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Verso il prossimo lancio

Il cuore mi batteva, come Ufficiale, ero l’ultimo del lancio, il primo era il Sergente. Il rombo dei motori del C-119 penetrava nella stiva di lancio come l’urlo di un mostro aereo, frastornandoti. Il cielo scuro appariva dalla valva di coda asportata, un mare di nero che ingoiava uomini con una velocità spaventosa, mostro, dalla fame immensa. Eravamo veloci, quasi una corsa verso quella bocca spalancata ma il tempo è davvero relativo. Pensavo a mio padre, a mia madre, alla mia ragazza, a me. Tutto in un attimo, accavallato d’immagini mentali, paura, terrore della morte: ma chi me lo fa fare? Il mio orgoglio, il mio fesso, orgoglio, di sempre. Ero io a volerlo di non restare, nessuno m’obbligava, potevo restare a bordo, il Direttore di lancio, un Maresciallone con le palle, avrebbe capito. Arrivai sulla porta, non avevo nemmeno controllato la fune di vincolo, sistemata bene più per esperienza che per il pensiero. Lo sguardo del Maresciallo, il lieve spostarsi a far posto e il salto nel buio, anche questa volta c’ero riuscito. Lo schiaffo dell’aria, il rombo lontano, una terra al chiaro di luna che ti precipitava contro. Le gambe della mia ragazza aperte, la pagnottella scura, il paradiso sotto di me. Poi lo strappo del gigante. Il guardare in alto se si era aperta la calotta o se avevo fatto candela. Un lancio notturno di guerra, anche solo virtuale, si fa bassi, molto bassi, speri in Dio e nel ripiegatore di paracadute umani. Vedi calotte a terra, intorno, sopra di te ma laterali, un lancio di battaglione è uno spettacolo. Quasi eccitato sessualmente, l’adrenalina a fiotti che scorre nelle vene e ti fa sentire un Dio che scende da una nube, Pegaso alato, che porta sulle spalle se stesso e le ali. L’ora mentale che passa veloce e dura meno di un minuto. Ricordi lontani, da bambino s’accavallano a promesse future: come l’amo, Tiziana. Il suo bel corpo nudo, sudato, sereno. Papà, se tu fossi qui. Ti voglio bene, mamma. Poi l’urto quasi improvviso, la terra. Il rotolare su te stesso, la voce del Sergente: – Tutto bene, Tenente?.- Sorridi e, non sai, se ti vede, che dire a quel simpatico pugliese, che, lo amo, perché son vivo? Di radunare il plotone, grugnisco. E’ quasi una risata. Il Colonnello Mautino, la sabbia d’El Alamein ancora nelle orecchie: – Forza testone, controlla i tuoi uomini, si va veloci fuori, da qui. – La vita ritorna come sempre, si corre dopo aver recuperato il paracadute alla meglio, le squadre di recupero sono già all’opera. Faccio parte d’un insieme efficace, collaudato, son fiero. Raduno gli uomini e corro, verso dove? Verso il prossimo lancio.


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Mayo de May@

Il primo lancio

Ero il più giovane su quella macchina pazza che andava da Modena a Torino su strade non proprio prive di buche, anzi. Il più giovane di quattro amici disparati: uno di diciotto, due di 30 e un medico di 40. Niente ci legava nella vita, ma una pazzia ci faceva legare più che fratelli. Ci piaceva ubriacarci d’emozione, sentire l’adrenalina scendere in vena, darci il senso del brivido anche stupido ma sentirci gasati, sicuri, superuomini tra rammolliti. Ruggero, il medico, ci raccontava che eravamo drogati. Schiavi di una droga naturale che solo il pericolo o la paura poteva dare. L’avevamo sperimentata il roccia, in moto e, ora, la si sperimentava in cielo, quell’adrenalina. Eravamo al terzo lancio col paracadute, si voleva a tutti i costi il brevetto dei sei lanci e non ci saremmo mai ritirati prima. Una questione d’onore con noi stessi. Giungemmo al raduno già stanchi, occhi arrossati e labbra secche. L’esercito, o meglio, i para’, come ci piaceva chiamarli in ricordo di Massu, il colonnello francese de Para’ d’Algeria che seguivamo nelle imprese. I para’ fornivano paracadute e Direttori di Lancio e l’aviazione vecchie vacche volanti, gli SM.83, se ricordo bene. Il raduno era in piena Torino e il Comune ci dava un pulmino da ragazzi. Quella volta eravamo in tanti, comprese cinque donne più pazze di noi. Erano infagottate il tute militari; chi l’aveva adattata al suo fisico e chi, come la rossa, larga e impacciata; si vedeva che era la prima volta. Io, felice della mia verde oliva americana, trovata a Livorno, al mercatino, l’adocchiai subito e lei adocchiò me. Avrà avuto la mia età o poco più vecchia: legammo subito. Era davvero il suo primo salto. Io, forte dei primi tre mi sentivo un nonno. Lei beveva ogni cosa che dicevo, registrava ogni consiglio che davo, mio Dio, ero proprio gasato. Lasciammo salire tutti, noi fummo gli ultimi e, beninteso ci tocco il posto in piedi, appiccati alla barra centrale. Qualcuno dietro spingeva, altri spingevano contrari e fu giocoforza che i nostri corpi condividessero lo stesso spazio Come profumava di pulito. Il pulmino si stava già riempiendo di quell’odore classico di sudore, paura, e eccitazione, riempivano spazi ristretti, come fusoliere d’aeroplani. Era il mio odore, ma non il suo, Lei profumava di donna e di pulito. I capelli respirati m’entravano in bocca, Lei cercava di scostarsi ma non poteva e, lentamente roteando la nostre bocche sentirono l’una l’inizio dell’altra. Eravamo timidi e in pubblico. Ma si sentiva che eravamo eccitati. Le scosse che ricevevamo portavano i nostri inguini sempre più pressati contro l’inguine dell’altro e confesso che fu estremamente difficile mantenere solo quel principio d’erezione. Ero un Para’, dovevo vincermi. L’andata fu una specie d’inferno gradito. Il mio corpo incastrato nel suo come parte mancante per un insieme perfetto. Era caldo il suo corpo, caldo e morbido. Il suo respiro lieve ed eccitato come il mio, il cuore un motore d’aereo. Ci trovammo vicini alla imbracatura, seduti sull’erba, in attesa dell’involo. Salii per primo e Lei dietro. Per lanciarci si doveva fare il percorso inverso. Avrebbe dovuto fare il salto davanti a me e questo non mi piaceva. Se uno dalla paura si ferma o lo butti sotto o lo recuperi staccando in gancio. È sempre una operazione che se anche fatta veloce è lenta alla relatività dell’aereo e, o salti fuori campo o salti al prossimo giro. Non li si buttava di sotto. Incominciarono ad uscire sotto l’ordine del Direttore di lancio: – Fuori, uno, fuori due, fuori … – Lei era la decima, io l’undicesimo. Chiamò, l’ottavo, Lei si voltò a guardarmi sotto quel buffo elmetto, vidi quello che parve un lampo di paura. Dio, non si butta, non si butta … Non ebbe esitazioni e volammo fuori nella scia dell’aereo come due angeli. La fune di vincolo ha uno strappo predeterminato. Ti sembra di precipitare a sasso e senti un gigante trattenerti con uno strappo violento, poi, dondoli, dondoli nel vento. Eravamo a poche decine di metri, mi guardò, rideva. Viso rosso, eccitata, bambina e rideva, io risi con lei. Fu un amplesso a distanza e in aria. Sentii come entrare in lei e lei mi sentì entrare e mi gridò: – Ti voglio ora. – Scendemmo godendo con tutto noi stessi. Ero turgido, ma non emisi nulla. Forse Lei bagnò. Ci trovammo a terra, non c’era che un poco di vento e mi buttai sul suo paracadute sgonfiandolo e, lei, capì e si buttò sul mio, quasi sopra al suo. Ci trovammo quasi l’uno sopra l’altro. Ma le bocche si riuscirono a trovare, le lingue scattare, come eravamo vivi. Ci sentivamo eccitati, contenti d’essere a terra e rotolammo abbracciati. Avevamo vinto la paura, il terrore e ora si godeva la vita pieni d’adrenalina. Mi soffregai poco su di lei, quasi un attimo e la bloccai: quello che non era uscito in aria uscì sulla terra. Chiusi gli occhi, aspirai nelle sue orecchie e godetti da come non avevo mai goduto. Lei sorrise, si fermò, mi spinse il corpo contro e mi lascio godere, forse godendo anche Lei a occhi chiusi, non avevamo intorno nessuno. Ci muovemmo come per una copula. Ci muovemmo selvaggiamente nascosti dalla seta bianca. Un’ora? Un giorno? Una vita? Forse pochi secondi! Raggiungemmo l’orgasmo insieme guardandoci negli occhi. Mai avevo visto viso di donna trasformarsi così: un attimo belva e l’attimo dopo un Angelo sereno e disteso dove appariva tutto il miracolo della vita che scorreva ora placida nelle nostre vene. Ci chiamarono, recuperammo il paracadute e ci separammo, Lei tornò con il camion, il Sergente era un suo amico e rischiò il trasporto di un civile. Forse sarebbe stato lui ad amarla quella notte. Non ho mai saputo il suo nome ma ricordo ancora il suo viso disteso e bello, 30 anni dopo.


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Verso il prossimo lancio

sunderlandNel corso della nostra esistenza c’è stata almeno una volta in cui ci siamo davvero sentiti davanti al baratro, soli con noi stessi, nella condizione terribile di doverlo affrontare per dovere professionale o semplicemente per conoscere e superare il nostro limite oscuro. Quello oltre il quale c’è la paura allo stato puro, il terrore profondissimo per ciò che è sconosciuto ed insondabile. Ci sono stati luoghi e situazioni diverse per ciascuno di noi ma quel momento, è inutile negarlo,ci ha fatto maturare e crescere, perché ciò che ci aspetterà, dopo di quello, saranno ancora altri baratri e ancora e ancora. Ora immaginate un giovane tenente della Folgore, a bordo di un C-119 che si appresta ad un lancio notturno: quali sentimenti, quali pensieri lo attraverseranno prima di gettarsi in un “mare di nero che ingoiava uomini con una velocità spaventosa, mostro, dalla fame immensa”? E quali sentimenti, quali pensieri lo rapiranno nella consapevolezza di dover vivere ancora un prossimo lancio e un altro e un altro ancora? Un racconto magistrale che vi comunicherà il senso di paura ma anche di adrenalina e audacia provate da un uomo.


Racconto / Breve Inedito. In esclusiva per “Voci di hangar”.

Il primo lancio

para tra le nuvole“Fu un amplesso a distanza e in aria. Sentii come entrare in lei e lei mi sentì entrare e mi gridò: – Ti voglio ora. – Ci trovammo a terra, non c’era che un poco di vento e mi buttai sul suo paracadute sgonfiandolo e, lei, capì e si buttò sul mio, quasi sopra al suo. Ci trovammo quasi l’uno sopra l’altro. Ma le bocche si riuscirono a trovare, le lingue scattare, come eravamo vivi. Ci sentivamo eccitati, contenti d’essere a terra e rotolammo abbracciati.”   Che cosa c’è da commentare su un racconto che contiene un così alto tenore di  poesia ed erotismo? … che va letto, nient’altro!? Un finale amaro, ma che verrà a conclusione di una magica esperienza come può essere solo … il primo lancio.


Narrativa / Medio-breve Pubblicato: nel sito web “Soloparole”.

Mayo de May@

monoplano rosaSono laureato in Antropologia e Sociologia. Scrivo da due anni solamente, sono un infartuato, e vivo nel mio studio. Sono un ex Paracadutista Militare di complemento, amo il volo, adoravo buttarmi dal cielo. Lo sogno ancora quell’attimo. Sono un ex pilota di aerei mancato, non presi mai il brevetto, non ne avevo le caratteristiche, per me due + due fanno sempre sei. Ho 64 anni, grido ancora “Folgore” e mi alzo in piedi con l’Inno Nazionale, sono un romantico ma non pensatemi un esaltato. Che male faccio a sentirmi italiano? Ho appena pubblicato un racconto cui tengo molto: “Michaela”.

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Il primo lancio

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