto proveniente da www.flickr.com)
Detto questo, proviamo ora a ripercorre le pagine appena lette e offrire quindi una carrellata che, ben attenta a non raccontare troppo dei contenuti – che sarà piuttosto un piacere scoprire da sé leggendo – possa dare un’idea di quella ricchezza di cui si diceva poc’anzi.
Immaginate allora un nonno affettuoso e un nipotino che lo guarda ammirato. Chi di noi non si riconoscerebbe in questa immagine riandando al proprio passato? Chiunque. Ma quanti di noi possono vantare un nonno aviatore?
Ecco, questo era il nonno dell’autore, nonno Nazareno, una figura che sarà più che un riferimento per il piccolo Franco. È in quel rapporto che, scopriamo subito, affondano le radici della sua passione. Ma ovviamente è presto per concretizzarla in aeroporto.
E allora un bambino che fa? Gioca.
Con i modellini.
E quanto impara con l’aeromodellismo! Anche in termini di manualità.
Cosa che in futuro tornerà utile, eccome.
Ma un giorno, quando ancora non può guidare una macchina, questo bambino divenuto intanto diciassettenne comincia a concretizzare il suo sogno.
È il 1975, i coetanei di Franco probabilmente nel tempo libero guardano Goldrake appena sbarcato in televisione, o si cimentano con il primo videogioco di sempre, pong, ascoltano i Queen che in quell’anno escono con il loro quarto album, o vanno a provare il brivido del “volo” all’appena inaugurato parco giochi di Gardaland, su iperboliche montagne russe e perigliosi antesignani del futuro Tornado blu. Franco pure sperimenta il brivido del volo, ma lui lo fa all’aeroporto di Fano, dove impara a mettere in linea l’aeroplano, vero, e se la deve vedere con uno strumentino chiamato virosbandometro e la sua “maledetta pallina che deve stare sempre al centro”.
La semplicissima eppure evocativa IV di copertina de: “Le ali sotto la giacca” mostra il classico “Libretto di volo” di Civilavia (da diversi anni incorporata nell’ENAC) di qualunque pilota italiano e una penna di uccello sintetizzando così in modo mirabile il contenuto del libro. Il primo era (ed è tutt’ora nella versione moderna europea dell’EASA con la denominazione anglofona di “log-book”) il documento fondamentale che accompagna la vita volativa di qualsiasi pilota dell’Aviazione generale italiana. Esso elenca minuziosamente la sua attività di volo svolta con l’indicazione del quando, dove, con cosa e quanto si è volato (una sorta di diario di bordo del pilota); la seconda proviene probabilmente dalle ali dell’autore. Che si sia spennato? Dopo aver deciso di attaccare le ali al chiodo? Non lo sapremo mai! Viceversa sappiamo per certo che il libretto di volo presente nello scatto è proprio quello dell’autore di cinquanta anni orsono con copertina in pelle: un vero cimelio! Inoltre – fateci caso – è aperto in una pagina relativa a una data e a un volo che ha marchiato in modo indelebile (come fosse un marchio a fuoco) la vita del pilota e dell’uomo Franco Angelotti: il primo volo solista. Non è a caso è sottolineato e scritto con la penna rossa. Toglici una curiosità, caro Franco: dopo tutti questi anni … è vero che ancora senti l’odore di carne bruciata? Come di chi ? … la tua!
Gli addetti ai lavori sanno ovviamente di cosa parliamo, per gli altri diremo che è uno strumento semplice, che, grazie al movimento di una pallina nera, indica al pilota se sta volando correttamente. Franco però nel suo libro, nel mentre racconta questo, riesce anche a farne una metafora della vita, una livella che ci dice se stiamo facendo della nostra vita una costruzione diritta o piuttosto mal deviata. Perché
“l’approccio mentale che si acquisisce con il pilotaggio per me è diventato utile non solo per affrontare altre situazioni, ma anche una parte rilevante del mio essere. La consapevolezza che il risultato che vogliamo raggiungere deriva da più azioni contemporanee e coordinate porta a ragionare in maniera più complessa”.
In aeroporto Franco incontra ovviamente diversi istruttori e compagni, persone fondamentali per la sua vita e la sua crescita, ma incontra anche una persona speciale, che porta il nome di una città, Lodi.
Non ci è dato sapere se la “ragazzina” con la quale l’autore visse la folgorante esperienza del primo volo a bordo di un velivolo fosse proprio quella stangona ritratta in questo scatto … ma ci piace pensarlo! In realtà, dalla viva voce di Franco Angelotti (nel corso dell’intervista ad Ameriaradio), siamo venuti a sapere che la ragazzina di cui sopra è stata la genitrice di un eccellente pilota da poco inserito nell’organico delle Frecce Tricolori. Buon volo non mente! In realtà vi dobbiamo una piccola confessione: quella ritratta è l’ autrice della recensione che, dovendo andare in aeroporto per incontrare Franco Angelotti, ha indossato il primo vestitino che aveva nell’ armadio e … poi cosa volete? Quel falco di Franco l’ ha subito immortalata. Cosa non si farebbe per avere una buona recensione di Rossana!? (foto proveniente da www.flickr.com)
Lodi è un tuttofare; custode, manutentore, meccanico, accudisce gli aeroplani come fossero figli suoi, quasi li nutre quando li rifornisce di benzina, ed è quello che, non senza rischi, fa letteralmente volare i piloti, perché è lui che mette in moto il motore azionandone a mano le pale mentre lui e il pilota comunicano gridando a voce viva attraverso lo sportello aperto dell’aeroplano!
Colpisce molto questo punto, perché in fondo non sono passati secoli, eppure questo gesto ci precipita nel romanticismo del pionierismo aeronautico d’inizio Novecento. Quello degli occhialoni, la cuffia di cuoio, i guanti col bottone e la sciarpa bianca svolazzante. Un aspetto del volo che oggi sembra perduto, tanto l’aeroplano anche piccolo si è tecnologicamente evoluto rispetto a quelli che ha usato via via Franco nella sua vita di pilota, e tuttavia, ne siamo sicuri, il giovane che dovesse oggi ripercorrere i suoi passi riuscirebbe ancora a riavvertire sulla sua pelle quell’aura romantica che da sempre circonda l’azione meno consona all’essere umano che si possa immaginare qual è librarsi nell’elemento creato invece per gli uccelli. L’aria.
Ma, non dimentichiamolo, anche per la nostra respirazione, e quindi vita.
Sarà per questo che i piloti si sentono vivi solo lassù? Non sappiamo, ma certo alcune righe di questo libro lo fanno sospettare, sentite questo:
https://www.ameriaradio.com/diretta-autori-autori-franco-angelotti-le-ali-sotto-la-giacca/ è questo il link che vi porterà direttamente al podcast della trasmissione radiofonica dedicata a “Le ali sotto la giacca” e al suo autore. Padrona di casa, pardon, di microfono la gradevolissima Rossana Cilli che con grande garbo ma sana curiosità ha posto una sequela di domande cui Franco non si è sottratto … tranne per alcune particolarmente scabrose per la cui soluzione rimandiamo alla lettura del volume
“Non riesco a spiegare a parole cosa capitò in quel momento, il maestro che si allontanava, il vuoto sul sedile dell’aereo, io da solo che mi dicevo: adesso sei in mano tua Franco, vediamo come te la cavi… Stop ai pensieri, concentrazione sui comandi e gli strumenti… Il salire di giri dell’elica scandiva la via di non ritorno, ormai ero partito, guardai avanti e appena ebbi velocità mi alzai da terra…il piccolo aereo gioì e si levò veloce in cielo. Staccai le ruote e vissi quel bellissimo momento di transizione tra l’essere terrestre e l’uccello che si prova tutte le volte che si decolla, ma quel giorno fu una sensazione ancora più forte: adesso sì che non posso più tornare indietro…”.
A parte la bellissima sineddoche grazie alla quale è l’aereo e non il pilota a gioire di quel momento, si avverte già qui il senso di sfida e di gara. Le gare vere arriveranno davvero e con esse anche qualche meritata soddisfazione. Ma anche qui il nostro autore va oltre e ci spiega che volare da solo è più di questo.
“Ritengo di aver appreso molto da queste procedure [il briefing], di aver fatto un po’ mio questo metodo che mi ha aiutato moltissimo non solo alla guida di altri mezzi, ma anche nell’affrontare attività di studio o di lavoro oppure di relazione con gli altri. Si acquisisce quella razionalità necessaria per affrontare al meglio le situazioni, con conseguente maggiore sicurezza di sé stessi”.
Ecco, la sicurezza in sé stesso acquisita attraverso la pratica e la ripetizione di azioni fondamentali perché il volo avvenga in sicurezza, e che inevitabilmente ha maturato Franco come pilota e come uomo e lo ha reso affidabile anche agli occhi degli altri, sicuramente deve essere stato l’elemento che ha indotto appunto gli altri a fidarsi di lui, al punto da vincere limiti naturali, paure ataviche, o al contrario fondate su elementi inconfutabilmente oggettivi, e a decidere di salire a bordo con lui.
Scrive l’autore in una delle ultime righe del suo volume: “L’età giusta per il volo è quella in cui ci si sente di volerlo fare […] perché volare arricchisce sempre, in qualsiasi momento della vita, e ci migliora”. Come non sottoscrivere con doppia firma queste parole? Perché la disciplina, la capacità di analisi e di autocontrollo, la valutazione del rischio e la necessità di considerare scenari futuri che induce l’attività di volo è difficilmente richiesta in altre attività sportive. Lo scatto al tramonto che abbiamo scelto a beneficio dei nostri visitatori ritrae dei vecchi velivoli al parcheggio di un aeroporto qualsiasi e volge con una certa nostalgia uno sguardo al passato, lo stesso che Franco Angelotti ha rivolto alla sua esperienza di volo cominciata giovanissimo e terminata attorno ai sessant’anni di età, proprio l’età in cui suo nonno Nazzareno aveva conseguito il brevetto di volo. Una sorta di passaggio del testimone al contrario. Perché se esiste l’età giusta per cominciare a volare ce n’è anche una per decidere di smettere.(foto proveniente da www.flickr.com)
Tenerissimo il passaggio in cui Franco rievoca il momento in cui portò in volo suo padre, sofferente di vertigini, e la mamma indelebilmente segnata dalla morte di suo padre, ovvero quel nonno Nazareno di cui si diceva, caduto col suo aeroplano a pochi metri dal giardino di casa sua e quindi praticamente sotto gli occhi di lei e del nipote. Donna invero coraggiosa nel non tarpare le ali al figlio, già precocemente avviato sulla strada del nonno, dopo e nonostante cotanta tragedia.
C’è forse tra le righe del libro qualche sottile rimpianto nel non aver portato in volo più amici e più spesso, ma credo che questi due “successi” valgano di più di tutto.
Ma ora corre l’obbligo di spendere qualche parola in più sulla tragedia familiare cui si è fatto cenno. La morte in volo di nonno Nazareno. Solo perché la benzina era finita!
Si fa cenno anche ad altre tragedie nel libro, perché volare, benché sia il modo di spostarsi con mezzi meccanici più sicuro di tutti, non è esente dai luttuosi incidenti, ma questa tragedia la vogliamo ricordare perché la più vicina a Franco, il quale perdendo il nonno così, si troverà davanti due sole possibili vie: seguire le sue orme e quindi volare a sua volta, oppure no. Sappiamo quale ha scelto. Del resto,
“Le vibrazioni del motore e l’estasi di vedere il nonno che si esibiva nel cielo fecero nascere in me il profondo desiderio di imitarlo, di voler fare come lui, da grande”.
Chissà se in questa decisione non abbia giocato un ruolo anche una cosa speciale che faceva suo nonno volando.
“Allora passava con l’aereo sopra casa nostra, volava basso sulla spiaggia e spesso lanciava un sacchetto di caramelle da lassù, che però noi non siamo mai riusciti a prendere, perché i ragazzi più grandi arrivavano sempre prima di noi”.
Bè, siamo su Voci di Hangar, ovvero una costola, se così si può dire, di Racconti tra le Nuvole… non vi ricorda niente questo?
Ma certo, il bellissimo racconto di Massimo Conti Scende uva passa dal cielo, dove lui raccontava di un pilota della Seconda Guerra Mondiale che gettava dal suo aereo, ancorché purtroppo bombe, anche piccoli fazzoletti-paracadute pieni di dolci e uva passa per i bambini di Berlino sofferenti per la guerra e la fame.
Massimo con quel racconto vinse il premio speciale nel 2022, poi, con un suggestivo “passaggio di testimone”, l’anno dopo lo stesso premio lo vinse Franco!
Ma, a parte questo, ecco che attraverso l’episodio delle caramelle del nonno ancora una volta Franco va oltre sé stesso e consente al lettore rievocazioni e rimandi più generali, come è capitato a me. E le suggestioni e i passaggi di testimone non finiscono qui.
Un rarissimo fermo immagine di Franco Angelotti a bordo del suo primo velivolo scuola immortalato in modo estemporaneo con un dagherrotipo, congegno fotografico antesignano delle moderne fotocamere digitali. Correva l’anno ’77 dopo Cristo. Mille e novecento, beninteso. A parte gli scherzi, l’autore conseguì l’allora brevetto di I grado davvero giovanissimo (oggi licenza di volo privato PPL- private pilot licence) e, come scrive, conseguì la facoltà di volare con un aeroplano prim’ancora di poter guidare un’automobile. Di sicuro la sua vocazione fu innescata dalla giocosa presenza del nonno Nazzareno nella sua vita infantile e, purtroppo, anche dalla sua prematura dipartita a causa di un terribile incidente aeronautico. Di certo quell’evento luttuoso pose all’autore due scelte completamente opposte: osteggiare in modo feroce il volo (come inizialmente fece la mamma di Franco, figlia del nonno Nazzareno) oppure entrare in quel mondo magico che già il nonno aveva praticato con grande soddisfazione. Sappiamo quale fu la scelta di Franco e questo libro lo testimonia ampiamente. (foto proveniente da www.flickr. Per onestà storica siamo tenuti a riportare la vera origine dello scatto che riporta la seguente dicitura: “Robinson, marzo 1911”
Nella pur blindatissima vita privata di Franco, riusciamo a sapere infatti di una certa ragazzina di 11 anni che forse fece battere il cuore al giovanissimo Franco.
Vi state chiedendo cosa c’entra adesso questo?
Ebbene, quella ragazzina, apprendiamo con una certa meraviglia, è oggi la mamma di uno degli ultimi “acquisti” di quelle gloriose italiche Frecce Tricolori che tanto hanno affascinato e ancora affascinano Franco e certo non solo lui. E che lui però ha da poco conosciuto di persona!
Che dirvi di più? Ci sarebbe tanto ancora da dire, ma a questo punto non vi è venuta voglia di andare a leggere tutto intero questo bellissimo libro? Sì?
Ma certo, come potrebbe essere altrimenti. Allora tutti a bordo, magari di un Macchino, e, come faceva Franco, decolliamo attraverso le sue pagine in un fine settimana di buon tempo per:
“Scoprire la costa, addentrarsi sulle vicine montagne. Il Monte Nerone o il Catria erano le destinazioni classiche. In estate si godevano panorami bellissimi, in inverno la curiosità di andare a vedere la linea dove iniziava la neve. In giro sulle campagne cercavo di riconoscere i paesi: Mondavio al quale facevo spesso una virata bassa intorno al castello; Orciano, che si riconosceva per i due campanili che svettavano sopra il costone lungo il quale si estende il paese; Urbino con la meravigliosa vista del palazzo Ducale dall’alto…”.
Però magari stavolta il carcere schivatelo, sorvolarlo può essere pericoloso. Fidatevi.
Se è vero che il primo amore non si scorda mai, men che meno un pilota può scordare l’aeroplano con il quale ha solcato il cielo per la prima volta nel ruolo di pilota al comando. A questo sacro dogma non viene meno neanche il nostro Franco Angelotti che dedica al Macchino (il mitico Macchi MB 308) addirittura un capitolo del suo volume autobiografico, non fosse altro perchè suo nonno, già prima di lui, mise le ali proprio su quel modello di aeroplano … e quale sarebbe potuto essere il destino di Franco se non ripercorrere le orme del nonno? Le marche (la targa per intenderci) di questo esemplare di Macchino che faceva bella mostra di sè in occasione di un salone dell’aria tenutosi a Forlì tanti orsono non sono tra quelle elencate nel capitoletto “Le date e gli aerei della mia storia di volo” presente in coda al volume ma siamo certi che oggi sarebbero un ottimo veicolo pubblicitario per qualsiasi azienda casearia, Centrale del Latte o allevamento bovino … chissà che fine avrà mai fatto questo aeroplano? Che sia diventato una mozzarella? Una caciottella?(foto proveniente da www.flickr.com)
Starei qui ancora tanto, ma ora vi lascio alla lettura.
Anzi no, solo ancora un paio di cose, prima.
Qualche meritata parola sulla casa editrice del libro di Angelotti, un nome noto in questo sito, si tratta infatti di Cartabianca, piccola nobile casa editrice specializzata in testi che trattano di aeronautica e astronautica, alcuni dei quali recensiti su Voci di Hangar, come per esempio la bellissima autobiografia dell’astronauta Michael Collins (oggetto del prezioso contributo di Evandro Detti). Ma con Franco, per la prima volta, questa casa editrice si è cimentata con un libro tecnico e biografico assieme, insomma una novità anche per lei che probabilmente aprirà una nuova collana sulla sua scia.
Volume piacevole da tenere in mano, carta avorio, carattere corpo 12, non grandissimo ma leggibile, copertina flessibile e immagine davvero potente ed evocativa.
Qualche meritata parola anche sulla qualità di scrittura di Franco Angelotti (siamo pur sempre su un sito di narrativa, non dimentichiamolo).
In narrativa, come certamente sapete, esiste una regola che non si può infrangere mai: il viaggio dell’eroe. Tutte le storie sono storie di cambiamento, in meglio o in peggio. Il nostro protagonista deve sempre compiere un viaggio per ottenere ciò che desidera davvero, o per liberarsene. Deve resistere a una chiamata, farsi degli alleati con cui stringere patti e sconfiggere i nemici, magari quelli che sono solo nella sua mente, come la paura o il timore di non riuscire. Solo così sarà diverso, alla fine di una storia.
Da questa struttura narrativa non si sfugge.
E non sfugge neanche Franco che ovviamente è l’eroe del suo libro, l’eroe che appunto compie il suo viaggio e raggiunge ciò che desidera, dimostrando a noi tutti che “si può fare”. Lo fa peraltro padroneggiando la penna allo stesso tempo con rigore e libertà.Ci viene in mente che in “On writing”, il suo manuale di scrittura, Stephen King dice che ci sono due tipi di autori: i pianificatori e gli improvvisatori.
Lui è un improvvisatore, non ha un piano generale. C’è invece chi non inizia proprio a scrivere se non conosce persino il colore dei calzini del suo protagonista. Sono punti di partenza diversi e nessuno dei due è giusto o sbagliato.
L’unica cosa certa, è che una scaletta ci può aiutare nell’immaginare una storia, vera o di fantasia che sia. Franco ha avuto una scaletta d’eccezione, la sua stessa vita… meglio di così! Del resto non per niente vince premi letterari. Ah, l’ho già detto?
E va bene, repetita iuvant.
Infine l’ultima cosa: se volete sentire l’autore stesso parlare del suo libro, ho avuto l’onore e il piacere di intervistarlo per conto di Ameriaradio (la radio che non c’era) giusto qualche giorno fa nel corso di una scoppiettante intervista dedicata proprio a “Le ali sotto la giacca”. La trasmissione radiofonica “Autori&Autori” che ho l’onere e il privilegio di condurre, tra domande impertinenti, considerazioni esistenziali e curiosità aeronautiche ad ampio raggio, ci ha permesso di conoscere meglio il libro e il suo autore. Che poi sono lo stesso viaggio, non vi pare? Ed è stato un breve quanto piacevolissimo viaggio …
Stilare la recensione dell’ultima fatica letteraria di Claudio Di Blasio è stato quanto di più piacevole e anche rapido ci potesse capitare. Semplice: ci è stato sufficiente sbirciare l’indice in coda al volume!
Non scandalizzatevi: non si tratta di un’affermazione presuntuosa e neanche di una battuta infelice; non è merito del canale diretto (modello Kremlino-Casa Bianca) che ci vantiamo di avere immeritatamente con l’autore, e neppure delle capacità strabilianti del servizio di intelligence di cui è dotato il nostro hangar … niente di tutto questo. Semplicemente in “Nuvole” sono fondamentalmente racchiusi i racconti – eccellenti, neanche a dirlo – con i quali, nel corso degli ultimi dieci anni, il buon Claudio ha partecipato al Premio letterario RACCONTI TRA LE NUVOLE di cui VOCI DI HANGAR si fregia di essere l’ideatore e l’organizzatore assieme agli amici di HAG (Historical Aircraft Group). Svelato il piccolo mistero.
Chi sarà “La signora del cielo?”. La risposta ce la svela Claudio Di Blasio nel testo del racconto omonimo. Noi possiamo anticiparvi solamente il velivolo co-protagonista di questa impeccabile ricostruzione storica: il famoso Caproni Ca-113AQ conservato presso il fantasmagorico museo dell’aria “Volandia” di Milano Malpensa. La scheda presente nel sito web della gigantesca area espositiva aerospaziale (e non solo) riporta la seguente descrizione: “L’esemplare esposto è l’unico esistente al mondo. Sopravvissuto alla guerra, fu ripristinato da Mario De Bernardi come I-MARY e partecipò a numerose manifestazioni aeree. Dopo essere stato impiegato per traino alianti a Rieti, l’I-MARY fu donato al Museo Caproni”. Il suffisso AQ – Alta Quota dovrebbe però aiutarvi nell’individuare l’uso recordistico che ne fece nel lontano 1935 una donna audace e a dir poco volitiva … ma non intendiamo aggiungere di più! (foto proveniente da: https://volandia.it/velivolo/ca-113/)
In altre parole questo volume costituisce idealmente un grande regalo che l’editore prima e l’autore dopo ci hanno voluto concedere a ridosso delle feste natalizie dell’anno 2024 e che, indipendentemente dall’evento pseudo commerciale, ci consente di godere dei numerosi racconti aeronautici di Claudio altrimenti disseminati in diverse antologie del Premio. Lode dunque all’editore e lode all’autore per averci concesso uno scrigno così prezioso.
Ovviamente noi conosciamo a menadito i racconti della raccolta per averli già letti nel corso degli anni in anteprima nelle vesti della Segreteria del Premio … che poi è l’unico privilegio che, nostro malgrado, ci è concesso … sicché è per noi altresì facile e spontaneo spendere parole benigne a favore di Claudio Di Blasio e di ALI RIBELLI. E questo a prescindere dal gusto personale o dei piazzamenti che le giurie, nel corso delle varie edizioni, hanno attribuito ai vari racconti. Piazzamenti che – ve lo anticipiamo – sono stati talvolta letteralmente strepitosi, talvolta “solo” eccellenti e che vi suggeriamo di apprendere leggendoli uno a uno. Giusto per creare un po’ di suspance.
E’ una ricostruzione grafica di pure fantasia … ma il fantascientifico velivolo su cui salirà Francesco, il protagonista dell’adrenalico raccontoi “Verso lo spazio”, potrebbe essere proprio questo. Leggere per credere! (foto proveniente da www.flickr.com)
Ad ogni modo – lo confessiamo – per noi è stato ugualmente piacevole rileggerli come se fossero ancora inediti. Perché in fondo questo è il grande merito di Claudio Di Blasio: aver elaborato una formula narrativa pressoché perfetta che coinvolge il lettore, lo lascia stupito per l’originalità del tema e della trama, che è inattaccabile dal punto di vista storico, che mostra pennellate di poesia dalle quali le lettrici o i lettori più sensibili non riusciranno a non rimanerne ammaliate/i, che fa dialogare con grande verosimiglianza i vari personaggi rendendoli vivi, che è snello (come la lunghezza limitata tipica del racconto impone) tuttavia non è ma mai affrettato giacché si dipana in un intreccio intrigante che non annoia.
Certo, i racconti sono tutti in chiave aeronautica … d’altra parte la raccolta non prenderebbe il titolo, (per inciso: azzeccatissimo) di “Nuvole” e la collana di cui fanno parte – immaginiamo del tutto nuova, vero editore? – non poteva chiamarsi che “Ventus”. Sono infatti racconti multiformi e mutevoli come solo le piccole-grandi nuvole possono essere, a volte spostate dal vento ma pur sempre vaporose e quasi impenetrabili che riservano al loro interno sorprese inimmaginabili …
Certo l’editore non ha trascorso notti insonni nel scegliere questo titolo né Claudio ha dovuto faticare granché nello scrivere i racconti perché li aveva già belli e pronti, fatto salvo per la prefazione che – così vorrebbe la tradizione – qualcuno/a di sua fiducia avrebbe dovuto stilare … altrimenti te la suoni e te la balli, caro Claudio! Invece l’autore ha sacrificato la prefazione per anticipare i temi toccati oltre a una doverosa spiegazione della provenienza dei racconti: il Premio letterario, per l’appunto. Ed è anche l’occasione per additare gli enti e le organizzazioni che generosamente supportano RACCONTI TRA LE NUVOLE ormai da anni. Grazie a nome loro.
“Nobili virtù” è il racconto in cui Claudio narra con mirabile verosimiglianza un episodio della II Guerra Mondiale. Il SIAI-Marchetti S.M.79, famoso trimotore soprannominato confidenzialmenrte “Gobbo maledetto”, e il temibile caccia tedesco Messerschmitt Bf 109 sono – loro malgrado – i due velivoli militari protagonisti. La vicenda troverà poi il suo lieto fine in tempi più recenti e con una profonda morale che ancora oggi risulta universale e che, parafrasando il testo a chiusura del racconto, si può sintetizzare in questi termini: i sentimenti di amore della vita e di fratellanza tra esseri umani, nonostante le divise indossate dai piloti di diverse nazioni, sono inossidabili nel tempo e costituscono indiscutibilmente delle nobili virtù. Parola di Claudio Di Blasio
Certo un editore che si chiama ALI RIBELLI “dovrebbe” disporre necessariamente di un catalogo a forte componente aeronautica … in effetti non è proprio così: ci auguriamo che Claudio costituisca l’apripista per tanti altri autori e autrici che si uniranno a lui in un prossimo futuro rendendo questo editore uno dei pochi che si vanno ad aggiungere ai pochissimi che già si cimentano nella pubblicazione di volumi dalla forte componente aero/astronautica.
Certo l’idea di dare alle stampe una raccolta di racconti che hanno partecipato a RACCONTI TRA LE NUVOLE non è del tutto originale … e in questo senso ricordiamo una certa Rossana Cilli, altra vincitrice di RACCONTI TRA LE NUVOLE, altra scrittrice con l’insano vizietto della narrativa, che più di un anno orsono ha pubblicato: “Avevo tredici anni … e altri racconti” … ma questo non può che inorgoglirci. Un po’ di vana gloria concedetecela, e che diamine!? Significa che RACCONTI TRA LE NUVOLE giova gravemente alla salute della narrativa aeronautica italiana così trascurata dagli editori, così ignorata dai lettori e lettrici del nostro paese.
Dunque giusto merito anche a Claudio che, in piacevole compagnia di Rossana, costituisce la sparuta schiera dei nostri paladini, difensori e divulgatori della cultura aeronautica attraverso la narrativa.
A proposito dei racconti contenuti in questa antologia sappiate però che non vi anticiperemo granché … fatto salvo che sono assai variegati e collocati in diverse stagioni temporali: incontrerete grandi personaggi assurti alle pagine più prestigiose della storia dell’aviazione come pure anonimi piloti e pilote di aeroclub, piloti collaudatori che sfidano il cielo toccando lo spazio o diventano imprenditori di successo; leggerete storie strazianti che vorremmo non fossero mai accadute nella realtà oppure di donne speciali che costituiscono il simbolo vivente cui le giovani ragazze di oggi dovrebbero ispirarsi come esempio di caparbietà e di incommensurabile valore coniugato al femminile, altro che attricette improbabili, cantantucole sinuose o influenzer meteoriche. E questo solo per fornirvi una breve anticipazione.
L’immagine simbolo dell’eccidio che ha segnato in modo indelebile la storia centenaria della nostra Aeronautica Militare. Claudio Di Blasio ci narra nel toccante racconto “Eroi di pace” quella pagina terribile e lo fa a suo modo affinché venga conservata la memoria di quei martiri in divisa azzurra che furono barbaramente assassinati a Kindu durante una missione di pace, appunto, sotto l’egida dell’ONU (foto e ulteriori informazioni in https://www.vocidihangar.it/w/leccidio-di-kindu/)
Viceversa non possiamo fare a meno di accennarvi brevemente al racconto di apertura che troviamo il più romantico in assoluto, il più toccante e intimo.
Il protagonista? Semplice: un Cessnino (come affettuosamente viene chiamato dai piloti il velivolo Cessna 150, compagno di scuola di moltissimi allievi piloti) che, in hangar, nel corso di una lunga notte, confessa i suoi sentimenti a un veterano dell’aria come il buon vecchio Stinson L5Sentinel (altro velivolo storico che ha trainato i piloti di aliante italiani negli ultimi sessant’anni). Ebbene, udite udite, l’oggetto di questa confessione in punta d’ala è … una pilota! Si chiama Laura ed è un’allieva pilota dal fascino straripante sebbene non ostentato che, proprio a bordo di quel velivolo, intende compiere il suo lungo e accidentato percorso addestrativo … ma lo farà con la grazia, con la delicatezza che è prerogativa solo delle donne. Ed ecco allora che, a seguito delle parole confidenziali che la donna rivolge ogni volta alla sua macchina volante, il Cessnino si scioglierà in un brodo di giuggiole (e noi con lui) tanto da accompagnarla amorevolmente prima al volo solista, poi all’esame per la licenza di volo e dopo nei suoi voli di allenamento periodici. Insomma un grande amore!
Della serie: chi l’ha detto che gli aeroplani non hanno un’anima e soprattutto un cuore? Chi l’ha detto che la sensualità femminile non sia capace di scuotere anche le lamiere e allentare i rivetti di un aeroplano navigato, anzi, volato come il nostro Cessnino?
Claudio Di Blasio, da noi interrogato sull’argomento, ha confessato che Laura non è mai esistita nella sua vita di pilota sportivo tuttavia, da vero gentiluomo qual è, non ci stupiremmo se ci avesse raccontato una piccolissima bugia, pur consapevole che forse gli sarà negato il Paradiso dei Carabinieri. Ne prendiamo atto e ciò nonostante auguriamo a qualunque aeroplano di poter volare a lungo con la propria Laura …
Un’anticipazione a parte merita invece lo splendido racconto collocato a mo’ di epilogo dell’antologia e che vede come protagonista una vera e propria icona vivente tutta italiana delle donne pilote: Fiorenza De Bernardi. E’ infatti costei “La donna con le ali” di cui parla Claudio accennando ad alcuni episodi della sua lunga esistenza che – lo ricordiamo – è stata la prima donna pilota commerciale nel nostro paese ed è giustamente Presidente onorario dell’ADA, Associazione Donne dell’Aria, organizzazione rigorosamente tutta al femminile con la quale ci fregiamo di collaborare nell’organizzazione di RACCONTI TRA LE NUVOLE da alcune edizioni. Ebbene, proprio in occasione della cerimonia di premiazione della XII edizione del Premio letterario, il buon Claudio Di Blasio ha fatto dono alla Comandante Fiorenza di un’edizione speciale del suo racconto per il tramite della Presidente dell’ADA, l’adorabile Donatella Ricci.
Ecco lo scatto memorabile che testimonia la consegna da parte di Claudio a Donatella dell’esclusivissimo volume in carta pergamena, stampato in carattere generosi, con i loghi di ADA, VOCI DI HANGAR e HAG in chiaroscuro e rilegato in brossura con lettere dorate, esemplare unico da consegnare, a prezzo della sua stessa vita, alla Comandantissima Fiorenza De Bernardi. Incarico che dopo qualche mese la Presidente dell’ADA ha puntualmente ottemperato conferendo il prezioso plico (corredato da nastrino rosso con stampate delle candide nuvolette) nelle mani rugose ma ancora vigorose della Presidentissima onoraria dell’ADA, donna Fiorenza.(dalla pagina Facebook https://www.facebook.com/photo?fbid=1079231510657935&set=pcb.1079237473990672 del Premio letterario ove troverete la videocronaca semiseria della premiazione della XII edizione tenutasi il 6 ottobre 2024 in quel di Trento, Museo Caproni)
Enorme è stato lo stupore dell’autore nonché dei presenti quando nella sala convegni del Museo Caproni di Trento (ove si è tenuta l’iniziativa) si è diffusa la flebile eppure vigorosa voce di donna Fiorenza che ringraziava Claudio del singolare omaggio e nel mentre apparivano le immagine della sua casa-museo in cui vive, ormai inabile nel corpo a causa della sua veneranda età ma lucidissima nella mente e soprattutto nei ricordi.
Una commozione indicibile che – ne siamo certi – immaginiamo vi attanaglierà durante la lettura di questo racconto che rende onore, seppure nella limitatezza di poche pagine, a una donna con la “D” maiuscola. Grazie, Claudio. Grazie, Donatella. Soprattutto grazie, Fiorenza.
In tema di donne e a proposito della copertina non possiamo invece che apprezzare il sapore vintage e il “profilo egizio” della protagonista ritratta in posa davanti al muso di aeroplano; per quanto riguarda la IV di copertina è ineccepibile, segno tangibile di professionalità da parte del curatore/editore del volume.
In verità avremmo qualche riserva a proposito della dimensione del carattere di stampa che preferiremmo un po’ più generoso, a prova di vista da sessantenni … ma sarà per il prossimo volume della collana! O per la prossima ristampa di “Nuvole”. Che ne pensa signor ALI RIBELLI? Ci possiamo sperare?
La IV di copertina di “Nuvole” che, come nella migliore tradizione editoriale, riporta una illuminante sinossi del volume nonchè una breve biografia dellautore corredata da foto del medesimo con indosso il casco – è vero – ma con la visiera sollevata. Con grande gioia delle ammiratrici di Claudio Di Blasio
Di buona qualità la carta opaca non bianchissima utilizzata per le pagine nonché la consistenza della copertina (rigida ma non troppo); onestissimo il prezzo di copertina che nulla ha da invidiare ai volumi offerti da sedicenti piattaforme commerciali o di autopubblicazione, anzi … costituisce la chiara dimostrazione che un editore davvero onesto possa riuscire a pubblicare ottimi volumi (tipograficamente parlando) con un minimo di ritorno economico – si spera – per l’autore oltre che per sé senza nulla pretendere dall’autore, per l’appunto, diversamente da come molti editori “minori” hanno ormai l’abitudine vergognosa di praticare come politica aziendale.
In definitiva: una strenna natalizia che non può mancare sotto l’albero di chi, appassionato di aviazione, non ha avuto la costanza di acquistare le dodici antologie di RACCONTI TRA LE NUVOLE finora pubblicate, ovverosia un volume che non può mancare nella libreria di chi – come noi di VOCI DI HANGAR – ha spesso la testa tra le nuvole e, da oggi, anche dentro a “Nuvole”, l’ultimo libro di Claudio Di Blasio.
Buona lettura!
Ah, dimenticavo: comunicazione di servizio per Claudio. Attendo fiducioso l’identikit di Laura! O devo chiedere al Cessnino?
Recensione e didascalie della Redazione di VOCI DI HANGAR
Ci sono autrici/autori che sarebbero capaci di rendere avvincente le istruzioni per la preparazione dei cotechini precotti, oppure sarebbero capaci di costruire un romanzo attorno alle varigate vicicissitudini di un cespo di lattuga … ebbene Rossana Cilli appartiene alla schiera di quel genere di autrici/autori. Beninteso, non che la scrittrice romana si sia mai cimentata con quel tipo di istruzioni o abbia mai dedicato troppe attenzioni a quel tipo di vegetale … tuttavia le sue indiscutibili capacità narrative sono tante e tali che sarebbe certo difficile sottolinearle tutte.
Dopo aver letto le prime righe di “Verso Nord” di Rossana Cilli, siamo certi che si delinerà nella vostra mente la stessa visione paradisiaca che si potrebbe avere abitualmente dall’oblò di un velivolo commerciale (come in questo bellissimo scatto) … ma attenzione: è solo un subdolo artificio narrativo perchè all’interno della cabina passeggeri si sta per scatenare letteralmente l’inferno. Leggere per credere! (foto proveniente da www.flickr.com)
Ma chi è costei? Ebbene avete presente la X edizione di RACCONTI TRA LE NUVOLE? La vincitrice! Proprio lei … che, celata dietro l’anonimato garantito dal regolamento, ha partecipato per la prima volta al Premio e … lo ha vinto con un racconto assolutamente avvincente – perdonate il gioco di parole – sebbene ambientato a bordo di un velivolo commerciale con passeggeri apparentemente normali e con ai comandi un pilota pure lui apparentemente normale.
A questo punto perché – vi starete domandando – citare “Verso Nord”, il racconto che apre inevitabilmente l’antologia della X edizione di RACCONTI TRA LE NUVOLE? Semplice: perché sull’onda dei successi mietuti nel corso di questi ultimi anni e di diverse partecipazione a diversi premi letterari che prevedevano la formula del racconto, l’autrice si è decisa – finalmente, diciamo noi – a raccogliere questi cammei del suo genio letterario e a regalarceli sotto forma di antologia personale.
E si tratta di un regalo nel vero senso della parola perché la pubblicazione è avvenuta a ridosso delle festività natalizie del 2023 tanto che ci siamo trovati letteralmente sotto l’albero di Natale il volume oggetto di questa recensione. E se non era la prima copia stampate, beh … probabilmente la seconda.
La IV di copertina dell’ottima raccolta di racconti di Rossana Cilli che, a causa della sua partecipazione a premi letterari aventi come formula narrativa ammessa il racconto, si è cimentata suo malgrado in questa soluzione letteraria … e il risultato è decisamente all’altezza dei suoi migliori romanzi. La speranza è che perseveri in questa scelta. I premi letterari ringraziano, primo fra tutti il nostro RACCONTI TRA LE NUVOLE.
Dicevamo: un regalo che, da lettori, abbiamo apprezzato moltissimo perché ci conferma – se mai ce ne fosse stato motivo – che Rossana Cilli è davvero capacissima di scrivere le istruzioni di cui sopra e il romanzo sull’insalata sempre di cui sopra.
Ma se grande è stata la gioia di leggere nuovamente il racconto vincitore (a distanza di due anni il testo ha assunto un sapore stagionato come nella migliore tradizione casearia), ci ha recato ancor più grande soddisfazione leggere il racconto partecipante alla XI edizione di RACCONTI TRA LE NUVOLE intitolato: “Le perle risaltano sul nero” (classificatosi in XV posizione) e infine l’inedito “Un favore per Giulietta”.
Il resto del volume – ahinoi – contiene altri racconti ugualmente ottimi, alcuni più brevi, taluni più lunghi ma aventi i temi più disparati e purtroppo non aeronautici … ecco spiegato perchè non ne parleremo granchè sebbene non possiamo fare a meno di citare, ad esempio, lo splendido: “Buongiorno buona gente” con il suo sapore natalizio e francescano che apre strategicamente l’antologia oppure il racconto dichiaramente autobiografico “Avevo tredici anni” che chiude l’antologia oltre che darle il titolo.
Anche se il titolo del racconto “Verso Nord” lascia presagire il sorvolo delle desolate lande polari, ci piace pensare che il decollo (qui ottimamente immortalato) sia avvenuto da uno di quei paesi caldi come il nostro in cui chi ci vive è sempre all’affannosa ricerca di qualcosa di completamente diverso (come le regioni polari, appunto) e magari raggiungibile a titolo gratuito … che poi è proprio l’aspetto vieppiù allettante su cui si basa l’invenzione di questo volo/viaggio. E’ la trappola perfetta in cui vengono incastrati inesorabilmente uno ad uno i protagonisti del racconto (foto proveniente da www.flickr.com)
A proposito di Rossana Cilli, come detto, non occorre aggiungere altro se non quanto già presente nel nostro hangar, ossia una spassosissima intervista che ci ha rilasciato nel settembre 2022. Viceversa, a prosposito del racconto “Verso Nord“, non aggiungeremo niente di più di quanto riassunto brevemente dalla stessa autrice:
Racconto dalla struttura narrativa drammatica, narra la lotta interiore di un comandante, che stanco di sopportare e vedere quanta indifferenza, quanto egoismo e quanto opportunismo pervadono la vita umana, decide di esternare in modo tanto doloroso quanto risolutivo, tutta la sua amarezza a dei particolari passeggeri durante il volo che li staconducendo verso le terre del Nord.
Il suo operato, sia pure in un modo del tutto imprevisto da lui, sarà di monito e insegnamento per questo eterogeneo gruppo di persone senza nulla in comune se non il proprio egoismo.E alla fine una luce apparirà in fondo al tunnel.
Un testo che – ci permettiamo di aggiungere – farà storcere qualche pelo del naso di alcuni piloti commerciali per l’inattendibilità di talune situazioni o la scarsa verosimiglianza di altre invenzioni narrative tuttavia, alla luce di quanto accaduto relativamente alla vicenda che vide il suicidio di un giovane pilota della German Wings con il conseguente omicidio di tutti i suoi passeggeri, la trama assume assoluta attendibilità e, ad ogni modo, riteniamo che non venga compromessa la famosa “sospensione d’incredulità”, ossia il tacito patto di complicità che s’instaura tra il lettore e la scrittrice. Salvo che il lettore non sia un addetto ai lavori, anzi alla cabina di pilotaggio.
Dunque un racconto questo che, al di là dell’ambientazione squisitamente aeronautica, appartiene alla gloriosa schiera di racconti/romanzi thriller/gialli di cui Agatha Christie è sicuramente la “regina del crimine” o “regina del mistero” e alla quale l’italianissima Rossana Cilli fa di certo l’occhiolino senza per questo emularla.
Di ben altro tenore è invece il racconto “Le perle risaltano sul nero” targato 2023 che – come già ricordato – ha partecipato alla XI edizione di RACCONTI TRA LE NUVOLE. Anche in questo caso ci rimettiamo alla sinossi che l’autrice ha fornito alla Segreteria del Premio come requisito di partecipazione. Ebbene:
Un giorno lontano del secolo scorso, il Presidente Kennedy decise che un uomo (non una donna) presto sarebbe stato mandato sulla Luna. Da quel momento migliaia di uomini si dedicarono a quel progetto ambizioso, sì, migliaia di uomini … e tre donne. Questa è la loro storia, ed è anche la storia di un percorso che arriva fino alla nostra Samantha (Cristoforetti, NdR).
Un percorso di ingiustizie e riscatti, ancora incompleto, ma avviato. E che forse, tra poco, la porterà davvero una donna sulla Luna. Anche se a noi basterebbe che la portasse a essere semplicemente una “persona capace di” tra persone capaci di: eroi ed eroine di domani (dell’ordinario e dello straordinario) mossi solo dal desiderio di essere considerati non un genere ma un complemento essenziale nel genere, qualsiasi esso sia.
Uno dei fotogrammi emblematici della pellicola cinematografica “Il diritto di contare” in cui la protagonista principale Elisabeth sale sulla scala per calcolare con disinvoltura la traiettoria di rientro della navicella della Missione Gemini su un’immensa lavagna. La scena rende l’idea della rusticità della tecnoclogia dell’epoca e anche le sorprendenti capacità della protagonista per nulla impaurita dall’altezza e men che meno dalla complessità dei calcoli. Ovviamente con grande stupore degli ingegneri presenti (foto proveniente da www.flickr,com)
In effetti in questo racconto la fanno da protagoniste la corsa allo spazio e le donne che hanno contribuito alla sua conquista, ma anche e soprattutto la segregazione razziale che ancora imperversava nel corso degli anni ’60 negli Stati Uniti e, non ultimo, l’ottusità maschilista che riservava alle donne ruoli marginali nella società statunitense, ivi compresa, in un ente all’avanguardia tecnologica come la NASA. Questo in un paese che – lo ricordiamo – faceva della democrazia uno dei suoi vessilli da sbandierare di fronte alla comunità internazionale e che oggi, dimentico del suo recentissimo passato, ostenta e anzi si vanta di aver conseguito la parità di genere.
Il primo piano dell’autrice affiancata dalla copertina del volume nella versione in lingua inglese. Anche in questo caso dobbiamo rendere merito all’editore che, per l’edizione italiana, ha operato una scelta assai più felice sebbene prevedibile, evitandoci di avere tra le mani (e poi in biblioteca) un volume che nella sua veste originale, troviamo onestamente piuttosto anonimo se non addirittura squallido (foto proveniente da www.flickr.com)
Dunque un racconto che ha colto in pieno il tema dell’astronautica al femminile (era appunto il tema suggerito di quella edizione) sebbene a una prima lettura la Segreteria del Premio ha letteralmente tremato tanto da meditare – ma solo per un istante – di non accettare il testo in quanto non originale. Perché? Semplice: il contenuto riprende molto molto (forse anche troppo) da vicino il film hollywooddiano e, prima ancora, il romanzo-inchiesta “Hidden figures” della scrittrice statunitense afro-americana Margot Lee Shetterly di cui la pellicola è l’adattamento cinematografico. Le protagoniste?
Anzitutto Katherine Johnson, matematica fenomenale della NASA, che calcolò le traiettorie delle navicelle spaziali per il Programma Mercury e la missione Apollo 11; poi Dorothy Vaughan, la prima supervisore afroamericana capace di programmare (e far funzionare davvero) il primo enorme computer IBM installato alla NASA; infine Mary Jackson, aspirante ingegnere che diverrà la prima ingegnere donna statunitense afroamericana. Tutte e tre lavoravano alla West Area Computers del Langley Research Center di Hampton dove svolgevano inizialmente il compito di “donne calcolatrici” e a partire dal quale segneranno in modo indelebile, ciascuna a proprio modo, la storia della NASA e delle missioni spaziali statunitensi.
In definitiva un film che merita sicuramente di essere visionato mentre, per quanto riguarda il volume, saremo crudelmente sinceri: un mattone ripetitivo, dispersivo e in molti punti addirittura noioso che – a seguito di minacce inenarrabili – la stessa Rossana Cilli ha recensito spontaneamente a beneficio dei visitatori del nostro hangar … non fosse altro per dare lustro alle tre protagoniste piuttosto che all’autrice statunitense la quale ha verosimilmente ammucchiato in modo discutibile una serie infinita di vicende collaterali, informazioni e dettagli inutili rispetto al flusso narrativo principale. Dunque appuntamento all’angolo del nostro hangar per la mirabile recensione di “Hidden figures – Il diritto di contare“.
Le “donne calcolatrici” furono fondamentali per le prime missioni spaziali statunitensi e questo scatto ha consegnato alla storia dell’astronautica il loro preziosissimo contributo. Il racconto di Rossana Cilli pone l’attenzione su di loro svolgendo una lodevole opera divulgativa a beneficio di chi, come noi, era del tutto ignaro della loro esistenza. Della serie: quando la narrativa si trasforma davvero in un’operazione dall’alto contenuto culturale (foto proveniente da www.flickr.com)
Dicevamo perciò che il racconto “Le perle risaltano sul nero” ha il merito di divulgare un episodio della storia aerospaziale sicuramente degno di nota e che anche noi – nostra colpa – ignoravamo clamorosamente. Lode dunque a Rossana Cilli che ha sanato questa grave carenza veicolando con il suo testo una vicenda dai molti risvolti e dalle numerose chiavi di lettura sacrificandone però l’originalità. Lode comunque alla divulgazione storica. Sempre.
E veniamo al terzo racconto a tema aeronautico intitolato “Un favore per Giulietta” che la giuria ha valutato appena meno meritevole del precedente di accedere alla finale del Premio e quindi alla stampa nell’ambito dell’antologia 2023.
Si tratta di un racconto molto al femminile in cui si tocca con la delicatezza (tipica dell’autrice) il tema dell’aviazione missionaria, ossia di tutta quella serie di iniziative a carattere umanitario che, a mezzo delle macchine volanti, consentono a medici/infermieri di raggiungere gli angoli più remoti e irraggiungibili del nostro pianeta, nello specifico l’Africa Centrale, per prestare cure sanitarie a chi non potrebbe mai ottenerle e che, purtroppo, può confidare al massimo nelle capacità pseudo mediche di qualche stregone locale, o magari di qualche donna-medicina che pratica l’arte delle terapie naturali e conosce le capacità fitoterapeutiche miracolose delle piante selvatiche autoctone.
Il panorama che – immaginiamo – avrebbero potuto osservare i due protagonisti del racconto “Un favore per Giulietta” e che, grazie alla mirabile narrazione dell’autrice si concretizzerà come per magia anche nella nostra mente (foto proveniente da www.flickr,com)
Così l’autrice sintetizza la sua fatica letteraria:
L’etoile di uno dei più grandi teatri al mondo, un bravo impresario, un chirurgo dal cuore grande e con la passione per il volo, un piccolo aeroplano che sembra “fatto di carta”, la dedizione a problematiche lontane e quasi sconosciute, e l’amore, sono gli ingredienti di questo racconto. Ma cosa c’entra un’eterea creatura, che a suo modo vola nell’aria fra passi di danza lievi e senza peso, con un mondo di motori e con un luogo del tutto diverso dal suo? Ce lo spiega la storia di Giulietta: la danzatrice che aveva paura di volare.
Dopo una sinossi d’autore come questa, anzi, d’autrice come questa, non ci permettiamo di aggiungere altro a proposito dei testi aeronautici che ci ha regalato la “nostra” scrittrice appassionata anche di aero/astro-nautica … semmai rimane il rammarico che questa raccolta non sia composta di soli racconti a tema aeronautico … ma è risaputo: nessuna è perfetta, neanche l’eccellente Rossana Cilli … semplicemente perchè non si è cimentata unicamente con la narrativa aeronautica ma si è concessa anche degli sconfinamenti in altri cieli limitrofi, anzi, a dirla seriamente, purtroppo solo di recente la gentildonna ha scritto di aviazione e di spazio … ma in futuro avrà modo di redimersi – ne siamo certi – per imboccare la retta via.
A parte gli scherzi, la poliedricità dei temi toccati dall’autrice nell’ambito della sua prima raccolta di racconti conferma inequivocabilmente la tesi da noi sostenuta all’inizio della presente recensione e la rende una di quelle autrici da seguire da presso perchè in futuro ci regalerà sicuramente romanzi/racconti di notevole caratura. Insomma, della serie: minaccia bene!
La copertina della versione italiana del volume “Hidden figures” mostra le tre protagoniste mentre si muovono con passo sicuro su un pavimento ove è riprodotto il logo della NASA con lo sfondo di un colossale razzo vettore (forse il Titan utilizzato per le Missioni Gemini o il glorioso Saturno 5 delle Missioni Apollo). Ovviamente si tratta delle tre attrici che nel fim impersonano le tre eroine afroamericane del volume di Margot Lee Shetterly. E’ singolare come il titolo in italiano del romanzo sia ben superiore per originalità e pertinenza a quello in lingua inglese ed è ugualmente singolare che l’adattamento cinematografico operato dagli sceneggiatori di Hollywood sia decisamente migliore del romanzo da cui è tratto giacchè usualmente accade il contrario, ossia che che la sceneggiatura stravolga in peggio il testo letterario. Per “Il diritto di contare” è più che mai verosimile (foto proveniente da www.flickr.com).
Avremmo voluto ospitare nel nostro hangar il racconto “Un favore per Giulietta” giacchè, a norma di regolamento di RACCONTI TRA LE NUVOLE, potremmo renderlo fruibile ai nostri visitatori, tuttavia ci sembrerebbe un torto nei confronti dell’autrice e del racconto medesimo giacchè ha avuto la fortuna – a differenza degli altri racconti nostri ospiti – di godere di pubblicazione … dunque non possiamo che rimandarvi all’acquisto della raccolta “Avevo tredici anni … e altri racconti”, certi che sarà per voi un’ottima lettura, davanti al camino come pure sotto l’ombrellone giacchè capace di fornirvi indifferentemente il calore o la freschezza utili allo scopo.
Giunti a questo punto, una recensione che si rispetti dovrebbe fornire le inevitabili informazioni riguardo il libro in quanto prodotto tipografico, ossia copertina, qualità di stampa, colore e consistenza della carta, cura dell’impaginazione ecc ecc … ebbene vi risparmiamo dettagli imbarazzanti che nuocerebbero inutilmente all’autostima e soprattutto all’indiscutibile talento letterario dell’autrice … ciò nostante non possiamo esimerci dallo stigmatizzare come la stampa ad opera di un colosso delle vendite on-line di libri (e non solo) come la piattaforma Amazon non costituisca automaticamente la scelta tipografica migliore. In altri termini: chi vende libri e ha nel proprio catalogo decine di migliaia di volumi non necessariamente è in grado di stamparli alla stregua di quegli editori che ne curano maniacalmente l’estetica tipografica oltre che i contenuti, la distribuzione nonchè la promozione.
Allo stesso modo affidarsi a un’associazione culturale come Amarganta in veste di editore non comporta automaticamente il supporto logistico che una scrittrice di notevole caratura come la “nostra” Rossana Cilli meriterebbe e che un editore di calibro nazionale riuscirebbe a offrire d’ufficio.
Vi risparmiamo perciò gli svarioni tipografici che hanno minato le prime copie di questo volume e ci limiteremo a sottolineare che ora il libro è sufficientemente fruibile sebbene – per contenuti e valore intrinseco – meriterebbe una seconda edizione con una nuova veste editoriale e realizzata da un editore dalle grandi potenzialità. Che poi è la sorte che è capitata già a diversi autori che abbiamo avuto la fortuna e il privilegio di recensire in passato, non ultimo il talentuosissimo Alessandro Soldati con il suo “In un cielo di guai” che, nostro malgrado, abbiamo recensito due volte proprio a causa delle due edizioni in cui si è reso disponibile, la prima della quale in un discutibile regime di autopubblicazione a mezzo di Amazon mentre la seconda – assolutamente ineccepibile – a cura di Cartabianca. Ed è stato tutto un altro leggere o semplicemente sfogliare di pagine.
Ci auguriamo che ad “Avevo tredici anni … e altri racconti” accada qualcosa di simile. Editori … al vostro buon cuore!
Recensione e didascalie della Redazione di VOCI DI HANGAR
L'unico sito italiano di letteratura inedita (e non) a carattere squisitamente aeronautico.
Aforismi
Se l\'aereo che dovrebbe portarvi su un altro continente ha le ali incrostate da alghe marine, scendete.
(Daniele Luttazzi, C.R.A.M.P.O., 1996)
Q.T.B.
PILOTA: carrello non chiude bene. MECCANICO: controllato:ora funziona
(Suggerita da Big Mark)
Check-In
PASSEGGERA: Scusi hanno cancellato il mio volo, ma mò da che binario ripartirà?