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Omaggio all’F104

Presso la base aerea di Pratica di Mare (Roma) il 17 e 18 giugno 2023 si è consumata una manifestazione aerea a dir poco memorabile.

Organizzata per festeggiare il centenario della fondazione dell’Aeronautica Militare italiana (già Regia Aeronautica italiana), ha visto la presenza di numerosi velivoli storici e non, ancora in servizio, di prossima radiazione o, viceversa, di recentissima acquisizione in seno alla nostra Arma Azzurra; tra questi ha destato un vivissimo interesse il mitico Lockeed F-104 Starfighter che per tanti anni ne ha costituito la colonna portante. 

Quando un immagine non necessita di commento alcuno (foto di Irene Pantaleoni – fotografa di rara bravura – proveniente dalla sua pagina Facebook; https://www.facebook.com/irene.pantaleoni)

All’indomani della manifestazione di Pratica, negli smartphone di moltissimi appassionati di volo, aviazione e spazio, inoltrata e rimbalzata in modo nevrotico e imprevedibile, è apparsa una poesia in lingua romanesca che costituisce un piccolo capolavoro in vernacolo nonché un elogio a questa meravigliosa macchina volante rimasta nel cuore di moltissimi piloti militari .

Affinché potessimo dichiarare la paternità di una composizione sì meritevole, abbiamo tentato di risalire all’autore che si firma con un criptico “PMP”; allo scopo abbiamo ingaggiato i migliori agenti del controspionaggio di VOCI DI HANGAR, tuttavia non siamo riusciti nell’impresa … dunque confidiamo che egli si riveli a noi con il suo vero nome o che qualcuno dei nostri visitatori ce lo riveli  … ma giusto per ringraziarlo e – non ultimo – per esortarlo a comporne delle altre poesie in chiave pasquinesca/trilussiana/belliana.

Ad ogni modo – a proposito del 104 – una certezza l’abbiamo e ve ne vogliamo rendere partecipi. Esistono due categorie di piloti: quelli che amano l’F-104 e quelli che lo odiano … i secondi nun c’hanno mai volato!

Buona lettura e grasse risate a tutti.










Certo che de nomi er 104 ce n’ha e ce n’ha avuti davero na caterva…

Er Cacciator de Stelle, lo Spillone pe dinne solo arcuni…

Quello che molti nun sanno è che er progettista

voleva fa n’aereo basico, assai minimalista

Leggero, rapido, toccata e fuga

pe daje n’testa ai Migghe

Mica ce lo sapeva lui, er progettista,

Sto Kelly della futura Lockedde Martina

C’avrebbe realizzato n’opera prima!

Che come er 104, mica ce ne so tanti

O mejo, come lui nun ce sta proprio nessuno

Eppure de difetti ce n’aveva,

faceva pure fumo.

Er J79 mica romba, lui ulula pe fasse riconosce

ch’è lui, er 104 de tutti er capobranco

co quarsivoja velivolo se trova in formazione.

Ma dimme, tu ce poi capì quarcosa

perché l’amamo tanto sto Spillone?

Seconno me perché n’ fonno n’ fonno

a tutti quelli de noi che c’ha rapito er core

c’avemo tutti un sogno prima che se more.

De esse er Capitano che lo tira

da 0 a 1000 e più su in manco du seconni…

E vai su su fino a superá er Macche 2.

E come l’altro giorno a Pratica de Mare

Spillone volerà sempre puro si sta fermo.

Volerà qui, dentro ar nostro core!

Perché non è il suo volo che a noi tanto c’ha rapito

e che c’ha fatto così tanto nnammorá

Ma quello che lui è stato nel suo tempo…

Un Cacciator di Stelle, un Romantico,

un Cavaliere Solitario e forte

Che su nei cieli alti se n’annava ardito.

E quanno che passava

su, lassù nel cielo blu infinito

Tutti guardavano ma subbito scappava

Era troppo veloce pe seguillo.

E come disse quer grillaggio der Marchese,

ch’era Albertone che tutti conoscemo

Lo dice pure er 104 all’artri aerei

ch’hanno volato co lui ‘n formazione:

“Si si vabbè ce sete pure voi

ai 100 anni dell’AMI co tutti sti vorteggi.

Ma er vero divo, lassatemelo di,

so sortanto io, che c’ho pure er retrorazzo

Perché io so io e voi nun siete un cazzo!”

Con licenza poetica all’F104!

 

Pratica di Mare 17-18/6/2023

PMP

Caduta libera

titolo: Caduta libera

autore: William & Marylin Hoffer 

editore: Armenia

pagine: 256

anno di pubblicazione: 1990

ISBN: 8834404297 e 978-8834404294




Sono le 19:05 del 23 luglio 1983, quando il Boeing 767 volo 143 dell’Air Canada inizia la corsa di decollo spinto dalla potenza dei suoi motori, sulla pista dell’aeroporto di Ottawa destinazione Edmont.

Nessuno immaginava che la “catena degli eventi” aveva correttamente allineato le lettere della parola: DISASTRO!

L’evento più impensabile che potesse accadere a un aereo di linea si era realizzata: il volo AC 143 era decollato con una quantità insufficiente di carburante nei serbatoi.

Così a circa metà percorso, alla quota di 12’000, metri i due motori del Boeing 767 si spengono, il volo AC 143 ha esaurito il carburante, ora il comandante Pearson e il primo ufficiale Quintal dovranno tirar fuori tutta la loro abilità per cercare di portare in salvo i passeggeri e l’equipaggio.

“Caduta libera”, è la ricostruzione di quanto realmente avvenne, quel 23 luglio, al volo AC 143.

Gli autori William e Marylin Hoffer, giornalisti, hanno saputo ricreare, attraverso la raccolta delle testimonianze dei passeggeri e dei documenti della commissione d’inchiesta, con grande realismo la vicenda.

Il velivolo commerciale con marche C-GAUN era un Boeing 767-233 in forza alla compagnia aerea canadese Air Canada ed è qui ritratto in un giorno – il 24 gennaio 2008 – in cui assurse agli onori della cronaca mondiale per la seconda volta: l’ultimo volo prima dalla radiazione dal servizio attivo. Il volo avvenne da Montreal Trudeau all’aeroporto internazionale di Tucson prima di volare verso il suo ritiro definitivo nel deserto del Mojave in California, USA (foto proveniente da www.flickr.com)

La storia di un disastro mancato che portò alla luce una serie di inadeguatezze e carenze a tutti i livelli nelle procedure della compagnia aerea e che, solo grazie alla professionalità dell’equipaggio, si era potuto evitare il peggio.

Pearson cominciò a pensare a voce alta: ‘Qual è la migliore velocità di discesa in questo caso?’ L’addestramento dell’Air Canada e i manuali di volo non spiegavano come far planare un 767 senza motori e atterrare sani e salvi.”

 …nessuno ci aveva provato prima, così come nessuno sapeva se il 767 fosse in grado di planare” (senza motori funzionanti, NdR)

Probabilmente il più famoso tra i 767 mai costruiti dalla Boeing è qui ritratto in tutta la sua bellezza. Nel 1995 fu prodotto anche un film-tv, intitolato: “Volo 174: caduta libera”, riadattamento cinematografico di quante accadde veramente al C-GAUN (foto proveniente da www.flickr.com)

Ma come era stato possibile che un aeroplano di linea decollasse senza la giusta quantità di carburante nei serbatoi?

Le origini di un disastro, soprattutto in campo aeronautico, sono spesso da ricercare andando molto indietro dal momento in cui si è verificato l’evento.

Nel caso del volo AC 143, occorre andare indietro al 1970, anno in cui il Canada aveva aderito all’adozione del Sistema Metrico Decimale e abbandonava il sistema di misura anglo-statunitense.

Il capitano Pearson, che nel suo tempo libero amava pilotare un aliante modello Blanik L-13, probabilmente non esitò granché quando realizzò che, in caduta libera, con una inevitabile discesa di 2500 piedi al minuto, non sarebbe mai riuscito a raggiungere l’aeroporto di Winnipegh … dunque decise di atterrare alla vicina base abbandonata della RCAF (la forza aerea canadese). C’era però un piccolo dettaglio che il comandante ignorava: all’epoca Gimli era utilizzata come pista da parte di auto da corsa. Ma detto fatto: l’aeroplano si fermò a 800 piedi dalla soglia pista e gli appassionati di corse automobilistiche contribuirono a spegnere il principio d’incendio che si sviluppò a causa del contatto del muso sull’asfalto. Una persona rimase ferita durante l’evacuazione ma, tutto sommato, andò di lusso. Questo scatto testimonia l’accaduto in tutto il suo feroce realismo (foto proveniente da www.flickr.com)

A partire da quella data, ora si parlava di “litri” e “kilogrammi” e non più di “galloni” e “libbre”.

L’aereo in questione era il primo 767 dell’Air Canada sul quale la quantità di combustibile veniva misurata dal computer di bordo in kilogrammi, mentre tutti gli altri aerei e i manuali della compagnia usavano ancora le libbre. 

Per il viaggio l’equipaggio calcolò che occorrevano circa 19’600 kg di carburante e chiese la verifica a terra. Gli addetti misurarono il carburante in litri: comunicarono il risultato assieme al fattore di conversione indicato in 1,77, quindi il decollo venne autorizzato risultando caricati oltre 20’400 kilogrammi di carburante. Purtroppo però questo fu uno sbaglio: il fattore di conversione di 1,77 trasforma i litri di kerosene in libbre e non in chilogrammi: l’aereo era stato caricato con solo il 45% del carburante necessario per completare il volo!

Come nella migliore tradizione editoriale, nel risguardo interno è possibile leggere una breve sinossi del volume

A questo errore si univa il non funzionamento degli indicatori di livello del carburante.

Pertanto il computer di bordo non avrebbe ricevuto in automatico la quantità di carburante presente nei serbatoi, ma il dato in partenza andava inserito manualmente, poi una volta in volo il computer avrebbe aggiornato i consumi basandosi sui calcoli.

E naturalmente non poteva mancare una biografia, seppure stringatissima, dei due autori

I computer sono bravissimi a fare i calcoli, ma lo fanno in base ai dati a loro disposizione, e se, come in questo caso, la quantità di carburante inserita è errata … beh il resto vien da solo.

In un incidente il “Fattore Umano” gioca sempre un ruolo importante. Il modo di reagire e di interpretare i segnali, prendere una decisione non sempre è facile soprattutto quando ci si trova davanti più opzioni.

Un’immagine recente del velivolo protagonista di questo libro. L’aspetto singolare è che, dopo la completa rimessa in efficienza e a distanza di più di venti anni dall’evento di Gimli, esattamente nell’agosto dl 2006, il velivolo C-GAUN ebbe una seconda piantata di motore (uno dei due) e atterrò in emergenza con un solo motore all’aeroporto internazionale di Winnipeg, stavolta senza alcuna conseguenza per le 153 persone a bordo. Aveva proprio la vocazione dell’aliante! (foto proveniente da www.flickr.com)

Il comandante Pearson insieme al suo primo ufficiale Quintal riuscì a mantenere una visione d’insieme di tutta la situazione, quella che oggi viene definita “situational airworthness”, e a prendere la decisione migliore in tutte le fasi dell’emergenza.

Quel “Fattore Umano” che aveva contributo insieme ad altri fattori concomitanti a creare la parola DISASTRO, stava ora lavorando in maniera razionale e sistematica in senso opposto cancellando una alla volta le lettere di quella parola.

Il cimitero dei nel deserto del Mojave in California (Stati Uniti) non è propriamente un luogo molto edificante dove un liner può finire, specie dopo essere stato al centro delle cronache mondiali (e non solo aeronautiche) tuttavia al “Gimli glider” è toccata questa fine ingloriosa alla stregua di tantissimi altri velivoli commerciali che, terminato il loro naturale ciclo operativo (di migliaia di ore di volo), sono stati letteralmente rottamati e parzialmente cannibalizzati in quanto fonte di preziose parti di ricambio. In effetti nell’aprile 2013 fu tentata una sorta di recupero in extremis tuttavia, venduto all’asta per la cifra galattica di 3 milioni di dollari canadesi, non ricevette offerte congrue e risultò invenduto con l’inevitabile esito già anticipato. Ad ogni modo un gruppo di volenterosi ha ideato un bizzarro museo nonchè un sito web dedicato all’episodio del “Gimli glider” (https://gimliglider.org/ ) mentre successivamente sono state realizzate delle medagliette personalizzate ricavate dal rivestimento in alluminio della fusoliera diventando un gadget assai originale anche se un po’ feticistico. Inoltre una piccola sezione della fiancata del velivolo è finita proprio nel museo assieme ad altri cimeli come la divisa indossata dal comandante Pearson (foto proveniente da www.flickr.com)

“… Pearson spiegò a Quintal che cosa intendeva fare: se si fossero ritrovati ancora troppo alti nell’ultima fase dell’approccio lui avrebbe imposto una scivolata d’ala all’aereo, scendendo rapidamente di quota e cercando di correggere così la posizione”

Una scivolata d’ala viene eseguita abbassando un’ala con l’aiuto degli alettoni e quindi dando timone nel senso opposto, o come si suol dire “piede opposto”.

Il timone deflesso fa sì che la fusoliera si presenti al flusso d’aria relativo obliquamente, creando molta più resistenza di quando il flusso è lungo la fusoliera come nel volo normale. Questa manovra spesso serve per dissipare energia, per esempio per perdere quota più rapidamente in avvicinamento, sempre a una velocità ben sopra allo stallo.

Nonostante questa manovra sia prevista nel corso di pilotaggio per aerei dell’aviazione generale, è alquanto azzardata per un aereo di linea; per non parlare del disagio per i passeggeri con un aereo fortemente inclinato da un lato.

La manovra della scivolata d’ala, con cui il comandante Pearson riuscì a far atterrare sulla pista di Gimli il Boeing 767 fu in seguito riprovata più volte nel simulatore di volo da parte di diversi piloti ma nessuno è riuscito a ripeterla con lo stesso risultato.

Oggi la storia del volo AC 143 è presente su “Indagini ad alta quota” (serie televisiva che ricostruisce gli incidenti di volo) con le ricostruzioni video e le interviste.

Tornando al libro, nonostante i suoi 40 anni, mantiene un suo fascino per come gli autori hanno saputo ben intrecciare il vissuto dei vari personaggi che il destino aveva messo insieme a bordo di quel volo, con la realtà che stavano vivendo. Di come quegli ultimi minuti di volo stavano cambiando le proprie concezioni della vita e le priorità.

Un volo che costrinse tutti a riflettere.

L’aereo, riparato dei pochi danni subiti, tornò in linea di volo e fu soprannominato “Gimli Glider” (l’aliante di Gimli) aliante in quanto atterrato planando senza motori funzionanti.

Un Boeing 767 che volle essere un aliante.






Recensione di Franca Vorano e didascalie a cura della Redazione di VOCI DI HANGAR.







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In un cielo di Guai - ter

Carrying the fire, Il mio viaggio verso la Luna

Forever Flying

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Avevo tredici anni ... e altri racconti





 

 

 

Joseph Heller. Comma 22.

Joseph Heller, autore di “Comma 22”, nato nel maggio del 1923 e scomparso nel dicembre 1999

«Vuoi dire che c’è un comma?».

«Certo che c’è un comma»,

rispose il dottor Daneeka,

«Il comma 22. Che dice: “Tutti quelli che desiderano di essere esonerati dal volo attivo non sono veramente pazzi”».

Se volava era pazzo e non doveva più volare; ma se non voleva volare era sano di mente e doveva volare.

Yossarian fu molto impressionato per l’assoluta semplicità di questa clausola del comma 22 […]

«È davvero un bel comma, quel comma 22», osservò.

Yossarian è un pilota bombardiere dell’ USAF di stanza con il suo gruppo di bombardieri a Pianosa, in Italia, durante la Seconda Guerra Mondiale.

Il romanzo di Joseph Heller ha conosciuto un’immediato successo a partire sin dalla sua pubblicazione (avvenuta nel 1961) e poi durante tutto il corso degli anni a venire; ecco spiegate le numerose diverse copertine di cui mostriamo una carrellata; sicuramente la copertina più efficace e dunque più indovinata è proprio quella utilizzata a mo’ di copertina di questa recensione

Joseph Heller è lo scrittore aviatore che, nel 1955, ha raccontato le gesta del capitano Yossarian, l’antieroe e suo alter ego, e dei suoi commilitoni nel romanzo Comma 22 (10 milioni di copie vendute), osannato dalla critica letteraria e definito, dal Chicago Times: “Un capolavoro apocalittico” e dall’Espresso, “la Bibbia dell’antimilitarismo”.

«Non ho mai pensato a Catch-22 come a un romanzo a fumetti»,

ha dichiarato Heller sul New York Times,

In occasione del centenario della nascita dell’autore, Massimo Conti ha ritenuto doveroso ricordare la figura di Joseph Heller e quindi recensire brevemente la sua opera letteraria più famosa che, come non si risparmia di sottolineare una delle copertine dell’edizione italiana, è stata stampata nel mondo in ben più di 8 milioni di copie!

«[Ma] … volevo che il lettore si divertisse, e… volevo che si vergognasse di essersi divertito. La mia inclinazione letteraria… è più verso il morboso [raccapricciante] e il tragico. Si sta verificando una grande carneficina [la morte] e la mia idea era di usare l’umorismo per rendere ridicole le cose irrazionali e molto terribili».

Heller, in seguito, affrontò lo stesso tema, ripescando figure, personaggi e situazioni da quella sua esperienza bellica in Italia, in una sua commedia di successo: Bombardammo New Haven.

Assieme agli altri militari e aviatori protagonisti di Catch 22, il titolo in originale in inglese, Il tranello 22 – il cappellano Shipman, il colonello Catchcart, Dunbar, Milo Minderbinder, il maggiore Maggiori – un ruolo importante è riservato all’aeroplano sul quale Yossarian è costretto suo malgrado a volare: il B-25 Mitchell della 265a Squadriglia. Lui è pigiato dentro la prua vetrata dell’aereo con il compito di sganciare le bombe sul nemico al momento opportuno, cosa che spesso fa con molta disattenzione, più preoccupato di andarsene alla svelta dal cielo pieno di sbuffi neri della contraerea tedesca, che di colpire il bersaglio. Non si capacita perché quelli là sotto ce l’abbiano proprio con lui:

Il velivolo su cui operò l’autore del volume in qualità di puntatore-bombardiere in una foto dell’epoca. Fu perduto nel gennaio del 1945 a seguito di una collisione in volo con un altro B-25. (foto proveniente da www.flickr.com)

«Che intendono uccidere della gente che nemmeno conoscono».

Cerca pure una spiegazione logica chiedendo al commilitone e amico Clevinger perché

«Stanno per uccidermi […] perché sparano contro di me».

Tenuto conto del gran numero di velivoli costruiti e di quelli sopravvissuti e/o restaurati, a tutt’oggi risultano perfettamente volanti numerosi B-25 che non mancano mai di nobilitare le manifestazioni aeree statunitensi. Questa immagine è stata scattata nel 2010 all’Auburn-Cord-Duesenberg Festival di Kendallville, Indiana, USA (foto proveniente da www.flickr.com)

Clevinger risponde che:

«Sparano contro tutti»,

e la replica del capitano Yossarian è degna di una battuta di Woddy Allen:

«E che differenza fa?», domanda con stizza.

Yossarian tiene a una sola cosa: portare alla svelta a casa la pelle. E ci si mette d’impegno. I suoi superiori invece fanno di tutto per trattenere lui e suoi compagni sul fronte di guerra aumentando di volta in volta il numero minimo di missioni da compiere per essere congedati: prima quaranta, poi cinquanta, e via via di decina in decina.

Heller, come il protagonista del suo romanzo Yossarian, dieci anni prima di scrivere Comma 22 è ufficiale puntatore a bordo di un B-25 Mitchell che nel libro descrive, come

«macchine molto stabili, scure, color verde opaco, con due timoni e due motori e ali molto lunghe. Il loro unico difetto […] era il troppo stretto passaggio che lo univa al più vicino portello di emergenza. Il passaggio era costituito da un cunicolo aderente, scavato sotto la plancia degli strumenti e un uomo robusto come Yossarian poteva sgattaiolarci dentro con notevole difficoltà».

Il velivolo protagonista del romanzo di Joseph Heller è sicuramente il B-25, monoplano terrestre a doppia coda e ala media alimentato da due motori Wright Cyclone da 1.700 cavalli che prende il nome dal famoso pioniere del “potere aereo”, il generale di brigata William “Billy” Mitchel. Nel ruolo di bombardiere medio, era capace di trasportare una buon carico bellico (circa 2200 chilogrammi di bombe), ma in realtà era dotato di un pesante armamento difensivo che lo rese particolarmente versatile nel corso del conflitto in quanto svolse missioni di bombardamenti ad alto e basso livello, mitragliamento, fotoricognizione, pattugliamento sottomarino e persino come caccia. A partire dal 1939 fino al 1945 ne furono prodotti circa 10’600 esemplari nelle varie versioni. Si dimostrò prezioso in tutti i fronti in cui fu impiegato da quello del Pacifico – in cui si rivelò un’arma fondamentale –  a quello europeo, e nordafricano. Fu la colonna portante dell’USAAF (l’Aviazione dell’esercito USA) e, dopo la guerra, fu utilizzato per alcuni anni anche da altre aviazioni sparse ai quattro angoli del pianeta. (foto proveniente da www.flickr.com)

Così nel naso di plexiglass del suo B-25, Yossarian assieme a sé non ci voleva nessuno, nemmeno l’ufficiale di rotta Aarfy, quando da sotto, già loro sul bersaglio, arrivano i colpi della contraerea. Voleva via libera verso l’agognato portello d’emergenza che significava la salvezza e imprecava ogni volta contro i progettisti del Mitchell perché non avevano ne avevano previsto uno anche in

«quella maledetta vaschetta per pesci rossi sospesa mentre quelle sporche maledette bordate di artiglieria gli tuonavano e rimbombavano ed echeggiavano tutt’intorno e di sopra e di sotto con un malvagità crescente e crepitante e fantasmagorica e cosmologica che screpava e sballottava e fracassava e assordava e perforava, e minacciava di annichilire tutti in un frammento di secondo dentro un ampio lampo di fuoco. Aarfy non gli era mai stato utile come pilota di rotta».

Joseph Heller ha ventidue anni quando raggiunge in Corsica il 488° Squadrone bombardieri, “The Avengers”, del 340° Bomb Group, 12° Air Force. Si è arruolato, a diciannove anni, due anni prima, nel 1942. I suoi genitori sono ebrei emigrati dalla Russia. Il padre, Isaac, è arrivato negli Stati Uniti nel 1913, è un simpatizzante dei socialisti e per mantenere la famiglia fa le consegne per conto di una panetteria. Gli Heller, una famiglia di povera gente, vivono a New York, a Coney Island, nel quartiere di Brooklyn dove Joseph nasce il 1° maggio del 1923. Lui è il più piccolo dei tre figli: ha una sorellastra, Sylvia, e un fratellastro, Lee. A sei anni Joseph perde il padre in seguito alle complicazioni subentrate dopo un intervento chirurgico. La madre ha serie difficoltà con la lingua del paese di adozione e la famiglia, privata dello stipendio di Isaac, non se la passa affatto bene.

Questo B-25, appositamente restaurato e riverniciato secondo la livrea del 488 Bomb Squadron che nel corso della II Guerra Mondiale era basato in Corsica, ha assunto le sembianze del mitico ‘LI’l Critter From The Moon’, proprio quello su cui svolse le sue missioni l’autore di “Catch 22”. La foto è stata scattata nel 2015 all’interno dell’hangar verniciatura del Museo Imperiale della Guerra di Duxford, Cambridgeshire, in Regno Unito, viceversa, oggi lo possiamo trovare appeso a fare bella mostra di sé sempre all’interno del American Air Museum proprio di Duxford (foto proveniente da www.flickr.com).

Quando Joseph si diploma alla Abraham Lincoln High School nel 1941 scrive già da tempo racconti e novelle.

Nel dicembre di quello stesso anno, dopo aver subito un attacco dei giapponesi alla base navale di Pearl Harbor, gli USA entrano in guerra. Per risollevare il morale della nazione il presidente Roosevelt approva una rappresaglia contro il Giappone. Una squadriglia di bombardieri compirà un ardito raid per colpire infrastrutture civili e militari a Tokio. Un’azione dimostrativa per lanciare un bellicoso messaggio ai vertici militari giapponesi e all’imperatore Hirohito che regnava dal 1926, per diritto divino, e sognava di dare al suo popolo un vasto impero conquistando più terre possibili nel sud-est asiatico: non siete invincibili e possiamo colpirvi ovunque, anche a casa vostra, c’era scritto sulle bombe che piovvero sulla capitale giapponese. Il compito di guidare la missione quasi sucida è affidato al colonello ed eroe dell’aviazione James Doolittle, Jimmy per gli amici, un californiano già famoso come audace aviatore che nel 1932 aveva stabilito il record di velocità. 

Nello stesso anno in cui i bombardieri Nakajima 97, gli Aichi 99, scortati dai caccia Mitsubishi Zero, indisturbati si fiondano in picchiata sugli incrociatori e le corazzate alla fonda nella baia di Pearl Harbor nell’isola di Ohau nelle Hawaii, a nord-ovest di Honolulu, il futuro scrittore Joseph Heller già lavora. Si era diplomato alla Abraham Lincoln High School, aveva subito iniziato a lavorare in un’agenzia di assicurazioni in qualità di archivista. Poi trovò un impiego come aiutante fabbro presso il Norfolk Navy Yard.

Nell’ottobre del ’42 si arruolò nell’aviazione e ottenne i gradi di ufficiale dopo aver frequentato la scuola cadetti. Quando nel ’44 fu inviato al 488° Squadrone della dodicesima forza aerea in Corsica.

Aveva cucito sulla tenuta di volo il grado di tenente addetto al puntamento per lo sgancio delle bombe, proprio come il pavido Yossarian di Comma 22.

«La guerra è quasi divertente all’inizio, avevi la sensazione che ci fosse qualcosa di glorioso in quello che facevi. Al ritorno a casa mi sono sentito un eroe. La gente pensa che sia stato notevole che io abbia volato su di un aereo da combattimento per sessanta missioni, anche se dico che erano in gran parte milk runs, come si diceva in gergo: lente e noiose missioni, dove non succede niente di che».

Yossarian non sarebbe d’accordo. Heller rimase in Corsica a combattere da maggio a ottobre del 1944. Alla trentesima missione però si dovette ricredere: volare in un cielo di guerra non è certo una passeggiata.

Era in volo verso Avignone, sul fiume Rodano, nel sud-est della Francia che quel giorno era l’obiettivo da bombardare. Lui è accucciato nella “vasca dei pesci rossi” sul muso del suo B-25 quando il copilota perde la testa e quindi il controllo dell’aereo che iniziò a picchiare schiacciando il corpo di Heller contro la parte superiore del vano trasparente di prua, dove lui stava in qualità di puntatore. Il comandante riprese il controllo del loro B-25 e il giovane tenente di Coney Island si rese allora conto che dentro quegli aeroplani si rischiava veramente la pelle; la morte lo aveva sfiorato.

Cosa poteva vedere il mitragliere di prua del B-25 Mitchell? Esattamente quanto testimoniato da questo scatto d’epoca. Le cronache storiche riportano che il B-25 fosse un bombardiere particolarmente rumoroso tanto che costò l’udito a parecchi equipaggi che lo utilizzarono durante il conflitto (foto proveniente da www.flickr.com)

Durante quell’incursione il mitragliere di coda rimase gravemente ferito e Heller rimase molto impressionato tanto da riproporre quell’episodio in Comma 22. La vittima è il compagno di Yossarian, Snowden, un ragazzo che conosceva appena, e che

«era stato ferito malamente e giaceva nel freddo della morte in una pozzanghera di luce gialla e assolata che gli scendeva sul viso da una feritoia dell’aereo […] Dobbs [il pilota, N.d.R.] l’aveva implorato attraverso il collegamento radio di soccorrere il mitragliere. […] Snowden giaceva sul pavimento con le gambe divaricate, appesantito e ostacolato dalla tuta protettiva, con in testa l’elmetto con le cinghie del paracadute e il Mae West sulle spalle».

Heller concentra tutto l’orrore della guerra in cinque dense pagine in cui descrive nel dettaglio l’agonia del compagno, mentre cerca di soccorrerlo tamponando le orribili ferite causate dalle schegge di un colpo di contraerea. Con la cassetta del pronto soccorso, dove qualcuno ha rubato dodici fiale di morfina per rivenderle al mercato nero, cerca in tutti i modi di alleviare il dolore di Snowden che continua a ripetere con un filo di voce

«Ho freddo, ho freddo»,

e lui che gli risponde:

«Andrà tutto bene, ragazzo, su, su andrà tutto bene».

Yossarian si è fatto ricoverare in un letto di ospedale per una finta malattia, per cercare di sfuggire all’ennesima missione di guerra e nel dormiveglia di una notte insonne ripensa alla morte di Snowden. Ma è come fosse Heller in prima persona che racconta e rivive l’episodio, anni dopo nel momento della stesura del libro. Come per Yossarian il ricordo è talmente vivo da togliergli il sonno, allo stesso modo allo scrittore di New York è necessario potersene liberare sublimandolo per mezzo della scrittura.

Una delle foto più memorabili della storia statunitense della II Guerra Mondiale: il decollo di un bombardiere medio terrestre modello B-25 dell’USAAF (Aviazione dell’Esercito USA) dal ponte di volo della … portaerei  statunitense USS Hornet che fu l’inizio dell’operazione organizzata e comandata dal colonnello James H. Doolittle: bombardareTokyo! Il “Doolittle Raid”, così fu chiamata, fu la prima missione statunitense di bombardamento della capitale giapponese e del suolo giapponese. Non ebbe un risvolto militarmente significativo, tuttavia strategicamente e psicologicamente dimostrò che il Giappone non sarebbe rimasto inavvicinabile e soprattutto impunito. In realtà non uno ma ben 16 velivoli B-25B Mitchell furono lanciati in volo con a bordo 5 uomini di equipaggio, privi di armi difensive e di scorta di caccia ma con una quantità minima di bombe. Il loro sarebbe stato un volo senza ritorno giacché non avrebbero potuto atterrare sulla portaerei (o ammarare nei suoi pressi) ma solo raggiungere la Cina. La storia narra che uno solo di essi giunse indenne a Vladivostok (in Unione Sovietica) mentre gli altri tentarono atterraggi di fortuna che, senza più carburante, furono rovinosi ma in territorio cinese. La vicenda è stata raccontata nella parte finale del film “Pearl Harbour” del 2001 (foto proveniente da www.flickr.com)

Heller rientrato in patria dopo la guerra, nel 1945, sposa Shirley Held. Nel 1952 nasce Erica e quattro anni dopo Theodore. Un anno dopo la nascita della prima figlia, Heller inizia a scrivere il suo romanzo partendo da una frase, quella che apre il primo capitolo e che pare gli sia sgorgata come d’incanto. Non pensa subito a un romanzo, ma tutt’al più ad un racconto: non ne è così entusiasta e decide di proseguire a scriverlo solo se qualcuno è disposto a pubblicarlo. Il titolo cui ha pensato è Catch18, ma lo cambia in Catch22 per non confonderlo con un altro libro dal titolo analogo, uscito anni prima: Mila18 dello scrittore Leon Uris, quello di Sfida all’O.K. Corral ed Exodus.

Il romanzo di Heller esce nel 1961: la critica è divisa. Il Chicago Sun-Times parla del «miglior romanzo dell’anno», mentre altri lo considerano «disorganizzato, illeggibile, e grossolano». In Inghilterra diventa subito un best sellers. Per i giovani Yossarian diviene il portabandiera dell’antimilitarismo.

Dopo il coinvolgimento degli Stati Uniti nella guerra in Corea nel 1951, nell’anno di pubblicazione di Comma 22, il governo americano muove i primi passi che porteranno la potenza USA a intervenire in Vietnam.

«Inizialmente Comma-22 istigava ogni addetto alla censura a mettere il proprio nome su ogni lettera incontrata»,

racconta Heller nel 1977 alla rivista The Sixties.

«Poi, andando avanti, creai deliberatamente situazioni contradittorie ed elaborai degli stratagemmi narrativi. Iniziai ad allargare l’applicazione del Comma-22 per abbracciare porzioni sempre più ampie del sistema sociale. Comma-22 divenne una legge: «loro» possono farci qualsiasi cosa che noi non siamo in grado di impedire «loro» di fare. […] Yossarian è convinto che non ci sia nessun comma 22, ma non importa fino a quando la gente crederà che ci sia. Di fatto nessuno dei punti di vista – il sospetto e la sfiducia nei confronti degli ufficiali del governo, il senso d’impotenza e persecuzione – coincideva con le mie esperienze come bombardiere durante la seconda guerra mondiale.

Uno splendido B-25 perfettamente efficiente che potremmo incontrare in tutta la sua folgorante bellezza in una di quelle tante manifestazioni aeree che si tengono periodicamente in ogni dove degli Stati Uniti (foto proveniente da www.flickr.com)

I sentimenti antimilitaristi e antigovernativi del libro appartengono al periodo successivo. Comma 22 era più politico che psicologico. Nel romanzo l’opposizione alla guerra contro Hitler era data per scontata. Il libro affrontava invece i conflitti esistenti tra un uomo e i suoi superiori, tra di lui e le sue istituzioni. La lotta più dura è quando uno non sa chi lo sta minacciando e lo sta sfinendo, ma sa comunque che c’è una tensione, un antagonista, un conflitto di cui non è possibile immaginare la fine. […] In un modo o nell’altro, ogni personaggio nel romanzo è in balia di qualche contesto. Alterno situazioni in cui l’individuo è in conflitto con la società a situazioni in cui la società stessa è il prodotto di qualcosa di oscuro […] che sfugge ai limiti della ragione.

Ma c’è una frase che vale tutto il libro e con questo chiudo questa recensione: 

«Apri gli occhi, Clevinger. Non fa una dannata differenza chi vince la guerra con qualcuno che è morto… Il nemico è chiunque ti prenda. Ucciso, non importa da che parte stia».


Testo a cura di Massimo Conti, didascalie della Redazione di VOCI DI HANGAR



Articolo giornalistico / Medio – lungo

Inedito

§§§ in esclusiva per “Voci di hangar” §§§

# proprietà letteraria riservata #


Massimo Conti

IL club MELC


Un libro usato trovato curiosando su una bancarella lungo la Senna, con in copertina la foto di un P-51 North American Mustang. Delle note al suo interno scritte a matita da uno sconosciuto proprietario … e quel nome “deBoyer”, porzione del cognome della madre di Antonie de Saint-Exupéry.

“Accanto al nome c’era scritto: … domandare a…”.

Uno degli splendidi acquerelli (tra la decina dei disegni un po’ infantili e anche un po’ naïf)  che adorna il libro “Il piccolo principe”. Furono elaborati dallo stesso autore e sono celebri quanto il romanzo (foto proveniente da www.flickr.com)

Marc Fabrien, protagonista della storia, è un pilota di linea che all’età di 7 anni rimase affascinato dal racconto del “Il Piccolo Principe” di Antoine de Saint-Exupéry, appunto, tanto da volerne sapere di più su questo scrittore-pilota. Al fascino dei suoi scritti si univa il mistero della sua scomparsa, avvenuta il 31 luglio del 1944 quando si inabissò, con il suo P-38 Lightning, nelle acque di fronte la Provenza; il suo corpo non fu mai trovato. E ora il ritrovamento casuale di questo libro riaccendeva la sua curiosità; allora niente di meglio che rintracciare tre vecchi amici, anch’essi piloti, con i quali condividere questa avventura. Soprattutto il vecchio Luc che per primo gli aveva raccontato la storia del “Il Piccolo Principe”. Marc, Edouard, Claude e Luc : “Il Club MELC”.

La copertina dell’opera universalmente più conosciuta dello scrittore-pilota francese. Quella ritratta è una copia in lingua italiana che risale addirittura al lontano 1965 e che ha alle spalle una storia singolare; il suo proprietario, certo sig Alfredo Liverani dichiara infatti: “Sono molto affezionato a questo libro che mi fu regalato dalla Prof.ssa Rosa C. Ogni anno, quando si avvicina il Natale, lo rileggo”. In effetti, appassionati o non appassionati di volo e di aviazione, chi non ha letto da bambino o da adulto “Il piccolo principe”? Pochi, molto pochi, almeno a giudicare dalle statistiche di vendita di questo libro davvero universale (foto proveniente da www.flickr.com)

Luisa Sala autrice del racconto “Il Club MELC” ha partecipato alla X edizione del concorso “Racconti tra le nuvole” non qualificandosi tra i finalisti. Ancora una volta una scelta della giuria per noi incomprensibile, ma che assolutamente rispettiamo.

Questo racconto è un invito per il lettore a leggere o rileggere, a scoprire o riscoprire quello che è da tutti riconosciuto come il capolavoro di Saint-Exupéry.

“Il Piccolo Principe”, come molti libri per ragazzi ha in realtà una duplice chiave di lettura: una favola per bambini, una riflessione molto profonda per gli adulti. Il senso della vita, l’amore, la solitudine, la mancanza sono i suoi temi fondamentali. Il Club MELC vuole essere una riflessione per coloro che si sono dimenticati di essere stati dei bambini, che hanno abbandonato i loro sogni. Che non vanno oltre le apparenze e la materialità delle cose. Il racconto termina con una dichiarazione d’intenti:

“… Il Club MELC avrebbe realizzato grandi progetti. Ne ero certo. Più che mai”

Più che un finale quasi l’inizio per una nuova storia. Perché la vita è una bellissima avventura da vivere.

Un grazie a Luisa Sala per questo suo racconto, che troverà ospitalità nel nostro hangar, assieme alle altre Voci

Così ha invece riassunto l’autrice il suo racconto:

La vicenda è ambientata in Francia.

“Il piccolo principe” è il soggetto di questo splendido graffito realizzato a Predore (BG) a cura di un grafitaro dal nome Wiz Art. Come tutti i libri destinati all’infanzia, anche e soprattutto questo volume ha diversi piani e/o chiavi di lettura tanto che, a ben leggere, è destinato più agli adulti che ai ragazzi (foto proveniente da www.flickr.com)

Marc Fabrien è un pilota di linea de l'”Air Corsica” ed è stato anche pilota privato per il Club della Camargue in passato. È un tipo insolito che tira sempre dritto per la sua strada.

Gli piacciono le storie e i vecchi libri, quelli usati, già  vissuti e quando va a Parigi  trova sempre il tempo di perdersi lungo il viale dei ‘bouquinistes’.

È appassionato della vita e della leggendaria scomparsa di Antoine de Saint-Exupéry il pilota autore de “Il Piccolo Principe”.

Questa passione risale alla sua infanzia quando, grazie allo zio meccanico aeronautico in un hangar di Marsiglia,  Marc conosce Luc, un pilota che lo avvicina ai misteriosi codici lasciati da Saint-Exupéry nel suo capolavoro. Anni dopo, grazie a un libro acquistato a Parigi, riapre la porta dell’universo dei codici legati alla scomparsa misteriosa del grande pioniere. Le coincidenze si intrecciano.

A testimoniare l’universalità de: “Il piccolo principe”, ecco tutte assieme alcune delle sue più disparate copertine disponibili nelle varie lingue terrestri (si contano circa 505 traduzioni tra lingue e dialetti). Pubblicato il 6 aprile 1943 a New York nella traduzione inglese (The Little Prince) e poi in francese, è evidentemente uno dei libri per l’infanzia più conosciuti al mondo (foto proveniente da www.flickr.com)

Il giorno in cui a Marsiglia Marc incontra Luc e due suoi cari amici, i quattro fondano il loro club esclusivo, il Club MELC per investigare sulla leggendaria scomparsa dello stravagante pilota Saint-Ex. Per suggellare il compito, a bordo del Cessna  di Luc, in silenzio, sorvolano la porzione di Mediterraneo dove Saint-Exupéry si inabissò col suo P-38 Lightning in quel lontano trentun luglio millenovecentoquarantaquattro.


Recensione di Franca Vorano, foto e didascalie a cura della Redazione

Foto di copertina proveniente da www.flickr.com


Narrativa / Medio – Lungo

Inedito

Ha partecipato alla X edizione del Premio letterario “Racconti tra le nuvole” – 2022