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Nuvole elettriche


“Da quassù la Terra è bellissima, senza frontiere né confini”

scriveva nella sua autobiografia Yurji Alexeievich Gagarin, primo uomo ad aver orbitato attorno alla Terra ed esserne rientrato vivo.

Si conclude con questa famosissima citazione il bel racconto di Roberto Paradiso intitolato: “Nuvole elettriche” che ha partecipato alla V edizione del Premio fotografico/letterario “Racconti tra le nuvole”.

Purtroppo l’assonanza tra il titolo e in nome del Premio non è stata foriera di successo tanto che il brevissimo testo dell’autore romano (ma pescarese d’adozione) non è riuscito a raggiungere la fase finale del Premio. Magra consolazione – certo – essere ospitato in un angolo del nostro grande hangar tuttavia meglio che rimanere sepolto nella memoria fissa di un computer, non vi pare?

Ma – vi domanderete – cosa “c’azzecca” la celebre frase del grande cosmonauta sovietico con “Nuvole elettriche”?

Un frammento del rivestimento di fusoliera del velivolo con marche 9M-MRD della compagnia di bandiera malese. Nel tratto verniciato di rosso è facile leggere proprio le marche dei Boeing abbattuto

Venendo meno ad una sacra regola del bon-ton secondo la quale non si dovrebbe mai replicare a un quesito con un altro quesito, vi domandiamo: si può rischiare di abbattere un aeroplano commerciale e spezzare la vita di 298 vite innocenti come insulso atto di ritorsione militare? Ebbene … qualcuno lo ha ritenuto accettabile!

La data: il 17 luglio 2014.

Il luogo: i cieli dell’Ucraina a circa 50 km dal confine tra Ucraina e Russia, in prossimità dei villaggi di Hrabove, Rozsypne e Petropavlivka nell’Oblast’ di Donec’k, in un territorio all’epoca controllato dai separatisti filo-russi durante la guerra dell’Ucraina orientale.

Per ricostruire quanto accaduto davvero al volo MH17 si attivò una task force internazionale e si procedette al recupero di tutti i frammenti trovati a terra dopo l’abbattimento. Le parti furono ricomposte e meticolosamente analizzate;  ciò ha condotto i tecnici a stabilire in modo inconfubatile la dinamica dell’abbattimento: missile antiaereo di costruzione russa.

Il velivolo: un Boeing 777-200ER, marche 9M-MRD, della Malaysian Airline, volo MH17, diretto da Amsterdam a Kuala Lumpur.

Le vittime: 283 passeggeri e i 15 membri dell’equipaggi, 298 persone per la maggioranza di nazionalità olandese.

L’abbattimento causato da: missile terra aria lanciato da un sistema missilistico Buk-Telar posizionato in una fattoria nelle vicinanze del villaggio di Pervomais’kyi, portato dai russi in Ucraina orientale e successivamente ritrasferito in Russia

Il motivo: abbattere un velivolo da trasporto militare ucraino carico di rifornimenti per l’esercito regolare ucraino in volo nella stessa area del velivolo malese.

Lo scenario a dir poco desolante che è apparso ai primi soccorritori intervenuti sul luogo dell’impatto a terra del velivolo . Vi risparmiamo le foto strazianti che mostrano i tanti corpi delle vittime mescolate ai rottami … sebbene dovrebbero rimanere sempre nella mente di colui o di coloro hanno ordinato ed eseguito il lancio del missile antiaereo senza avere la certezza del velivolo che si apprestavano ad abbattere. Il sistema antiaereo BUK è infatti costituito da un radar di ricerca, da un radar di guida e dal lanciatore vero e proprio; la ricostruzione di quanto avvenne fornisce un elemento agghiacciante; i filo-sovietici non disponevano dell’unità mobile dotata del radar di ricerca e dunque non potevano distinguere esattamente quale fosse il velivolo commerciale e quale quello militare ucraino che intendevano colpire. Purtroppo sappiamo come è finita: una tragedia.

E’ dunque da questo terribile evento di cronaca internazionale da cui prende spunto il nostro racconto cui si aggiunge l’invenzione narrativa delle anime delle vittime che si accingono al trapasso. Nuvole elettriche, appunto.

Ai soldati giunti sul luogo dell’impatto e attraverso la voce narrante del secondo pilota, le vittime innocenti hanno l’occasione di raccontare un po’ di sé, delle loro esistenze spezzate, dei loro sogni infranti. Ne esce fuori un testo toccante che, seppure nella sua eccessiva brevità trasmette l’orrore e la devastazione provocata da un atto di guerra inconsulto e ingiustificabile.

Certo, il tema non è dei più goliardici, la composizione è più una pennellata a tinte fosche che un racconto organico … ma a noi, a differenza della giuria del premio, è piaciuto. Probabilmente l’autore avrebbe potuto svilupparlo di più e meglio, tuttavia troviamo che ogni periodo abbia il giusto peso, ogni colpo di pennello (narrativo) sia misurato e ben collocato, insomma che l’insieme, seppure nella sua tragicità sia ben costruito nella sua parziale originalità. Occorre ricordare infatti, che l’invenzione dei pensieri latenti delle vittime, “anime” o “nuvole elettriche” che dir si voglia, non è del tutto nuova eppure, nel complesso, è utilizzata con armonia, senza abusarne.

Un velivolo con la livrea della compagnia di bandiera malese identico a quello abbattuto nel 2014

La prosa è piacevole fluida e, nonostante nelle prime righe l’avvio sia un pochino lento, subito dopo il testo appare meno ermetico in quanto vengono svelate le coordinate temporali e geografiche.

Ottima la sintassi, impeccabile la grammatica, assolutamente pertinente al tema aeronautico peraltro previsto dal bando di concorso del Premio.

Un racconto che si legge in un battito di ciglia ma che lascia pensare molto dopo, un grido di condanna contro le guerre, specie quelle che coinvolgono vittime innocenti abbattute (nel vero senso della parola) premendo a cuor leggero un banale tasto di lancio di una batteria anti-area.

La Terra vista dallo spazio così come, probabilmente, la vide il cosmonauta russo Gagarin. Abbiamo scelto un angolo a noi familiare e, piccina piccina, quasi accanto allo stivale italico, la ISS – Stazione Spaziale Internazionale.

In conclusione, riprendendo l’aforisma iniziale … in effetti, come sosteneva Gagarin, la Terra è davvero bellissima vista dallo spazio ma, ad osservarla bene, in superficie, è popolata da una moltitudine di bipedi pensanti che sono spesso affetti da bieche pulsioni distruttive anziché da un sano spirito di fratellanza universale. Lo stesso spirito che colmò il cuore del cosmonauta durante la sua orbita attorno al pianeta azzurro.

 

Recensione  a cura della Redazione


Narrativa / Brevissimo

Inedito;

ha partecipato alla V edizione del Premio fotografico/letterario “Racconti tra le nuvole” – 2017;

in esclusiva per “Voci di hangar”

NOTA: in copertina il velivolo abbattuto in Ucraina. La foto risale al 2011 e fu scattata da Alan Wilson presso l’aeroporto di Fiumicino

 


 

 

Flying to the moon

titolo: Flying to the moon. An astronaut story – [Volando alla Luna. La storia di un astronauta]

autore: Michael Collins

editore: I edizione 1976;

II edizione, Sunburst edition 1985;

I edizione libro digitale maggio 2011, editore Harper Collins Canada Ltd

ISBN: 9781429929479





L’Apollo 11 resterà nella storia come la prima missione spaziale ad aver portato il primo uomo sulla Luna.

L’equipaggio era composto da tre piloti americani, divenuti astronauti attraverso un lungo percorso di durissimo addestramento. Tutti avevano già fatto parte delle precedenti missioni Mercury e Gemini, durante le quali avevano sperimentato le tecniche di rendezvous e di EVA (extra veicolar activity- lavoro extra veicolare) nello spazio fuori dell’atmosfera terrestre.

Il ritratto dell’autore divulgato alla vigilia della partenza della missione che lo ha reso famoso a livello planetario: l’Apollo11. Nel 1966, Michael Collins aveva già volato nel corso della missione Gemini 10 nel corso della quale, assieme al suo compagno di viaggio John Young, stabilì l’allora record di altezza mai raggiunta: 475 miglia sopra la superficie terrestre. Una record davvero insignificante se paragonato ai risultati strepitosi della missione Apollo 11 che conquistò la Luna.

Il primo a scendere la scaletta del LM (modulo lunare) fu Neil Armstrong, che entrò nella storia e sarà ricordato per l’eternità. Già il secondo, Buzz Aldrin, pur essendo membro del primo equipaggio a camminare sulla Luna, gode di minor risalto, brilla di meno. E infatti questa condizione ha finito per condizionare la sua vita successiva.

Ma c’era un terzo membro in quell’equipaggio.

Michael Collins, nell’orbita lunare, salutò i suoi compagni, li vide entrare nel LM, denominato “Eagle”, osservò questo staccarsi dal modulo di comando denominato “Colombia” ed iniziare la discesa verso la Luna.

E restò solo, in una cabina tanto piccola, nello spazio immenso, a girare intorno alla Luna.

Durante ogni orbita, mentre la capsula Columbia girava dietro la Luna, ogni comunicazione con la Terra si interrompeva. Collins restava solo, con una grande mole di controlli e calcoli da fare, ignorando la sorte dei suoi due compagni, finché la sua posizione non gli consentiva di tornare in linea ottica con la Terra o con il LM Eagle.

Un compito gravoso il suo, senza nemmeno la soddisfazione di scendere sul suolo lunare, dopo esserci arrivato tanto vicino.

La missione Apollo 11 prese avvio alle 9,32 del mattino, ora locale della Florida, il 16 luglio 1969 dalla piattaforma di lancio 39A del Kennedy Space Center. Il razzo vettore era l’enorme Saturn V. Qui una sua immagine scattata dalla torre di lancio durante il lancio, appunto

In una missione del genere tutto doveva funzionare con la precisione più assoluta. I rischi erano tanti. La ripartenza del LM dal suolo della Luna doveva avvenire in perfetto sincronismo con l’orbita del modulo di comando, per poter eseguire al meglio la ricongiunzione dei due veicoli.

Se il LM non fosse potuto tornare, per qualunque motivo, Collins avrebbe dovuto, suo malgrado, tornare tutto solo verso la Terra, abbandonando i due amici al loro destino. Una risoluzione molto dura da sostenere, seppur doverosa.

La copertina del libro di Michael Collins nella sua prima edizione

Ma c’era anche la possibilità che il LM riuscisse a ridecollare, senza però essere in grado di portarsi alla quota del modulo di comando. Allora Collins avrebbe dovuto calcolare ed eseguire una discesa fino all’orbita dell’ Eagle e manovrare per eseguire il rendezvous d’emergenza a quota più bassa e ad una velocità molto diversa da quella standard.

Il libro di cui stiamo parlando è scritto da quest’uomo. Ed è una cosa fantastica leggerlo.

Il primo capitolo comincia proprio dalla descrizione della separazione dei due veicoli nell’orbita lunare e del commiato tra Collins e gli altri due. La descrizione di questa fase, proprio perché fatta da chi c’era, da chi ha compiuto veramente quelle azioni, è qualcosa di eccezionale (benedetto Kobo).

Questa è invece la copertina del libro “Flying to the Moon” nella veste rivista e corretta della II edizione che è appunto quello oggetto della recensione

Dice Collins:

We were a little nervous that morning. We were concerned about how well our spacecraft and computers would work. We also worried about the rocket blast from Eagle, our lunar module, which might kick up a lot of dust and prevent Neil Armstrong from being able to see well enough to land. Or suppose Neil couldn’t find a spot smooth and level enough to put Eagle down? – [Eravamo un po’ nervosi quella mattina. Eravamo preoccupati su come la nostra capsula spaziale e i computer avrebbero funzionato, Eravamo anche preoccupati del soffio del razzo del modulo lunare Eagle che avrebbe potuto alzare molta polvere e impedire a Neil di vedere abbastanza bene per atterrare. O supponiamo che Neil non riuscisse a trovare un punto abbastanza liscio e livellato per posarci il LM”]

Dal secondo capitolo comincia la narrazione della sua vita aeronautica, a cominciare da quando era un ragazzino di nove anni e voleva tanto imparare a volare. Viveva in San Antonio, Texas e c’erano tanti campi di aviazione nei dintorni. Ad 11 anni, infatti, riuscì a fare un volo su un bimotore e addirittura il pilota gli lasciò i comandi per un po’ di tempo. Questo gli permise di capire che non era semplice pilotare, ma gli piacque al punto che, quando il volo ebbe termine, sapeva cosa avrebbe voluto fare nella vita: il pilota.

Così cominciò la sua vita di pilota militare, addestrandosi su un aereo che è stato per lungo tempo il padre di un gran numero di piloti nel mondo: il T-6.

Ma quella era l’epoca dei primi jets e Collins, in breve entrò nel mondo della propulsione a getto.

La missione Apollo 11 è terminata: l’astronauta Neil A. Armstrong (comandante), Michael Collins, (pilota del modulo di comando) e Edwin E. Aldrin Jr. (pilota del modulo lunare) sono ammarati nell’Oceano Pacifico a circa 2.660 km ad est dell’Isola di Wake, 380 km a sud dell’Atollo Johnston ma a solo circa 23 km dalla nave recupero USS Hornet. Erano le ore 11,49 del mattino, ora locale, del 24 luglio ’69. Da notare che i quattro uomini sul gommone indossano delle apposite tute protettive per l’isolamento biologico. Nell’ipotesi che i tre astronauti potessero accidentalmente recare con loro pericolosi e sconosciuti agenti patogeni presenti solo sulla Luna, la NASA adottò infatti delle misure assai prudenti in termini di contaminazione biologica e dunque, giunti sulla Terra, collocò i tre reduci lunari in una quarantena feroce dalla quale uscirono solo il 10 agosto.

In some ways a jet is easier to fly than a plane with a piston engine and a propeller” – [“Per alcuni versi un jet è più facile da pilotare di un aereo con il motore a pistoni e l’elica”], afferma.

Il libro ripercorre tutta la storia delle missioni spaziali, stavolta vissuta da lui. Una storia che ricalca quella narrata dagli altri astronauti. Ma dal punto di vista di Collins.

Sono rimasto sorpreso dalla strana facilità con la quale ho letto questo lungo libro in inglese. Gli altri astronauti sembrano usare un linguaggio più colloquiale, usano molte frasi idiomatiche, una sorta di slang addomesticato, ma spesso di non facile comprensione, perché non si possono tradurre alla lettera certe frasi e il loro significato non fa certo parte della mia cultura di italiano.

Uno dei due libri di cui Michael Colins è autore

Collins, invece, sembra scrivere in un inglese più classico. Infatti si legge bene e senza dover troppo spesso cercare il significato delle parole. Mi è capitato di scorrere pagine e pagine con l’impressione di leggere in italiano. Forse è solo una sensazione mia personale, tuttavia la confronterei volentieri con qualche altro lettore. Se qualcuno si vorrà avventurare nell’acquisto di questo libro digitale e lo leggerà, gli sarei grato se volesse scrivere qualcosa a commento di questa recensione.

L’inglese è una lingua molto espressiva e non è vero, come sostengono alcuni, che si presta bene solo per le faccende tecniche. Collins descrive l’iter addestrativo con una proprietà di linguaggio che sfocia nella poesia. In alcuni passaggi, descrive le sue sensazioni durante il corso di sopravvivenza, durante i voli parabolici che simulano la condizione di assenza di peso e perfino l’effetto della centrifuga a più di otto G. Sembra di vivere le sue esperienze come se fossimo noi stessi coinvolti nelle situazioni.

In verità, tutto è descritto in maniera molto vivida.

Il libro contiene parecchie foto. Ma purtroppo, la resa delle immagini non è un pregio dell’ebook. Per fortuna, nell’epoca di Internet, non è difficile trovare le stesse foto, e perfino i filmati, relativi a tutto ciò che il libro racconta.

Gli ultimi capitoli riprendono il racconto di tutto il resto delle operazioni di allunaggio e del rientro verso la Terra. Racconto che Collins aveva iniziato nel primo capitolo, che aveva interrotto per parlare di come era arrivato fin lì, e poi riprende da dove l’aveva interrotto. Ma è una narrazione piena di particolari, parla perfino di come dormivano nel ristretto spazio della capsula, di come mangiavano, di cosa parlavano delle battute che si scambiavano con il Centro di Controllo a Terra.

Il modulo lunare LM ( Lunar Module) “Eagle” della missione Apollo 11 come apparve il 20 luglio del ’69 dal modulo di comando e servizi CSM (Command and Service Modules) “Columbia” che si trovava in orbita lunare. A bordo c’era proprio il pilota astronauta Michael Collins al quale dobbiamo il merito di questa fotografia memorabile

Come tutti gli altri autori, racconta la vita comune che ritrova dopo una simile impresa. E come altri dedica una parte all’esame delle possibilità future dell’esplorazione dello spazio e dell’interesse per uno dei pianeti a noi terrestri più cari: Marte.

Di questo argomento si è occupato con più enfasi ed entusiasmo Buzz Aldrin. E continua ancora a farlo.

Sembra che Collins non abbia avuto da affrontare i tracolli familiari che hanno coinvolto i suoi colleghi. E’ rimasto sempre con la moglie Patricia e con i loro tre figli.

Oggi si torna a parlare di spazio. Esistono, e operano, società private che effettuano lanci di veicoli spaziali per scopi commerciali. Alcuni di questi attraccano alla Stazione Spaziale Internazionale. Ma il vero passo in avanti, in questo campo, è lo sviluppo e l’impiego di vettori riutilizzabili. Sono razzi che portano in orbita un veicolo spaziale e poi tornano a terra, atterrando sulla piazzola dalla quale erano partiti, scendendo all’indietro in verticale con assoluta precisione.

Un risparmio non da poco. Come dice Collins, fino adesso abbiamo operato come se si andasse dall’America all’Europa con un aereo di linea e dopo l’atterraggio buttassimo l’aereo.

No, non si tratta di un fotomontaggio. Ancora oggi, a Roma, adiacente all’ingresso del civico 16 di via Tevere – quartiere Salario – è visibile la targa in marmo che l’allora sindaco Darida, in rappresentanza di tutta la cittadinanza romana, volle scoprire in omaggio a Michael Collins, intervenuto per l’occasione assieme alla moglie. L’astronauta dell’Apollo 11 nacque infatti in quella palazzina il 31 ottobre del 1930. Suo padre, all’epoca addetto  dell’Ambasciata degli Stati Uniti, risiedeva lì con la sua famiglia e dunque la prima aria che il neonato Michael respirò fu quella romana. Su Youtube è possibile vedere il filmato risalente al ’69 che testimonia la cerimonia d’inaugurazione della targa e la visita di Collins alla sua casa natale (https://www.youtube.com/watch?v=O7uzXypjtWY)

La riusabilità dei vettori, unita ad altri tipi di ottimizzazioni, con la disponibilità di nuovi materiali, nuove tecnologie e computer più potenti, dovrebbe portare al riaccendersi dell’interesse per i viaggi spaziali e la colonizzazione di asteroidi e del pianeta rosso. Negli anni a venire dovremmo sentir parlare sempre più spesso e diffusamente di questo argomento.

Il duemiladiciannove è l’anno del cinquantesimo anniversario del primo allunaggio. Sono cinque decenni. E’ già passato anche troppo tempo.



 


Recensione a cura di Evandro Aldo Detti (Brutus Flyer)


Carrying the fire

Carrying the fire, Il mio viaggio verso la Luna



La voce di Badger


 

“In un caldo pomeriggio estivo un pilota mostra ad un amico l’aereo che ha da poco acquistato ed illustra le tante possibilità offerte dalle avioniche digitali. “Gli manca solo la parola” commenta l’amico. Questa frase porta il pilota a realizzare un dispositivo che, interfacciato con il glass cockpit dell’aereo, consente una interazione vocale. Tutto funziona ma… quali funzioni affidare a questo “grillo parlante” perché si renda utile prima, durante e dopo un volo?”

Un esempio di cruscotto di un moderno velivolo che adotta l’apparato citato dall’autore nel suo racconto. Da notare che i due ampi schermi a disposizione di pilota e copilota forniscono, da soli, tutto quanto necessita loro per la condotta del velivolo. A completamento si può riconoscere l’ampio display posto in verticale che riproduce, emulo dei diffusissimi navigatori per uso stradale ormai collocati nelle automobili anche di fascia economica, i dati cartografici in chiave aeronautica. Relegati in basso a sinistra, al solo scopo di sicurezza ridondante, sono infine presenti i due strumenti principi del volo: anemometro e altimetro. Sicuri al 100% perché completamente analogici e meccanici. E bisognosi solo di aria per il loro funzionamento.


Roberto Guidorzi così sintetizza il contenuto del suo racconto intitolato “La voce di Badger” con il quale ha partecipato alla V edizione del Premio fotografico/letterario “Racconti tra le nuvole” organizzato dal nostro sito e dai nostri amici dell’HAG.

La giuria del Premio, purtroppo, non lo ha ritenuto meritevole di accedere alla fase finale e dunque alla pubblicazione nell’antologia del Premio tuttavia, come da regolamento, VOCI DI HANGAR ha il piacere di ospitarlo in un angolino del suo grande hangar.

La schermata dell’apparato Skyview in tutta la sua bellezza. La voce che l’autore gli ha conferito non possiamo fornirvela per evidenti motivi ma – ne siamo certi – egli non esiterà a farvela ascoltare, magari abbinata ad un bel volo turistico a bordo del velivolo su cui è installata. O si tratta di una voce solo per pochi eletti?

Nel leggerlo, ci siamo resi conto che, almeno nella parte inziale, il racconto ha una sua valenza letteraria, il testo è fluido e piacevole, sussiste un’alternanza equilibrata del discorso diretto rispetto a quello indiretto, lo stile è moderno e dal sapore piacevolmente giornalistico-narrativo. Anche in termini di trama, si crea nel lettore una sana aspettativa in quanto l’autore riesce a catturare l’attenzione del lettore … purtroppo nel suo svolgimento centrale il racconto scivola in una sorta di resoconto tecnico, una specie di guida per apprendisti elettrotecnici che vogliano far parlare l’avionica del proprio aeroplano.

Ancora un possibile allestimento del cruscotto di un ULM ultimo grido. Tenuto conto dell’elevata affidabilità e della notevole qualità raggiunta, gli apparati “glass cockpit” (letteralmente: “cruscotto di vetro”) possono asservire completamente in un unico grande display tutte le necessità del pilota e del copilota; gli strument a capsula sono superflui e rimane, visibile al centro del cruscotto, la necessità di disporre solo un semplice apparato VHF-COMM per le comunicazioni radio.

Ora, lungi da noi esprimere considerazioni circa la scelta praticata da molti piloti proprietari di velivoli ultraleggeri di dotare la propria macchina volante di costosissimi apparati elettronici, riteniamo invece che stilare la radiocronaca passo passo di quanto operato per creare la “voce di Badger” … beh – in tutta onestà – non si tratti di narrativa di sommo livello. Peccato. Perché neanche l’invenzione del nomignolo e qualche battuta arguta presente nella seconda metà del testo riescono a risollevare il giudizio sul racconto. Che si fa leggere, intendiamoci, ma sempre con maggiore fatica da parte di chi pensava di trovarsi di fronte un racconto di volo, di cielo e di aria e poi, con rammarico, incappa in un “tutorial” per installatori elettroavionici fai-da-te.

Ecco come potrebbe apparirci, visto da terra, un vero velivolo ULM (ultraleggero), ossia coerente con la filosofia cui si ispira il suo nome: leggero, essenziale, spartano, praticamente un semplice attrezzo sportivo che, al pari di una racchetta da tennis o dei pattini a rotelle, consenta di praticare uno degli sport più entusiasmanti eppure così lontani dalla nostra dimensione terrestre: il volo. Dovrebbe essere e che, realisticamente, non è più da anni. Se infatti i primi ULM erano davvero fin troppo leggeri, essenziali e spartani, già da parecchi anni si è giunti a velivoli ben poco leggeri, tutt’altro che essenziali e fuorché spartani. Sicuramente ne ha giovato la sicurezza e l’affidabilità tuttavia, si può ancora avere il coraggio di chiamarli ULM?

Per carità, l’autore non ci deve convincere di conoscere a fondo il suo mestiere: ne siamo certi! E non ci deve neanche convincere di essere ferrato in grammatica o sintassi: lo dimostra ampiamente … certo avremmo sperato da parte sua la scelta di un tema più originale, magari sempre legato alla voce sintetica del suo velivolo; insomma, quantomeno, avremmo caldeggiato uno sviluppo diverso della storia in quanto, onestamente, l’idea di base non è malvagia e avrebbe potuto toccare diversi aspetti ai margini dei quali spesso divampano feroci discussioni tra i piloti “all’ombra del gelso”, “sotto il gazebo” o dentro la club-house che dir si voglia (a seconda dei casi). Questo perché, a prescindere dai nomi dei luoghi o delle latitudini, in qualunque aeroporto, aviosuperficie o campo di volo che si rispetti, ricorre ovunque l’eterna contrapposizione tra chi pratica il volo per il piacere di farlo e chi vola perché costituisce uno status symbol, chi vola volentieri con macchine di basso profilo tecnologico purché si voli e chi non decolla senza aver avviato tutta la strumentazione modello centrale termonucleare, e ancora: ci sono coloro che, purché si vada per aria, farebbero volare una scopa con le ali e coloro che si portano appresso due “televisori” anche se non osano andare oltre il cielo campo, oppure chi spende i propri quattrini per trascorrere in volo più tempo possibile e chi a lustrare il proprio velivolo e magari ha il terrore di sporcarlo con il fango della pista.

Ecco come ci apparirebbe un velivolo ULM da vicino. Non si tratta di una macchina volante ancora in fase di costruzione, né di un eccesso provocatorio bensì l’incarnazione del concetto di ULM.

In definitiva – e lo scriviamo con rammarico – questo ci appare un po’ il racconto delle occasioni mancate. Ma siamo certi che l’autore ci darà modo e occasione per ricrederci. Non vediamo l’ora … praticamente non più tardi della prossima edizione del Premio “Racconti tra le nuvole”. Intesi Badger?

 

Recensione  a cura della Redazione


Narrativa / Breve

Inedito;

ha partecipato alla V edizione del Premio fotografico/letterario “Racconti tra le nuvole” – 2017;

in esclusiva per “Voci di hangar”

NOTA: in copertina lo Zigolo Mg12 della AVIAD del giovane Francesco Di Martino. La piccola azienda italiana ha lo fatto volare per la prima volta nell’aprile 2014 riscuotendo un buon successo di vendite (anche in kit). E’ definito un aeroplano “minimalista”

 


 

 

Un volo indimenticabile

Viene fatta risalire al celeberrimo trasvolatore statunitense Charles Lindenbergh una frase quanto mai pertinente a questo breve racconto. Recita così:

L’avventura giace in ogni soffio di vento.

 

Chissà se l’autore di “Un volo indimenticabile”, l’affabile Sandro Rosati, sottoscriverebbe con doppia firma quanto sintetizzò il mitico Lindy quasi cent’anni fa!?

Di sicuro il nostro buon Rosati ha così sintetizzato la sua fatica letteraria: 

“Il breve racconto di una piacevole gita di fine settimana con un aereo da turismo ci fa comprendere che, nonostante la buona preparazione del volo e le ottime caratteristiche del monomotore impiegato, l’imprevisto è sempre in agguato e che la prudenza non è mai troppa.”

Il vero protagonista di questo racconto: il Pracaer F15E Picchio costruito dalla General Avia. Benchè il velivolo avesse ottime doti di volo (semi acrobatico e con capiente bagagliaio, sedili comodi per quattro persone) non fu costruito in grandi numeri tanto che, nato  alla fine degli anni ’50 come ulteriore sviluppo del Falco e Nibbio, non ebbe il successo che meritava. L’ Aeronautica Militare Italiana, in particolare, dovendo trovare un velivolo ad elica per uso collegamento e traino alianti, gli preferì il SIAI 208 e dunque affossò di fatto la produzione della serie “E” di cui fa parte I-PROD (qui ritratto) e I-PROM che fu invece presentato al Salone Aeronautico di Le Bourget nel maggio del ’73

Parole sante, aggiungiamo noi! Peccato che, dal punto di vista squisitamente letterario, le parole dell’autore non abbiano convinto granchè la giuria della V edizione del Premio fotografico/letterario “Racconti tra le nuvole” organizzato dal nostro sito e dall’HAG (Historical Aircraft Group). La giuria – dicevamo – non ha ritenuto questa breve cronaca di volo meritevole  di accedere alla fase finale del Premio e dunque l’ha relegata alla sola pubblicazione nel nostro sito. Ci spiace per il caro Sandro ma per noi si è trattata di una vera manna dal cielo!

Il racconto nasce da un’esperienza realmente vissuta dall’autore e da suoi tre amici/che, che loro malgrado, si sono trovati nella classica situazione imprevedibile e dunque indimenticabile. Anche se in senso negativo, purtroppo per loro.

Gli interni assai conforevoli del Picchio in cui si è consumata la vicenda narrata dall’autore nonchè protagonista, suo malgrado. Non stentiamo a credere che, a seguito di quanto accadde, le tappezzerie siano state completamente rinnovate.

Dunque non un’opera di fantasia ma di cronaca verace che piacerà agli amanti dei testi con taglio giornalistico.

In effetti la prosa è molto abbottonata, asciutta, priva di qualunque artificio narrativo, usando un’espressione calzante: “vola via che è una bellezza”!

In verità appare più vicina a un resoconto tecnico che ad un racconto di volo, volo peraltro tutt’altro che tranquillo.

Con il senno di poi siamo lieti che non sia divenuta una relazione d’incidente aereo o un rapporto assicurativo – per carità – ma i toni, effettivamente, non sono poi così dissimili.

Probabilmente, nel bilancio complessivo del testo, pesa un ruolo determinante l’assenza di personaggi parlanti e dunque la completa mancanza di discorso diretto. Tutta la vicenda è raccontata in terza persona con eccessivo distacco, quasi con asetticità. In questo genere di eventi, non siamo abituati ad una dose così ridotta di pathos; da lettori, vorremmo essere più compartecipi all’azione e invece tutto si sviluppa con freddezza. Peccato.

Ancora una bella immagine a terra dello splendido velivolo uscito dalla matita del grande progettista italiano Stelio Frati. Non si potrà fare a meno di notare una certa affinità con il più ben famoso SF260 con il quale il Picchio F15E condivide la struttura metallica e numerosi soluzioni aerodinamiche/strutturali.

E dire che, avendo avuto la fortuna di conoscere l’autore di persona, posso affermare – senza ombra di esitazione – che trattasi di persona alquanto loquace, dal colloquiare piacevole, prodigo di particolari e battute sagaci. Ma forse  – e sottolineiamo “forse” – la sua naturale timidezza nel rivelare episodi relativi a fatti e persone lo ha molto inibito oppure il cimetarsi per la prima volta con un racconto in prima persona lo ha un poco impaurito … certo è che il suo testo è scorrevolissimo e si legge in un battibaleno. Non ha spigoli vivi, non ci sono periodi superflui: tutto è cesellato alla perfezione, senza alcuna sbavatura.

La splendia immagine  del Picchio scattata dal bravissimo fotografo Giorgio Varisco, peraltro partecipante e vincitore di alcune edizioni della sezione fotografica del  nostro Premio fotografico/letterario “Racconti tra le nuvole”. Il suo occhio meccanico-digitale si trovava giusto appunto a bordo pista dell’aviosurficie di Montagnana (Padova) il 30 giugno del 2013, in occasione del  FlyParty, grande festa dei soci dell’HAG (Historical aircraft Group) aperta al pubblico e divenuta quindi appuntamento annuale degli appassionati di velivoli storici. Lo scatto mostra il Picchio in tutta la sua bellezza e la pulizie delle forme, tipica in verità di tutti i progetti dell’ing Frati.

In definitiva, tenuto conto che di esperienze – piacevoli e non – un pilota di navigata frequentazione aeronautica come il nostro Sandro ne avrà pur vissute (o comunque ne sarà stato testimone diretto o indiretto), siamo fiduciosi che in un prossimissimo futuro ci regali qualche altra confidenza dai connotati letterari. Anche perchè, con questo racconto, ci ha dato prova di avere dimestichezza con la grammatica e con la narrativa; magari dovrà aggiungere quel pizzico di “romanzato” che non gli è così congeniale … ma piace molto al lettore medio, noi compresi. E per questo motivo glielo suggeriamo caldissimamente.

L’unico rammarico sarà di non poterlo pubblicare giacchè, in quell’occasione, potremo leggerlo solo nell’antologia della prossima edizione del nostro Premio letterario. Noi ce ne faremo una ragione ma speriamo che il Rosati si metta già all’opera. Intesi?


Narrativa / Breve

Inedito;

ha partecipato alla V edizione del Premio fotografico/letterario “Racconti tra le nuvole” – 2017;

in esclusiva per “Voci di hangar”

 

No dream is too high

titolo: No dream is too high – Life lesson from a man who walked on the moon [Nessun sogno è troppo elevato – Lezioni di vita da parte di un uomo che ha camminato sulla Luna]

autore: Buzz Aldrin

con la collaborazione di: Ken Abraham

editore: Editore National Geographic Partners, LLC.

anno di pubblicazione: 2016

ISBN: 9781426216497 e 978-1-4262-1650-3





C’era una volta il libro. Intendo il libro fisico, fatto di pagine, copertina e rilegatura, con testo ed immagini e odore di carta.

Un odore che inebria. La prima cosa che ci si sente dire quando paragoniamo il libro fisico con quello elettronico è questa: “a me piace ficcare il naso tra le pagine e sentire l’odore della carta …”

Il libro elettronico, l’ebook, il nuovo venuto che ha sostituito il libro tradizionale, non ha odore. Non ha consistenza, non si può prendere da uno scaffale e sfogliarlo tra le mani. Non si può neppure prestare, scambiare tra amici e riavere indietro dopo un certo tempo.

Complice la copertina della prestigiosa rivista National Geographic, questa è l’immagine dell’impresa lunare rimasta più vivida nell’immaginario collettivo mondiale. Anche a distanza di tanti anni. Vi è ritratto Buzz Aldrin sulla superficie della Luna. Per gli amanti della bibliografia, si tratta della rivista nr 6, vol 136 del dicembre 1969

L’ebook sta nel suo scaffale virtuale, non occupa spazio fisico. Si apre all’interno di un lettore, su uno schermo e si sfoglia per modo di dire mandando avanti e indietro le sue pagine che sono solo schermate elettroniche.

Tuttavia, l’ebook è destinato ad inserirsi profondamente nel mercato del libro, per tanti motivi. Solo per citarne alcuni:

  • I libri elettronici non occupano spazio, non necessitano di enormi scaffalature, non raccolgono polvere e non costringono ad approfondite e frequenti pulizie.
  • In un Kobo o in un Kindle, che sono i più comuni lettori di ebook, entrano tanti libri, anche alcune migliaia, occupando solo la memoria interna, ma poi questi lettori hanno lo slot per una memoria aggiuntiva, tipo micro SD, di parecchi Gb. Allora nel lettore possiamo stivare l’equivalente di intere biblioteche.
  • I libri elettronici non si comprano in libreria, ma su siti internet appositi. Si pagano online e si scaricano in pochi minuti e subito sono disponibili per la lettura.
  • E’ possibile reperire libri da ogni parte del mondo. In altre parole non serve andare in America per avere un libro disponibile solo sul mercato americano, né dobbiamo ordinarlo e farcelo spedire. Si apre un mondo enorme di possibilità che non esisteva solo una decina di anni fa.

Che dire? Il futuro è già qui.

Una foto dal pregevole gusto artistico che ritrae l’equipaggio Apollo 11 (da sinistra verso destra: Michael Collins, Edwin E. “Buzz” Aldrin jr., Neil A. Amstrong ). In stile squisitamente hollywooddiano, la missione lunare ebbe un enorme supporto mediatico prima, durante e dopo.

Mi è stato regalato un Kobo. Le mie sorelle sapevano che ordinavo libri negli Stati Uniti attraverso una libreria specializzata che si trova al centro di Roma. Hanno pensato di farmi cosa gradita, così che potessi scaricare i libri desiderati, se disponibili.

Quando ho ricevuto questo regalo, mi ha fatto piacere, ma ero scettico sulla sua reale utilità. Anch’io appartengo a coloro che vogliono sentire l’odore della carta. Solo dopo un certo tempo mi sono deciso a scaricare qualche libro, giusto per fare la prova.

Poi mi si è aperto un mondo sterminato. In meno di un anno ho scaricato oltre centocinquanta libri nel mio Kobo. Ne ho letti molti e continuo a leggerli ogni volta che posso.

Tra gli argomenti di mio interesse c’è, ovviamente, il volo. Ma anche l’informatica, la scienza, i viaggi, la geografia etc.

Secondo la storia accreditata delle missioni Apollo, Il logo della missione nr 11 fu elaborato dall’astronauta Collins in persona. A ben guardarlo con gli occhi disincantati – per non dire maliziosi – di oggi, non possiamo non apprezzare una bella aquila con le ali spiegate in fase di atterraggio sul suolo lunare con, sullo sfondo, un affascinante spicchio del pianeta Terra. Ovviamente l’aquila è il modulo LM soprannominato appunto “Eagle” mentre, almeno nelle intenzioni dell’ideatore, tra gli artigli del rapace avrebbe dovuto esserci un ramoscello d ulivo, simbolo per antonomasia della pace. Il messaggio era dunque chiaro: l’aquila statunitense che atterra sulla Luna con intenzioni pacifiche. Peccato che il disegnatore, autore materiale del logo, non ebbe ben chiaro che forma potesse avere un rametto d’ulivo (pare un ramo di latifoglia!) e che – non dimentichiamolo- l’aquila è anche il simbolo degli Stati Uniti. Inoltre occorre notare come il numero 11 non fu indicato facendo ricorso ai numeri romani bensì ai numeri arabi e non appaiono i nomi dei tre astronauti che formavano l’equipaggio ufficiale. Sempre secondo la storia accreditata delle missioni Apollo, pare che la scelta dei numeri arabi fu per renderli universalmente riconoscibili mentre l’assenza dei nomi fu per rendere merito alla moltitudine di persone che resero possibile la missione. Vabbè!

E la storia della conquista dello spazio e le missioni Apollo.

Ho scaricato tutti i libri disponibili scritti dagli astronauti stessi, quelli che hanno fatto parte delle prime esperienze preparatorie alla corsa alla conquista della Luna e che poi sulla Luna ci sono andati veramente.

Uno dei personaggi più illustri tra questi astronauti è il secondo uomo a mettere piede sul suolo lunare: Buzz Aldrin.

Molto recentemente mi imbattevo spesso nella pubblicità di un libro che Aldrin aveva scritto, intitolato: “No dream is too high”. Su Facebook girano spesso notizie del genere. Non avevo idea su come poterlo ordinare e leggere, ma da una breve ricerca ho scoperto che era disponibile la versione ebook. Avevo il Kobo e in pochi minuti il libro era nella sua memoria interna, pronto per essere letto. Fantastico.

Aldrin è stato il secondo essere umano a posare il piede sulla superficie lunare. Il primo è stato Neil Armstrong.

Già essere stato sulla Luna non è un fatto di poco conto per chiunque. Sin dalle prime pagine si può intuire che l’autore è rimasto profondamente influenzato dall’esperienza. Il libro è un’autobiografia un po’ particolare, ma la cosa che traspare maggiormente riguarda proprio l’effetto che una tale impresa ha avuto sulla vita personale di Aldrin dopo il rientro sulla Terra.

Un’altra memorabile copertina che è rimasta nella storia dell’umanità. Si tratta di Buzz Aldrin fotografato dal suo compagno di missione Neil Amstrong durante le quasi 3 ore in cui scorrazzarono sulla superficie lunare. “To the moon and back” – “Alla Luna e ritorno” recita lo strillo sotto il logo della rivista. Occorreva aggiungerlo? Da notare l’elevatissima nitidezza con cui fu scattata la fotografia. E dire che, al momento di rientrare sulla Terra, i due astronauti lasciarono sulla superficie lunare una preziosissima fotocamera Hasselblad e altra apparecchiatura scientifica di notevole valore. Barattarono il tutto con circa 20 chili di rocce lunari. Quello che si dice uno scambio alla dispari!

E’ un discorso complesso, tanto articolato da non poter essere sintetizzato in poche parole, neppure in una recensione come questa. Aldrin ha scritto diversi libri e, non esagero a dire, bisogna leggerli tutti per avere un quadro, se non completo, almeno migliore.

Il primo capitolo ha per titolo: “The sky is not the limit. There are footprints on the moon – [Il cielo non è il limite. Ci sono impronte sulla Luna]”.

Certo, si dice che il limite è il cielo. Perfino noi che voliamo usiamo questa espressione. Ma per un astronauta non vale. Lui va ben oltre il cielo. E già questo, si intuisce, può dare una sensazione di onnipotenza dalla quale diviene poi difficile difendersi affinché non diventi patologica.

La tuta di volo dell’autore del libro. Non che i cimeli astronautici siano diventati delle reliquie tuttavia esiste un certo mercato di oggettistica aerospaziale alimentato da una notevole massa di collezionisti o di musei.

Il capitolo quattro è altrettanto illuminante: “Second comes right after first

Il secondo viene subito dopo il primo. Questa è la frase che Aldrin si è sentito ripetere molto spesso, sia prima che dopo l’impresa di sbarco sulla Luna. Tutti lo volevano in qualche modo consolare della delusione di essere stato il secondo a scendere dalla navetta. Il mondo avrebbe ricordato il primo. Lui sarebbe passato alla storia. Il secondo avrebbe avuto una minore importanza, la sua figura sarebbe rimasta inesorabilmente nell’ombra del primo. E pensare che secondo le regole in vigore fino a pochi giorni prima del lancio sarebbe spettato a lui scendere la scaletta davanti ad Armstrong. Ma poi le regole sono state cambiate per ragioni forse politiche e anche di opportunità.

Ma per lo spirito ferocemente competitivo esistente a quel tempo tra gli equipaggi … la differenza tra il primo e il secondo era abissale. Infatti per tutto il libro se ne percepisce l’effetto sulla capacità di riadattamento alla vita comune dell’autore.

Nessun sogno è troppo alto, dice il titolo. Ma il sottotitolo dice anche che nel contenuto ci sono lezioni di vita da parte di chi ha camminato sulla luna.

La targa commemorativa della missione Apollo 11 che fu applicata su uno dei nove gradini di cui era dotato il LM lasciato poi sulla Luna. Tradotta in italiano suona così: “Qui uomini dal pianeta Terra fecero il primo passo sulla Luna Luglio 1969 d.C. Siamo venuti in pace per tutta l’umanità”. Seguono poi le firme dei tre astronauti con il loro nome in chiaro e quella del presidente degli USA Richard Nixon, in carica al momento della missione. Occorre ricordare però, che fu per merito del suo precedecessore, certo John F. Kennedy, se le missioni spaziali statunitensi ebbero un fortissimo impulso (oltre al primo successo sovietico con il cosmonauta Yuri Gagarin). Davanti al Congresso degli Stati Uniti, il giovane presidente Kennedy pronuciò un famoso discorso in cui proclamò: “Questo paese deve impegnarsi a realizzare l’obiettivo, prima che finisca questo decennio, di far atterrare un uomo sulla Luna e farlo tornare sano e salvo sulla Terra”. Mai discorso fu così profetico

Le lezioni ci sono. Resta da capire se Aldrin le ha scritte per aiutare gli altri nelle scelte di vita, per raggiungere i sogni, per quanto alti questi possano essere, oppure per aiutare se stesso ad affrontare la propria incapacità di tornare ad una vita normale, dopo essere salito tanto in alto.

Tutta la vita di questo astronauta è stata eccezionale. Pilota militare, ha combattuto in Corea, abbattendo anche un MIG. Laureato al MIT in scienze aeronautiche con una tesi che riguardava proprio le tecniche di aggancio tra due veicoli spaziali, il famoso rendez-vous che è divenuto poi la manovra chiave che ha reso possibile la conquista della Luna, è entrato alla NASA ed ha cominciato un difficilissimo programma di formazione e addestramento durato anni.

Lanci e passeggiate spaziali eseguiti con successo si sono svolti insieme alle vicende di vita personale, come il matrimonio, i figli, i viaggi, lo studio etc.

Infine il programma Apollo, funestato da un paio di incidenti che ne hanno rallentato lo svolgimento. L’Apollo 11, quello del primo sbarco sulla Luna rappresenta la vetta più alta raggiunta. Il libro riguarda anche questo. Ma soprattutto riguarda il dopo. La vita che segue un simile, grandissimo evento. Gli effetti inaspettati e all’epoca sconosciuti che da quel momento in poi, in un lento crescendo, hanno travolto la vita personale e familiare di Aldrin, con problemi di alcolismo e di depressione.

Gli astronauti erano tutti piloti, tranne uno, che era un geologo e ha fatto parte dell’Apollo 17, sbarcato sulla luna nel 1972 insieme a Gene Cernan.

Impensabile parlare di depressione per un pilota. Solo parlarne avrebbe avuto ripercussioni sulla carriera. E l’alcolismo non era considerato un problema. Tutti bevevano, era un fatto comune.

Aldrin ha capito che le cose non stavano così. Ha avuto il coraggio di affrontare l’argomento e i rischi connessi ed ha chiesto aiuto.

I luminari di allora non erano molto preparati. Tutto andava studiato e sperimentato.

Lo studio e la sperimentazione di cure idonee per problemi del genere sono iniziati grazie ad Aldrin. Di questo, poi, hanno tratto beneficio anche altri astronauti, che si sono trovati a dover affrontare gli stessi problemi.

La retocopertina del libro di Buzz Aldrin che in italiano suona più o meno come: “Alla Luna e oltre”. Classe 1930 – come i suoi due compagni di avventura – Aldrin è autore di ben nove libri dedicati allo spazio ed è stato sempre un infaticabile sostenitore delle missioni spaziali a carattere esplorativo, ivi comprese quelle finalizzate al raggiungimento del pianeta Marte nonchè all’insediamento di una stazione permanente umana sul pianeta rosso.

Il libro parla anche di queste cose.

Leggere il racconto dettagliato di chi ha vissuto fatti tanto eclatanti è molto interessante. Se ne percepisce la complessità, la difficoltà, le emozioni che hanno accompagnato avvenimenti che conosciamo solo attraverso i giornali e la televisione. Il primo sbarco sulla Luna è stato per tutti un fatto epocale e ognuno di noi sa dire dov’era in quei giorni. Tutti ricordano la notte di luglio e le immagini in bianco e nero dei due uomini che per la prima volta si muovevano sul suolo lunare. Leggendo il libro mi sono ritrovato spessissimo a ricordare e a fare un parallelo tra le mie vicende personali di quei giorni, mentre Aldrin descrive la sua storia.

Ci sono tante altre cose da dire su questo argomento. Come ho già detto, non è possibile sintetizzare in poche righe la storia delle conquiste spaziali. Ma Aldrin ha scritto altri libri. Ed anche molti altri astronauti lo hanno fatto. Ci sono elementi in comune tra queste storie.

Avremo modo di riparlarne.



Recensione a cura di Evandro Aldo Detti (Brutus Flyer)


Mission to Mars

Magnificient desolation

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