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Il volo di Indiana Jones a Guidonia


Era l’anno 1984 e si giravano a Guidonia alcune scene del film: “Indiana Jones e il tempio maledetto”. Si era costruito in aeroporto, zona hangar militare, un aereo degli anni ’30, al cui interno, nella trama del film, Indiana Jones, mentre precipitava, ormai senza guida e senza piloti, lottava per la sopravvivenza sua e della sua accompagnatrice cantante; la lotta per altro era ben riuscita, perché in maniera rocambolesca, potevano Indiana e compagna separarsi dall’aereo, che invece all’impatto si distruggeva.

Noi piloti guidoniani ignoravamo la presenza in aeroporto, sia degli attori che di tutta la troupe che girava il film…e si giustifica perciò, come in un giorno, in cui si volava normalmente con gli alianti dell’aeroclub di Roma, ci fosse la presenza di Harrison Ford a Guidonia e il suo arrivo improvviso, presso la biga di Antonietta e di tutti noi piloti e istruttori.

Quel giorno l’istruttore di turno era Giovanni Quai.

Harrison Ford amante del volo, come tutti sanno, con il suo “slang americano”, chiese se fosse possibile fare un volo in aliante.

Il bello è che nessuno lo riconobbe un po’ per la faccia un po’gonfia e arrossata, (un po’ diversa da quella perfetta presentata nei film) un po’ perché chi se l’aspettava mai: era un tizio” americano che chiedeva, come spesso accade, un “volo turistico”. Tanto meno Giovanni Quai lo riconobbe ma, primo perché parlava inglese meglio di tutti, poi perché era il pilota più rispondente dei presenti, decise di portare in volo quello strano tizio.

Il volo ebbe luogo, l’americano si divertì, fece i complimenti per la bellezza dell’esperienza e magnificò il volo a vela e gli appassionati piloti, che lo praticavano. Si congedò salutando i presenti alla biga e in linea e non fece nulla, per farsi riconoscere …

Tutto ciò fino a sera, quando apparve alla tv di stato, in un’intervista, proprio quel “tizio americano, dalla faccia ora pulita, rimessa a posto e ben pettinato.

Intervistavano il famoso attore Harrison Ford, che parlava del nuovo film di Indiana Jones, che lo vedeva protagonista e che in quel momento era a Roma, perché giravano all’aeroporto di Guidonia, dove avevano costruito un modello di aereo, anni trenta, per girare delle scene importanti.

Allora Giovanni Quai, ritornato a casa guardando la tv serale, disse alla figlia presente in quel momento: “Io quello oggi l’ho portato in volo”, e di rimando la figlia gli confermò che aveva portato in volo “Indiana Jones” alias Harrison Ford”.

Giovanni raccontava l’evento come una storia curiosa e ricordo in alcuni stages di volo a Rieti a inizio anni 2000, che i guidoniani facevano in “gruppo”, che, quando ciascuno raccontava fatti accaduti in volo e a terra a Guidonia con protagonisti sempre piloti dell’Aeroclub, lui Giovanni ricordava la sua storia con: Indiana Jones …. 



§§§ in esclusiva per “Voci di hangar” §§§

## proprietà letteraria riservata ##


Giulio Cesare Chiarini


NOTA: in copertina la cabina di pilotaggio e i comandi di volo originali del Ford Trimotor

 

Good luck, Ugo




Ugo Paolillo ci ha lasciato per sempre a causa di un tragico incidente di volo avvenuto ieri, 11 luglio 2023, nei cieli di Rieti a bordo del suo amato “Papero” – come affettuosamente lo avevamo soprannominato -, il suo Fournier RF-3 ultraleggero.

Ci ha lasciato alla veneranda età di 83 anni, 60 dei quali vissuti volando ovunque e indifferentemente con aeroplani, alianti, motoalianti e ultraleggeri vari, biplani compresi.

Nonostante il suo vigore fisico e intellettuale, letterariamente parlando era assai timido tanto che aveva deciso di celarsi dietro uno pseudonimo, A-hug, e poi dietro il cognome della mamma danese firmandosi con un anonimo Hugo Christensen.

E’ stato autore di alcuni pezzi giornalistici di notevole fattura, peraltro pubblicati nella rivista VOLO A VELA, ma lo ricordiamo con particolare affetto per aver partecipato – dietro minacce neanche troppo velate – alla prima e alla seconda edizione del nostro Premio letterario RACCONTI TRA LE NUVOLE. Al primo tentativo si era classificato al X posto con uno stralcio del romanzo – allora inedito – intitolato “Dove il tempo non era mai stato” che poi pubblicherà con l’editore Logisma dopo una lunga e faticosa elaborazione cui abbiamo avuto l’onore e il privilegio di collaborare.

E’ con questo racconto, “Good luck, Pesciolino“, inserito nella I antologia del Premio della I edizione del Premio,  che intendiamo ricordare Ugo. Perché da questo testo si evince non solo la sua conoscenza enciclopedica del mondo del volo ma anche e soprattutto quella sottile ironia molto “british” nonché la sua promettente capacità narrativa che aveva solo necessità di maturare accresciuta dall’esercizio.

Proprio  il giorno prima del suo ultimo decollo ci eravamo confrontati sulla riedizione del suo romanzo che Ugo voleva più snello, più cinematografico … 

Non amava parlare di sé ma siamo certi – e non avevamo mancato di comunicarglielo – aveva tutte le carte in regola per diventare un giovane talento letterario alla Camilleri maniera.

Deteneva il record di volo con aliante – ancora oggi imbattuto – di oltre 1000 km con punti di partenza e di volo prefissati svolto interamente in territorio italiano, lungo la dorsale appenninica e in termica. E ha compiuto questa impresa lungamente cercata e poi concretizzata con un aliante neanche di ultimissima generazione (Nimbus 2).

Da questa esperienza ha tratto il racconto: “La prima termica del mattino” che è ospitato nel nostro hangar e che ha firmato con lo pseudonimo A-HUG.

Con il medesimo pseudonimo aveva  firmato invece i racconti : “La Daunia brucia! ” e “Imprese inutili“, ugualmente ospitati nel nostro hangar.

Non ultimo aveva già messo mano a un secondo romanzo del genere thriller-poliziesco ispirato e sostenuto da quell’enorme bagaglio materiale accumulato nel corso della sua lunga carriera di magistrato. Chissà …

Vola alto e lontano, Ugo. E, parafrasando il titolo del tuo racconto di esordio: “Good luck, Ugo”!





Nel sito sono ospitati i seguenti racconti:


Nel cielo di Cecenia


La Daunia brucia!

Imprese inutili

La prima termica del mattino

Good luck, Pesciolino!




Il decollo del C-5 Galaxy dalla Vandeberg Air Force Base alle 03:00, ora locale della California, si era svolto senza problemi. I vertici del Comando Strategico avevano preferito alleggerire il più possibile di carburante l’aereo anche se, per completare la sua delicata missione, si sarebbero dovuti effettuare almeno due rifornimenti in volo.

Nella capiente stiva del cargo militare erano stati allocati, dopo uno scrupoloso disassemblaggio, i detonatori della bomba e i contenitori del materiale nucleare, separati adeguatamente gli uni dagli altri per evitare pericolose interazioni.

Il trasporto aereo del carico, coperto da codice di segretezza livello 5, era proseguito normalmente secondo il piano di volo. Nel punto stabilito il Galaxy aveva completato il primo rifornimento di carburante portandosi progressivamente poco sotto la coda dell’aereo cisterna, un KC-10 Extender. Il rifornimento era avvenuto tramite la sonda rigida collegata ad un bocchettone ubicato sopra la cabina di pilotaggio del grosso aeromobile. Al termine dell’operazione, quando le segnalazioni luminose avevano confermato al sottufficiale addetto al controllo della sonda che i serbatoi del Galaxy erano pieni, il tubo era stato ritirato e gli aerei si erano separati.

“Certo che ne è passato di tempo da quando, negli anni venti, sono stati realizzati i primi tentativi di rifornimento in volo!” aveva osservato il comandante del Galaxy, capitano Ronald Driver, rivolgendosi al secondo pilota, tenente Frankie Tarantino.

“Eh già” annuì il tenente pensando al Boeing B50, chiamato Lucky Lady II, che trent’anno dopo, avrebbe effettuato il giro del mondo senza scali intermedi, a dimostrazione dell’efficienza del sistema di rifornimento in volo, grazie anche all’affidabilità di macchine ed equipaggi dell’USAF.

Nelle ore successive, la conversazione tra i due piloti si era dilungata sull’utilizzo che sarebbe stato fatto della bomba più potente mai costruita: “A giudicare dalle dimensioni e dalla voci che circolano”, aveva detto il tenente, “lo scoppio di questa bomba sarebbe in grado di mettere in crisi l’intero territorio degli Stati Uniti”

“Sbalorditivo!”aveva esclamato il comandante, poi però aveva aggiunto: “… ma quanto a potenza distruttiva, caro Frankie, le forze naturali non hanno rivali: terremoti, maremoti, tsunami e uragani sono insuperabili … a proposito … vedi anche tu quello che vedo io nel radar meteo?”

“Gesù, comandante, la formazione di cumuli nembi che abbiamo davanti è enorme! Il suo fronte deve estendersi fino ad una cinquantina di miglia (circa centinaio di chilometri, ndA) … per non parlare dell’altitudine … trentamila piedi (circa diecimila metri, ndA) o forse più.”

“Accidenti!”, era stata la replica preoccupata di Driver: “proprio ora che dobbiamo fare un nuovo rifornimento! … a proposito, Frankie, com’è che l’aereo cisterna non si è fatto ancora sentire? Prova a farlo contattare con il nominativo concordato”.

“Ci penso io, se non ha niente in contrario, comandante; il marconista, sergente Cooper è sceso nel ponte di carico per concedersi un caffè.” L’attrazione del sergente verso la corroborante bevanda, che consumava di continuo in tazze proporzionate alla sua stazza, era nota, pertanto al copilota non erano state mosse obiezioni, anche perché il suo hobby per la radiotecnica non era da meno rispetto alla passione di Cooper per le tazzone di caffè bollente. Indossate le cuffie, Frankie aveva impostato la frequenza e il codice di crittografia digitale sul computer delle comunicazioni.

“Pellicano, Pellicano, da Pesciolino, over”

“Avanti, Pesciolino, qui Pellicano, over”

“Pellicano, cominciamo ad essere un po’ a corto di carburante, over”

“Quanto a corto? Over”

“Abbiamo poco più di un’ora di autonomia, over”

“Pesciolino, siamo nel pieno di una tempesta, l’aereo cisterna non ha potuto decollare dalla base Wheeler. Al momento stanno cadendo chicchi di grandine da 4 pollici (circa 10 cm, ndA), un evento eccezionale per la contea di Honolulu! Over”

“Roger, Pellicano. Qui Pesciolino … allora non abbiamo altra scelta: se non ci sono novità ci dirigiamo all’atteraggio per Wheeler, over”

“Ok, Pesciolino, good luck. Out”

Le notizie ricevute da terra, erano state accolte a bordo del C-5 con una buona dose di apprensione. Il cargo stava trasportando una bomba termonucleare ad altissimo potenziale nel quadro di una serie di operazione NATO top secret. Se la missione non fosse stata portata a termine perché la bomba era finita in fondo all’Oceano Pacifico con il Galaxy, era prevedibile che i mass media di tutto il mondo, venuti prima o poi a conoscenza dell’accaduto, si sarebbero scatenati in una campagna denigratoria delle forze militari NATO senza precedenti. Inoltre se si fosse saputo che la causa dell’incidente aereo era da attribuirsi alla mancanza di carburante, l’intera catena di comando sarebbe saltata senza sottilizzare troppo sulle singole responsabilità.

“Certo che il clima sta impazzendo” aveva osservato il tenente, “Chi l’avrebbe mai detto che alle Hawaii, in questo periodo, sarebbe caduta tanta grandine da imbiancare queste favolose isole!?”. Evidentemente il secondo pilota era più preoccupato della situazione meteo nelle isole che delle conseguenze che sarebbero potute derivare dal mancato compimento della missione.

“Frankie?! … ma ci stai di testa?”, era stata la domanda di Driver, accompagnata da un moto di stizza, “siamo a corto di carburante … tra noi e la base dove dovremmo posare questo pachiderma alato, c’è un fronte temporalesco di violenza inaudita … non possiamo permetterci di girare in tondo in attesa che passi, non abbiamo autonomia sufficiente neppure per raggiungere un altro aeroporto fuori della tempesta … ti pare che sia il caso di stupirti perché le Hawaii sono colorate di bianco?”

Il tenente Tarantino, strette le spalle, aveva chiesto contrito: “E allora cosa si fa, comandante?”

“Tu che ne dici, Frankie?”

Il tenente ci aveva pensato un istante, ed aveva risposto con l’aria di chi la sa lunga: “Alla mala parata, sganciamo tutto il carico, bomba compresa e guadagniamo un altro po’ di autonomia”

La replica del comandante non si era fatta attendere: “Frankie, dimmi la verità”

“Dica, comandante”

“Quando parli … sei in contatto costante col cervello, oppure no?”

Il tenente aveva abbozzato delle scuse, ma il comandante implacabile aveva aggiunto: “ Sai dove siamo? … certo che lo sai … converrai con me che siamo in prossimità di Pearl Harbour. Questo nome ti dice niente?”

“Ehmm …” aveva farfugliato, mentre si affollavano in lui immagini di navi alla fonda centrate dalle bombe come birilli, accompagnate da altre con sciami di aeroplani giapponesi rassomiglianti a cavallette fameliche che assaltavano l’isola …“Non è forse il luogo dove i nostri nonni presero una delle più grandi batoste della storia americana?”

“Bravo, Frankie! … e pensa che bello se, grazie alla tua testa bacata, la storia si ripetesse!? … ma questa volta sarebbe un aereo americano a bombardare Pearl Harbour, e per giunta con una bomba progettata da fisici giapponesi. Almeno in parte”.

Frankie aveva deviato il discorso: “Insomma ha deciso di prendere di petto la tempesta? … che Dio ce la mandi buona!”

“Abbiamo altra scelta, Frankie?”

D’improvviso, il possente Galaxy era passato dalla luce del sole al buio pesto dei cumuli nembi, rischiarato a brevi intervalli da lampi accecanti; il comandante e il suo copilota avevano la sensazione di trovarsi sotto il fuoco di una contraerea furibonda. A tratti era sembrato che una mano gigantesca afferrasse la fusoliera del cargo militare scagliandola verso l’alto e verso il basso, come se il più grande aereo da trasporto dell’arsenale USAF fosse un giocattolo.

“Ma oggi che abbiamo fatto a Madre Natura per renderla tanto incazzata con noi, eh comandante?”

“Chiudi quella boccaccia, dannazione, Frankie … rischiamo di perdere il controllo dell’aereo! Riduco potenza, escludo l’autopilota e passo a comandi manuali! … se ci rovesciamo abbiamo chiuso: la bomba potrebbe sganciarsi dai sostegni, sfondare il ponte di carico e uscire dalla fusoliera!”

“E anche se non ci rovesciamo” aveva rincarato il copilota, “questa fottutissima grandine finirà col bucherellarci tanto da ridurre l’aereo ad una sorta di scolapasta volante!”

In effetti, se i piloti avessero potuto osservare la scena dall’esterno, oltre a sentire l’assordante rumore dei proiettili di ghiaccio che colpivano incessantemente l’aereo, avrebbero notato, con orrore, le lamiere del Galaxy infossarsi sotto la pressione della grandine che si scagliava contro il metallo alla velocità relativa di 600 km/h.

“Porca puttana, comandante!” aveva esclamato il tenente, non senza apprensione, “Gli anemometri sono impazziti! Le velocità indicate sono in contrasto con le spie di stallo! Alla velocità con cui stiamo procedendo non dovrebbero essere accese. Ammesso che vogliamo credere alle indicazioni del GPS”

“Una volta tanto ti do ragione, Frankie … il ghiaccio deve aver ostruito i tubi di pitot. Nonostante i riscaldatori. E va bene: freghiamocene dell’anemometro e degli avvisatori di stallo. Cerchiamo di tenere l’assetto con l’orizzonte artificiale e con l’indicatore dell’angolo di attacco”

Ad un certo punto, inspiegabilmente, la fortissima turbolenza si era attenuata, anche la grandine era diminuita. Il sottufficiale armiere ne aveva approfittato per salire nella cabina di pilotaggio ed informare il comandante che “Minnie” – appellativo affibbiato affettuosamente all’ordigno nucleare – era ben assicurata e non aveva subito danni. Il sergente, Bobby per gli amici, era un ragazzone del Texas, rossiccio e muscoloso, cresciuto a bistecche al sangue alte due pollici (circa 5 cm, ndA) che a malapena entrava nella la divisa. Non capitava spesso di avere a bordo uno specialista in armi nucleari.

Stavano ancora parlando quando, preceduto da uno schianto terrificante, uno dei finestrini del parabrezza, dal lato del copilota, era volato via causando l’inarrestabile decompressione con il caratteristico risucchio dell’aria pressurizzata verso la più rarefatta atmosfera esterna.

Il sottufficiale che si trovava in piedi, alle spalle del copilota, era stato letteralmente aspirato in direzione della piccola apertura come un piombino sparato da un fucile ad aria compressa. Fortunatamente era rimasto incastrato con il busto fuori della cabina e il resto del corpo all’interno, con le gambe che scalciavano alla ricerca di un appiglio.

Istintivamente il tenente Tarantino, aveva accennato alla mossa di sganciarsi le cinture di sicurezza che lo tenevano ancorato al posto di pilotaggio, nel nobile intento di soccorrere il sergente.

“Frankie, per Dio!” aveva urlato Driver, “Cerca di trattenere il sergente ma resta legato! Indossa la maschera!”. L’ordine, dovuto alla professionalità del pilota, era stato pronunciato senza pensarci su due volte. Anche nel C-5, come negli aeroplani commerciali, era previsto che, in caso di depressurizzazione, i piloti indossassero immediatamente le maschere ad ossigeno poste sotto ciascun sedile, per scongiurare l’anossia e la conseguente perdita di sensi. Ma il tenente, nel tentativo di sottrarre Bobby dalla difficile situazione in cui si trovava, era troppo occupato per dargli retta.

“Comandante, sto tenendo il sergente per le caviglie, non me lo lascio scappare anche a costo di volare fuori con lui!”

Nel frattempo la turbolenza aveva ripreso a strapazzare il gigante dell’aria provocando balzi e scuotimenti incessanti, mentre l’aereo perdeva velocemente quota. Le caviglie di Bobby erano sfuggite alla presa di Frankie che cominciava a sentirsi in debito d’aria. Ormai solo le gambe del malcapitato si trovavano all’interno della cabina  Ma il tenente non si era dato per vinto e aveva spostato la presa sui pantaloni mimetici del sottufficiale. Lentamente l’indumento aveva iniziato a sfilarsi …

Con una rapida giravolta, dopo essersi liberato dalle cinture di sicurezza, Frankie aveva trovato rifugio nel vano della pedaliera, riuscendo senza capacitarsene, a tirarsi appresso il sottufficiale, in apparenza morto e nudo dalla cintola in giù mentre torrenti di acqua gelida si riversavano nella cabina di pilotaggio. Con la coda dell’occhio, al comandante era parso che la postura assunta dai due evocasse una posizione da Kamasutra. Incredibilmente Bobby si era ripreso, un po’ intontito, mezzo assiderato ma vivo.

Il Galaxy era sceso di diverse migliaia di piedi tanto che l’aria, meno rarefatta, era di nuovo respirabile mentre la pressione in cabina si era riequilibrata con quella esterna. L’effetto risucchio era scemato. Anche la turbolenza e la pioggia si erano attenuate. Il tenente ne aveva approfittato per caricare di peso lo sventurato sergente e condurlo nel sottostante ponte di carico. Alla loro apparizione i commilitoni avevano applaudito a lungo. Comunque le battute sulla perdurante nudità del sottufficiale non si erano lasciate attendere, alcune decisamente oscene.

Rientrando di corsa in cabina, il tenente aveva ammirato l’impegno e l’abilità del comandante nel manovrare il Galaxy. Per tutta risposta, il superiore lo aveva fissato negli occhi con l’aria di uno che deve comunicare una decisione importante, suo malgrado. Poi, con enfasi, aveva sentenziato: “Accidenti, Frankie, ti ho visto sai, e ti farò rapporto …”.

Il tenente, non credendo alle proprie orecchie, aveva ascoltato le parole che avrebbero figurato nel rapporto a suo carico: “Nel mezzo di una tempesta, incurante del pericolo, il tenente pilota Frankie Tarantino afferrava per le gambe il sergente Bobby McKenzy, finito quasi interamente fuori dalla cabina di pilotaggio a seguito della rottura di uno dei finestrini. Nel corso dell’audace manovra, approfittando dello stato d’incoscienza del sottufficiale, rimasto privo di indumenti nella parte inferiore del corpo, si lasciava andare ad atti di indubbia turpitudine sessuale, protetto alla mia vista dal vano della pedaliera. Ma solo in parte”

Frankie era stato al gioco. “Grazie, comandante … ho fatto come si suole dire: di necessità virtù …”

“Frankie … d’ora in poi chiamami Ronald, questa volta una menzione d’onore – e forse una medaglia – non te la toglie nessuno … ma ora cerchiamo di portare a terra questo pachiderma … e se ce la caviamo … giuro che ti proporrò per un avanzamento di grado”.

“Ronald, possibile che la prima volta che ti chiamo per nome mi debba sentire commosso?”

“Risparmia le lacrime Frankie …”, era stata la risposta il comandante, “ci attendono momenti difficili”.

La grandine aveva smesso di flagellare il Galaxy, ma la pioggia era diventata di nuovo fittissima al punto da ridurre quasi totalmente la visibilità. Ad aggravare la situazione c’era l’afflusso continuo di acqua che penetrava con violenza all’interno della cabina di pilotaggio. Frankie, costretto ad abbandonare il suo posto per evitare di passare alla storia come il primo pilota annegato in volo, aveva trovato rifugio sul sedile del marconista, dietro a quello del comandante.

“Per fortuna” aveva confidato Ronald a Frankie, “che al Wheeler sono attrezzati con il GCA (Ground controller Approach, ndA); in mezzo a questo casino, sapere che il nostro avvicinamento avverrà con il controllo del radar e che ci verranno fornite tutte le opportune istruzioni per l’atterraggio mi rende quasi euforico.”

Il tenente aveva fatto un cenno di assenso, ma, al contrario del suo superiore, era tutt’altro che propenso all’euforia.

In quell’istante, era arrivata la comunicazione della torre di controllo di Wheeler che dirottava il Galaxy sull’aeroporto internazionale di Honolulu.

Non ci si poteva credere: un trasporto militare coperto dal massimo livello di sicurezza atterrare in un aeroporto civile! Per giunta con le piste intasate da emergenze e lo spazio aereo zeppo di aeroplani

La risposta del Galaxy non si era fatta attendere  “Roger, qui Pesciolino … non abbiamo alcuna intenzione di buttarci nella mischia di Honolulu in assenza di visibilità e con la strumentazione in avaria! Pesciolino conferma atterraggio di emergenza su Wheeler, over”.

“Negativo, Pesciolino … l’aeroporto Wheeler sarà inservibile per molte ore. Dobbiamo rimuovere un traffico che ha rotto il carrello in atterraggio e ora ingombra la pista!”

Frankie era rimasto esterrefatto: l’aeroporto Wheeler era dell’Army (Esercito, n.d.A.), loro erano dell’AirForce (Aeronautica, n.d.A.), Pesciolino era un nome tipico della Navy (Marina, n.d.A.) e dovevano atterrare in un aeroporto civile: che bella contraddizione!

Come se fosse nei suoi pensieri, il comandante aveva chiesto al copilota: “Frankie, chi cazzo ci ha affibbiato il nominativo Pesciolino?”

“Per quanto ne so, caro Ronald, è stato un pezzo grosso dell’Ammiragliato, noto per il suo strano umorismo”.

“Beh, sarà contento di aver trovato un nome che, in mezzo a tutta quest’acqua, sembra particolarmente appropriato al Galaxy, se non fosse per le dimensioni. Però se finiamo in mare non ci sarà militare che, incontrandolo, non si toccherà le palle! Come gli è venuto in mente di chiamare Pesciolino un gigante come il Galaxy?”

“Ronald, credo che sia un vezzo femminile. Quello di attribuire diminutivi a cose di grosse dimensioni. Ho visto un film porno in cui lei, forse per rincuorarsi, chiamava pesciolino l’attrezzo di lui, benché misurasse a dir poco, trenta centimetri!”

“Vuoi dire che l’Ammiraglio è una donna?” aveva domandato il comandante.

“Perché no?”

“Già, perché no? … cazzo Frankie, portiamo questa balena all’asciutto!”

Infatti, poco dopo il sole, prendendosi la rivincita sulle nubi, riaccendeva i colori del cielo e dei campi nella contea di Honolulu e sull’isola di Ohau.





Narrativa / Medio-Breve

Pubblicato nell’antologia della I edizione del Premio letterario “Racconti tra le nuvole”, 2012;  classificatosi al X posto, in esclusiva per VOCI DI HANGAR



Attenzione: Non esiste il Tag Good luck Pesciolino

Il destino degli altri. Un giallo nel mondo dell’aviazione civile

titolo:  Il destino degli altri. Un giallo nel mondo dell’aviazione civile

autore: Ivan Anzellotti 

editore: Phasar edizioni

anno di pubblicazione: 2016 

ISBN: 8863584109

ISBN 13 cifre: 978-8863584103

pagine: 192



Questo pregevole romanzo di Ivan Anzellotti si potrebbe leggere anche senza aver letto gli altri due che trovate recensiti qui su VOCI DI HANGAR. Ma il mio consiglio è di leggere prima quelli.

Storia di un pilota” e “Storia di un pilota 2” sono l’uno la continuazione dell’altro, come ho avuto modo di mettere in evidenza nelle relative recensioni. Questo invece è certamente diverso, è un romanzo e non il racconto della vita reale dell’autore come pilota in giro per il mondo intero. Però, in un certo senso, anche questo volume è una sorta di continuazione dei precedenti. Perché nella trama di questo romanzo continua ad essere presente un elemento che costituisce l’ossatura portante di tutta la narrazione delle tre opere. Vale la pena riprendere alcune frasi di Ivan Anzellotti, prese da altri ambiti, che meglio chiariscono di cosa stiamo parlando:

“Il mondo dell’aviazione sta cambiando radicalmente, perdendo di vista il valore che ha il personale nel mantenere gli standard di sicurezza necessari, e quando la vita di migliaia di persone resta nelle mani degli equipaggi di volo, dei tecnici e dei tanti altri che lavorano nell’indotto, è una questione che non si può sottovalutare”.

A differenza dei “conduttori” di altri mezzi di trasporto, il pilota di aeroplani commerciali continua a godere di un certo fascino nell’immaginario collettivo, una sorta di aura magica continua ad avvolgerlo; probabilmente è legata all’altissima professionalità necessaria per poter sedere nella cabina di pilotaggio qui ritratta dall’esterno. In passato tale professionalità, abbinata alla notevolissima responsabilità, comportava una retribuzione adeguata e proporzionata, tuttavia la tendenza delle compagnie aeree negli ultimi anni (specie le low cost) è stata quella di schiacciare verso il basso i compensi dei piloti imponendo loro contratti a cottimo o a chiamata e al contempo privandoli delle rappresentanze sindacali o strappando loro contratti capestro del tipo: “o ti mangi ‘sta minestra o voli fuori da questa compagnia” . Oggi il lavoro del pilota non è più l’attività professionale meglio pagata nel panorama del mondo del lavoro e anzi, coloro che intendono cimentarsi nel pilotaggio professionale devono mettere in conto un pluriennale e dispendioso investimento di risorse economiche, fisiche e mentali (foto proveniente da www.flickr.com)

Eh, no. Non si può sottovalutare.

Invece, non solo si sottovaluta, ma nella degenerazione dilagante di tutti gli ambienti, non soltanto aeronautici, il personale perde costantemente valore. Almeno nella concretezza dei fatti, perché a parole si rappresenta, invece, tutta un’altra storia. A parole sembrerebbe evidente che:

La retrocopertina del bel libro di Ivan Anzellotti che è destinato agli appassionati del mondo del volo benché, solo apparentemente, si tratti di un libro cosiddetto “giallo”.

“La chiave del successo per la sicurezza in aviazione è l’esperienza costruita con anni di studio, addestramento e momenti di tensione in volo. Questa eredità deve continuare, com’è stato da sempre, ad essere trasferita dai comandanti anziani ai giovani cadetti in un prezioso investimento di conoscenza. Il futuro dell’aviazione è a rischio perché molte compagnie aeree stanno bloccando questo percorso lasciando a terra piloti di grande esperienza fermando così i presupposti di questo passaggio di testimone”.

Oggi un aereo di linea ha talmente tanti automatismi che il pilotaggio manuale è ridotto a poche manciate di minuti durante la fase di decollo e di atterraggio. Ma cosa direbbero i passeggeri se sapessero che i piloti sono stanchi, proprio alla fine di un lungo volo, quando si trovano condizioni meteorologiche difficili, durante l’avvicinamento finale, con turbolenza, vento forte al traverso e magari anche pericolo di wind shear? Aggiungiamo che per una stupida normativa il secondo pilota, per quanto esperto, spesso più del comandante, non può tenere i comandi con venti al traverso superiori ai quindici nodi. E il comandante, giovane e con poca esperienza deve operare in quelle condizioni con addosso una grande stanchezza. Succede.

Un’immagine assai singolare (del di dietro) di un aeroplano commerciale che è stato considerato per decenni un gigante del trasporto aereo passeggeri e merci e che, per questo motivo e non a torto, è stato affettuosamente chiamato “Jumbo jet”: il Boeing 747. Quello in primo piano è lo scarico dell’APU (auxiliary power unit – unità di potenza ausiliaria) che viene utilizzata come sorgente di energia (elettrica e pneumatica) per alimentare l’aeroplano quando è al parcheggio. Inoltre si noterà, assolutamente inconfondibile, la gobbetta che consente di disporre di un piccolo ponte di volo abitualmente riservato ai passeggeri di maggior riguardo. Naturalmente i piloti di questo ciclope dell’aviazione commerciale – non a torto – venivano considerati al vertice della categoria professionale (foto proveniente da www.flickr.com)

Ma succedono anche gli incidenti.

E quando succedono, non sempre l’inchiesta che ne consegue riesce a risalire ai veri motivi che li hanno indotti. La vera responsabilità può facilmente sfuggire, nascosta sotto motivazioni che non si possono scoprire, sfuggita attraverso le maglie farraginose delle procedure e delle normative.

Dunque, sul personale e sul suo benessere bisognerebbe investire, non certo risparmiare.

Dice Anzellotti:

“Il fulcro per la buona riuscita di una compagnia aerea è avere il miglior materiale umano, non lavorare contro di esso”.

In questo scenario può accadere facilmente che la responsabilità di un incidente non venga fuori. E che nessuno paghi, civilmente o penalmente, per il disastro e per i morti che ha provocato.

Il vero, o i veri responsabili continueranno a sedersi, ogni giorno, nelle loro poltrone, ai vertici di una compagnia, di un’azienda, alla direzione di un reparto, impuniti. E indifferenti al peso morale che invece li dovrebbe schiacciare.

No, nessun peso. A fine anno ricevono invece gratifiche, indennità, promozioni, per aver risparmiato notevoli cifre o realizzato maggiori introiti.

Pazienza per le vittime e per il dolore nel quale hanno gettato intere famiglie.

Ok. Ma torniamo al romanzo.

Un’altra immagine inconsueta di un moderno aeroplano commerciale. Mentre ci torna facilmente alla memoria un famosissimo “Assassinio sull’Orient Express”, non ci risulta che sia mai stato ambientato un romanzo giallo con relativo assassinio a bordo di un aeroplano … questo prima che il buon Ivan Anzellotti consegnasse alle stampe il suo libro “Il destino degli altri” (foto proveniente da www.flickr.com)

Certamente non ne svelerò la trama. Fin qui ho solo delineato una situazione che riguarda il mondo dell’aviazione. Ed è in questo mondo che la suddetta trama prende forma e si sviluppa.

Lo scenario è quello della Capitale. Fiumicino e la città di Roma, all’inizio. La descrizione che Anzellotti fa di questi luoghi è perfetta. Verrebbe voglia di farsi un giro e andare a vedere se davvero esistono certi uffici, certe abitazioni.

Ovviamente non tutti i lettori possono essere di Roma o pratici di questi luoghi. Ma per me che abito qui da una vita è impressionante leggere le pagine di questo romanzo.

Comunque la storia prende subito il largo e va ben oltre i confini nazionali. E anche gli scenari esteri sono altrettanto vividi. Anzellotti li conosce bene per esserci vissuto a lungo.

Dopo aver pubblicato due romanzi chiaramente autobiografici, giusto per non cadere in una banale ripetitività, Ivan Anzellotti non poteva che escogitare qualcosa di completamente nuovo e completamente originale rispetto alle esperienze già narrate e … occorre ammetterlo: c’è pienamente riuscito, pur rimanendo fedele al suo progetto che prevede di divulgare le disavventure dei piloti italiani alle prese con il fallimento dell’Alitalia, alla loro emigrazione in paesi improbabili, al loro subire squallidi ricatti economici e morali. E bravo Ivan!  (foto proveniente da www.flickr,com)

Leggete il romanzo. Iniziatelo, almeno. Sono certo che andrete fino alla fine, perché sospenderne la lettura sarà difficile.

Come ormai avrete intuito, la storia riguarda un incidente aereo. Ma comincia con un omicidio, abbastanza misterioso e inspiegabile, almeno sul momento. E’ solo grazie all’investigazione di un ex appartenente ad uno dei corpi delle forze dell’ordine, in pensione, se tutte le connessioni con l’episodio aeronautico vengono svelate. E’ lui il protagonista del romanzo. La sua figura, davvero carismatica, emerge in tale vividezza che, dopo alcune pagine, ci sembra di conoscerlo davvero.

Voglio aggiungere un’ultima considerazione che ritengo importante comunicare.

Mentre leggevo non potevo fare a meno di pensare che di questa storia se ne potrebbe, dovrebbe, ricavare addirittura un film. Tra l’altro servirebbe a mettere, in ancor migliore evidenza, l’elemento di cui abbiamo trattato all’inizio. E a portarlo alla conoscenza di tutti.

In fondo, lo scopo del romanzo sembra fortemente essere questo.

Lo so che la mia esortazione non raggiungerà nessun soggettista, regista o sceneggiatore.

Ma … ok, l’ho buttata là.

Hai visto mai!?





Recensione di Brutus Flyer (Evandro Detti) e didascalie a cura della Redazione di VOCI DI HANGAR





Dello stesso autore sono disponibili le recensioni di: 


Storia di un pilota. Dal funerale di Alitalia alla fuga dal Qatar" e "Storia di un pilota 2 - Dalle low cost alla conquista dell'Est

Il destino degli altri. Un giallo nel mondo dell'aviazione civile

Ali in valigia

titolo:  Ali in avaligia 

autore: Bruno Servadei 

editore: Amazon

anno di pubblicazione:  dicembre 2018

ISBN: 179041332X oppure 978-1790413324

pag: 314





Il sesto libro di Bruno Servadei, pur non essendo l’ultimo, conclude però il racconto della sua vita professionale in Aeronautica Militare, come scrive lui stesso nella prefazione. In circa sei pagine introduce il lettore a quello che sarà il contenuto del libro. Tanto che, volendo, potrei copiare quelle pagine e otterrei già un’ottima recensione. Ma questo libro merita molto di più.

Uno dei velivoli citati dal recensore e prima ancora dall’autore del volume “Ali in valigia” è proprio il Piaggio P-180 Avanti che, tra gli altri operatori civili e varie Forze Armate, svolge attività in seno all’AMI in virtù di 17 esemplari consegnati, di cui 4 configurati per attività radiomisure (foto proveniente da www.flickr.com)

Merita di più perché nelle sue 314 pagine, suddivise in 25 capitoli, tratta argomenti inediti e sensazionali. Leggendo i suoi libri precedenti avevo già conosciuto la sua carriera di pilota operativo, trattata magistralmente nei libri “Vita da cacciabombardiere” e “Deci 83-86“. Negli altri, in “Ali di travertino” e in “Ali diplomatiche” avevo conosciuto le sue vicende più specificamente rivolte verso una  carriera diplomatica. 

Nei tre anni trascorsi presso il Quirinale come Consigliere Militare del Presidente della Repubblica e narrati nel suo libro “Un pilota a Palazzo“, Servadei svolgeva compiti più vicini al mondo diplomatico che a quello del volo operativo. Dopo quel periodo, infine, giunse in un altro ufficio, denominato “Ufficio Cooperazione Internazionale”.

Ali in valigia” tratta proprio di questo periodo della carriera militare dell’autore.

Inizialmente le mansioni che questo ufficio deve svolgere non appaiono molto chiare nel libro. Ma pian piano si fanno sempre più evidenti. E si rivelano decisamente interessanti.

Servadei descrive ogni aspetto del suo nuovo lavoro.

La IV di copertina del bel libro di Bruno Servadei che costituisce idealmente l’epilogo del lungo racconto della sua altrettanto lunga e variegata carriera professionale iniziata come pilota cacciabombardiere. La prefazione del volume ci ha colpito in particolare per una considerazione espressa con disarmante sincerità dall’autore: “Completato il ciclo della mia vita militare da ufficiale pilota […] emerge evidente quanto sia relativamente ridotta la fase dedicata al volo. […] Io ho fatto 10 anni di reparto di volo su 37 anni in servizio. […] il pilota lo si fa e con grandi soddisfazioni, ma per un breve periodo.” Parola di Bruno Servadei!

Possiamo così conoscere la ragnatela di legami che intercorrono tra moltissimi Stati esteri. Tra questi e le industrie. E tra gli Stati, le industrie e le forze armate. Una rete fittissima di interessi, di comunicazioni, di normative, di legami e di cerimoniali.

Negli anni in cui Servadei ha fatto parte di questo mondo diplomatico sono avvenuti fatti che, per la loro importanza, sono diventati di pubblico dominio. Abbiamo conosciuto i fatti riportati dalla cronaca, ma non sapevamo molto dei vari retroscena.

Retroscena che, molto opportunamente, sono contenuti in questo libro.

Dopo aver letto alcuni capitoli mi sono trovato a dover riconsiderare la qualità di alcuni aerei che mi avevano fatto sognare all’epoca.

Parlo del Tornado, del G-91, del P-180 Avanti della Piaggio e dell’AMX.

E purtroppo, ho dovuto ridimensionare anche l’opinione che avevo nei riguardi di certe industrie, che consideravo non solo al passo con i tempi, ma addirittura molto avanti, avveniristiche sotto molti aspetti. Invece…

Per fare un esempio, quanto siamo stati fieri della nostra linea di produzione su licenza del famoso F 104! Un grande aereo, non c’è dubbio. La FIAT lo ha prodotto fino a non molto tempo fa.

Un giorno il famoso Gen. Chuck Yeager si trovava in Italia e fece una visita alla FIAT, a vedere proprio quella linea di produzione. Rimase interdetto, poi disse:

“Incredibile. Mi sembra di essere tornato indietro agli anni cinquanta…”.

L’F-104 è stato sostituito dal Tornado. Ma quest’ultimo era già superato ancora prima di entrare in servizio.

Un libro illuminante, questo.

Come ho avuto modo di dire in un’altra recensione, i libri di Servadei sono unici. Trattano aspetti della vita militare di un pilota che nessuno ha trattato mai. E’ pur vero che Servadei ha fatto una carriera particolare, riservata a pochi. E questo lo ha portato a girare il mondo intero e a frequentare ambienti particolari. Non so se qualcun altro abbia avuto la fortuna di accumulare tanta esperienza di vita diplomatica come ha fatto lui. Ma di certo, se altri personaggi lo hanno fatto, non hanno poi scritto alcun libro.

Uno scatto memorabile di cui dobbiamo essere riconoscenti all’abile fotografa Irene Pantaleoni che, appostata come un cecchino, ha immortalato il redivivo G-91R (rimesso in condizioni di volo dopo un certosino restauro) in quel di Pratica di Mare, in occasione della grande manifestazione aerea tenutasi per festeggiare degnamente il centenario della fondazione dell’Aeronautica Militare Italiana. La livrea della PAN – Pattuglia Acrobatica Nazionale rende questo velivolo particolarmente affascinante tuttavia – occorre ricordarlo – l’AMI utilizzò operativamente nelle sue svariate versioni ben 241 esemplari di questo tipo di velivolo fino all’aprile 1992 quando avvenne ufficialmente l’ultimo volo di un G-91R (foto proveniente dalla pagina Facebook di Irene Pantaleoni, https://www.facebook.com/irene.pantaleoni)

Ho già detto, e lo ribadisco, che i libri di Servadei dovrebbero essere utilizzati in alcuni corsi di laurea. Con uno stile semplice e lineare, con una narrazione vivida e autorevole, che sembra tenere conto di tutti i criteri essenziali della metodologia didattica, questi libri mostrano al lettore il funzionamento della diplomazia che sta alla base del funzionamento del mondo. Questo è un libro che insegna. Come lo sono anche gli altri.

Chiunque leggerà questi libri capirà cosa intendo.

Il ventiquattresimo capitolo si intitola: “L’addio”.

Arriva un po’ troppo presto, perché a quel punto si vorrebbe che il libro continuasse. Infatti continua per  un altro capitolo, molto opportuno, che ci porta nientemeno che negli Emirati Arabi …

Ma solo per poche pagine ancora.

Tornando all’addio, c’è una cosa di cui vorrei parlare.

Dopo l’immancabile cerimonia, appunto, di addio, perché anche per Servadei era arrivato il giorno della pensione, lui torna a casa e, come tutti i giorni, va in camera per cambiarsi. Aveva i gradi di Generale di Brigata, ricevuti proprio quel giorno, come era consuetudine.

Scrive Servadei:

“Finiti i saluti tornai a casa. Appena arrivato me ne andai nella mia camera da letto per spogliarmi. Mi apprestavo a togliere la giacca della divisa quando passai davanti al grande specchio dell’armadio guardaroba: vedendomi mi resi improvvisamente conto che quanto stavo per fare non era il rituale passaggio dalla divisa alla tenuta borghese che si era succeduto per tutti gli anni precedenti. Questo era un atto definitivo, un momento unico, irripetibile”.

Così indugia un po’, prima di togliersi la divisa. E rivive mentalmente tutte le fasi della vita che in quella divisa aveva vissuto.

“Attimi di nostalgia, subito superati da un ritorno ad una realtà che queste emozioni aveva ormai archiviato da anni. Basta, mi dissi, questa volta è veramente finita; domani comincia un’altra vita. E senza fretta mi spogliai definitamente di quella divisa che avevo orgogliosamente portato per trentasette anni”.

No, non si tratta di una nuova pattuglia acrobatica con in dotazione l’Aeritalia/Aermacchi/Embraer AMX Ghibli bensì di un sapiente collage fotografico che riproduce la fase di atterraggio di questo velivolo appartenente al 132° Gruppo CBR. L’autore degli scatti in sequenza e del geniale fotomontaggio è il bravissimo Latus10, nome in codice dietro il quale si cela Giorgio Levorato, già vincitore della sezione fotografica di RACCONTI TRA LE NUVOLE, edizione 2015.(foto proveniente dalla pagina personale Flickr.com di Giorgio Levorato, https://www.flickr.com/photos/latus10)

Nel capitolo successivo dichiara che per i primi dieci giorni non aveva la percezione chiara della sua nuova condizione. Sembravano dieci giorni di licenza.

Ho vissuto le stesse emozioni. Le conosco. Anche se nella mia vita operativa di controllore del traffico aereo sono riuscito a non fare mai neanche un giorno di scrivania. Ho sempre voluto essere operativo.

Il giorno del mio pensionamento, in Torre di controllo, all’ora stabilita, ho fatto la mia ultima comunicazione, ho posato il microfono, passato le consegne al collega e me ne sono andato. Al piano di sotto abbiamo fatto un rinfresco. Poi me ne sono tornato a casa.

E per i primi dieci giorni non mi sembrava di essere in pensione. Da turnista, con diversi giorni liberi dopo il turno, mi pareva sempre di essere in uno dei giorni liberi.

Il Panavia Tornado MRCA (Multi Role Combat Aircraft) volò per la prima volta nell lontanissimo agosto 1974 ed è ancora utilizzato dalle Forze Aeree di Italia, Gran Bretagna, Germania e Arabia Saudita. Nelle sue tre versioni IDS – cacciabombardiere destinata all’interdizione e all’attacco al suolo (InterDictor/Strike), ADV – caccia intercettore per la difesa aerea (Air Defence Variant), ECR – versione per la guerra elettronica e la ricognizione (Electronic Combat/Reconnaissance), è un velivolo alquanto sofisticato e molto costoso nonché capace di trasportare e utilizzare qualsiasi ordigno dell’arsenale NATO. Ne sono stati costruiti complessivamente 1001 esemplari e gli 85 acquistati dall’AMI hanno costituito un capitolo di spesa colossale, non tanto per l’acquisto in sé stesso – pure molto impegnativo – quanto e soprattutto per i costi di addestramento iniziale e continuativo degli equipaggi oltre al mantenimento in servizio dei velivoli pure assai oneroso (foto proveniente da www.flickr.com)

Ci ho messo un bel po’ a rendermi conto della mia nuova condizione.

Il volo, però, quello non si abbandona. Nel mio caso, dal 1973 ad oggi, non ho mai smesso di volare.

Servadei, lasciati dietro di sé i jet militari, approda fortunosamente al volo ultraleggero. Un capitolo della sua vita che ha descritto nel suo ultimo libro, “Un mondo ultraleggero“, di cui potete leggere la recensione in VOCI DI HANGAR (come degli altri volumi sopracitati).

Ho l’impressione che la vera pensione comincerà il giorno in cui smetteremo di volare.

Prima o poi arriverà. Ma non so quando.

Invece, mi domando se arriverà, prima o poi, un nuovo libro di Bruno Servadei.

Ho fatto una breve indagine presso i soliti bene informati.

Non posso anticipare nulla. Ma sembra che….





Recensione di Brutus Flyer (Evandro Detti) e didascalie a cura della Redazione di VOCI DI HANGAR





Dello stesso autore sono disponibili le recensioni di: 


Ali di travertino

Un pilota a palazzo

Un mondo ultraleggero

Vita da Cacciabombardiere

Deci 83-86. I Ricordi di "Tiro 0"

Ali diplomatiche. In Svezia con le cordelline