Sono rimasto sorpreso nel vedermi capitare fra le mani un ennesimo libro sul tragico epilogo del volo del DC9 Itavia che precipitò in mare dalle parti dell’isola di Ustica nel 1980. Avevo letto diversi libri sull’argomento. Ognuno prendeva in esame la notevole mole di elementi relativi, non solo al volo, ma anche a tutta la situazione politica internazionale di quel momento. Ognuno cercava di formulare delle ipotesi plausibili, ma nessuno riusciva a mettere esattamente a fuoco la vera causa del disastro. Ogni libro indicava una delle cause possibili come quella più probabile e utilizzava gli elementi disponibili in modo da poterla sostenere. E le cause possibili erano già diverse sin dall’inizio.
Si pensava ad una guerra aerea avvenuta nel mediterraneo, con caccia di diverse nazionalità che inseguivano un caccia libico, un MIG 23, che si era messo in formazione sotto l’aereo civile dell’Itavia per non farsi vedere dai radar. Il suo scopo era quello di attraversare abusivamente lo spazio aereo italiano e raggiungere la Libia, proveniente dalle officine aeronautiche che avevano sede nella Yugoslavia.
Una cosa possibile. Ma sommersa da una gran mole di dichiarazioni e smentite che, di fatto, lasciavano tutto allo stato, appunto, di ipotesi.
Si pensava ad una bomba a bordo, ma anche questa possibilità aveva sostenitori e oppositori, che usavano gli stessi elementi per sostenerla o negarla. Potenza della dialettica…
Qualcuno aveva messo in evidenza le condizioni economiche della società Itavia. Gli aerei non ricevevano le dovute manutenzioni e proprio quel DC9, in un precedente volo, aveva manifestato problemi di forti vibrazioni. Le vibrazioni, per una macchina che vola, sono una cosa deleteria, specie se superano certi valori e persistono a lungo. Ma è anche vero che la robustezza di un aereo di linea è notevole. Difficile che si possa smantellare in volo come se fosse esploso.
Qualcun altro aveva ipotizzato che il Mig 23 potesse aver superato il DC9 per sfuggire ai caccia nemici, coinvolgendolo così nella propria turbolenza di scia, notoriamente temibile. Ma per quanto temibile, la turbolenza di un aereo non potrebbe certamente smembrare un liner. Altrimenti che ne sarebbe di qualunque aereo passeggeri in caso di attraversamento di uno spazio aereo interessato da condizioni di turbolenza in aria chiara (C.A.T. che sta per Clear Air Turbolence), la peggiore esistente?
Per ognuna di queste ipotesi esistevano forti indizi nella situazione di quel periodo. Si poteva sostenere tutto e il contrario di tutto.
L’ipotesi della bomba a bordo era stata subito fatta, ma era stata anche accantonata, per lasciare il posto ad ipotesi più evidenti, forse, oppure più convenienti, o solo più “suggestive”. E le fazioni politiche che avevano interesse a far prevalere una teoria piuttosto che un’altra si diedero subito da fare.
Sin dall’inizio la faccenda divenne un guazzabuglio infernale, di proporzioni sempre maggiori.
Nel libro tutte queste teorie sono ben presenti e analizzate, messe in luce sotto diversi punti di vista.
In questo nuovo libro ho ritrovato gran parte delle cose che già sapevo, per aver letto gli altri libri e per motivi personali.
I motivi personali riguardano il fatto che nel 1980 avevo appena lasciato l’Aeronautica Militare. Ero fuori, facevo un altro lavoro, ma ero rimasto sempre nell’ambito aeronautico e, ovviamente, conoscevo tante persone, molti controllori del traffico aereo, compresi alcuni di quelli coinvolti, in modi diversi, in questo fatto. Alcun di loro frequentavano la mia famiglia e quindi ero stato davvero a contatto con la vicenda.
Però nessuna di queste persone ha mai detto di conoscere la causa del disastro. Nessuno sapeva davvero cosa fosse successo. Anzi, proprio loro avrebbero voluto ardentemente saperlo.
Ognuno conosceva la propria piccola parte.
Si era perso un aereo. Era scomparso dai radar. Erano state avviate le procedure di ricerca previste in questi casi. Di più non si sapeva.
Nei giorni successivi tutti noi cercavamo sulle pagine dei quotidiani gli sviluppi delle ricerche, in attesa di conoscere la verità.
Quella che ancora oggi manca all’appello.
Diciamo subito che in questo libro la verità non viene rivelata. E, per ammissione degli stessi autori, non è questo lo scopo che si erano prefissi nello scriverlo.
Il loro intento è contenuto nelle ultime tre righe della presentazione della quarta di copertina: “Questo libro vuole ripercorrere quanto accaduto dal 1980 a oggi separando i fatti dalle false notizie. Perché non può esistere alcuna verità laddove il verosimile viene confuso con il vero e le opinioni tradiscono le fonti documentali della storia”.
Ho letto tutto il contenuto con grande interesse e posso dire che lo scopo di separare i fatti dalle false notizie, quelle che oggi si chiamano “fake news”, è stato raggiunto. Gli autori hanno sistematicamente preso in esame ogni singolo elemento, spiegandolo con la perizia che soltanto uno storico e un pilota sperimentale, uniti nel compito, possono fare. Hanno separato i fatti dalle chiacchiere di corridoio, che nel corso degli anni avevano assunto il rango di fatti inconfutabili, ad opera dei media e della loro autorevolezza. Hanno indicato, dove possibile, quali interessi politici avevano sostenuto le varie tesi, anche quando queste erano perfino assurde.
Hanno addirittura messo in luce l’opera dei cosiddetti periti, che veri periti non erano, ma che hanno prodotto documenti autorevoli, usati in tempi successivi come riferimento per ulteriori “analisi”.
Ci sono volute tutte le 368 pagine del libro per passare in rassegna la gran quantità di fango che si era accumulato nel corso dei decenni.
Gli autori sembrano orientati verso una delle ipotesi, quella della bomba a bordo. Anche se si sa chi potrebbe aver avuto interesse a compiere una cosa del genere, si sapeva anche all’epoca, nessuno ha mai rivendicato nulla e con gli elementi disponibili non si può provare veramente alcunché.
Tutte le ipotesi restano ancora aperte e lo resteranno finché qualcosa di nuovo, di risolutivo, non verrà fuori.
Non so se l’ipotesi della bomba sia quella giusta oppure no. Come ripeto, ad oggi la verità è ancora celata chissà dove. Non so nemmeno se verrà mai fuori.
Però, per chi fosse interessato a vedere un po’ più chiaramente i fatti, ben separati dalle fake news, questo libro è indispensabile.
Dopo, ognuno si potrà fare la propria idea personale.
Recensione a cura di Evandro A. Detti (Brutus Flyer).
Didascalie a cura della Redazione di VOCI DI HANGAR
titolo: Il Gruppo Buscaglia e gli aerosiluranti italiani
autore: Martino Aichner – Giorgio Evangelisti
editore: Longanesi & Co
anno di pubblicazione: 1967
ISBN: non disponibile
Questo libro va ai giovani italiani di oggi e di domani, perché sappiano che tra noi giovani di ieri vi fu chi operò in guerra con capacità e serietà.
Un manipolo di questi giovani che, certamente, ha ben meritato della patria, costituiva il gruppo autonomo aerosiluranti Carlo Emanuele Buscaglia.
I fatti narrati sono veri e documentati, i caratteri dei protagonisti, messi a fuoco dalle lente di venticinque anni, sono veri: l’insieme rappresenta le illusioni e le delusioni di questo gruppo di uomini
Si avvia con questa breve premessa il libro scritto a quattro mani da Martino Aichner e Giorgio Evangelisti dedicato ad uno dei più gloriosi reparti della Regia Aeronautica. Un reparto – strano a dirsi – non da caccia ma che, al pari di quelli ben più blasonati da caccia, si distinse nel corso della II Guerra Mondiale per audacia e senso del dovere anche e soprattutto per merito del suo ufficiale al comando, Carlo Emanuele Buscaglia, appunto, riconosciuto a tutti gli effetti come uno dei più grandi assi italiani nella storia dell’Arma Azzurra.
In verità, sebbene il titolo intenda abbracciare la storia degli aerosiluranti italiani, è innegabile che il protagonista assoluto di questo volume di 236 pagine (in formato pocket) sia proprio il suo comandante.
Giorgio Evangelisti così sintetizza la figura di Buscaglia e, in definitiva, il contenuto del volume:
Il primo aprile 1942 assunse il comando del 132° gruppo autonomo aerosiluranti. Aveva soltanto 26 anni, era capitano, aveva vissuto mille avventure, si era coperto di gloria e aveva ricevuto numerose ricompense al valore; per la regia aeronautica egli rappresentava non soltanto un esempio di virtù militare da imitare, ma addirittura un simbolo, una bandiera da seguire: Il reparto di nuova formazione che venne posto ai suoi ordini era costituito dalla 278° squadriglia aerosiluranti (quella dei quattro gatti) e dalla 281° che sotto il suo comando aveva già operato con tanto successo nell’Egeo e nel Mediterraneo orientale. Di queste due gloriose squadriglie Buscaglia, con le sue innate doti di comando, seppe fare un tutto omogeneo, un’arma formidabile che si impose all’ammirazione e al rispetto del nemico.
Di questo reparto in particolare, tratta questo libro.
L’immagine più vivida o, se preferite, la descrizione più attendibile di Buscaglia, ce la rende però l’altro autore, Martino Aichner, che, nato a Trento, classe 1918, fu scelto dallo stesso asso quale suo aiutante maggiore e dunque partecipò attivamente a tutte le operazioni del gruppo, sempre a stretto contatto del suo pilota più carismatico, quel Buscaglia assurto agli onori della propaganda fascista per aver dato prova – indubbiamente – di ardore guerresco ma anche di perizia tecnica e acume tattico.
Così infatti ne tratteggia la figura la medaglia d’oro al valor militare Martino Aichner:
Era l’asso degli aerosiluranti italiani e probabilmente anche di tutti i belligeranti, con 26 azioni di siluramento; 26 volte nel fuoco di sbarramento e sempre sotto, con un’onestà di condotta che poteva risalire soltanto a fanatismo o a senso del dovere senza limiti. E io posso testimoniare che Buscaglia non era un fanatico.
Nelle prime pagine del libro è presente un sedicente ritratto fotografico dell’asso italiano ma lo riteniamo di pessima fattura, praticamente inguardabile. Fortunatamente nel web sono disponibili alcune istantanee che ci hanno consegnato la vera immagine di Buscaglia, tuttavia ci piace osservarlo attraverso gli occhi di Aichner che così lo descrive:
Nato a Novara, nel 1915, Carlo Emanuele Buscaglia aveva allora 26 anni. Era un giovane alto, robusto, dal viso regolare con una leggera fossa nel mento, uno sguardo tagliente che aggrediva l’interlocutore con una espressione decisa e più vecchia della sua giovane età. […]
A questo punto verrebbe da pensare che l’autore del libro fosse letteralmente affascinato dal suo comandante, che addirittura lo idolatrasse nonostante egli non fosse un carattere propriamente facile; è pur vero che Aichner scrisse questo libro a distanza di ben venticinque anni dagli eventi narrati e dunque con sufficiente freddezza e – immaginiamo – adeguata obiettività. In effetti, questo è quanto ci confida l’autore circa il suo ufficiale superiore:
Si son dette tante cose sul carattere di Buscaglia, e poiché egli fu elevato a simbolo del combattente alato italiano della seconda guerra mondiale, come lo era stato Baracca nella prima, evidentemente su di lui si sono puntati maggiormente gli sguardi e gli strali della critica. Era certamente un uomo normale, con i difetti di ogni creatura. L’elemento del carattere che lo faceva superiore a qualsiasi altro era l’incredibile forza di volontà dimostrata in ogni occasione.
D’altra parte – ci tiene a precisarlo Aichner nel corso della sua ricostruzione storica – il comandante Buscaglia partecipò a tutte le missioni operative del suo reparto, sempre al comando della sparuta manciata di uomini e di aerosiluranti impegnati nelle sortite diurne o notturne, sempre in testa, in prima fila con il suo velivolo, a capo del suo equipaggio. Espressa in questi termini può apparire un mero aspetto propagandistico o una manifestazione gratuita di vana gloria … ebbene lo stesso Aichner riporta con identica schiettezza che:
La media delle azioni di siluramento da cui si può tornare vivi è di tre
ossia dopo tre missione di volo operativo l’aerosilurante era destinato inesorabilmente ad essere abbattuto dal feroce fuoco contraereo o dalla caccia nemica. Sorte che – per inciso – sarà impietosa verso lo stesso autore e, neanche a dirlo, anche per il comandante Buscaglia. Ma delle loro vicissitudini avrete modo di leggere nel libro e dunque non anticiperemo altro.
Certo è che l’asso degli aerosiluranti fu davvero un ottimo comandante sebbene Aichner non ne esalti le doti di pilota se paragonato ad altri eccelsi “manici” in forza al reparto. Questo era l’uomo Buscaglia:
Il comandante si interessava di tutto: andava a assaggiare il rancio della truppa e dei sottufficiali, visitava ogni giorno le baracche degli alloggiamenti, gli ammalati in infermeria, l’officina dei siluristi. Controllava di persona la messa a punto dei siluri e dei motori e seguiva tutto come il capo di un’industria segue il proprio stabilimento.
Buscaglia inoltre, nonostante le apparenze di “fegataccio” impavido, era uomo estremamente assennato e aveva un’elevatissima considerazione dei suoi uomini al punto che, lo riporta sempre l’autore, gli fece questa confidenza:
“Gli avieri” mi disse un giorno, ”hanno più bisogno di essere assistiti di noi ufficiali. Guai se un soldato non si sente protetto e difeso dal proprio ufficiale; le loro necessità e le loro esigenze sono più semplici, ma più urgenti delle nostre. E se un ufficiale non dà l’esempio nel momento del pericolo o della difficoltà, che cosa si può pretendere dal soldato?”
Nonostante questo, a distanza di tanti anni da quei giorni di guerra, oggettivamente, ci viene difficile pensare che il nostro comandante non fosse un esaltato o un invasato del regime fascista, al centro di una propaganda di cui era diventato simbolo e al contempo vittima, suo malgrado. L’autore invece, ci tiene a precisare che:
Buscaglia non fece mai segreto delle scarse simpatie per il fascismo. Egli aveva una viva ammirazione per Mussolini come uomo e come capo […] ma disprezzava, e lo diceva apertamente, tutte le bardature del regime, la pomposità, la retorica […]
Questa è la testimonianza che ci ha reso Aichner al netto di alcuni episodi illuminanti in cui il comandante non le mandò certo a dire ai suoi superiori incompetenti o prendendosi gioco del gerarca di turno. Perché, come ci rivela sempre l’autore a proposito di Buscaglia:
Il suo motto era il mazziniano: “Dio, patria e famiglia”. Nella completezza e nell’umiltà di questi tre simboli egli trovava l’ispirazione e la forza per la sua azione, portata avanti con tenacia e un coraggio difficilmente concepibili se non legati alla fede di un grande ideale.
Ovviamente anche gli altri ufficiali piloti membri del Gruppo autonomo non erano meno del suo fondatore e molti di loro, come lui, non giunsero vivi alla fine del conflitto. Tra loro ricordiamo in particolare Giulio Cesare Graziani e Carlo Faggioni solo per citarne alcuni. Ma di loro avremo occasione di parlare con il pretesto di recensire altri libri a loro dedicati o scritti addirittura di loro pugno.
Tornando a “Il Gruppo Buscaglia e gli aerosiluranti italiani”, occorre precisare che il libro è strutturato in tre sezioni nettamente distinte di cui la prima e l’ultima sono curate da Giorgio Evangelisti mentre quella centrale è appannaggio di Marino Aichner. Il primo si è preoccupato di fornire le necessarie premesse a proposito della storia degli aerosiluranti e su cosa accadde dopo il fatidico 8 settembre 1943, il secondo ha raccontato la sua vicenda personale che va dal suo arrivo al reparto aerosiluranti fino alla sua uscita a seguito del suo abbattimento con conseguenti ferite di guerra.
La lettura di questo libro è veloce e appassionante perché la prosa degli autori è fluida e assai piacevole. Quella di Evangelisti è tipica del giornalista che ha l’onere di collocare storicamente le vicende narrate dal suo compagno editoriale. D’altra parte era necessario creare un contesto, attribuire un contorno temporale con connotazioni tecniche alle attività del 132° Gruppo Autonomo Aerosiluranti e – dobbiamo ammetterlo – che lo scopo è raggiunto perché questa parte del volume, sebbene meno appassionante, è certamente utile alla comprensione di quanto accadde.
La prosa di Aichner, benché più evocativa, è decisamente articolata in quanto alterna stralci di racconto in prima persona a parti con discorso diretto inframezzate anche dal testo giornalistico stilato da terze persone. In altri termini, non è assolutamente una raccolta di memorie bensì un narrare con molti dialoghi, quasi fosse un romanzo. Probabilmente la parte più statica della narrazione è quella relativa alla corrispondenza con gli ufficiali britannici e con l’Ammiragliato britannico che gli convalidarono ufficialmente l’affondamento del cacciatorpediniere britannico Bedouin e che gli valsero la medaglia d’oro al valor militare. Nel 1988. In realtà una medaglia d’argento al valor militare gli era stata conferita per lo stesso episodio da Mussolini in persona in quanto che la Regia Marina italiana aveva reclamato per suoi meriti l’affondamento del naviglio da guerra in questione.
Tornando alla prosa di Aichner, occorre ammettere che è moderna e per nulla faziosa, non sembra neanche scritta da un autore che ha ricevuto un’istruzione classica durante gli anni ’30; egli era divenuto avvocato prima dello scoppio della guerra e, appassionato di volo, si era brevettato divenendo eroe per caso.
Martino Aichner ci ha lasciato già alcuni anni orsono dopo che, tornato alla vita civile, fondò la Aersud elicotteri, azienda sussidiaria italiana della Aérospatiale francese. Sen non altro, egli ebbe il tempo di rivedere il suo SM 79 Sparviero, sebbene con la livrea dell’Aviazione Libanese, recuperato e restaurato all’interno del Museo Caproni di Trento. A imperitura memoria, la città di Trento ha onorato questo illustre cittadino con una strada che porta il suo nome. Con tanto di targa segnaletica che ricorda la sua medaglia d’oro al valor militare.
Di Giorgio Evangelisti non sapremmo dire granché tranne che la sua compartecipazione a questo volume è stato probabilmente uno dei suoi primi lavori editoriali, notevole prologo – non c’è che dire – di quella che poi si è sviluppata come una strepitosa carriera giornalistica.
Nel web non siamo riusciti a trovarne uno straccio di biografia, tuttavia sappiamo esserlo ancora in attività; ad oggi egli è autore di decina di volumi storico-aeronautico e dunque gli va riconosciuto di essere uno dei più prolifici e lodevoli divulgatori di storia dell’aviazione. Una sentito grazie da parte nostra e di tutti gli appassionati del settore.
In conclusione – la storia ce lo insegna – il Gruppo Buscaglia pagò un tributo elevatissimo in termini di uomini e mezzi come pure è certo che le azioni del reparto, benché spesso vanificate da guasti tecnici dei siluri (e forse anche da sabotaggi), furono dichiarate dall’ammiraglio Cunningham, comandante in capo della Marina britannica del Mediterraneo, una vera spina nel fianco degli Alleati, in particolare dei convogli che, da Gibilterra, rifornivano Malta e il Nord Africa. Dunque onore delle armi al quel gruppo di piloti che, come ricorda il sottotitolo della copertina, erano
i più spericolati: si gettavano negli sbarramenti micidiali della contraerea sino a sfiorare le navi nemiche per poterle affondare.
A distanza di più di settanta anni da quei giorni lontani, le gesta degli aerosilurantisti italiani si fanno sempre più sbiaditi; coloro che vissero quei giorni ci hanno ormai lasciato sotto l’inclemenza del tempo inesorabile mentre le generazioni attuali – a torto o a ragione – preferiscono curarsi più delle prodezze sportive del calciatore di turno o della diva al centro del chiacchiericcio effimero dell’universo digitale … ma tant’è. Grazie al cielo e – diciamolo pure – per merito di tanti uomini di buona volontà, è scoppiata la pace da molti anni ormai. Ciononostante il libro di Aichner/Evangelisti rimane lì, scolpito nelle pagine a perenne memoria di quanto accadde, a testimonianza dell’audacia e del senso dell’onore di uomini che sono d’esempio nei periodi storici – sempre più frequenti, è innegabile – in cui vengono meno i valori di amor patrio e di appartenenza alla comunità italiana tutta.
Vi dobbiamo confessare che chiudiamo la stesura di questa recensione mentre, per un caso assolutamente fortuito, scorrono in diretta, in televisione, le immagini della parata militare ai Fori Imperiali di Roma in occasione della giornata in cui si festeggia la Repubblica italiana. La lettura di questo volume era cominciato diversi giorni orsono ma è alla vista dei reparti in grande spolvero e soprattutto al passaggio delle Frecce Tricolore con la loro bandiera verde-bianca-rossa più lunga del mondo che ci sorge più forte il senso di orgoglio da una parte, e di riconoscenza dall’altra, nei confronti di chi ha sacrificato la propria esistenza per difendere l’onore della patria.
La recensione di questo libro dalle pagine ormai ingiallite è dunque il pretesto per consigliare una piacevole lettura ai visitatori del nostro hangar e al contempo – in tutta serenità – per mantenere vivida una pagina della nostra storia davvero memorabile.
Recensione a cura della Redazione di VOCI DI HANGAR
Didascalie a cura della Redazione di VOCI DI HANGAR
Attenzione: Non esiste il Tag Autore Martino Aichner–Giorgio Evangelisti
Mentre cercavo un libro tra le centinaia che si allineano sulle mensole della mia libreria mi è capitato tra le mani questo volume e subito l’ho messo da parte con l’intenzione di rileggerlo.
Lo avevo già letto parecchi anni fa e non una sola volta. Da questo libro è stato tratto un film, uscito nel 1991, che all’epoca avevo visto e mi era piaciuto molto.
Oltre a rileggere il libro vorrei rivedere anche il film.
Non esito a definire “Il volo dell’incursore” uno dei racconti più avvincenti che mi siano capitati nella vita. E poi, come pilota, lo considero uno dei pochi che non contiene elementi di disturbo, quali, ad esempio, descrizioni approssimative o inesatte. Di solito, vedendo film ambientati nel settore aeronautico, i piloti sono sempre molto critici. Alla più piccola inesattezza, magari motivata dalla necessità di rendere la storia più avvincente, più facile, comprensibile ed accessibile al grande pubblico, il pilota, invece, si indigna. Punta subito il dito, esprimendo ciò che pensa del film con le più efficaci e vivide parole idiomatiche di frequente uso nell’ambiente aeronautico, che non riporto qui per motivi di decenza.
Mentre leggevo il libro, però, con il più acuto spirito critico pronto a rilevare anche la minima inesattezza, non ne ho trovata alcuna. Le pagine scorrevano, le descrizioni erano tutte perfettamente veritiere, la terminologia impeccabile. Sembrava di vivere nel reale mondo aeronautico.
Tutto si svolge su una portaerei che naviga al largo delle coste del Vietnam. Il protagonista è un pilota di jet, guida una squadriglia di cacciabombardieri che partono dalla portaerei e compiono incursioni nell’entroterra vietnamita, su diversi tipi di obiettivi quasi sempre celati nelle foreste.
Il jet è un A-6 Intruder. Incursore, appunto.
La storia si svolge sia a bordo della nave sia durante le missioni di guerra.
Il modo di scrivere dell’autore è talmente efficace che si resta incollati alle pagine per ore ed ore. La suspense è talmente densa da prendere il lettore e rendergli difficile anche una breve pausa.
Il pilota, anche lui, anzi, soprattutto lui… ne resta ipnotizzato.
Le descrizioni, tutte le descrizioni, per un pilota sono talmente esatte e veritiere da “vedere” attraverso le parole. Sembra di vedere il paesaggio, il ponte di volo, l’interno dell’abitacolo (anche l’illuminazione del cruscotto strumenti durante i voli notturni), le foreste e le pianure buie o illuminate dalla Luna.
Conoscendo la geografia generale del Vietnam, perfino le descrizioni della penetrazione a bassa quota provenendo dal mare e la descrizione delle virate, a destra o a sinistra o verso punti cardinali o specifiche prue per raggiungere gli obiettivi, risultano esatte. E questo un pilota lo nota.
Incredibile.
Poi c’è la descrizione delle sensazioni, delle emozioni. Di tutte quelle fasi di volo che comportano una reazione da parte del pilota. Perfino quando, nel bel mezzo di un pericolo imminente, il pilota reagisce con azioni immediate e spesso disperate, senza mostrare emozione alcuna. Almeno sul momento.
E le comunicazioni radio?
Non c’è film o storia narrata che non contenga esempi di comunicazioni radio tra pilota e controllore, ma anche tra piloti e piloti, assolutamente inesatte, sbagliate sotto ogni punto di vista, con terminologia improbabile che nessuno userebbe in aviazione.
Qui no. Tutto perfetto.
Anche se, devo dire, il riporto di posizione trasmesso alla portaerei, da parte del caposquadriglia quando dal mare supera la linea di costa e comincia a sorvolare la terraferma, o viceversa, appare alquanto banale. Nell’intento di non farsi capire da eventuali ascoltatori nemici, il caposquadriglia non dice, ad esempio: “costa superata, entriamo sul continente” oppure: “Lasciata la terra, siamo sul mare”. Usa una forma più ermetica, dice: “Aquila nera, qui diavolo cinque zero zero, piedi asciutti”, se dal mare è entrato sulla terra. Oppure: “Aquila nera, qui diavolo cinque zero zero, piedi a mollo”, se dalla terra esce sul mare. Non mi sembra ci voglia molto a capire la situazione, anche descritta così. Però è la realtà, la forma di comunicazione realmente usata dalle squadriglie americane durante le vere missioni.
Del resto, anche i nostri piloti che partono su allarme, vengono autorizzati al livello iniziale, espresso in, ad esempio, ventimila angeli, per significare ventimila piedi.
Certo, così un nemico in ascolto capisce ugualmente a quale quota una squadriglia è stata autorizzata a salire.
Però, come dicevo prima, è tutto reale. Tutto corrisponde alla realtà.
Lascio lo svolgimento delle vicende del libro al lettore, che le scoprirà da solo.
Ma voglio mettere in evidenza un elemento di questo libro che, secondo me, ha una grandissima importanza.
La storia si svolge durante la guerra del Vietnam e le azioni descritte sono azioni di guerra. Quindi sono spesso cruente e anche queste sono descritte in maniera impeccabile.
C’è lo spirito americano in ogni pagina.
Tra i piloti protagonisti serpeggia il malcontento. Si critica l’assegnazione delle missioni, spesso condotte verso obiettivi inesistenti, come risaie, file di alberi, depositi di carcasse di camion eccetera. Obiettivi di cui non si capisce l’importanza, strategica o tattica che sia. Nulla che possa essere considerato decisivo per uno scopo qualsiasi. Però in queste missioni gli incursori sono presi di mira da tutte le armi nemiche, come contraerea, caccia avversaria e razzi. E ogni volta qualcuno di loro esplode in volo, o viene abbattuto e comunque non rientra.
I piloti si interrogano sull’opportunità di rischiare la vita in una guerra condotta in questo modo e si domandano se la guerra stessa è giusta. Sono legati da una grande solidarietà, basata sulla loro immensa passione per il volo, che è la vera ragione per cui sono lì a pilotare dei cacciabombardieri.
In quegli anni si diceva che le migliori caratteristiche di un pilota militare fossero due: un grande culo e un piccolo cervello. La prima caratteristica aiutava ad essere un pilota molto abile, un manico, perché si è sempre detto che l’aereo si guida con il culo, primo organo di senso in assoluto. La seconda consente di affrontare ogni missione senza troppo riflettere sul fatto che le proprie azioni portano morte e distruzione su vittime spesso inermi, come la popolazione civile. Oppure ci si lascia la pelle.
Questi piloti, invece, seppure molto bravi, più di altri, visto che decollano ed atterrano sul ponte di una nave, non hanno certo un piccolo cervello. Hanno sentimenti e opinioni personali. Infatti organizzano una vera missione verso un obiettivo degno: Hanoi.
Ovviamente la loro missione non è autorizzata. Qualcuno passerà certamente dei guai. Ma poi…
Chi leggerà il libro vedrà come va a finire.
Intanto, vorrei aggiungere che nel libro, ad un certo punto si profila il personaggio di una ragazza.
Ce ne sono anche altre, ma questa interagisce quasi subito con il protagonista della storia.
Le loro conversazioni e le loro vicende costituiscono un altro elemento avvincente del libro.
Per concludere, vorrei spiegare perché tutta la storia è narrata con la perfezione che ho menzionato sopra.
L’autore, come ognuno può vedere facendo una breve ricerca su Google, parla come un pilota perché è un pilota. Ed ha volato proprio come pilota della marina degli Stati Uniti. Pilotava un A-6 Intruder e ha partecipato alla guerra del Vietnam. Nonostante sul libro, nelle prime pagine, ci sia scritto che questo romanzo è opera di fantasia, che nomi, personaggi e avvenimenti sono immaginari e qualsiasi riferimento a persone, a fatti e a luoghi realmente esistenti o esistiti è puramente casuale, lui è stato realmente in quei luoghi e ha compiuto quelle azioni.
Certamente, non esattamente quei luoghi e quelle azioni, ma qualcosa di estremamente simile.
Perciò, pur essendo un romanzo, “Il volo dell’incursore” può essere considerato una eccellente testimonianza storica e come tale vale la pena di cercare il libro sulle bancarelle o in rete, di acquistarlo e leggerlo.
Dopodiché, molti si metteranno alla ricerca anche del film.
Recensione a cura di Evandro Detti (Brutus Flyer)
Didascalie a cura della Redazione di VOCI DI HANGAR
Nella prefazione del suo libro, datata gennaio 2011, Achille Cesarano scrive:
“Non so spiegare come nasca un sogno in un bambino, né come questo sogno diventi desiderio nel ragazzo e infine talento nell’uomo”.
Avrei potuto scrivere le stesse parole, neanch’io mi so spiegare questo percorso. Eppure ho seguito la stessa strada da quando, ad appena due o tre anni, ho visto passare un aereo ad elica, bassissimo sopra il tetto della casa dei miei genitori, nella campagna maremmana. Un sogno, che è poi diventato ardente desiderio negli anni dell’adolescenza ed infine talento una manciata di anni più tardi, quando ho conseguito la licenza di volo. E da allora non ho mai smesso di volare. L’amore per l’aria è divenuta una sorta di “malattia” incurabile.
Dice ancora Achille nella sua prefazione:
“Il misterioso amore per l’aria mi ha portato a realizzare negli ultimi anni alcuni progetti speciali, come volare in parapendio con un gabbiano per insegnargli a tornare libero in natura, il viaggio in deltaplano a Capo Nord e sul deserto del Sahara fino a Dakar, i record di quota italiani, la migrazione guidata di una coppia di cicogne lungo l’Italia…”.
Ecco. Il contenuto del libro è questo.
Il primo capitolo si intitola “Il gabbiano”. E’ la storia del rocambolesco salvataggio di un pulcino di gabbiano caduto dal nido (che in realtà non esiste, è solo un piccolo avvallamento nel terreno o una esigua porzione di parete rocciosa) e finito su uno scoglio sottostante dal quale rischiava di precipitare in mare, tra la furia delle onde.
Achille, insieme ad un amico, porta in salvo il pulcino.
Segue un certo periodo di laborioso lavoro per nutrirlo e farlo crescere. Infine arriva il momento di insegnargli a volare.
Il racconto, corredato di magnifiche fotografie, è piuttosto toccante, anche se lo stile della narrazione è sobria, senza enfasi, assolutamente priva di retorica. Eppure arriva ugualmente a toccare certe corde profonde nell’anima di chi legge. Quando giunge il momento in cui Achille, volando sul Monte Conero con il suo parapendio, vede il gabbiano (al quale ha dato il nome di Jonathan, Johnny per gli amici, come il famoso Jonathan Livingstone di Richard Bach) volare insieme a lui, è letteralmente un sogno che si realizza. E questo sogno si ripete molte volte per un certo periodo di tempo. Un paio di mesi.
La natura però segue sempre il suo corso. I gabbiani sono uccelli veleggiatori che si spostano per migliaia di chilometri. E’ impensabile che uno di loro possa rimanere troppo a lungo in un luogo qualsiasi.
Scrive Achille:
“A volte, mentre sono in volo, vedo Johnny girarmi intorno e poi allontanarsi, distratto dal passaggio dei suoi simili. Il mio primo istinto è di richiamarlo; lui ascolta ancora la mia voce e virando torna indietro verso di me. Ma sento che il giorno dell’addio si avvicina”.
Infatti, una domenica, mentre Achille vola insieme ad altri amici e a Johnny, passa uno stormo di gabbiani diretti a sud verso il monte Conero. Johnny fa un largo giro intorno ai suoi amici umani, poi aumenta la velocità per raggiungere lo stormo. Si unisce ai suoi simili e se ne va.
“Da quel giorno non l’ho più rivisto”, dice Achille.
Poche righe più sotto dice anche: “sono contento che Jonathan sia tornato libero”. Ma si percepisce una certo amarezza, che continua nelle frasi seguenti.
Una sensazione che conosco molto bene. Ci sono passato parecchie volte.
Come ho scritto nel mio libro “Zingari del cielo”, ogni cornacchia che allevavo da ragazzino, dopo essere stata con me per qualche mese, dopo essere venuta a posarsi sulla mia spalla tutte le volte che la chiamavo, cominciava a farsi più diffidente, più restia ad avvicinarsi, perfino per prendere il cibo e alla fine se ne andava. Ce ne erano molte in giro nella campagna, a volte mi illudevo di riconoscere la mia, ma in realtà non la rivedevo più.
Andava sempre così. Per questo dico di sapere bene cosa ha provato Achille quando il suo gabbiano se ne è andato.
Il libro prosegue con il racconto delle sue esperienze di ragazzo e presto arriva quello delle prime vere vicende di volo. La prima vela, i primi voli.
Poi il delta. E con questo mezzo Achille raggiunge addirittura Capo Nord, nel 2005.
Andare a Capo Nord in deltaplano a motore non è semplice. Achille non ci va da solo, ma con un amico che vola con lui con un altro deltamotore. Il capitolo relativo a questo viaggio parla dei preparativi accurati e dei criteri da seguire nella realizzazione di una simile impresa. Resta il fatto che il viaggio è molto lungo, sono migliaia di chilometri. Anche se diviso in più tappe, sono molte ore di volo ogni giorno.
Proprio come fanno i gabbiani. Sembra che sui gabbiani non possa operare l’imprinting di un essere umano. Ma qui, non sarà successo il contrario?
La narrazione, infatti, prosegue con un altro viaggio lunghissimo. Ancona-Dakar, nel 2007, sempre in deltamotore.
Entrambi i capitoli sono corredati di bellissime fotografie.
Arriva poi il capitolo che riguarda il record di quota del 2008. Testo e foto sono di alto interesse per chiunque sia appassionato di cose aeronautiche, ma per me lo sono ancora di più. Infatti, di questa impresa avevo sentito parlare, in quel periodo, da alcuni colleghi controllori del traffico aereo. La Torre di controllo di Ancona Falconara aveva fornito assistenza ad Achille durante la salita e la discesa, in ottemperanza al relativo NOTAM emesso per l’occasione. Un’impresa piuttosto difficile, che necessita di un gran numero di coordinamenti ed il superamento di parecchie difficoltà. Ma alla fine il record è stato realizzato. Diciassettemilasettecento piedi di quota con un deltaplano a motore. Mentre sopra e sotto continuano a passare aerei di linea… Niente male davvero!
E Achille descrive tutto questo con il suo stile asettico, come se si trattasse di una passeggiata.
L’ultima parte del libro tratta di un progetto scientifico: aiutare le cicogne a migrare lunga una nuova rotta affinché dopo possano continuare da sole negli anni successivi. E anche questo, secondo me, è un altro sogno che diventa realtà.
Il mondo degli umani e quello degli animali, seppur così vicini (viviamo praticamente insieme), sono in realtà abbastanza distanti. Sarà per questo che, ogni volta che la distanza si riduce, o meglio, ogni volta che ci illudiamo di aver ridotto la distanza tra noi e loro, proviamo un’intenza emozione. Da ragazzino desideravo ardentemente di essere un rondone, di volare via insieme alle mie cornacchie, ed anche di possedere un aeroplanino tutto mio, con il quale volare sopra la mia casa e salutare i miei genitori da lassù. Da grande ho realizzato quest’ultimo desiderio, ma gli altri… sono rimasti sogni.
Eppure, nella seconda metà degli anni ottanta, nel periodo pionieristico del volo ultraleggero, ho creduto di aver realizzato il sogno di volare con le cornacchie.
Facevo l’istruttore in una specie di club con scuola di volo, su un’aviosuperficie nei dintorni di Roma. Utilizzavamo i primi ultraleggeri tubi e tela di quegli anni e qualche deltamotore. Durante il decollo, subito dopo aver staccato le ruote da terra, passavo a pochi metri da alcune querciole che crescevano di fianco alla pista. A volte vedevo volare via dai rami diverse cornacchie e per un brevissimo tempo ci trovavamo a volare insieme. Per me era una forte emozione.
Ma come ho detto, durava pochi istanti. All’epoca non sapevo nulla di qualcuno che potesse volare con gli uccelli per lunghi percorsi. L’impresa di Achille, come anche le imprese di Angelo d’Arrigo e di altri, è qualcosa che va oltre ogni immaginazione.
Per questo invito tutti a procurarsi questo suo libro.
L’ultima parte è dedicata proprio al resoconto di una migrazione di cicogne, guidate da Achille con l’utilizzo di un deltamotore progettato e costruito allo scopo. Anche qui troverete bellissime foto.
Le imprese di Achille non sono finite con quest’ultima impresa. Soltanto il libro finisce. Tutto ciò che ne segue può essere facilmente trovato in rete, articoli e filmati.
Nella terza di copertina del libro, comunque, all’interno di una bustina trasparente incollata alla pagina, c’è un DVD. Contiene i filmati registrati durante il volo per la realizzazione del record di quota, con tanto di tracce audio delle comunicazioni tra lui e gli enti di controllo del traffico aereo.
Un bel libro da leggere, per trarne non soltanto l’emozione che ci trasmettono le vicende narrate, ma anche, per molti, una notevole fonte di ispirazione.
Non si sa mai da cosa può nascere il sogno di un bambino, né se questo sogno possa diventare desiderio nel ragazzo e infine talento in un uomo.
Ma potrebbe nascere proprio da un libro come questo.
Recensione a cura di Evandro Detti (Brutus Flyer)
Didascalia a cura della Redazione di VOCI DI HANGAR
titolo: Falco F8L – Album del Falco Club – I capolavori di Stelio Frati
a cura di: Gherardo Lazzeri con la collaborazione diSandro Rosati e Luigi Aldini
editore: LoGisma
anno di pubblicazione: 2008
ISBN: 9788887621730
Questo libro, pubblicato dall’editore LoGisma in collaborazione con il Museo aeronautico “Gianni Caproni” di Trento, è una raccolta di articoli, notizie, pubblicazioni e presentazioni, corredate da moltissime foto e da interessanti documenti. La prefazione è di Maria Fede Caproni Armani, di recente scomparsa.
Le 168 pagine del libro tracciano la storia di un fantastico aereo, l’F8L, in particolare, ma anche di tutti gli altri aerei usciti dalla mente e dalla matita del grande progettista Stelio Frati.
Questo aereo fu costruito inizialmente dalla ditta Aviamilano, con sede proprio a Milano, poi la produzione si spostò a Trento, presso lo stabilimento industriale Caproni. La ditta che lo costruiva era la Aeromere, ma in seguito divenne Laverda.
Ho sempre sostenuto che l’aeronautica e il motociclismo hanno gli stesso cromosomi e qui, una volta in più si dimostra che un aereo può essere costruito da una fabbrica di motociclette (ma, ovviamente, la Laverda non costruiva solo quelle).
La Laverda, comunque, da quel momento in poi, costruì tutti gli esemplari oggi ancora volanti, veri gioielli, contesi dagli appassionati e dai collezionisti di tutto il mondo.
L’F8L è conosciuto anche come “la Ferrari del cielo”. Le sue linee pulite, la levigatezza delle sue superfici ed il ridotto ingombro frontale fanno sì che l’aereo possa beneficiare di una ridottissima resistenza aerodinamica e possa raggiungere velocità considerevoli, con una motorizzazione di limitata potenza, di cento o centocinquanta cavalli. Il tutto, unito a consumi davvero molto contenuti.
Oltre al Falco, dalla matita di Stelio Frati sono usciti altri prestigiosi aeroplani, citati ed illustrati nel libro:
l’F7 Rondone,
l’F15 Picchio,
l’F14 Nibbio,
l’F20 Pegaso
l’SF 260
L’ultimo nato era l’LN 27 Furio.
Le caratteristiche eccellenti de questi aerei ne hanno fatto, specialmente nel caso del Falco, una macchina ideale per le gare di rallye aereo, che sono gare di regolarità, ma anche per le gare di velocità, disputate prevalentemente intorno a dei piloni. Infatti nel corso di tanti anni hanno partecipato e vinto numerose gare. Qualche pilota è diventato perfino famoso.
Uno dei più famosi è stato Luciano Nustrini. Un personaggio piuttosto particolare che ho avuto modo di conoscere di persona per aver partecipato al Giro Aereo d’Italia del 1982. Il mio aereo era un Morane Saulnier 150, uno dei più lenti. Il suo era un F8L Falco, velocissimo, divenuto famoso per le vicende che si sono svolte negli anni successivi. Il nominativo era I-ERNA.
Nustrini emigrò in Nuova Zelanda e si portò appresso molte cose, tra cui il suo Falco. E con questo, purtroppo, precipitò in mare perdendo la vita, insieme alla moglie Giuliana, mentre sorvolava una regata che era appena cominciata e alla quale partecipava il suo amico Giovanni Soldini. Pochi giorni prima, Nustrini aveva volato su quelle acque neozelandesi con Soldini come passeggero.
Come ho detto il libro è una raccolta di tanti racconti e articoli, molti scritti dai proprietari stessi, tra cui proprio Nustrini. Nel Giro aereo d’Italia del 1982, nella tratta tra Crotone e Lamezia Terme, il percorso attraversava lo stretto di Sicilia e prevedeva il sorvolo di un punto di controllo situato su una montagna, nella punta nord orientale della Sicilia. Mi ricordo di quella tratta, perché non capita tutti i giorni di attraversare lo stretto a volo d’uccello. Non sono mai stato in Sicilia. L’ho sorvolata quel giorno e basta. Ma la salita verso la montagna siciliana, Antennamare, fu memorabile. Avevo cominciato a salire già dal traverso di Reggio Calabria. Impiegai tutti i circa venti km di mare per raggiungere la quota.
Sul libro Nustrini racconta come condusse lui la traversata e la salita. Altro aereo, altro approccio al problema. Lui si fece i venti chilometri dello stretto a due metri dall’acqua, a 360 km orari, per poi salire ripido, sfruttando anche la spinta di alcune correnti ascensionali dinamiche lungo i costoni che incontrava.
Questo libro è opera di Gherardo Lazzeri, editore LoGisma, che si è avvalso della collaborazione di due piloti proprietari di Falco F8L, Luigi Aldini e Sandro Rosati.
Di Luigi Aldini ho già scritto la recensione del suo libro,”Passione”. Ed ho accennato al Falco che si è costruito da solo. Andate a leggere la recensione pubblicata proprio qui, su Voci di Hangar. Comunque, anche su questo libro, si trova tutta la storia della costruzione, raccontata da Aldini stesso.
Sandro Rosati, del resto, è proprietario di un altro Falco ed è il Presidente del Falco Club. Anche lui partecipa alle gare e insieme ne abbiamo fatte molte, in passato.
Ho citato questi due illustri piloti solo come esempio, ma il libro contiene racconti di altri. Ognuno ha dato il proprio contributo per aggiungere qualcosa alla storia di questi splendidi aerei. Nel libro sono citati tutti i nominativi, con foto ed informazioni. Perfino Stelio Frati, l’ingegnere che li ha creati, ha fornito materiale proprio.
Ma un aereo tanto blasonato non poteva rimanere confinato nel ristretto ambito del paese di appartenenza. Negli Stati Uniti, dal 1982 la “Sequoia Aircraft Inc.” ha messo in vendita un kit di montaggio dell’F8L e sono già stati costruiti centinaia di modelli. Molti tra i proprietari degli esemplari di cui abbiamo parlato fin qui storcono il naso, quando si parla dei Falchi statunitensi. Ma si sa. I puristi lo fanno. In realtà la Sequoia Aircraft Inc. ha impedito che una macchina tanto ben riuscita si disperdesse tra i rottami di un’infinità di altri modelli, nei vari cimiteri degli aeroplani che ogni tanto capita di vedere in qualche angolo di aeroporto o tra mucchi di auto degli sfasciacarrozze delle nostre città. Gli esemplari storici sono qui. Aerei d’epoca, ancora tanto attuali. Quelli della Sequoia sono giovani, lucenti e splendidi. Almeno altrettanto apprezzati dai loro proprietari. Ammirati dai visitatori degli airshows.
La vita del Falco continua.
Recensione a cura di Evandro A. Detti (Brutus Flyer)
L'unico sito italiano di letteratura inedita (e non) a carattere squisitamente aeronautico.
Aforismi
E\' meglio \"una rapata\" che \"una derapata\".
(un istruttore al proprio allievo)
Q.T.B.
MECCANICO: Radio guasto in trasmizione. MECCANICO: Sostituito pulsante su cloche
(Suggerita da Big Mark)
Check-In
HOSTESS: Vuole finestrino o corridoio? PASSEGGERO: No, niente, grazie!”