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Un pilota a palazzo

titolo: Un pilota a palazzo

autore: Bruno Servadei

editore:  in selfpublishing (Amazon)

anno di pubblicazione: dic 2016

ISBN: 9781540636584




Dopo aver letto altri due libri di Bruno Servadei, “Vita da cacciabombardiere” e “Ali di travertino“, mi è capitato tra le mani questo di cui mi accingo a scrivere la recensione, dopo averlo letto con notevole gusto.

I primi due erano molto interessanti. “Vita da cacciabombardiere” era tutto focalizzato sull’attività dell’autore come pilota militare e quindi raccontava tanti episodi di volo. Per un pilota di Aeroclub come me rappresentava l’occasione di poter gettare uno sguardo all’interno di quel tipo di vita che avevo tanto desiderato fare, ma che mi era sfuggita per un soffio.

Avevo chiuso l’ultima pagina augurandomi che l’autore non si fermasse al primo libro e ne scrivesse altri. Ricordo vagamente di aver sentito dire che questa fosse la sua intenzione, così almeno sembra avesse detto a qualcuno.

Se sperate di ritrovarvi tra le mani un libro pieno di avventure di volo, di rocambolesche missioni in territorio nemico, di manovre acrobatiche al limite della resistenza fisica del pilota, beh … ritenetevi pure vittime di un piccolo equivoco: nelle pagine di “Un pilota a palazzo” il nostro pilota (e che pilota!) vola solo “con le scrivanie” e semmai in qualità di passeggero a bordo di velivoli rigorosamente disarmati. Quali? … questo, per esempio. Si tratta di uno splendido Gulfstream III immortalato in uno scatto risalente al 1992 a Edimburgo. Utilizzato dall’Aeronautica Militare Italiana in quelli che vengono chiamati “voli di stato, era in forza presso il 31 Stormo di stanza a Ciampino (Roma). Era, perché è stato radiato nel 2004 dopo anni di onorato servizio spesi per trasportare appunto il Presidente della Repubblica e i suoi assistenti, Bruno Servadei compreso. E chissà quanto avrà sofferto l’autore a non potersi sedere in cabina di pilotaggio … Di certo non soffrirà il lettore perché – ve lo anticipiamo – questo libro si legge che è un vero piacere e scorre via veloce nonostante i precedenti libri di Servadei descrivano situazioni ben più dinamiche. Dunque a maggior ragione va riconosciuta ed elogiata la capacità narrativa dell’autore che, seppure muovendo la narrazione all’interno del Palazzo (o poco più), riesce a catalizzare l’attenzione del lettore fino all’ultima pagina senza annoiarlo. (foto proveniente da www.flickr.com)

Poi, un giorno, mi capitò il suo secondo libro: “Ali di travertino“, focalizzato sul periodo di servizio che l’autore aveva svolto al Ministero dell’Aeronautica di via Castro Pretorio a Roma, presso lo Stato Maggiore Aeronautica.

Anche questo mi aveva interessato moltissimo, perché anch’io avevo passato nove anni di vita militare in quel palazzone, nel reparto telecomunicazioni.

Dopo aver letto il secondo libro contattai Bruno Servadei, ma non ricordo come. Lui aveva promesso che, se qualcuno glielo avesse chiesto, avrebbe inviato un paio di DVD contenenti foto e video della sua vita di pilota militare. Infatti li ricevetti e ancora li conservo con cura.

In quel periodo lavoravo come controllore sulla Torre dell’aeroporto dell’Urbe. Qualche anno dopo andai in pensione.

Francesco Maurizio Cossiga, sassarese di nascita, ci ha lasciato nell’agosto 2010 dopo aver segnato in modo indelebile la politica italiana nel corso di quella che viene abitualmente identificata come “Prima Repubblica”. Tra i tanti incarichi rivestiti, è stato anche l’ottavo presidente della Repubblica dal 1985 al 1992 quando, in anticipo di qualche mese dalla naturale scadenza del mandato, si dimise, giusto per dare l’ennesimo scossone al “sistema”. In effetti è ricordato dagli italiani per essersi definito un “picconatore del sistema” sebbene, più lontano del tempo, fu spesso considerato un “ministro di ferro” in virtù del polso fermo con cui svolse più volte il ruolo di Ministro degli Interni. Certamente fu un politico controverso, un presidente eccentrico per alcuni versi, e rimarrà nella memoria collettiva per le sue celebri “picconate” o “esternazioni”. (foto proveniente da www.flickr.com)

Questo libro, “Un pilota a palazzo” riguarda i tre anni di servizio che Bruno Servadei ha trascorso presso il Quirinale, quale consigliere aggiunto per l’Aeronautica Militare del Presidente della Repubblica, che allora era Francesco Cossiga.

Il bel libro di Bruno Servadei, contrariamente ai suoi precedenti, non si svolge in un aeroporto militare o in un poligono di tiro dell’Aeronautica Militare Italiana bensì nel Palazzo del Quirinale, a Roma. Si tratta di un palazzo storico, eretto sull’omonimo colle e affacciato sull’omonima piazza. Già residenza papale, divenne la residenza ufficiale del Re d’Italia e poi, con l’avvento della Repubblica, dal 1946 ospita il Presidente della Repubblica Italiana. Assieme a Palazzo Madama e a Palazzo Montecitorio, è dunque per antonomasia un simbolo dello Stato italiano. La prima “salita al colle” dell’autore è al limite del tragicomico: egli entra dall’ingresso di rappresentanza ma viene prontamente placcato da un sedicente funzionario che lo invita a ripetere l’operazione da una delle entrate di servizio del Quirinale. Il lettore non potrà fare a meno di ghignare giacché questo pilota, capace di raggiungere un obiettivo in territorio nemico a velocità folle, a bassissima quota e portandosi appresso un carico bellico (anche nucleare), beh … toppa l’ingresso al Quirinale! (foto proveniente da www.flickr.com)

Il primo capitolo comincia proprio con l’arrivo dell’autore al Quirinale, un luogo che per tutti noi rappresenta semplicemente uno dei punti caratteristici di Roma. Non solo per noi che viviamo in questa città, ma anche per ogni turista al quale capiti di passarci davanti.

Il Palazzo del Quirinale ha una dimensione davvero notevole: ben  110 mila e 500 m² di superficie al punto che è annoverato come uno dei palazzi del potere tra i più grandi al mondo. Tanto per fare un confronto, si consideri che il complesso della Casa Bianca (Stati Uniti) ha superficie di circa 1/20 di quella del Palazzo del Quirinale. Chissà quante volte il nostro Bruno Servadei avrà scorrazzato da una parte all’altra del grande cortile interno del Quirinale e chissà se avrà mai esplorato gli sconfinati giardini del Quirinale, naturalmente per motivi di servizio … (foto proveniente da www.flickr.com)

Ma una cosa è vedere da fuori l’ingresso del Quirinale, con i suoi corazzieri di guardia e una cosa ben diversa è presentarsi davanti a loro per entrare a prendere servizio nell’entourage del Presidente della Repubblica Italiana.

Già dalle prime righe del primo capitolo si entra in una realtà così coinvolgente che ci lascia incollati alle pagine. E queste scorrono via veloci da subito, perché lo stile di Bruno Servadei è davvero coinvolgente. Il suo modo chiaro, semplice, anche nelle descrizioni più complesse, fa sentire il lettore come se stesse al suo fianco. E si finisce per provare fisicamente le emozioni descritte dall’autore.

Nel secondo capitolo si parla di quali erano le sue funzioni, ma ci si arriva gradualmente, come passando attraverso una sorta di cortina di incertezza. Non appare subito chiaro ed evidente quali compiti deve assolvere una figura come la sua. Dovremo girare molte pagine prima di saperlo con certezza. Ma l’interesse aumenta a ogni pagina girata, perché non capita spesso di ritrovarci ad esplorare certi ambienti, generalmente troppo lontani dalla nostra realtà.

La figura del Presidente Cossiga resta quasi costantemente un po’ sfocata nelle descrizioni, tranne in poche occasioni, quando si fa più vicina e distinta. Ma Cossiga è stato un personaggio di un certo spessore nella Storia del nostro paese. E proprio il fatto che il Presidente di quel periodo fosse lui rende ancora più avvincente questo libro.

La copertina della versione digitale del libro di Bruno Servadei

Per quanto mi riguarda, ho trovato molto interessanti i riferimenti a certi avvenimenti di rilievo dei quali avevo una conoscenza più diretta. Per esempio, Servadei parla delle esercitazioni Wintex, che ogni due anni avevano luogo e coinvolgevano tutti i reparti dell’Aeronautica, compreso il Centro Comunicazioni dove prestavo servizio. Ero un Marconista, allora. Ma non un operatore, ero un tecnico. In quelle esercitazioni dovevo realizzare, a richiesta, sia di giorno che di notte e quasi immediatamente, nuovi collegamenti telefonici, telegrafici (telescriventi) o addirittura nuovi canali radio.

Interessantissimi sono i riferimenti anche alla cosiddetta “Strage di Ustica“. Pur senza rivelare nulla di inedito, come è ovvio che sia, dal momento che ancora oggi resta un caso irrisolto, è avvincente conoscere il suo parere.

Poi ci fu un altro episodio, in quegli anni. Quello di Abu Abbas, che coinvolse un reparto dei nostri carabinieri nell’aeroporto di Sigonella. La stampa diede molto rilievo al fatto che i nostri carabinieri si opposero alla consegna di Abu Abbas ai Marines americani.

Chi ricorda questi avvenimenti troverà interessante il parere di Servadei.

E il sequestro dell’Achille Lauro?

Servadei mette in evidenza che a quell’epoca non esisteva un centro dove si potesse far fronte ad avvenimenti complessi e sensibili, dove si potessero concentrare specialisti di ogni settore e strumenti idonei a valutare velocemente situazioni da gestire in tempi rapidi, magari dopo un efficace coordinamento con tutte le organizzazioni dello Stato.

L’idea prende corpo e si profila il progetto di un ufficio, una sala, dedicata allo scopo.

E non mancano neppure svariati commenti contrari all’idea e resistenze di vario genere. Ma il progetto, sostenuto dall’alacre lavoro di Servadei, va avanti.

Si arriva così alla creazione di una sala situazione, un centro che fosse in grado di coordinare molti altri servizi importanti, compresi i Servizi Segreti.

Con la sua proverbiale schiettezza, Servadei così liquida il palazzo in cui trascorse tre anni della sua esistenza: “Per descrivere il Quirinale occorrerebbe un libro dedicato, e non intendo nemmeno provarci.” Pratica risolta! Nello scatto si noterà il torrino ove fanno bella mostra tre bandiere: quella dello Stato Italiano, dell’Europa e lo stendardo del Presidente, se presente in sede.(foto proveniente da www.flickr.com)

Nel libro non si parla solo del Quirinale. C’è anche una parte relativa alla tenuta di Castel Porziano, sul litorale laziale, di proprietà della Presidenza della Repubblica. La descrizione di questa grande area, con la sua pineta e la sua spiaggia, inaccessibile e sconosciuta a tutti, anche se si sa bene che esiste, è di grande interesse. Servadei ci conduce all’interno della tenuta e così possiamo “vederla”.

“Al centro dell’ampio portale, un po’ arretrato rispetto alla soglia, troneggiava un corazziere in alta uniforme. Ero anch’io in divisa, da colonnello pilota dell’Aeronautica ma ero ben lungi dall’avere un aspetto così imponente.” Descrive così Servadei l’immagine della Guardia di rappresentanza del Presidente, altrimenti chiamata “Corazzieri”. Neanche a dire che l’autore soffra di nanismo … no, sono proprio i Corazzieri che sono statuari (foto proveniente da www.flickr.com)

Una parte del libro è dedicata ai corazzieri. Li conosciamo tutti, da fuori. Ci stupiscono con la loro statura e la loro divisa che somiglia vagamente ad un’armatura, qualche turista riesce perfino a farsi una foto con qualcuno di loro, ma poi ognuno se ne va, lasciando l’episodio a livello di un semplice incontro.

In questo libro, invece di andarcene, entriamo dentro la loro realtà, nei loro locali, nella loro mensa. E ci sembra di conoscerli come si conoscono dei colleghi di lavoro.

In questo libro si parla poco di aerei, se ne accenna appena, qua e là.

Si parla invece di moto.

Non solo di quelle dei corazzieri, che all’epoca erano delle Moto Guzzi. E servivano ad accompagnare il Presidente nei suoi spostamenti ufficiali.

La retrocopertina di “Un pilota a palazzo” che, secondo la migliore tradizione editoriale, contiene dei brevi cenni biografici dell’autore. E sottolineiamo brevi perché il buon Servadei, nel corso della sua lunga carriera di pilota militare, ne ha viste e ne ha fatte davvero molte. Fortuna nostra vuole che ce le abbia pure raccontate!

Servadei abitava ai Castelli Romani, ad una certa distanza dalla città di Roma. Il traffico della Capitale è micidiale. La mattina si formano code tremende verso Roma e lo stesso avviene nel pomeriggio, verso fuori città. Le ore di punta rendono difficoltosi gli spostamenti. Una moto risolverebbe il problema.

E cosa fa Servadei? Rinuncia alla macchina ministeriale con autista e si compra una moto. Così può arrivare in perfetto orario, se non addirittura in anticipo, alzandosi tre quarti d’ora più tardi.

Che dire, anni fa, sia quando ero militare, sia dopo, quando lavoravo per quella che oggi è l’ENAV, anch’io ho risolto così il problema del traffico romano. Ho sempre avuto una moto, una passione che per me è stata seconda solo a quella per gli aerei e gli alianti.

Con la moto andavo tranquillamente a Ciampino o a Pratica di Mare, alzandomi più tardi e arrivando sempre in tempo nonostante le indescrivibili code del mattino. E tornavo a casa in breve tempo, superando chilometri di automobili che procedevano a passo d’uomo.

Io avevo una Moto Guzzi. Servadei opta, invece, per una Ducati.

Questione di gusti personali.

Una parte del libro parla dei voli di stato. E coinvolge anche i voli del Papa, il quale, come è noto, utilizza un elicottero dell’Aeronautica Militare. Nei viaggi più lunghi utilizza un aereo, all’epoca era un DC 9 oppure un Gulfstream G3, come fanno le alte cariche dello Stato Italiano.

Ma il Papa, formalmente, è il capo di uno Stato estero.

Eh, questa parte del libro è decisamente molto gustosa. Almeno lo è stata per me, durante la lettura.

Il nostro servizio di intelligence ci ha fornito questa preziosissima immagine che ritrae l’autore a colloquio segreto con l’allora il Presidente della Repubblica. In realtà lo scatto è pubblico ed è riportato diligentemente in un archivio a testimonianza storica dell’udienza tenutasi presso il Quirinale esattamente alle ore 10 e 30 di mercoledì 27 settembre 1989 nel corso della quale Il Presidente della Repubblica Francesco Cossiga ricevette il Col. Pil. Bruno Servadei. Con questa stretta di mano congedò formalmente il suo Consigliere Militare Aggiunto per l’Aeronautica e si chiuse così la frequentazione a Palazzo del nostro autore (Foto proveniente dal Portale storico della Presidenza della Repubblica https://archivio.quirinale.it/aspr/fotografico/PHOTO-001-079284/presidente/francesco-cossiga/col-pil-bruno-servadei-consigliere-militare-aggiunto-l-aeronautica-visita-congedo#n)

E le visite di Stato? Altra parte interessantissima. Queste hanno dato all’autore l’occasione di girare mezzo mondo, con molti aneddoti tutti da leggere. Anche in questi viaggi, alcuni dei quali in vari stati africani, abbiamo l’impressione di far parte delle delegazioni diplomatiche. Al punto che, chiuso il libro, ci sembra di essere appena tornati dalle missioni.

E quando il libro finisce veramente, lasciamo Servadei in procinto di essere trasferito.

Ma il nuovo incarico è altrettanto promettente. Si occuperà di cooperazione internazionale nel settore dell’industria della difesa con tutti i paesi della NATO, più alcuni altri.

Nelle ultime pagine, poche parole descrivono la cerimonia di commiato.

Il giorno dopo Servadei è su un volo per Montreal con un gruppo di persone sconosciute.

E mentre il suo aereo rimpicciolisce nell’immensità del cielo, verso nuove avventure, a noi resta una vaga speranza che appena ne avrà il tempo, non mancherà di raccontarcele.






Recensione di Evandro A. Detti (Brutus Flyer),

didascalie a cura della Redazione di VOCI DI HANGAR


Ali di travertino

Un mondo ultraleggero

Vita da Cacciabombardiere

Deci 83-86. I Ricordi di "Tiro 0"

Ali diplomatiche. In Svezia con le cordelline

Ali in valigia





 

Ali di travertino

Ali di travertino copertinatitolo: Ali di travertino – Un cacciabombardiere allo Stato Maggiore

autore: Bruno Servadei

editore: SBC edizioni

collana: I luoghi & i giorni

anno di pubblicazione:  febbraio 2012

ISBN: 978-88-6347-254-7

 

A Roma, a ridosso della zona universitaria e della centralissima Stazione Termini, ha sede lo Stato Maggiore dell’Aeronautica (per brevità SMA).

L’edificio che lo ospita, realizzato durante l’epoca fascista, è talmente monumentale che non può non essere notato. Anche il passante più distratto o il turista interessato alle antiche vestigia romane piuttosto che all’architettura moderna, non può non notare l’enormità e la particolarità di quel palazzo: una gigantesca aquila con le lunghe ali adorna il tetto della facciata principale come a proteggere coloro che si trovano sotto di essa.

Come buona parte dei rivestimenti esterni dell’edificio, la colorazione bianco-grigiastra dell’animale lascia supporre che sia realizzato in travertino.

Stato maggiore Aeronautica frontale
La facciata principale del Ministero dell’Aeronautica, sede dello SMA, dominata dal motivo decorativo dell’aquila con le ali dell’idrovolante S 55, ossia le famose ali di travertino. L’immagine è stata tratta dallo splendido volume “Il palazzo dell’Aeronautica”, Editalia, ISBN: 88-7060-220-6

Che siano dunque queste le ali di cui parla Bruno Servadei nel suo libro intitolato appunto: “Ali di travertino – Un cacciabombardiere allo stato maggiore”? … ebbene sì, in parte … anche, ma non solo. Sveliamo dunque l’enigma.

La carriera di un pilota militare, salvo imprevisti, è quasi predeterminata sin dalle selezioni di accesso all’Accademia Aeronautica e, dopo aver svolto il servizio presso un reparto di volo ed essere transitati per la Scuola di Guerra Aerea di Firenze, prevede di approdare appunto allo SMA.

Anche Bruno Servadei, ha svolto questo percorso. Così, se nel suo primo libro: “Vita da cacciabombardiere” egli racconta le sue esperienze di pilota militare vissute durante la prima parte della sua carriera, era pressoché inevitabile, considerato il buon successo di critica e di lettori, che anche la seconda parte della sua vita professionale ci fosse svelata in forma più o meno narrativa. Tuttavia, se ci aspettiamo un volume monotono o un elenco asettico delle attività praticate all’interno del palazzone romano, rischiamo di cadere in un terribile errore.

Il racconto di Servadei invece, mette in luce una realtà sconosciuta al generico cittadino, al cosiddetto “uomo della strada” giacché gli svela una sorta di cronaca di “vita ignorata” all’interno del complesso monumentale.

In effetti lo SMA è quello che chiameremmo “la stanza dei bottoni” dell’Aeronautica Militare Italiana e le variegate attività che una parte del personale militare svolge al suo interno, sono spesso frenetiche. O perlomeno lo sono state quelle dell’autore.

Egli, nei tre anni di prevista permanenza, ha avuto modo di approfondire alcuni aspetti, ha svolto incarichi e instaurato contatti a tutti i livelli così intensi e frequenti da doversi portare il lavoro a casa e non avere il tempo di occuparsi dei problemi che aveva vissuto in prima persona durante il suo servizio come caccia-bombardiere. Problemi che – ce lo confida non senza malcelata amarezza – si era ripromesso di sanare una volto giunto proprio allo SMA.

Purtroppo ne esce fuori la descrizione di un luogo che è lo specchio, se vogliamo ancor più negativo, di una nazione – la nostra -, minata dal clientelismo, l’affarismo, e l’interesse personale. Per non parlare di una burocrazia ottusa e inutile.

Benché frequentato da molte persone di valore animate da sani principi morali, ecco che, a seguito dei vari episodi svelatici da Servadei, scopriamo uno SMA quale ricettacolo di cialtroni, di profittatori, di arrivisti ormai dimentichi del significato della divisa che indossano, di affaristi che si piegano alle proposte allettanti dell’industria bellica (aeronautica in particolare) invece di porle i requisiti stringenti cui ottemperare per conseguire commesse e forniture varie.

Insomma, al termine della lettura di questo libro, verrà spontaneo domandarsi come l’Aeronautica Militare che, istituzionalmente, “dovrebbe” difendere i cieli patri, possa farlo davvero con i mezzi (volanti e non) e soprattutto le risorse umane che ha sua disposizione. Questo in prima battuta … l’istante successivo sarà invece un moto di stupore misto a disgusto a salirvi dal profondo dell’animo perché la lettura di alcune vicende al limite del grottesco – non c’è che dire – vissute in prima persona dall’autore e non riportate “per sentito dire”, vi faranno apparire Bruno Servadei quale un testimone oculare impotente ma equo come solo potrebbe essere il famoso “uomo delle strada” il cui buon senso e non già una lunga e profonda preparazione tecnica – come nel caso dell’autore -, gli farà letteralmente urlare a pieni polmoni: scandaloso!

Ad ogni modo, è risaputo che noi abitanti del suolo italico riusciamo a intravvedere il sereno pure attraverso il cielo più cupo … cosicché, anche il nostro ex ufficiale, non venendo meno a questa proverbiale dote, dopo aver dipinto lo sfacelo e il malaffare più torbido, alla fine vi strapperà un sorriso riportando quella battuta ricorrente che i suoi colleghi gli rivolgono stupiti negli uffici e nei corridoi dello SMA: “Mica vorrai fare la guerra sul serio?”

Ali di travertino retrocopertina
La retrocopertina di “Ali di travertino” che contiene una breve biografia dell’autore, una brevissima sinossi e fotografia in biano e nero che lo ritrae accanto ad uno dei jet che pilotò prima di approdare allo Stato Maggiore

Maurizio de Rinaldis, autore della prefazione, tenta di fornirci una sua personale chiave di lettura a questo libro e, nel tentativo di stemperare i contenuti delle pagine a seguire, dichiara:

“[…] Ali di travertino non è una critica, non esprime il pensiero di chi non condivide alcune scelte indotte da una politica di difesa troppo condizionata da quella industriale, non vuole essere una macchia di inchiostro caduta da una penna difettosa o peggio ancora un evidenziatore giallo di problemi o malfunzionamenti di un sistema. Questo è il libro del vecchio saggio guerriero che ha speso gran parte della vita combattendo sui campi di battaglia. Combattendo dapprima in situazioni operative con vere bombe e cannoni ed un po’ più tardi con appunti e riunioni. Il tutto con un solo fine: quello di onorare, proteggere e migliorare l’Aeronautica Militare e la propria Patria.[…]”

Onestamente, a noi, questo libro è apparso ben di più: un libro di denuncia a tutti gli effetti. Uno di quelli che, se fosse stato pubblicato negli Stati Uniti, avrebbe sicuramente provocato un terremoto nelle stanze del palazzo e – non stenteremmo a crederlo – finanche l’eliminazione fisica dell’autore.

E in Italia? Figuriamoci! … in Italia, sorniona e indifferente a tutto e a tutti, al contrario, questo volume costituisce un titolo di genere; ad oggi, può essere considerato come il classico testo scritto da un militare rinnegato da dare in pasto ai pacifisti inveterati o agli anarchici, insomma a quei simpatizzanti che sono contro le istituzioni dello stato, specie se militari. Qualcuno potrebbe interpretarlo addirittura come un resoconto velenoso di un ex Aeronautica Militare che, ormai in pensione, si è voluto togliere qualche sassolino dalla scarpa. Che, per inciso, a nostro parere, poi tanto “ino” non è.

Per questo motivo non ci siamo stupiti affatto quando, cercando delle spigolature in rete, ci siamo imbattuti in alcune interviste dell’ex gen Servadei interpellato ad arte a proposito del tanto “chiacchierato” programma di acquisto degli F35.

Ali di travertino copertina interna
La copertina interna del volume

Ebbene il professionista ha risposto da par suo spiazzando completamente chi si aspettava una risposta scontata … ma questa è un’altra vicenda che esula dal libro in oggetto.

Di sicuro dobbiamo riconoscere al sanguigno Servadei di aver avuto il coraggio di scrivere un libro verità e dunque di aver reso noto un malcostume manifesto eppure tollerato in un ambiente dove, per antonomasia, dovrebbe vigere sovrano il rigore e la lealtà. Perché il malcostume deve essere condannato e non già la schiettezza di un ufficiale che, suo malgrado, non è riuscito a cambiare il sistema agendo dal suo interno.

Tornando al libro, anche lo stesso autore, consapevole della bontà ma anche dei limiti del suo volume, nella postfazione dichiara che:

“[…] di certo queste pagine non potranno attirare l’attenzione degli appassionati di volo come le precedenti”

intendendo quelle del suo primo libro “Vita da cacciabombardiere”. Poi, riferendosi sempre a questa sua ultima fatica letteraria e lasciandosi ad una riflessione amara, ammette che:

“[…] è la visione un po’ delusa e amareggiata di un giovane tenete colonnello, pieno di belle speranze e la voglia di risolvere i problemi rilevati al reparto […]”.

Infine conclude con un messaggio dal quale traspare tutta l’italica fiducia in un futuro migliore:

“[…] Mi fa piacere sperare che chi mi ha sostituito nelle mansioni che ho svolto nello SMA alla fine degli anni ’70 oggi possa godere di maggiore credito di quello che mi è stato riservato […]”

E a quest’augurio ci uniamo compatti in qualità di semplici cittadini contribuenti, di appassionati di aviazione e di ammiratori silenziosi del personale tutto dell’Arma Azzurra, soprattutto dei piloti.

Dal punto di vista della lettura, sotto gli occhi di un generico lettore, il testo scivola che è un piacere, fatto salvo per alcuni rari passaggi ove la prosa si fa un po’ meno scorrevole del solito, tuttavia ci teniamo a precisare che non si tratta di un libro riservato ai tecnici del settore, semmai ad appassionati di volo  o di aviazione e, non ultimi, a coloro che osteggiano le Forze Armate, altrimenti chiamati “pacifisti”…

La veste grafica è curata e assai gradite sono le foto che, a mo’ di piccoli francobolli, adornano qua e là il testo. Esse consentono al lettore meno navigato in questioni aeronautiche di vedere il velivolo oggetto o citato nel corso della narrazione.

A piè di pagina, forse sarebbero risultate utili delle note esplicative di alcuni termini tecnici ma l’autore, senza farcene rendere conto, ce ne spiega già il significato nel corso della narrazione e dunque risultano quasi superflue.

Azzeccata la copertina e assolutamente esplicativa la retrocopertina; strepitoso il titolo; forse un po’ lenta la prefazione nella sua parte iniziale, decisamente necessaria la postfazione.

Un libro da leggere e rileggere, da tenere in libreria e prestare agli amici in attesa di affiancargli gli altri volumi che, nel frattempo,  ci ha regalato Bruno Servadei.

In verità, proprio perché – nonostante tutto – abbiamo letto con piacere questo libro e dunque abbiamo apprezzato lo scrivere leggero sebbene tecnico dell’ex generale, non possiamo fare a meno di augurargli di aumentare la propria autonomia (di volo, s’intende) e di superare i confini del genere letterario in cui – fino ad ora – ha “volato”, quello dell’autobiografia, appunto.

Per esempio saremmo davvero lieti di apprendere che, finalmente impostata senza indugio alcuno una virata stretta in direzione del cielo sconfinato della narrativa aeronautica, il l’ex generale abbia finalmente intrapreso il sorvolo di un terreno per lui inesplorato in cui esperienze vissute, una buona dose di fantasia e un talento verace trovano la coniugazione perfetta: il romanzo a carattere aeronautico.

Buon vento, generale, e a presto rileggerci.




Recensione a cura della Redazione



NOTA della Redazione:

dello stesso autore è presente in hangar il racconto: “Coppia” che ha partecipato alla I edizione del Premio letterario “Racconti tra le nuvole” .




Un pilota a palazzo

Un mondo ultraleggero

Vita da Cacciabombardiere

Deci 83-86. I Ricordi di "Tiro 0"

Ali diplomatiche. In Svezia con le cordelline

Ali in valigia

Coppia

Appena alzato, ancora con occhi gonfi di sonno, andai a sbirciare fuori della finestra: sereno e calma di vento!

Perfetto, pensai, situazione ideale per il programma della giornata.

Sapevo che quella non sarebbe stata una giornata qualsiasi: avevo in mente qualcosa che mai avrei pensato si potesse avverare e che solo un anno prima avrei considerato pura pazzia anche solo immaginare.

Nel frattempo anche mia moglie si era alzata: anche lei andò a guardare fuori dalla finestra, a controllare il cielo, una cosa che fino a qualche tempo fa non le sarebbe passata per la mente.

La vidi fare un leggero un cenno di assenso.

Dopo una rapida colazione ci mettemmo in macchina, direzione Sabaudia. Viaggio lunghetto, più di ottanta chilometri dai Castelli Romani, un viaggio diventato frequente negli ultimi tempi. Con la radio accesa su un canale di musica e la moglie immersa nello studio di un manuale, mi abbandonai ai miei pensieri, che mi riportarono alla concatenazione di eventi all’origine di quella giornata particolare.

Pilota dell’ Aeronautica Militare, all’atto del pensionamento, chiesto anticipatamente, avevo appeso il casco al chiodo. Pensavo di avere chiuso con il volo, che pure aveva caratterizzato la mia vita ed era stato il motivo fondamentale che mi aveva convinto ad intraprendere la carriera militare. Anche se la vita da pilota operativo era stata breve, in un modo o nell’altro il volo era sempre rimasto parte significativa della mia attività, anche quando avevo dovuto occuparmene prevalentemente da dietro una scrivania. Ora, però, non riuscivo ad individuare motivazioni adeguate per proseguire l’attività di volo nel mondo civile.

L’idea di andare presso un Aeroclub di gente con la puzza al naso, a volare su un trespolo ad elica, spendendo un sacco di soldi per fare un giretto intorno al campo, non mi passava neanche per l’anticamera del cervello. Già l’entusiasmo per il volo negli ultimi anni di servizio in Aeronautica era andato scemando, fino a raggiungere uno stato di profonda delusione.

L’attività di un pilota degli enti centrali era limitata a sole 6 ore di volo al semestre. Dopo un paio di anni di attività così scarsa anche a Decimomannu, una base aerea in Sardegna che avevo comandato a lungo e dove, come pilota, godevo di una certa considerazione, non mi consentirono più di volare da solo. Non potevo biasimare una simile decisione: era del tutto ragionevole mettere un pilota allenato dietro ad un arrugginito pilota di scrivania, anche se il velivolo con cui facevo la mia attività non era più l’F104 del reparto operativo ma il Macchi 339, facile come una bicicletta.

Per un paio d’anni, da solo, mi ci ero divertito a fare capriole a pelo terra o a razzolare nei valloni dietro il Gennargentu: ma dopo, con il pilota giannizzero seduto dietro, scendere sotto i 2000ft sembrava essere diventato un azzardo, ed infilarsi nei bellissimi orridi della zona est della Sardegna un’assurdità. Così la decisione di rinunciare al volo non mi era pesata più di tanto: erano passati già sette anni senza che sentissi rimpianti per un’attività che non mi prospettava emozioni di sorta.

Avevo da tempo conseguito il brevetto di istruttore subacqueo e trovavo l’attività subacquea gratificante. Del resto le immersioni sono attività svolte in ambiente tridimensionale, con molte attinenze con il volo: looping, tonneau e tiro si possono fare anche sott’acqua.

In questa situazione ormai consolidata, un giorno un mio collega di corso di Accademia mi propose di andare a vedere il suo nuovo velivolo. Passato alle linee civili dopo un periodo di reparto sull’F104, si era costruito un ultraleggero che aveva certificato come velivolo sperimentale, formula che prevede limitazioni nel numero dei piloti autorizzati al suo pilotaggio: era alla ricerca di qualche volontario da iscrivere sulla certificazione in modo da avere un sostituto in caso di necessità.

Il velivolo si trovava sull’aviosuperficie di Sabaudia. Non ricordo per quale motivo accolsi il suo invito, perché la sua proposta non mi interessava, stante anche il fatto che il mio brevetto era ormai definitivamente scaduto: forse qualche concomitante impegno legato all’attività subacquea, che spesso mi portava a fare immersioni al Circeo, mi offrì l’occasione di passare da Sabaudia.

Arrivato al campo due fatti mi colpirono: l’aviosuperficie e gli ultraleggeri di ultima generazione. Non avevo idea che in Italia ci fossero campi di volo in erba e rimasi stupito nell’apprendere quanto fossero diffusi e liberi da tutti i legacci burocratici dei normali aeroporti. Il velivolo, poi, fu per me una vera rivelazione: si trattava di uno Storm, un ultraleggero costruito da una ditta di Sabaudia.

I miei unici ricordi di ultraleggeri risalivano ad una quindicina di anni prima, in Sardegna, ed il mio contatto con il mondo del volo ultraleggero era avvenuto per caso.

Un giorno il responsabile del controllo del traffico aereo era venuto a chiedermi di far chiudere un campo di volo per ultraleggeri che si trovava sulla rotta di rientro dei velivoli della base dal poligono di combattimento. Dopo avergli ricordato che il cielo è un bene comune e che deve essere condiviso il più possibile, prima di esprimere un parere in merito alla sua richiesta andai con un Macchi 326 a dare un’occhiata da molto vicino al campo, una striscia di terra di 200 metri dalla quale feci alzare un gran polverone, suscitando entusiasmo saluti dei piloti locali: poi ci andai via terra.

Il responsabile mi fece conoscere i mezzi che vi volavano, e mi portò in volo con un trespolo infernale in tubi e tela, un Barouder, lento, rumoroso ed in balia del vento, con velocità massima inferiore ai 100 km/h.

Concordammo che con i loro trespoli non sarebbero mai saliti oltre i 500 piedi di quota, alzai a 2000 piedi la quota minima di rientro dei miei velivoli in quel corridoio e cancellai ogni ipotesi di chiusura del campo. Qualche tempo dopo li invitai a Decimomannu, dove rivolai sul Barouder, un mezzo che di certo non avrei mai preso in esame per una seria attività di volo.

Ma quello che ora mi stava davanti era ben altra cosa rispetto all’ultraleggero che immaginavo: questo era un vero velivolo, tutto metallico, bello, con l’aria di essere anche veloce e manovrabile. Poco dopo un gentile signore che stava andando in volo con un velivolo simile mi dette modo di verificare di persona che queste mie impressioni erano corrette.

Mentre il mio interesse per il mondo ultraleggero stava crescendo, mia moglie trovò modo di fare un volo con un velivolo acrobatico, un CAP 10, che si trovava causalmente sull’aviosuperficie.

Giornalista di un quotidiano per ragazzi, aveva proposto di pubblicare un articolo sul volo acrobatico: la prospettiva che l’articolo avrebbe fatto pubblicità alla locale scuola di volo le valse il volo gratis. Salì sul velivolo con l’istruttore e dopo poco la vidi volteggiare sul campo in manovre acrobatiche di ogni tipo. Mia moglie non aveva esperienza di acrobazia e soffriva in mare per qualsiasi manovra che facesse inclinare il natante. Mi aspettavo, pertanto, di vederla scendere con il sacchettino del vomito in mano. Invece saltò giù entusiasta dal velivolo e se ne uscì con una affermazione stupefacente: “Mi piacerebbe prendere il brevetto”.

Se non avessi appena scoperto il volo ultraleggero nella sua nuova ed imprevista configurazione forse non avrei accolto la richiesta con entusiasmo, visti i costi connessi. Ma ora il suo proposito mi dava l’occasione per rivalutare l’idea del mio ritorno al volo. Se lei voleva volare, allora avremmo potuto farlo insieme: quello che non era riuscito in mare, dove vela e sub non avevano trovato il suo gradimento, forse avrebbe potuto accadere in cielo.

Così lei iniziò il corso di pilotaggio serio, per il brevetto PPL, mentre io dovetti prendere atto che i sette anni di inattività mi costringevano a ricominciare da capo con il volo.

Avendo deciso che il brevetto PPL non mi interessava, mi iscrissi al corso per il conseguimento dell’attestato ultraleggeri. Il direttore dell’Aeroclub d’Italia, all’epoca un mio compagno di corso, mi indicò una scuola non molto lontana da Sabaudia e mi mise in guardia sugli ultraleggeri italiani, spesso fuori norma. Consiglio che venne a pennello: avevo già messo gli occhi su uno Storm appena costruito, ma dopo il suo avvertimento decisi di rivolgermi a prodotti in regola con le norme.

Alla scuola feci qualche volo con il Tucano, una “cabina di teleferica” con le ali, monovelocità, che richiedeva uno smodato uso dei piedi per virare, almeno per me, abituato ai jet.

Al primo esame disponibile mi guadagnai i galloni di pilota ULM, ma solista: qualche tempo dopo feci l’esame per il biposto. Nel frattempo ero andato al nord a provare un velivolo costruito in Repubblica Ceka, un Eurostar. Ne ero rimasto entusiasta, anche grazie al suo eccellente dimostratore, e l’avevo ordinato.

Nel giro di sei mesi andai a ritirarlo e lo piazzai a Sabaudia dove, nel frattempo, il corso di mia moglie procedeva a rilento. Cominciai a prendere confidenza con il nuovo mezzo, guadagnandomi il rispetto dei piloti locali, non condiviso dal proprietario dell’aviosuperficie, che non gradiva il mio modo di intendere il volo.

A quel tempo la scuola di volo di Sabaudia non era un gran che. Volando con mia moglie notavo carenze di addestramento e quando le segnalavo all’istruttore responsabile mi diceva che tanto, poi, ci avrei pensato io a rimediarle. Il corso, però, bisognava pagarlo lo stesso per intero! Finalmente mia moglie effettuò il volo solista e qualche tempo dopo conseguì il brevetto.

Ma torniamo alla nostra giornata speciale: oggi per mia moglie è previsto un volo solista con il Katana, un biposto austriaco bellino e tranquillo, ad ala bassa, che era stato usato per parecchi voli del corso.

Il mio programma è di volare in coppia stretta con mia moglie: lei non lo sa, e nessuno della scuola deve saperlo, perché gli istruttori si preoccuperebbero e si opporrebbero. Essendo del tutto incompetenti in fatto di volo in formazione, un modo di volare in uso solo fra militari, già avevano avuto da ridire per il semplice fatto che una volta mi ero avvicinato al loro velivolo con il mio Eurostar, pur mantenendomi a distanze abissali.

Preparo il mio velivolo. Quando vedo mia moglie iniziare il giro dei controlli me ne vado in volo senza dare nell’occhio: a Sabaudia il mio velivolo è parcheggiato negli hangar dall’altra parte della pista e posso andare in volo senza chiamare nessuno ed essere notato.

Mi metto in attesa dietro le pendici del Circeo con la radio sintonizzata sul canale di Latina avvicinamento, aspettando di sentire le comunicazioni di mia moglie, che arriva con il rituale: “Latina, india … , no flight plan …”.

Comincio a scrutare l’orizzonte e finalmente vedo il puntino del velivolo che sale verso il Circeo: la quota richiesta per il volo è di 2000 piedi, teoricamente a me preclusa in quanto ultraleggero.

Attendo che il velivolo sia al di fuori di possibili avvistamenti da parte dei piloti di Sabaudia, poi inizio una intercettazione che completo rapidamente.

Il Katana è un velivolo veloce in volo livellato nonostante i suoi soli 80 Hp, ma in salita è un “polmone” rispetto all’Eurostar per cui in un attimo gli sono in ala.

L’ultima parte dell’avvicinamento lo faccio lentamente, portandomi in ala destra, in attesa di essere avvistato: non posso annunciare la mia posizione in ala con la radio sintonizzata sul canale di Latina avvicinamento, così, mentre lei assume la prua per Terracina, spero che ad un certo punto volga lo sguardo dalla mia parte.

Come sempre succede quando intercetto qualche pilota civile, ci vuole un bel po’ prima che la cosa avvenga: non ho capito il motivo per cui nelle scuole civili non si insegna agli allievi piloti a guardare bene fuori! Capisco che non devono addestrarsi a difendersi dall’attacco di eventuali caccia, ma tenere d’occhio lo spazio intorno al proprio velivolo è sempre cosa buona e saggia. Invece vedo sempre teste fisse sugli strumenti o, al massimo, volte a guardare avanti.

Quando finalmente mi vede accenna ad una virata a sinistra, evidentemente spaventata dal trovarsi un velivolo così vicino: poi riconosce l’inconfondibile sagoma a stelle e strisce del mio Eurostar, si tranquillizza e riprende la rotta. Sa di potersi fidare: nei pochi mesi di voli con l’Eurostar mi ha visto intercettare qualsiasi cosa che stesse per aria nella piana pontina, e poi stare in coppia stretta ad ogni tipo di ultraleggero.

Un cenno di saluto e mi stringo alla sua ala: sono a 2000 piedi di quota sul mio Eurostar in coppia ad un Katana su cui si trova mia moglie da sola!

Se solo un anno prima qualcuno avesse ipotizzato un evento del genere gli avrei dato del matto!

Viaggiamo insieme fino a Terracina, per poi proseguire per Borgo Montello e Sabaudia. In avvicinamento a Sabaudia saluto e mi allontano prima che qualcuno da terra mi possa vedere. Missione compiuta: ci ritroviamo a terra dove la cosa resta un segreto fra di noi. Gli altri non devono sapere.

Non è stata la nostra unica esperienza di volo in coppia: in seguito ci sono stati altri voli simili anche con ultraleggeri.

Una volta dovevo andare a ritirare un Esqual, velivolo che per qualche tempo ho presentato nelle manifestazioni aeree, in una aviosuperficie vicina dove si trovava per un’ispezione. Ci siamo andati insieme con l’Eurostar ed al rientro abbiamo volato in coppia, lei sull’Eurostar ed io sull’Esqual.

Ma l’emozione del primo ricongiungimento sulle pendici del Circeo e dei primi minuti di volo in coppia non è più stata la stessa.



§§§ in esclusiva per “Voci di hangar” §§§


# proprietà letteraria riservata #


Bruno Servadei

Coppia

elicottero kamovUn pilota militare va in pensione e decide di smettere di volare non trovando motivazioni adeguate per continuare a farlo nel mondo civile. Quando ormai il volo sembra definitivamente archiviato ed i brevetti scaduti, un evento fortuito porta lui e la moglie di nuovo in contatto con il mondo del volo. Un volo acrobatico, anch’esso del tutto imprevisto, appassiona la moglie che decide di prendere il brevetto, trascinando anche il nostro eroe a rientrare nel mondo del volo. Dopo varie vicissitudini i due riusciranno a raggiungere l’obiettivo di volare prima da soli e poi, finalmente, in coppia


Narrativa / Breve Inedito; ha partecipato alla I edizione del premio letterario “Racconti tra le nuvole”, 2012-2013; in esclusiva per “Voci di hangar”