La panchina


Contrariamente a quanto vorrebbe la sacra regola che assicura la fruizione di una buona recensione, non vi parleremo del racconto del buon Roberto Malaguti cominciando ad analizzare il prologo bensì esattamente il contrario: dall’epilogo. E questo in virtù del fatto indiscutibile che – al momento – abbiamo un’unica certezza che ci accomuna tutti, belli e brutti, ricchi e poveri, buoni e cattivi: la nostra esistenza terrena è destinata a terminare. Ossia prima o poi siamo certi che il nostro percorso in questa dimensione, in questa epoca, su questo pianeta avrà termine. Accadrà ai magnati dell’industria come al dipendente dell’anagrafe, all’emiro che naviga letteralmente nel petrolio come all’operaio della compagnia telefonica.

E’la famosa “livella” di Totò o, come usano dire coloro che si esprimono in modo forbito, la caducità dell’esistenza umana.

Un velivolo commerciale in decollo, uno dei tanti che animano i cieli al di sopra del parco dove si svolge la vicenda del racconto di Roberto Malaguti (foto proveniente da www.flickr.com)

Ma veniamo alle battute finale del racconto di cui dicevamo:

“Cosa facevi vicino a quel signore? Non lo avrai disturbato?”

“No mamma, credo stia dormendo mamma. Sai mamma, penso che stesse facendo un sogno bellissimo!”

“E questo cosa te lo farebbe pensare?”  Chiese la mamma sorridendo dolcemente.

“Sorride mamma, sorride come fosse tanto felice”.

Un finale positivo che lancia un messaggio di fiducia e di serenità: c’è altro dopo la nostra morte terrena. L’autore ne è fermamente convinto. Quanto convinto? Molto, giacché ha costruito una trama che all’inizio è volutamente statica e che contrappone i toni cupi del protagonista alla giocosità dei bambini nel parco, oppure la sua inquietudine interiore, il suo apparire distaccato, quasi assente o anche il chiaroscuro del suo vivere (più scuro che chiaro) che contrasta con la radiosità del suo luogo prediletto.

In effetti il prologo è ben anticipato dal titolo del racconto mentre la collocazione spazio temporale è rapidamente rivelata dall’autore: siamo in un parco milanese, in periferia, sul sentiero di discesa dell’aeroporto meneghino.

“La turbolenza di quel temporale spostava di continuo l’aereo mettendone a dura prova la resistenza strutturale. Il radar meteo si era ammutolito, sembrava che la paura si fosse impossessata anche dello strumento lasciandolo a decidere il da farsi da solo.” E’ uno dei passi del racconto in cui l’autore – con mirabile abilità – evoca una situazione di volo assolutamente verosimile. Magia della narrativa! (foto proveniente da www.flickr.com)

Naturalmente figura primaria è un pilota attanagliato dall’età senile e dai ricordi. Malgrado la sua indole dolce e cordiale, si è chiuso in sé stesso apparendo scorbutico quasi misantropo, arroccato nella “sua” panchina in attesa dell’inevitabile corso della sua esistenza. Ma a scompaginare questa vita noiosa e arida ecco una presenza imprevista che la sconvolgerà con delicatezza angelica.

Lo splendido libro citato nel racconto e che, ahinoi, non è disponibile in lingua italiana. Chissà che qualche editore non ascolti il nostro appello e lo renda finalmente fruibile per noi poveri lettori minati da una modesta conoscienza della lingua inglese ...

A questo punto non possiamo aggiungere di più: svelato l’epilogo e il prologo sarà vostra cura leggere cosa c’è nel mezzo; possiamo solo anticiparvi che sarà una lettura piacevole, per alcuni versi struggente e che – se ce ne fosse bisogno – ci rammenta che dobbiamo fare i conti con l’ineluttabile, prima o poi. Dunque perché non fare pace con sé stessi e giungere al quel momento con cristiana serenità?

Aggiungiamo semmai la breve sinossi fornita dall’autore in fase di partecipazione al Premio: 

Un uomo anziano, solo, ha fatto di una panchina solitaria il suo mondo. Un mondo fatto di attesa, solitudine e ricordi, paure legate all’età. In questo mondo non sembra esserci posto per nessuno, fino a quando tutto viene scosso dalla apparizione di una creatura femminile che sembra uscita da un sogno e che si rivelerà alla fine ben più di una semplice appassionata di volo.

Un racconto scritto con delicatezza, in “punta di tastiera” oseremmo dire; peccato che non abbia goduto del favore della giuria della XI edizione del Premio RACCONTI TRA LE NUVOLE … ma forse il tema toccato ha indotto i dieci magici giurati/e a preferire testi più positivi, meno malinconici. D’altra parte solo venti sono i racconti finalisti destinati a essere ospitati nell’antologia e, di fronte a tanta qualità, la logica matematica della valutazione è stata impietosa. Ciò nonostante i visitatori dell’hangar – ne siamo certi – leggeranno con sommo piacere questo racconto. Aggiungiamo a loro beneficio che sarà utile munirsi di qualche fazzolettino di carta perché c’è il serio rischio di qualche lacrimone accidentale. A noi è capitato ma è pur vero che siamo degli inguaribili romanticoni …

E’ cosi che ce lo immaginiamo il protagonista di questo racconto prima del suo fatidico incontro. Non ha gli occhiali da pilota ma visualizza idealmente l’immagine dell’uono seduto sulla “sua” panchina assorto nei ricordi (foto proveniente da www.flickr.com)

Ci piace chiudere questa recensione riportando la frase-testamento lasciata ai suoi ammiratori dal grande vecchio  Andrea Camilleri a proposito dell’esistenza umana. Risulta illuminante e collima – secondo quanto abbiamo letto – con quello che è il contenuto di questo racconto. Eccola:

“Alla nascita ti danno il ticket in cui è compreso tutto: la malattia, la giovinezza, la maturità e anche la vecchiaia e la morte. Non puoi rifiutarti di morire perché è compreso nel biglietto. O l’accetti serenamente e te ne fai una ragione o sei un povero cogl…!”




Narrativa / Lungo

Inedito

Ha partecipato alla XI edizione del Premio letterario “Racconti tra le nuvole” – 2023


Recensione e didascalie a cura della Redazione di VOCI DI HANGAR


NOTA: la foto di copertina, per la prima volta nella storia di VOCI DI HANGAR, non è un soggetto squisitamente aeronautico, tuttavia ci sembrava più che mai pertinente considerato il titolo e il luogo ove si svolge il raccconto


La panchina


Era lì, seduto su quella panchina da un tempo indefinito. Sempre solo, sempre in silenzio.

Il vociare dei bambini che sfogavano le energie represse dalla vita ripetitiva della periferia cittadina, sembrava non riuscire a penetrare la barriera di totale indifferenza di cui, si circondava con malcelata soddisfazione.

Capitava a volte che qualcuno di quei bambini, giovani membri di una vecchia umanità, gli ronzasse attorno, oppure facesse, per caso o con sottile malizia, rotolare un pallone fino sotto ai suoi piedi.

Una volta, caso unico, rimandò con un debole calcio, il pallone tra i piedi di una bimba, rimasta li ad aspettare, che il pallone finito, chissà per quale scherzo del destino, sotto i suoi piedi, le fosse restituito.

Quando le prime giovani mamme, arrivavano seguite dalla rumorosa nuvola di scalmanati ragazzini, lui, era già li. Al centro di quella panchina. Davanti, un ampio prato, regno incontrastato di corse, capelli scompigliati, sudore e voglia di inseguire i sogni nelle forme perfette di una sfera di plastica.

Su di un lato, pochi alberi, nei giorni assolati e caldi, offrivano ombra a qualche coppia di studenti che giocavano a innamorarsi, e sognare una vita di giorni sereni e pieni di speranze.

Lui, silenzioso era li. Ogni tanto alzava la testa, smossa dal suono di un aereo che sorvolava quella parte di periferia.

Aveva capelli bianchi e un aspetto curato, serio, austero. Un onnipresente paio di occhiali da sole nascondeva occhi e parte del viso. Un paio di occhiali ampi, scuri, quelli dei piloti americani, giovani belli e baldanzosi protagonisti dei film di qualche secolo prima.

Solo nei giorni di pioggia o nelle le rare mattinate in cui la nebbia rendeva il cielo una miscela lattiginosa e imperscrutabile, solo allora non usciva di casa, e la panchina restava sola.

Quella mattina, trovò ad attenderlo, una sgradita sorpresa.

Non realizzò subito cosa accedeva, forse perché la mente, si rifiutava di riconoscere nell’ombra, le fattezze di un essere umano seduto.

Avvicinandosi, complice la luce limpida del sole alle spalle, dovette cedere alla verità. Qualcuno si era seduto, sulla “sua” panchina.

Si fermò un attimo a qualche decina di metri di distanza. La “sua “panchina e una donna stavano sconvolgendo il suo mondo. Chi osava appropriarsi di quello spazio?  Infiltrarsi così, senza pudore, in quello che rimaneva della sua vita…

Quel pensiero lo fece vacillare. Sentì come se l’universo avesse smesso di espandersi e ora l’inerzia avesse preso il suo corpo e cercasse di trascinarlo verso terra.

Oscillò intorno alla nuova posizione cercando istintivamente di correggere questa variazione nell’assetto e di assumere un equilibrio stabile.

Nonostante gli anni, reagì efficacemente, e in un millesimo di secondo riacquisì l’equilibrio perso. La donna, seduta sulla “sua” panchina si alzò e lo raggiunse con espressione contrita tendendogli una mano per sorreggerlo ma, nel tempo impiegato a percorre lo spazio che li separava, l’anziano aveva riacquistato l’equilibrio.

La donna si ritrasse, come leggendogli nel pensiero, che le intimava di non toccarlo, poiché lui, sapeva benissimo correggere una tendenza fosse all’imbardata o all’aumento dell’angolo di assetto.

Lei accennò un sorriso imbarazzato verso quello sguardo diretto, che seppure protetto da una coppia di vecchi occhiali da pilota, sembrava parlare. Ritirandosi mormorò un timido “Mi scusi” dolce e sincero. Poi si rimise seduta sul lato della “sua “panchina.

L’uomo si guardò intorno come per accertarsi che nessun altro lo avesse visto in quella situazione, poi guardando la “sua” panchina occupata per un terzo da quella ingombrante presenza valutò rapidamente il da farsi.

Non era una sua proprietà, e in fondo lei, era arrivata prima. Il sole illuminava il cielo, quella mattina terso e pulito. Il meteo del vicino aeroporto prevedeva sereno, vento debole da sud, temperatura di 18 gradi con un punto di rugiada di 8° e un QNH di 1026 hPa, accettò di condividere lo spazio.

Quella donna lo incuriosiva, si fece forza ed esternando una assoluta noncuranza, la guardò con malcelata attenzione.

Il volto dai lineamenti delicati incorniciava occhi grandi e luminosi. Nasino, leggermente all’insù, labbra sottili e regolari. Capelli ricci, lunghi fino alle spalle, la fronte ampia.

Sedeva con le gambe unite le braccia conserte appoggiate su di queste, sembrava la rappresentazione classica di una maestrina dell’Ottocento.

Sulle gambe, quasi nascosto dalle pieghe del leggero soprabito color pesca, teneva un libro, due piccole scarpette scure, senza un filo di polvere completavano il quadro.

Si avvicinò e con un filo di voce chiese: “Mi scusi signorina, posso?”

Indicando con un cenno della testa la parte libera della panchina. La ragazza lo guardò negli occhi sfoderando un sorriso aperto e luminoso.

“Certamente!” L’anziano temette per un attimo che avesse intrapreso la strada di una conversazione non richiesta.

“Mi scusi se ho occupato il suo spazio, mi sposterò e troverò un altra panchina libera, non si preoccupi.”

Non voleva spaventarla, un turbinio di pensieri affollò la sua mente, stava andando in disorientamento spaziale. E se avesse frainteso la richiesta di restare, come una ardita avance di un vecchio solo e desideroso di parlare?

Il tempo rallentò mentre faticava a seguire i pensieri e sentimenti contrastanti gli affollavano la mente. Era terrorizzato al solo pensiero, ora si sentiva confuso…

Il mondo impazzito si rovesciò su sé stesso una volta e ancora una e ancora e ancora mentre lui, tentava di combattere contro la forza che lo schiacciava sul Martin Baker e un istante dopo cercava di strapparlo dallo stretto abitacolo del caccia per scagliarlo contro la bolla in perspex schiacciandolo come un polipo sbattuto sul molo di un porticciolo dai pescatori. Il rollio rallentò, l’orizzonte riprese progressivamente la sua posizione naturale, sentiva di farcela. Riprese il controllo dell’orizzonte.

“La prego, se vuole resti pure, non mi disturba affatto.”

Disse indicando il lato libero della panchina e con una sorta di timido sorriso concluse:

“Mi siederò per un poco, se non la disturba”

Una sensazione di calore salì dal petto, cosi violenta e improvvisa che temette per un istante fosse un principio di infarto.

Era invece il segno inconfondibile, di un’emozione dimenticata. Stava arrossendo.

Troppo tempo era passato da quando aveva parlato con qualcuno.

Faceva la spesa, chiedeva il prezzo della frutta, si faceva tagliare gli affettati, salutava il vicino di casa sul pianerottolo delle scale, ma parlare, raccontare, sentirsi parte della vita e delle emozioni di un altro essere umano, non ricordava l’ultima volta che era successo. Si sedette sul bordo della panchina, pochi centimetri più in là e sarebbe caduto sul prato. Chinò lo sguardo verso terra dalla parte opposta alla donna, per nascondere il rossore accesosi inopportunamente sul suo volto.

Stava valutando l’ipotesi di andare via e lasciare quella situazione imbarazzante quando il sibilo del Ryanair delle 08:15 da Malpensa gli fece istintivamente alzare lo sguardo.

Stabile sull’ ILS per la pista 28 destra avrebbe fra pochi secondi riportato il marker, come richiesto dal controllore di avvicinamento…

 

Seduto nella posizione di sinistra nella cabina del 737/800, gli occhi fissi all’ADI, seguiva con attenzione il procedere del velivolo sul sentiero di avvicinamento strumentale. Era perfettamente allineato con il sentiero di avvicinamento e il velivolo seguiva ubbidiente le indicazioni. Con le mani sulle manette, impostò la riduzione della spinta necessaria a ridurre la velocità a 130 nodi. Mentre molto delicatamente aumentava l’assetto per portare le ruote al contatto nel modo più delicato possibile, la striscia scura della pista diventava ogni istante più grande…

Seguì con lo sguardo il velivolo che proseguiva sul suo invisibile sentiero l’avvicinamento e, con la coda dell’occhio, notò la donna, con il suo nasino all’ insù, che seguiva la traiettoria dell’aereo. Un caso? Una semplice curiosità? Lei, poteva non sapere che il parco si trovasse proprio sotto la traiettoria di atterraggio del vicino aeroporto.

Credette di riconoscere qualcosa in quello sguardo, una luce che non era certo dettata dal caso o dallo stupore.

Lei, seguiva le linee sinuose e seducenti, dell’aereo, come un orchestrale segue la bacchetta del suo direttore.

Il velivolo prosegui il suo avvicinamento attraversando il cielo sopra di loro. La donna si voltò verso di lui accennando un sorriso, aprì il libro sulle sue ginocchia e cominciò a leggere.

Come tutti i giorni seguirono il volo delle 09:30 da Bruxelles Charleroi e subito dopo quello da Catania Fontanarossa, quindi il volo da Milano in ritardo, come quasi tutte le mattine, poi seguirono un Falcon 900, un Gulfstream e un anziano King Air.

Ad ogni passaggio, lei interrompeva la lettura ed alzava lo sguardo al cielo, seguendo la traiettoria del velivolo. Quella mattina passò più in fretta del solito. Stessi marmocchi rumorosi, stesse mamme, stessi cani, stessi padroni.

Ma lei, era differente da tutta quella umanità cosi impegnata in piccoli problemi polverosi, da non alzare mai lo sguardo al cielo.

La donna, si alzò, come fosse suonata la fine delle lezioni.

Spolverò delicatamente la panchina dove si era seduta. Rassettò le pieghe del soprabito e salutò con un sorriso splendente.

“Buona prosecuzione della sua giornata! Spero non averla disturbata troppo!”

La sensazione di calore esplose più forte della volta precedente, temette ancora che il cuore andasse in stallo.

 

La turbolenza di quel temporale spostava di continuo l’aereo mettendone a dura prova la resistenza strutturale. Il radar meteo si era ammutolito, sembrava che la paura si fosse impossessata anche dello strumento lasciandolo a decidere il da farsi da solo.

Il de-ice lavorava infaticabilmente distaccando piccoli iceberg dalle superfici delle ali, mentre le eliche lanciavano pezzi di ghiaccio sulla fusoliera provocando tonfi irregolari.

Aveva disattivato l’autopilota cercando di mantenere per quanto possibile assetto e velocità.

La pioggia, mista a grossi fiocchi di neve, sferzava il parabrezza facendogli pensare a quanta acqua avrebbero potuto ancora ingoiare le turbine prima di spegnersi.

Sarebbe stato triste non tornare a casa quella sera.

 

“Assolutamente no signorina!” esclamò sentendosi a disagio “Non mi ha disturbato, era molto che non avevo il piacere di una cosi discreta e piacevole compagnia “

Si stava sentendo come un imbranato sedicenne alla sua prima festa di liceo.

Lei sembro non sembrò imbarazzata affatto e rispose con cortesia: “Meglio così! Magari la volta prossima potremo scambiare due chiacchiere, se le farà piacere. Ora vado, buona giornata!”

Sorridendo si incamminò verso l’uscita, schivando un paio di ragazzini impegnatissimi a rincorrersi urlando come fossero cavalieri delle orde di Gengis Khan. La seguì con lo sguardo fino al limite del prato ma gli scalmanati alzarono una nuvola di polvere e lui ne perse la sagoma.

Lentamente, con la testa in mille pensieri disordinati, si avviò verso l’uscita. La mattina dopo giunse alla “sua” panchina in anticipo. Il parco non aveva ancora aperto e aspettò al cancello che un distratto impiegato comunale lo aprisse mentre lo guardava con un misto di scetticismo e compassione.

Si ritrovò solo, di certo la sconosciuta non aveva scavalcato le recinzioni pur di arrivare prima di lui, però ci aveva sperato e ci rimase piuttosto male. Si sedette al centro della “sua” panchina. Guardò l’orologio aspettando il primo volo della mattina il Ryanair delle otto e un quarto da Malpensa.

Nonostante il volo arrivasse con almeno 15 minuti di ritardo, quando il sibilo delle due turbine CFM56-3 lo annunciò, lei, non era ancora li.

Seguì la traiettoria del velivolo, che cercava di compensare il vento al traverso con il muso rivolto ad esso.

Quel vento non ci voleva, la costa frastagliata provocava una turbolenza imprevedibile e, come se non bastasse, un fitto rovescio di pioggia si era posizionato proprio sulla direzione di atterraggio. L’ intera Cornovaglia, sembrava oscillare sotto l’impatto delle onde oceaniche che si accanivano contro le scogliere scure generando montagne di schiuma bianca. Manteneva a fatica il sentiero di avvicinamento, prua al vento. “3 miglia al contatto!” Davide, seduto alla sua destra, non aveva più proferito parola da quando avevano lasciato il punto iniziale ma era ancora li, concentrato e sicuro si se.

“Chiedi l’ultimo vento e la visibilità per favore…” disse mentre lottava per mantenere stabile l’aereo sballottolato dalle raffiche di vento.

“Wind from 030° 25 gusting 40 knots, rain shower, visibility 500 ceiling 300!”

In quel momento entrò in cabina lo specialista di bordo, “Sarà il caso di andare in un posto più tranquillo?” Chiese con malcelata preoccupazione mentre un altro scossone lo costringeva a tenersi forte al cielo cabina.

“A trovarlo! “rispose Davide, “ci siamo, vatti a legare…”

L’aereo uscì da quell’ultimo piovasco trovandosi la pista, allineata con il finestrino laterale del primo ufficiale.

“OK, sono sul sentiero! Mantengo 20 nodi più della velocità di avvicinamento “Esclamò più per darsi coraggio che per una vera e propria necessità di coordinazione.

“500 alle minime!” Davide cominciò a riportare le quote di avvicinamento come da procedura operativa.

“AA 2835 you are cleared to land wind 045° 30 gusting 50 knots!”

La pedaliera sembrava aver preso vita e voler sfogare della rabbia repressa. Vedeva le scogliere sovrastate dalle onde. La pista cominciò a scorrere sotto l’aereo.

“Pedale, cloche, via motore…Contatto!”

La rubiconda ragazza del parcheggio, dai capelli rosso fuoco indossava un giubbotto giallo dalla esagerata scritta fluorescente “GROUND CREW”. Li guardò con una smorfia di apprezzamento mentre scendevano dal velivolo “Good job guys!”.

Quella notte dormì male. Eppure vennero a trovarlo molti amici. Qualcuno di loro lo aveva preceduto da poco, portato via dalla nostalgia, come diceva lui, qualcuno aveva chiuso le ali, altri in realtà non le avevano mai aperte. Ma il filo comune con tutti era che erano andati avanti, e ora era rimasto solo, ad aspettare il suo volo.

All’alba lo vide arrivare. Lo riconobbe, anche se era molto più giovane di come lo avesse mai visto nella sua vita. Una luce fioca ne indicava la presenza impedendo di vederne chiaramente i tratti, ma sapeva che era lui. Sentì stringersi la gola. Era passato tanto tempo dall’ultima volta che si erano visti.

Indossava una tuta da volo beige, con un folto colletto di pelliccia e in testa il cappello della Regia Aeronautica. Dimostrava forse venti anni, capelli folti, biondi come lui, non aveva mai visto, con uno spregiudicato ciuffo ribelle. Lo ricordava da sempre canuto. Gli occhi scuri, dallo sguardo acuto e penetrante, le mani, grandi, rassicuranti. La voce, forte e serena, quella voce che lo aveva accompagnato tante volte a dormire, che aveva calmato le paure, che aveva aperto le porte dei sogni con storie di volo e di aerei, di nuvole e di cieli notturni stracolmi di stelle.

“Ciao papà…” la voce uscì come un solo sottile e subito si chiuse in un singhiozzo.

Lui lo fissò negli occhi, rispondendo con un sorriso aperto: “Figlio mio. Ci ritroviamo finalmente.”

Si svegliò di soprassalto, con un senso di profonda malinconia addosso.

Cercò gli occhiali sul comodino. Erano passate da poco le sei, la luce cercava di farsi spazio tra le aperture delle tende. Ci sarebbe stata lei?

La città era già in piena frenesia da inizio giornata e lui, cercando di non essere notato più del necessario, attraversò le strade affollate. Raggiunto il cancello del parco si avviò lungo il viale polveroso, fiancheggiato da gruppi di oleandri che mostravano fieri i primi fiori vermigli. Giunse al parco giochi e dovette appoggiarsi ad una pianta per riprendere fiato. Aveva quasi corso e il cuore era balzato a mille.

Aspettò che acquisisse il suo battito usuale. Si diresse quindi con passo lento, verso la “sua” panchina. Nel mentre, scorreva l’infanzia la gioventù, gli anni in divisa, l’aquila dorata sul petto. E un qualcosa che non riusciva a ricordare.

Camminava lungo una strada, sempre la stessa. La percorreva ogni volta che cercava di ricordare. Non voleva essere su quella strada, vuota, triste, deserta. Ne sentiva l’ostilità.  Quella strada terminava contro un muro e non sapeva cosa ci fosse dietro. Più passava il tempo e più non voleva percorrerla. La scura e densa nuvola di pensieri che si stringeva intorno a lui, svanì improvvisamente.

“Buon giorno!”

Il saluto fu un’onda di calore, luce purissima, vento che spazza le nubi, la strada, il muro e tutte le domande svanirono via nella aria fresca di quella primavera.

Era li, seduta sullo stesso angolo della panchina, non un capello fuori posto, le gambe unite e le braccia conserte, sulle ginocchia il solito libro. Non un granello di polvere sulle piccole scarpette.

“Signorina! Sono contento di vederla. “Non avrebbe mai creduto di pronunciare quelle parole. “Grazie!”

“Grazie per cosa? “chiese la donna assumendo l’aspetto di una persona attenta alla risposta.

“Grazie di essere qui!”

Rispose pentendosi immediatamente di quello che aveva appena detto.

Lei sembrò gli avesse letto dentro e fermò la valanga dei pensieri che si stava scatenando con un’espressione di apprezzamento.

“Mi creda, so bene cosa sta provando capisco cosa significhi essere soli, sentirsi fuori posto. Anche io sono un po’ fuori posto da sempre sa!”

L’anziano abbassò un attimo lo sguardo poi indicando con la mano destra il libro che la donna aveva sulle ginocchia chiese con un filo di voce: “Posso chiederle cosa sta leggendo?”

La donna alzò il libro e lo volse verso l’anziano.

“Forever Flying, di Bob Hoover. Lo conosce?”

Era li, appoggiato al cofano dell’auto ammirando il cielo terso e luminoso. La folla si aggrappava alla recinzione dell’aeroporto sbracciandosi ad ogni velivolo che rullava per portarsi dai parcheggi alla linea di volo per iniziare la sua esibizione. Rimase quasi senza fiato quando lo Shrike Commander sfrecciò pochi metri sopra la sua testa uscendo basso alle sue spalle. Sfiorò la recinzione e per un attimo scomparve alla vista abbassandosi a filo del terreno per poi salire quasi in verticale contro il sole.

Il pubblico esplose in un boato quando, giunto all’apice della salita chiuse la manovra rovesciandosi verso terra. I motori divennero improvvisamente muti e un silenzio irreale avvolse l’aeroporto e la folla con il naso all’ insù.

Il sibilo del velivolo in accelerazione si fece sempre più alto mentre aumentava la velocità trascinato dal suo peso verso il suolo. Migliaia di occhi sempre più spalancati e mani indicavano il velivolo.

All’ultimo istante, cambiò traiettoria, sempre a motori spenti, trasformando la picchiata in un looping perfetto, poi uno slow roll in salita a 45°, virò stretto a destra portandosi all’ atterraggio.

Il touch down fu accolto con un boato dalla folla entusiasta. Il bimotore si fermò sulla pista all’altezza delle tribune centrali e a questo punto, fra lo stupore dei presenti, i motori, dati per spacciati, ripresero vita e il velivolo sfilò lentamente verso l’aerea di parcheggio tra l’ovazione della folla.

“Questo vuol dire aver manico! Ora chiudi la bocca, se non vuoi riempirla di mosche!” disse suo padre e aggiunse ridendo. “Spero solo che tu non voglia fare il pilota dimostratore!”.

“Papà! Ma è proprio quello che vorrei fare! “rispose senza togliere lo sguardo dal velivolo davanti alla recinzione a pochi metri da lui. Il pilota guardò verso quel ragazzino dall’ aria sognante con la bocca aperta e la pelle d’oca nonostante il caldo sole di quella tarda estate,  lo salutò, con un cenno della mano alla fronte…

Guardando la copertina del libro con malinconia esclamò:

“Lo sa, io l’ho visto volare! Una vita fa, uno dei pochi show in Europa a cui partecipò con il suo bimotore.” abbassò di nuovo lo sguardo, a voler tornare a quei tempi.

 “Ogni pilota alzava l’asticella. Ogni volo. Sfiorare la testa degli spettatori, radere l’erba sul bordo pista con le eliche. Questo era fare acrobazia, voleva dire impedire a chiunque di chiudere la bocca per la meraviglia e la tensione.”

Scosse la testa lentamente.

“Poi, tutto cambiò, distanze di sicurezza, spazi, quote, tutto si trasformò in nome di una sicurezza, giusta e necessaria, ma che cancellò quella parte primitiva, emozionale, quel battito accelerato del cuore.”

La donna posò il libro sulle ginocchia e prese la mano dell’anziano carezzandola delicatamente.

“Ci furono incidenti molto gravi, molte persone persero la vita. Non si poteva continuare cosi” – disse socchiudendo gli occhi.  “Volare, è libertà e gioia, non può essere dolore, paura, sofferenza o disperazione.”

Quel contatto, un’onda di piacevole calore, lo scosse fino nel più profondo della anima.

Si raccontarono la vita. Lei, sembrava conoscere ogni aereo citato, ogni manovra raccontata. Conosceva procedure e prestazioni di volo, il lessico del pilota.

Si interrompevano solo al passaggio degli aerei che procedevano sul sentiero di avvicinamento. Chiunque li avesse notati, avrebbe visto su entrambi lo stesso sguardo, luminoso e felice.

Parlarono dei tempi andati, quelli in cui i piloti decidevano rotta e quota da mantenere, e non si limitavano ad essere controllori di un sistema di computer. Bussola e orologio, storie di radiogoniometri e radiofari, parlarono delle lunghe tratte sul mare, dei voli notturni.

Portò le manette in avanti fino a che le lancette della potenza non raggiunsero, sfiorandola delicatamente, la linea rossa del 100 %. La lancetta dell’anemometro si spinse pigramente in avanti di pochi nodi, del resto non si poteva chiedere di più a quel bimotore, già si stava impegnando più del dovuto per farli arrivare in tempo a casa quella sera di Natale. Il vento in quota li aiutava benevolo. Guardò il collega alla sua destra con un sorriso soddisfatto. Ci sarebbero riusciti. La notte era limpida e senza luna. Lassù, un miliardo di stelle si preparavano ad una serata magica, mentre ventimila piedi più giù, le luci delle case facevano a gara con le stelle. L’aria fredda scorreva sulle superfici dalle linee morbide e affusolate producendo un sottile fruscio simile alle fusa di un grosso gatto. In fondo, pensò, non c’era un altro posto dove avrebbe voluto essere…

“Ora devo proprio andare.” Disse la donna.

“Si, capisco, spero non averla annoiata.”

“Assolutamente no, è stata una mattinata molto piacevole. Ne avremo ancora sono sicura.”

Si rassettò il soprabito, sorrise e si allontanò attraverso il prato. Lui la seguì con lo sguardo fino a quando una folata di vento alzò uno sbuffo di polvere che nascose la sua esile figura.

Non c’era nessuno intorno. Nessuna mamma, nessun bambino, nessun pallone. Alzò lo sguardo al cielo, nessun aereo. Avvertì una sensazione di freddo. Chinò la testa verso le ginocchia racchiudendola tra le mani. Aveva paura ora. Improvvisamente, un’onda di voci lo raggiunse. Alzò la testa e aprì gli occhi. Il parco era, come sempre, pieno di mamme e bambini pigolanti.

Si voltò verso il lato dove prima sedeva lei. Il sole era basso sugli alberi ma dal lato del tramonto. Si sentì confuso. Che ore erano? Sognava? Ancora un brivido freddo. Gli occhi pieni di lacrime, la gola chiusa, aveva paura di non distinguere più la realtà dal sogno.

Ricordava ogni dettaglio del suo vestito, ogni tratto del viso. Il sorriso, la voce, le scarpe, immacolate, senza un filo di polvere. Lei, sapeva cosa voleva dire lottare con le raffiche di vento in atterraggio, conosceva le sfumature del blu profondo del cielo, aveva visto i tramonti sul mare dalla cabina di un bimotore, provato la sensazione di potenza che da la spinta selvaggia del post bruciatore. Amava girare intorno alle nuvole e la sensazione di libertà quando rovesci il mondo a testa in giu. Aveva la luce di chi in quel cielo ha vissuto. Con un velo di tristezza sul cuore, si avviò verso l’uscita.

Quella notte tornò a trovarlo. Lo accolse sorridendo. Non entrò dalla porta, era semplicemente li, come solo le anime sanno fare quando vanno a trovare qualcuno. Non bussano alla porta, non spalancano finestre, ci sono e basta, e lui era lì, seduto sulla vecchia poltrona, indossando la tuta da volo, il cappello sulle ginocchia, composte come gli avevano insegnato in accademia. I capelli dal ciuffo biondo, davano un’aria di simpatica spavalderia, quella che ti aspetti dai giovani piloti da caccia.

Lo sguardo, vincente, audace, dolce, un misto di tenerezza e malinconia. Lo stesso sguardo che ricordava avere visto l’ultima volta, che si erano abbracciati. Quello sguardo che sentiva essere uguale al suo, stanco dell’essere solo, stanco del trascinarsi su di una terra che gli era sempre stata straniera.

“Sai quanto tempo ti ho aspettato, sperando che tutto non si riducesse a pochi ricordi da far sbiadire al sole? Avrei voluto che tu mi raccontassi più storie e avere più tempo da passare insieme.” disse rivolto al padre.

“Il tempo” rispose “La nostra prigione e la nostra condanna.” accennando un gesto con la mano, come ad accarezzare l’aria.

“Papà, tutto quello che è stato, volare, amare, vivere, ne è valsa la pena?”

Non rispose, vide un sorriso triste sul volto di quel giovane pilota di una generazione scomparsa. Si tennero per mano rimanendo in silenzio. La figura lo guardò, poi abbozzò un saluto con la mano. Semplicemente un attimo dopo, non fu più li.

Il rumore della città giungeva attutito dagli infissi. Realizzò che non sapeva che ore fossero, ma a giudicare dalla luce e dal rumore che proveniva da dietro le persiane, dovevano essere passate abbondantemente le nove.

Si vestì rapidamente, quanto i mille dolori dell’età avanzata gli consentissero e si avviò, verso il parco. Giunse sul bordo del campo e vide la “sua” panchina, ancora solitaria.

Dovette fermarsi a respirare e prendere tempo. Troppo veloce e troppa emozione. Poi il cuore iniziò a rallentare e il respiro si fece più lungo e regolare. Riprese a camminare raggiungendo la “sua” panchina. Intono a lui tutti, mamme, bambini, tutti sembravano urlare. Si chiese se l’umanità fosse diventata sorda e rimpianse di non essere rimasto a casa.

Improvvisamente, dal nulla, si alzò il vento, sembrava solo un soffio, ma divenne in breve forte e deciso. Sollevò un mulinello di polvere che lo costrinse a chiudere gli occhi e sentì  il sapore  famigliare della sabbia nella gola.

Da quanto tempo era li, ai bordi di una pista sabbiosa e desolata in una ancora più desolata valle nell’ Afganistan sud occidentale. Volando lungo una strada apparentemente abbandonata a sé stessa e al caldo implacabile. Non una traccia di vita per chilometri e chilometri, lungo quel confine che si sapeva un punto di passaggio sempre molto frequentato. Confine scritto e riscritto nei secoli, con disattenzione, a volte con ferocia, spesso con disillusione, sempre con l’indifferenza per quello che un confine può significare.

Anche quello era volare, volare senza essere in volo, una sorta di recitazione. Una prestazione teatrale, necessaria ad ogni decollo, ad ogni atterraggio e durante ognuna delle lunghe ore scritte sul profilo di missione. Quella interpretazione che si richiede ad ogni pilota di velivoli a pilotaggio remoto. Si era vestiti da pilota, si parlava da pilota, si agiva sui comandi come un pilota e si vedeva, seppure su di un monitor il suolo sorvolato. Non era difficile immedesimarsi in quello che a chilometri di distanza e a diecimila piedi dal suolo stava succedendo. Si era in volo, con il proprio equipaggio, con il proprio velivolo, volando senza pensare di essere, in realtà, ad un tiro di fionda dal bar e da una bevanda fresca. Si era in volo e basta, cercando tracce, annusando pericoli, godendo del panorama. Mancava la turbolenza, mancava il sudore o il freddo, l’odore della cabina. Mancava buona parte della paura, quella che ti accompagnava nelle missioni più delicate, mancava la sensazione di non avere la terra sotto i piedi. Ma eri in volo, ancora una volta in volo…

Riaprì gli occhi tossendo leggermente e non era più solo. Lei era li, sul lato libero della “sua” panchina. Il vestito chiaro, i capelli raccolti, il libro sulle ginocchia conserte, le scarpe, senza un filo di polvere, il suo sorriso.

Rimase interdetto, gioia e stupore si sovrapposero saturando i suoi pensieri.

“Non ti avrò spaventato spero!” disse la donna sorridendo.

Notò il tono di voce differente, vicino, più intimo. Si sentì bene, nessun disagio in quell’inatteso cambio di relazione. Sapeva di potersi fidare, gli infondeva una tranquillità profonda, una sensazione di calore. Ora sapeva.

“Sei arrivata finalmente, sapevi che ti stavo aspettando da tempo.” Rispose, senza provare ora alcun imbarazzo.

Lui, quello che viveva dentro una corazza fatta per proteggerlo dalla solitudine e dalla età avanzata, sapeva finalmente, di essere libero di parlare, a quella creatura che sentiva intimamente di conoscere da sempre, e verso la quale, non nutriva timori né ritrosie.

“Hai parlato con lui, so che ti è venuto a trovare, e non è stata l’unica volta che lo ha fatto” lei disse sorridendo. 

“Ha senso chiederti da quanto tempo lo conosci? “

“Da sempre, come da sempre conosco te e tutti quelli che sono venuti prima, quelli che ho seguito dall’inizio del loro tempo. So che hai capito.”

“Le scarpe…” disse l’uomo indicando i piedi piccoli e proporzionati della donna.

“Le scarpe? “rispose lei assumendo un’espressione fra il divertito e il sorpreso.

“Le scarpe si, senza mai un granello di polvere, chi cammina sulla terra, non può non sporcarsi di polvere. Solo chi non è di questa terra ne resta sempre pulito.”

Lei sorrise di nuovo e rispose :“Da quanto tempo, se di tempo si può parlare, mi stavi aspettando? “

“Da sempre, sapevo saresti venuta a trovarmi, era solo una questione di tempo, e ora che il mio tempo è passato, anzi direi ora che il mio tempo è volato, sei qui, e so che questo tempo non è passato invano. Ho avuto tutto quello che volevo e ora sono felice. Sai, ho capito che il mio tempo stava arrivando quando i vecchi amici hanno cominciato a venire a trovarmi. Ho riscoperto una serenità che credevo non potesse esistere.” Disse guardandola fisso negli occhi.

“Ti ho sempre seguito con amore, nei momenti più difficili, quando ti sentivi perso o solo, o disperato, io ero li un passo dietro di te. Il mio compito era suggerire, e tu, hai seguito quei suggerimenti, e ho anche imparato molto da tutti voi.”

“Imparato da noi? Cosa? “

“Ad apprezzare quanto possa essere meraviglioso volare per chi non ha le ali. Ho imparato ad appassionarmi alle vostre passioni.”

Si presero per mano, tenendole strette, e rimasero in silenzio. Mille immagini cominciarono a scorrere nella sua mente. Volti, parole, sentimenti, luoghi. La trama della sua vita, senza alcuna traccia di tristezza, senza nessuna nostalgia, solo una sensazione di infinita tranquillità.

Alzò gli occhi al cielo vide le nuvole bianche sparse in un mare di blu. Si volse guardandola negli occhi grandi e profondi, e vide le scie degli aerei dipingere linee ordinate nel cielo. Vide il sole al tramonto su mari color dell’oro, vide le montagne coperte di neve e ghiacciai infiniti, vide le nuvole più in basso.

Senza mai lasciargli le mani lei si alzò lentamente, invitandolo a seguirla. Luis si alzò e la vide spiegare le ali grandi e luminose.

“Sei pronto a ricominciare? “disse l’angelo.

“Sono pronto! “rispose sorridendo

“Stammi vicino, sarà più bello del tuo primo volo.”

E, tenendosi per mano, salirono verso quel blu punteggiato dei bianchi batuffoli. Vide la “sua” panchina, il parco contornato dai palazzi scuri, le campagne intorno alla città e poi il mare, il mondo verde e blu, tutto il creato e le stelle.

§§§§

La bambina si avvicinò al vecchio seduto sulla panchina. Lo guardava curiosa in silenzio, forse si sarebbe accorto di lei e della palla rimasta sotto la “sua” panchina. Si fece coraggio e si avvicinò allungando il piede per recuperare il pallone. Il vecchio non si mosse.

La mamma la chiamò con un tono che non ammetteva ritardi, e la bimba corse verso di lei con la palla in mano.

“Cosa facevi vicino a quel signore? Non lo avrai disturbato?”

“No mamma, credo stia dormendo mamma. Sai mamma, penso che stesse facendo un sogno bellissimo!”

“E questo cosa te lo farebbe pensare?”  Chiese la mamma sorridendo dolcemente.

“Sorride mamma, sorride come fosse tanto felice”.



§§§ in esclusiva per “Voci di hangar” §§§

# proprietà letteraria riservata #


Roberto Malaguti

 

Roberto Malaguti


Nato a Finale Emilia (MO) a fine agosto del ’60 è stato Ufficiale dell’Esercito fino al 2020, pilota dell’Aviazione dell’Esercito

Ha svolto diversi incarichi in occasione di operazioni a carattere multinazionale, oltre che in Italia, in Mozambico, Bosnia, Kosovo e Afghanistan. Non ultimo ha partecipato alla XXVIII, XXIX e XXXV spedizione italiana in Antartide come addetto alle operazioni.

Roberto Malaguti quando indossava ancora la divisa di Colonnello dell’AVES – Aviazione Esercito italiano

Ha svolto gli incarichi di Comandante di Plotone, Comandante di Squadrone Aerei, Capo Sezione C3, Capo Sezione Operazioni, Capo Ufficio Operazioni e Comandante del 28 Gruppo Squadroni AVES “Tucano”.

Pilota abilitato su: SF260, L19, SM1019, Dornier Do228-212, Piaggio P180 Avanti, Shadow RQ7, ossia tutti i velivoli in forza all’Aviazione dell’Esercito.

Ha al suo attivo più di 6000 ore di volo.

Sposato con Silvia, ha due figli: Arianna Beatrice e Carlo Alberto.

Ha partecipato per la prima volta a RACCONTI TRA LE NUVOLE nel 2023, XI edizione, ma il suo racconto non è giunto tra i finalisti. C’è sempre una prima volta e Roberto minaccia di fare molto bene per il futuro.


Per inviare impressioni, minacce e improperi all’autore:

marobius (chiocciola) gmail.com



Nel sito sono ospitati i seguenti racconti:


La panchina

Oltre il cIelo?


Questo piccolo cammeo letterario mi ha non solo fatto leggere le righe armoniose di una piccola e promettente scrittrice undicenne (sì, undicenne!), ma mi ha con un sussulto del cuore riportato ai miei undici anni, quando anch’io prendevo in mano per la prima volta un telescopio e cominciavo a scoprire il senso di quello spettacolo incredibile che ci sovrasta, ricordandoci la nostra piccolezza e al tempo stesso che possiamo (e dobbiamo) sognare.

All’inizio del suo breve racconto (con il quale ha coraggiosamente partecipato alla XI edizione del premio letterario RACCONTI TRA LE NUVOLE) l’autrice evoca i ricordi di bambina (?) quando nelle notti d’estate giocava a scovare le stelle cadenti e a esprimere i relativi desideri … e chissà che non sia stato questo uno dei cieli notturni cui si riferisce?  Benchè il racconto non sia stato inserito nell’antologia del Premio contenente i ventuno racconti finalisti, l’ultimo periodo della composiione di Emma apre letteralmente la sequela dei testi in quanto – a detta dei curatori dell’antologia – costituisce idealmente il manifesto della XI edizione: (foto proveniente da www.flickr.com)

Sì cara Emma, hai proprio ragione: si guarda in su e si sogna, e le sfide dentro di noi cominciano a prendere forma, e se noi le assecondiamo, piano piano diventeranno realtà.

Non so se tra i tuoi sogni c’è la scrittura, nel senso di narratrice, ma certo questo racconto contiene in sé tutti i presupposti perché tu lo diventi, c’è nei contenuti la precoce saggezza di una preadolescente già consapevole che

“Non sempre ci saranno persone che rideranno con te, anzi ci sarà gente che riderà contro di te …”

e c’è la sicurezza altrettanto precoce della forma sintattica che sempre deve accompagnare qualunque scrittura.

Non ci è dato sapere se quella ritratta in questo scatto possa essere la nostra Emma, oppure (giusto qualche anno fa) la nostra redattrice Rossana … di certo le accomuna la passione per il cielo extraterrestre altrimenti definito “spazio” ma anche per i corpi celesti che lo animano come comete, pianeti e galassie. Forse è per questo che è cresciuto loro il nasino all’insù? (foto proveniente da www.flickr.com)

La tua penna danza sulle righe lieve e sicura come le punte della piccola ballerina che – scopriamo con gioia – sei oltretutto: danzano sulle note di una musica celeste che nel silenzio delle notti stellate odono le persone sensibili come te. Speriamo di rileggerti ancora tra (e oltre) le nuvole.

Mille auguri.


Recensione di Rossana Cilli (*), didascalie a cura della Redazione


(*): già vincitrice della X edizione del premio RACCONTI TRA LE NUVOLE – 2022

NdR: immagine di copertina la cometa C/2022 E3 (ZTF)



Narrativa / Breve

Inedito

Ha partecipato alla XI edizione del Premio letterario “Racconti tra le nuvole” – 2023


Oltre il cielo?


Sin da piccola d’estate guardavo le stelle cadenti e con tutto il cuore speravo che il desiderio espresso si avverasse. A un certo momento ho iniziato ad associare quel bellissimo mondo magico fatto di speranza alle persone care che volavano in cielo perché questo mi veniva detto dai miei genitori … forse perché ero troppo piccolina per capire il concetto di perdita. Posso solo ricordare che questa cosa mi faceva stare bene perché quando aprivo la finestra, quella stella, la più luminosa era il mio nonno che da lassù mi guardava e proteggeva.

Tutt’ora, tutte le notti cerco di avvistare qualche stella cadente. 

Ebbene sì, finalmente all’ultimo anno delle elementari, durante una lezione di scienze, la maestra iniziò a spiegare l’universo: pianeti, nebulose, galassie … l’ascoltavo rapita mentre parlava di quello che c’è nel cielo.

Se prima tutto era immaginario nella mia mente, ora cominciava a essere più concreto: stelle, asteroidi, piccoli e grandi corpi rocciosi in orbita tra Marte e Giove, visibili soltanto con strumenti astronomici, meteore e meteoriti che entrano nell’atmosfera terrestre e producono scie luminose rese incandescenti dalla collisione con le molecole d’aria.

Da quel momento, nonostante le nozioni scolastiche e le ricerche effettuate, ho iniziato a pormi un sacco di domande ma soprattutto una: chi può dire a noi di smettere di sognare? Di credere nelle stelle cadenti, nelle nuvole che assumono forme diverse o in un arcobaleno senza fine? E’ da qui che bisogna tirare fuori la testardaggine e la tenacia di continuare a sognare e iniziare a camminare sulla propria strada. Non sempre ci saranno persone che rideranno con te, anzi ci sarà gente che riderà contro di te ma quello che conta è sognare e credere nei propri desideri e sperare che possano avverarsi.

E’ questo che rende le persone grandi.

Continua così fino alla fine … e potrai dirti: “Sei forte!!!” Perché quello per alcuni era un “precipitare”, tu lo chiamerai volo”. 



§§§ in esclusiva per “Voci di hangar” §§§

## proprietà letteraria riservata ##



Emma Lucietto


 

Vietato fumare


Far risorgere dalla ceneri una decotta compagnia aerea composta da centoventi piloti maschi e solo due piloti femmine non è cosa facile. Soprattutto con le nuove tecnologie mediatiche che ti fanno stare sotto i riflettori in continuazione. Anche quando cerchi di smettere di fumare”.

Una delle due protagoniste del racconto mentre svolge i suoi compiti professionali, ignara di cosa l’aspetterà di lì a poco. (foto proveniente da www.flickr.com)

Condensa così, in queste poche righe, il contenuto del suo racconto dimostrando di essere, oltre che un ottimo autore, anche un eccellente sintetizzatore, emulo del miglior Bignami di scolastica memoria.

Di chi stiamo parlando? … ma di Andrea Pirani, che domande!? Un nome una certezza.

Al premio letterario RACCONTI TRA LE NUVOLE partecipano ormai quasi regolarmente diversi autori/autrici: sono il cosiddetto “zoccolo duro” del Premio; Andrea Pirani è uno di questi. No, non uno zoccolo duro, un autore!

E Andrea, nonostante alcune vicissitudini personali, non poteva mancare anche alla XI edizione, tanto che ci ha regalato un racconto assolutamente pregevole che suona come una minaccia ma che è invece il pretesto per strappare un sorriso oltre che l’occasione di una piacevole lettura.

Preso dalla curiosità di leggere anzitutto il racconto e poi di sapere chi l’ha inviato, mi capita spesso di riconoscere l’autore/autrice  dall’ambientazione oltre che dallo stile, dal tratteggio fugace dei personaggi piuttosto che dal modo originale di srotolare la matassa della vicenda narrata … ebbene quando in segreteria del Premio abbiamo ricevuto il racconto “Vietato fumare” l’ambientazione non sovietica mi ha subito portato fuori strada, viceversa la sottile ironia e la trama imperniata sull’equivoco mi ha indotto a pensare che sì … potesse essere un racconto di Andrea Pirani. E infatti … beccato!

Il primo piano di Clara o Lisa? Occorrerebbe chiederlo ad Andrea Pirani (foto proveniente da www-flickr.com)

Alla luce impietosa della classifica della XI edizione di RACCONTI TRA LE NUVOLE, è evidente che la giuria non ha riconosciuto il valore di questo racconto, ciò nonostante la sua godibilità rimane inalterata. Che sia stata punita la scelta di non ambientare  la vicenda in terra sovietica? Che l’assenza di un velivolo con la coccarda con la stella rossa abbia minato la credibilità della trama? Che il comportamento innaturale della protagonista sia stato punito dalla giuria per lo più composta da esponenti del gentil sesso? Non lo sapremo mai … certo è che “Vietato fumare” rimane un racconto tra quelli che non potrà non piacere ai visitatori del nostro hangar.

Quanto all’autore … possiamo solo pregarlo di continuare così, magari limando un po’ lo zoccolo, ferrandolo all’occorrenza ma mantenendo questo passo di trotto perché, prima o poi – ne siamo certi – lo porterà sul podio del Premio. Per il momento ci accontenteremo di apprendere le disavventure aviatorie del comandante Clara e Lisa e chissà che a qualcuno dei nostri visitatori non venga davvero la voglia smettere di fumare …



Narrativa / Medio – lungo

Inedito

Ha partecipato alla XI edizione del Premio letterario “Racconti tra le nuvole” – 2023


Vietato fumare


– Hai sentito le novità, Clara?

– No: quali sono? Che chiudiamo bottega per sempre e ce ne torniamo a casa?

– Per fortuna non è così. La Shark Investor ha comprato la nostra compagnia aerea e quindi è proprio il contrario: non chiuderemo.

– Questa è una bella notizia: io ho smesso di fumare da appena un giorno ed ero già un po’ nervosa.

– Ovviamente circolano voci sul fatto che ci saranno tagli al personale.

– Ecco: ora mi fai venir voglia di fumare. Figurati: una compagnia aerea con gravi perdite e con dei tagli da fare. Secondo te chi saranno le prime che lasceranno a casa? Io e te, Lisa: le uniche due donne comandanti in tutta questa società al testosterone. Hai una sigaretta?

– Non fumo. E poi aspettiamo gli avvenimenti. Intanto tu tieni duro che già sei stata bravissima a smettere di fumare.

§§§§§

Il giorno seguente i quotidiani riportarono la notizia dell’acquisizione della Iron Air Ltd da parte della Shark Investor.

Il consiglio d’amministrazione fu la prima cosa che cadde nella compagnia aerea.

Al suo posto venne messo un certo Frank Arrivabene, direttore unico.

Frank Arrivabene non aveva alcuna laurea e nemmeno nessuna esperienza pregressa nella gestione di compagnie aeree. Era un ragazzo di venticinque anni che girava con una lussuosissima Mercedes insieme alla sua fidanzata. Il suo unico e grandissimo vantaggio era l’essere il figlio di Joseph Arrivabene, magnate e proprietario della Shark Investor, società che spaziava tra mille operazioni di alta finanza, tutte di successo. Insomma: Frank era il figlio del padrone. Il padre Joseph, sapendo che il figlio era un inetto, lo fece affiancare da uno dei più grandi esperti di aviazione civile del momento, il Comandante in pensione Ascanio Barretta.

Ascanio Baretta aveva già fatto risorgere dalle ceneri diverse compagnie aeree ormai decotte.

Il padre avrebbe voluto in questo modo far sì che il figlio cominciasse a svegliarsi un po’ e a interessarsi al mondo degli affari.

Ma torniamo ai nostri comandanti Clara e Lisa che vennero convocati dal neoproprietario Frank dopo appena due giorni dal suo insediamento.

– Eccoci qua Lisa: i primi e forse unici due tagli della Iron Air Ltd.

– Sinceramente me lo immaginavo. Andiamo a sentire cosa vogliono fare.

– Hai una caramella? – chiese Clara a Lisa.

– Sì, certo. Stai tenendo duro col fumo?

– Al momento sì ma mi sa che dopo questo incontro mi metterò a fumare il sigaro.

Le due donne entrarono negli uffici amministrativi che si trovavano accanto all’aeroporto e la segretaria di sempre, la signora Mary Ann, le accolse calorosamente.

– Ciao Clara. Ciao Lisa. Aspettate qui un minuto. I due sono in riunione.

– I due chi? – chiese Clara.

– Frank Arrivabene e il comandante Ascanio Barretta. Posso offrirvi un caffè o un tè nel frattempo?

– Un caffè? Un tè? No, grazie. Per caso hai qualche caramella?

– Come no! Prenditene una manciata di queste. Sono le caramelle che mettiamo nelle sale riunioni. Lo so che hai smesso di fumare: tutti ne parlano e sei stata bravissima.

Clara sorrise mentre si stava riempiendo le tasche di caramelle.

In quel momento la porta dell’ufficio dirigenziale si aprì e il comandante Ascanio, un bell’uomo dall’aspetto giovanile, di quasi 65 anni, fece cenno loro di entrare.

– Accomodatevi, comandante Clara Chase e comandante Lisa Devy. Io sono il comandante Ascanio Barretta, incaricato della ristrutturazione della Iron Air Ltd e questo giovanotto è il neoproprietario della Iron Air Ltd, il signor Frank Arrivabene.

Clara, dopo le consuete strette di mano, senza farsi vedere, tirò fuori una caramella e la mangiò. Era nervosissima. Così come lo era Lisa.

– Voglio subito tranquillizzarvi. Le voci che avete sentito in giro sul ridimensionamento dell’azienda sono del tutto infondate. Addirittura è il contrario. Il gruppo Shark Investor vuole far crescere la compagnia e quindi, nei prossimi tre anni, assumeremo una ventina di piloti e prenderemo tre nuovi aerei.

Clara tossì quasi strozzandosi.

– Tutto bene Comandante? – chiese Ascanio.

– Sì: mi scusi. Mi è andata di traverso una caramella.

– Diamoci pure del tu: siamo tutti piloti. – disse Ascanio mentre offriva un bicchiere d’acqua a Clara e continuò dicendo: – Ovviamente siete già a conoscenza del fatto che il mondo odierno giri intorno ai media e ai social. E, oggi come oggi, la discriminazione tra i sessi è vista come la nuova peste. Le donne hanno un peso uguale agli uomini e noi, come ben sapete, siamo un po’ fuori dagli standard: ci siete solo voi due ragazze in mezzo a 120 piloti uomini. Per questo motivo vorremmo lanciare una campagna di reclutamento riservato esclusivamente al sesso femminile, per cercare di riequilibrare un po’ questo divario. Per fare questo vorremmo girare un piccolo documentario che metteremo su Facebook, Instagram e YouTube con voi due ai comandi di uno dei nostri aerei, su di una rotta un po’ lunga, un sei o otto ore, dove faremo quattro chiacchiere conoscitive e qualche intervista per invogliare le future assunzioni. In cabina ci sarò anch’io, come voce narrante, un cameraman e fuori, tra i passeggeri, il tecnico del suono.

– Ci saranno dei passeggeri veri o saranno solo comparse? – chiese Lisa.

– Passeggeri veri. Non dobbiamo perdere soldi in nessuna occasione, non sei d’accordo?

– Certo. Mi pare un’idea eccellente. E quando partirebbero le riprese?

– Tra due giorni esatti.

Durante tutti questi discorsi, Frank Arrivabene guardava il suo cellulare senza prestare particolare attenzione ai discorsi dei tre piloti e senza mai aprire bocca.

Finito il colloquio, le due donne si congedarono e iniziarono a parlare tra di loro mentre tornavano a casa.

– E allora? Come ti sembra che sia andata?

– Bene. Non immaginavo proprio questo cambiamento. Addirittura sono previste delle assunzioni e saremo noi a fare da testimonial per l’azienda.

– Ti rimetterai a fumare?

– No. Per il momento no. Magari il giorno delle riprese sì: sarò nervosissima.

– Ma ci pensi? Finalmente avremo un bagno tutto nostro. Trenta nuove colleghe!

– Mi pare di ricordare che abbia detto venti.

– Va bene: venti o trenta poco cambia. Piuttosto che te ne pare del nuovo padrone?

– Chi? Ascanio?

– Ma no! Quello lo vedi che sa il fatto suo. E poi avevo già sentito parlare di lui. Quando Ascanio prende in mano le compagnie aeree a pezzi, queste, nel giro di un paio d’anni, decollano. Mi riferivo al ragazzino.

– Ah! Quello? Mi pare un idiota messo lì senza alcun motivo. Non ha detto una parola. A me è sembrato che durante i nostri colloqui guardasse dei filmati su TikTok. E poi aveva un pacchetto di sigarette sulla scrivania. E, dall’odore, direi che fuma in ufficio.

– E avresti voluto anche tu fumare?

– All’inizio sì ma poi a sentire le belle notizie mi è passata la voglia.

– Così ti voglio, Clara! Sei la migliore! Tieni duro!

A Clara e Lisa venne cambiato il programma di volo. Due giorni a casa, di riposo, prima delle riprese. La rotta che avrebbero usato per il filmato promozionale era una comunissima Londra Mumbai di circa nove ore: partenza, ora locale, alle 07:00 e arrivo previsto alle ore 21:00, sempre ora locale. Per una migliore riuscita del documentario, i primi sei posti della business class non erano stati venduti, lasciandoli a disposizione per le attrezzature e per i vari tecnici.

E finalmente arrivò il fatidico giorno: era il 7 Luglio, alle 05:00 del mattino.

– Clara: hai visto il bollettino meteo?

– Sì: all’arrivo ci saranno i monsoni. Non so se sarà un documentario sugli aerei o sugli ottovolanti.

– Nervosa?

ra di celebrità come diceva Andy Warhol.

Arrivarono in sede e la segretaria Mary Ann le accolse: – Prendete qualcosa? Un tè? Un caffè?

– Grazie. Io no. Hai ancora caramelle?

– No, tesoro: mi spiace. Se le mangia tutte Frank. In fin dei conti le paga lui.

In quel momento uscirono dalla stanza Ascanio, Frank, un cameraman e un tecnico del suono.

– Buongiorno a tutte. Se ora volete aspettarci dentro l’ufficio di Frank, noi gireremo qua con Mary Ann per qualche minuto e poi rientreremo per fare la parte con voi due.

Le due pilote entrarono nella stanza del neoproprietario e si sedettero.

l’attenzione di Clara fu calamitata dal portacenere del suo capo: vi erano le cicche di diverse sigarette spente.

La ragazza si fermò ad ammirarle, quasi in estasi.

Sulla scrivania c’era anche il pacchetto di sigarette del suo capo.

Lo prese, lo aprì e annusò il profumo del tabacco.

Lisa la guardò male e la sua collega, con fare risoluto, lo rimise al posto.

Vide sempre sullo stesso tavolo una caramella bianca già scartata, la prese e se la mise in tasca.

Lisa alzò le spalle e acconsentì a quel piccolo furto.

Il gruppo entrò di nuovo nell’ufficio e l’intervista continuò con Ascanio come speaker.

– Stiamo per partire per Mumbai con le nostre due colleghe Clara e Lisa: saranno loro che ci porteranno a destinazione senza problemi. In volo avremo modo di conoscerle meglio. Ma ora salutiamo il nostro direttore, Frank Arrivabene, che a causa di pregressi impegni di lavoro non potrà seguirci sino a Mumbai. Lo ritroveremo tra tre giorni di nuovo qui, a Londra. Dirigiamoci al nostro aereo, un moderno Airbus A350, che sarà pronto al decollo dopo che Clara e Lisa avranno fatto i controlli di routine e avranno avuto il via libera per la partenza dalla torre di controllo. Chi lo dice che pilotare aerei non è un lavoro da donne? Noi qui ne abbiamo addirittura due e aspettiamo con ansia le vostre candidature. Forza! Qui sotto troverete il link per le vostre iscrizioni.

La telecamera si spense e il gruppo uscì per andare sulla pista, vicino all’aereo.

Il cameraman continuò le riprese: – Ora la nostra Clara sta controllando che tutto sia a posto mentre Lisa ha fatto i conti del carburante necessario per il viaggio.

Finita l’ispezione esterna, una volta a bordo l’equipaggio, continuarono le riprese: – Ed ecco che il nostro magnifico duo sta facendo il controllo prevolo dell’aereo. Ragazze! Questo è un lavoro di responsabilità! E chi, se non le donne, sono precise e responsabili? Forza! Qui sotto troverete il link per le vostre iscrizioni.

Poi spensero la telecamera e tutti si misero ai propri posti: – Hai visto Ascanio il meteo a Mumbai? Sei proprio sicuro di fare oggi le riprese?

– Ho visto: non c’erano stati questi monsoni con piogge torrenziali dai tempi di Visnù. Casomai alcune parti le gireremo al ritorno: voi non preoccupatevi e siate naturali. Ad ogni modo ti vedo un po’ tesa Clara. Sono per caso le riprese che ti innervosiscono?

– Oh, no: – rispose Clara – oggi è il quinto giorno che non fumo ma un po’ di nervosismo per la nicotina c’è ancora.

– Che brava. Tieni duro, Clara! Io ho smesso sedici anni fa e non mi sono mai pentito di questa scelta. Si vive meglio senza sigarette. Forza! Siamo tutti con te. E ora iniziamo: voglio che mi facciate un decollo da manuale. Ah! Non ho ancora fatto le presentazioni: lui è Phil, il nostro cameraman; loro sono il comandante Clara e il comandante Lisa. In prima fila, di là, c’è Andrea, la nostra tecnica del suono.

Ci furono le consuete strette di mano e finalmente tutto era pronto.

– Clara: quando vuoi, puoi partire. Phil riprendile pure.

Clara fece un decollo da manuale e iniziò a salire in quota. Dopo qualche minuto fece l’annuncio ai passeggeri: – Buongiorno. Qui è il vostro comandante Clara Chase che vi parla. Sono le ore 7 e 4 minuti, il decollo è avvenuto in orario e prevediamo di arrivare a Mumbai per le ore 20:50, ora locale. Il volo durerà circa 8 ore e 40 minuti. In più vi segnaliamo che dovendo girare a bordo un video commerciale della nostra compagnia, la Iron Air Ltd, la prima fila di poltrone della business class e i relativi bagni non saranno fruibili. Durante il volo la troupe potrebbe passare a intervistarvi. Segnalate subito all’operatore se desiderate non farvi riprendere. Vi auguro un sereno volo.

– Magnifico Clara: ti vedo un po’ più tranquilla adesso.

– Magari! La voglia di fumare è sempre dietro l’angolo. Mangerò l’ennesima caramella. – e mentre diceva ciò tirò fuori dalla tasca quella che aveva preso nell’ufficio di Frank Arrivabene. La masticò per un po’ ma poi la sputò in un fazzoletto: – Ma fa schifo! Ma che roba è? Ha un saporaccio amaro. Sembra vaniglia ma è immangiabile!

Allora prese una delle caramelle che le aveva comperato Lisa e la mangiò: – Queste sì che sono buone. Ho ancora in bocca quel sapore schifoso.

Dopo circa mezz’ora di volo Clara cominciava a sudare freddo. Decise di controllare il Flight Management Guidance Computer, ovvero il computer di bordo per controllare il consumo di carburante.

Invece della solita indicazione comparve la scritta: «System error – Do you want to save your life?» (Errore di sistema – Vuoi salvare la tua vita?)

La finestra di dialogo dava le tre solite scelte: «Sì – No – Annulla»

Clara, sudatissima, scelse all’istante «Sì».

Poi ripensò all’accaduto e lo trovò assurdo.

Sempre più nervosa, riprendendo la freddezza e la logica di chi fa il pilota da molti anni, guardò il display e vide che mostrava solo la quantità di carburante come da lei richiesto.

Ora la scritta era logica e aveva un senso.

Pensò che il tutto fosse stato solo un miraggio, una svista: nulla di più.

Tirò fuori dalla tasca una delle caramelle regalate da Lisa e iniziò a sgranocchiarla nervosamente.

– Che ne dite se facciamo un cinque minuti di riprese, mentre pilotate nel cielo? – chiese Ascanio – Lasciate pure inserito l’autopilota e tenete la cloche tanto per fare un po’ di scena. Magari chiederò a Lisa cosa l’abbia spinta a diventare pilota e poi chiederò a Clara quale sia stato il suo percorso formativo. Oppure, se volete, facciamo al contrario: cosa ha spinto Clara a diventare pilota e il percorso formativo di Lisa.

– Per me va bene la prima. – disse Lisa.

– Anche per me. – aggiunse Clara.

– Perfetto: Phil, quando vuoi, iniziamo. E voi mettete le mani sulla cloche e fate finta di pilotare.

Phil fece ad Ascanio il segno di “ok” per confermargli che stava girando.

– Ed eccoci ancora qui, a bordo del nostro Airbus A350 della Iron Air Ltd con il comandante Clara Chase e Lisa Devy. Dovremmo essere ancora sopra la Francia, diretti in India. Dato che al momento non ci sono difficoltà e la strada è tutta dritta, vediamo di conoscere un po’ meglio le nostre due amiche disturbandole solo cinque minuti. Lisa: potresti spiegare un po’ ai nostri ascoltatori cosa ti abbia spinto a diventare un pilota?

In quel momento Clara li interruppe e disse: – Silenzio! Non sentite anche voi un sibilo? Come quello di un serpente?

Tutti si zittirono e ascoltarono attentamente. Clara avvicinò la sua mano alla cloche, la guardò e poi urlò: – Argh! La cloche! È lì! Il serpente! – e mentre diceva ciò si slacciò le cinture e si alzò andando in fondo alla cabina.

Phil spense la telecamera all’istante e con Ascanio cercarono subito l’animale. Lisa, terrorizzata, guardava verso Clara.

Ascanio, coraggiosamente, prese un ombrello da usarsi come arma improvvisata e si mise a frugare tra i pedali e i vari anfratti della cabina di pilotaggio. Dopo qualche minuto di attente ricerche Ascanio disse a Clara: – Ti senti bene? Sei sudatissima e pallida ma qui di serpenti non ce n’é nemmeno l’ombra. Sei proprio sicura di aver visto un serpente?

Un po’ confusa, la ragazza, in fondo alla cabina, ancora tremante, disse: – La cloche: mi era sembrato che ci fosse un serpente lì vicino. In realtà non mi sento molto bene. Forse sarà il nervoso per le riprese o forse il fatto che non stia fumando: non lo so.

Ascanio prese l’interfono e chiamò una delle hostess: – Mi porti per favore tre caffé per noi e una camomilla per Clara con quattro brioche, grazie.

Dopo qualche minuto entrò l’hostess e portò la colazione a tutti. Si fermò a guardare Clara e le disse: – Ma sei bianca come un cadavere: stai bene?

– Non lo so: mi sento molto strana. Forse la camomilla mi farà stare meglio. Saranno quelle maledette sigarette che mi mancano e il mio corpo le chiama a gran voce.

– Lo sappiamo tutti che stai smettendo di fumare e tutti facciamo il tifo per te, Clara. – disse l’hostess mentre usciva dalla cabina.

– Ho una voglia pazza di fumare.

– Clara: sii professionale. Tieni duro. Bevi la camomilla e mangiati un paio di caramelle. È tutta scena: dopo la prima settimana andrà meglio. Credimi. Io ci sono passato.

– Certo: lo so. Scusate per prima.

– Facciamo così: adesso ti riposi per un’ora e poi rifacciamo l’intervista. D’accordo? Anzi: io e Phil usciamo così non vi disturbiamo. Andiamo di là, in cabina con la nostra fonica e cominciamo a montare il materiale che abbiamo già girato. Ci vediamo tra un’ora.

Clara, ancora sudata e bianca, disse: – D’accordo.

Dopo una ventina di minuti di volo in cui non era successo nulla, Clara sentì un picchiettare sul suo vetro di sinistra.

Si girò e vide fuori dall’aereo un’anatra che volava.

– Ti ricordi di me? – disse l’anatra.

Clara strabuzzò gli occhi e rispose: – Le anatre non parlano. E non volano nemmeno a 33.000 piedi a quasi 900 chilometri orari.

– Ti ricordi di me? – chiese nuovamente l’anatra.

Clara, in un bagno di sudore, disse: – No. Non mi ricordo di te.

– Te lo dico io allora: Tel Aviv, 4 aprile 2016. Decollo dall’aeroporto Ben Gurion. Ti dice qualcosa?

Clara, con la testa che le scoppiava, stava pensando e ripensando a quella data: – No. Non mi ricordo di te.

– Avresti dovuto: rejected take-off, decollo abortito per un’ingestione di un’anatra nei motori.

– Ora mi ricordo! – disse a voce alta Clara.

Lisa le chiese: – Ti ricordi cosa?

– Quello che mi sta dicendo quest’anatra dal finestrino. Un decollo abortito a Tel-Aviv.

– Clara? Ma cosa stai dicendo? Quale decollo abortito? A Tel-Aviv? Un’anatra al finestrino? Ti senti bene?

Clara si voltò nuovamente verso il finestrino e non c’era ovviamente nessuna anatra.

– Clara. Seriamente: chiedo la pilot incapacitation[1] per te. Ascanio è ancora un pilota con brevetto valido: faccio mettere lui al tuo posto oppure invertiamo e torniamo a Londra. Sei sudatissima e bianca come un cadavere: tu non stai bene.

– Sto bene! – urlò Clara – È quella maledetta nicotina che mi manca. Tutto qui.

– Come vuoi: ora riposati un po’ che poi andrà meglio. Ti faccio portare qualcosa?

– Sì: delle sigarette.

– Sii seria, Clara. Vuoi mangiare qualcosa così ti dimentichi il fumo?

– No. Sto benissimo. – urlò a Lisa.

Lisa la ignorò.

Passarono un quarto d’ora in silenzio.

Ora Clara cominciava ad avere caldo e mise la mano vicino alla bocchetta dell’aria.

– Ahi! – gridò.

Seccata, Lisa le chiese: – E ora che c’è?

– C’è che questo stupido aereo mi ha morso.

– Clara: – disse pacatamente Lisa – un aereo non morde. Un aereo vola, decolla, atterra. A volte precipita. Ma non morde.

– Questo mi ha morso.

– Clara: lascia la cabina. Sei esonerata. È un ordine. Fai entrare Ascanio.

– Mi prendete tutti per pazza?

Clara spense il segnale di “vietato fumare”, si alzò e uscì dalla cabina di pilotaggio. Passò davanti a Phil, Andrea e ad Ascanio che le chiese: – Stai un po’ meglio?

Clara gli urlò: – No! – e continuò a vagare tra i passeggeri della business class che la guardavano meravigliati.

– Qualcuno di voi ha per caso una sigaretta? – urlò a tutti i passeggeri.

Timidamente, dopo qualche istante, un distinto uomo d’affari londinese tirò fuori un pacchetto.

Clara, come un’indemoniata, andò vicino all’uomo e prese una sigaretta e si allontanò. Poi ritornò sui suoi passi e gliene prese un’altra. La gente la guardava senza capire cosa stesse accadendo.

Clara andò in una poltrona libera, si tolse le scarpe, allungò la sedia fino a farla diventare un divanetto e si accese la sigaretta.

Un’anziana donna indiana che stava vedendo la scena chiese all’hostess che le era accanto: – Mi scusi signorina: ma si può fumare sull’aereo?

L’hostess, anch’essa un po’ confusa da tutti gli avvenimenti, presa in contropiede, rispose: – Forse sì ma solo in alcuni posti. Vede che il segnale di “vietato fumare” è stato spento? Comunque ora le porto alcuni stuzzichini. Da bere cosa gradisce?

Ascanio intanto entrava in cabina di pilotaggio e a voce alta chiese: – Dimmi che cavolo sta succedendo. Clara è di là che fuma e tu sei qui da sola.

– Non lo so: è impazzita. Prendi tu con me i comandi. Torniamo indietro?

– No: non torniamo indietro. Prendo io i comandi con te. Andiamo a Mumbai.

Ascanio prese il posto di Clara, si mise le cinture e la cuffia e spense l’allarme di “fumo in cabina” causato dalla sigaretta.

Intanto nella business class Clara aveva finito la sua sigaretta. Si accese anche la seconda e la fumò tutta. E si addormentò.

La signora indiana chiese nuovamente alla hostess: – Signorina: ma lei è proprio sicura che si possa fumare?

– Certo: vede il segnale che è ancora spento. Le porto qualcos’altro da bere? Vuole un libro? Le presto il mio. È molto bello. Non l’ho ancora finito ma l’ho trovato molto avvincente. Glielo regalo, non si preoccupi. Io, poi, me ne acquisterò uno nuovo.

Dopo quasi quattro ore di volo Clara si risvegliò, si stiracchiò, si rimise le scarpe e andò in cabina. Aveva ripreso un colorito normale e non sudava più.

– Che ci fai al mio posto, Ascanio?

Ascanio e Lisa la guardarono come si guarda un matto.

– Lo sapete che di là, in business class, c’è odore di sigaretta? Secondo me qualche furbetto ha fumato.

– Ti vedo meglio ora. – disse Lisa.

– Non mi ricordo bene cosa sia accaduto: forse non sono stata molto bene ma ora va molto meglio. Quanto manca all’arrivo?

– Siamo già sul sentiero di discesa. Il tempo a Mumbai è uno schifo. Ci hanno segnalato 11 millimetri di pioggia. Temo che dovremo divergere su di un altro aeroporto.

Clara, non ricordandosi bene ciò che era accaduto, prese posto dietro, lasciando Ascanio ai comandi.

Quando furono sul sentiero di discesa, verso i tremila metri, Ascanio disse: – Rinunciamo e riattacchiamo. Proviamo a chiedere che ci diano un aeroporto con condizioni meteo migliori di questo.

E l’aereo riprese quota.

Fu allora che Clara disse: – Sbaglio o sono ancora il Comandante di questo aeromobile?

– Io ho chiesto la tua rimozione dato che vaneggiavi.

– L’hai verbalizzata ai controllori di volo?

– Effettivamente no.

– Grazie Lisa. Ti devo un favore. E ora, Comandante Ascanio, se gentilmente volesse alzarsi e cedermi il posto.

Ascanio la guardò, si slacciò la cintura, aprì la porticina e chiamò il cameraman.

– Phil: inizia a riprendere tutto. Ho studiato i rapporti di volo su questa ragazza e sono incredibili. Quindi, se tutto andrà bene, avrai filmato uno degli atterraggi più difficili della tua vita; se andrà male avrai filmato uno dei disastri peggiori della Iron Air Ltd.

Clara sorrise ad Ascanio che le strizzò l’occhio e iniziò la checklist per la discesa e l’atterraggio.

La pioggia era veramente forte.

Poi si voltò verso la telecamera e disse: – Sugli aerei non ci sono uomini o donne ma ci sono solo piloti. Persone che amano volare perché ce l’hanno scritto nel loro DNA. E chiunque sieda in questo posto farà di tutto per portarvi a casa, al lavoro, in vacanza, presso la vostra famiglia o presso i vostri amici senza che vi accada nulla. L’unica differenza è che se pilota una donna tutto sarà più preciso e delicato. E ora allacciatevi le cinture di sicurezza dato che dobbiamo atterrare per non fare arrivare in ritardo tutti questi simpatici passeggeri. Forza! Qui sotto troverete il link per le vostre iscrizioni.

Ascanio, sottovoce, disse a Phil: – Mi piace quello che ha detto: lo useremo per la nostra campagna di reclutamento.

Pur con alcune difficoltà Clara riuscì a far atterrare al primo colpo il suo Airbus sotto una pioggia torrenziale. I passeggeri applaudirono per la manovra perfetta nonostante il maltempo.

– Qui è il vostro comandante Clara Chase che vi dà il benvenuto a Mumbai dove sono le ore 20:55. Vi preghiamo ancora di stare con le cinture allacciate sino all’apertura delle porte. Non scordatevi il vostro bagaglio a mano e vi ricordiamo che sull’aereo e nell’aeroporto è vietato fumare. Vi ringraziamo per aver scelto la Iron Air Ltd e ci auguriamo di avervi ancora a bordo con noi. Una buona serata a tutti.

Spento l’interfono Clara, rivolgendosi ad Ascanio disse: – È possibile sapere se in una certa data un nostro aeromobile abbia avuto un incidente?

– Penso di sì. Chiamiamo la sede e glielo chiediamo.

– Cercami tutti gli incidenti del 4 aprile 2016 a Tel-Aviv.

Ascanio fece un lungo giro di telefonate mentre i passeggeri stavano scendendo e dopo un po’ disse: – Ecco qua: 4 aprile 2016, aeroporto Ben Gurion di Tel-Aviv. Un Airbus A321 comandato da te, Clara Chase. Ingestione di volatile nel motore due. Danni minimi. Partenza ritardata di tre ore.

Clara sorrise e disse: – Però! Quell’anatra aveva proprio ragione.

Sorrise.

Si alzò, uscì dalla cabina di pilotaggio e andò dal distinto uomo d’affari londinese che, per sua sfortuna, non era ancora sceso e gli disse: – Mi offrirebbe un’ultima sigaretta?

L’uomo si alzò, le diede tutto il pacchetto, prese il suo bagaglio a mano e si avviò di corsa verso l’uscita.

– Che gente strana che c’è in giro. – disse Clara.

Poi tornò in cabina, si sedette, aprì il finestrino sotto una pioggia torrenziale e si accese una sigaretta.

– Ah! Sto benissimo. Settimana prossima smetterò di fumare.

– È vietato fumare sugli aerei. – disse Lisa.

– È vietato fumare sugli aerei. – disse Ascanio.

Clara raggiunse l’interruttore del segnale del divieto di fumo e lo spense: – Ora si può.

Nel frattempo, alla stessa ora notturna, in un bellissimo attico del centro storico di Londra, c’era Frank Arrivabene, direttore unico della Iron Air Ltd, molto agitato, insieme alla sua compagna.

– Io non so proprio spiegarmelo che fine abbia fatto. Era sul mio tavolo, in ufficio, da me, e poi è sparita. Non c’era più. L’ho cercata dovunque.

– Non ce l’hai in tasca?

– Ti ho già detto di no! Ho già controllato. E poi son sicuro di averla lasciata sul tavolo. Guarda che da me non entra nessuno. Sono il padrone della compagnia! E la mia nuova segretaria è fidatissima.

– Sarà pure fidatissima ma questa sera la nostra pastiglia di ecstasy da dividerci in due non ce l’abbiamo.

– Mah? Chissà che fine avrà fatto?

– Mah?

 

[1] Situazione in cui uno (o più) dei piloti non viene ritenuto più in grado di gestire le normali operazioni di volo e per questo motivo viene esonerato da ogni compito relativo al velivolo.



§§§ in esclusiva per “Voci di hangar” §§§

# proprietà letteraria riservata #


RACCONTI TRA LE NUVOLE – Conferma PREMIAZIONE XI EDIZIONE

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XI edizione Premio letterario “RACCONTI TRA LE NUVOLE”



COMUNICATO STAMPA

nr 9 del 28 settembre 2023



Nella giornata di oggi l’ufficio preposto dell’Aeronautica Militare Italiana ci ha comunicato ufficialmente che saranno lieti di ospitare la premiazione della XI edizione di RACCONTI TRA LE NUVOLE nel loro rinnovato MUSAM – MUseo Storico Aeronautica Militare

(https://www.aeronautica.difesa.it/home/storia-e-tradizione/museo-storico/).

E’ dunque confermato l’appuntamento di domenica 15 ottobre alle ore 11,30 presso la sala conferenze del MUSAM tuttavia preghiamo gli autori/autrici di raggiungere la biglietteria già a partire dalle ore 10 (ora di apertura ufficiale del museo) affinché sia possibile conoscerci, scambiare qualche pettegolezzo e, non ultimo, procedere con tutta calma alle operazioni di accreditamento.

Come indicato nella sezione ORARI E COSTI del suo sito web, l’ingresso al MUSAM è a pagamento, fatto salvo per alcune categorie speciali di visitatori. Ad ogni modo, grazie al supporto economico dell’azienda VR MEDICAL, l’ingresso per gli autori/autrici del Premio avverrà per loro senza alcun costo previo accreditamento.

Il termine della cerimonia è previsto intorno alle ore 13, massimo le 13,30 dopodiché, per chi vorrà, è previsto un buffet presso la caffetteria del museo in modo di fraternizzare in un clima assolutamente informale e, se possibile, più che amichevole.

Alle 14,30, sempre per chi vorrà, procederemo alla visita guidata del Museo che richiederà non meno di un’ora. L’AMI ci ha assicurato che saremo accompagnati da loro personale altamente qualificato.

Poiché alle 16,30 è prevista la chiusura ufficiale del MUSAM, purtroppo ci saluteremo dandoci appuntamento alla XII edizione di RACCONTI TRA LE NUVOLE.

Alla cerimonia interverranno diversi giurati, un delegato del presidente dell’HAG, il gestore di VOCI DI HANGAR, l’amministratore della VR MEDICAL, la presidente dell’ADA, l’editore Logisma e infine sono in via di conferma la presidente della FISA e il Comandante del MUSAM.

Gli autori/autrici che avessero particolari esigenze logistiche o volessero ulteriori informazioni non esitino a contattarci all’indirizzo di posta elettronica del Premio

(raccontitralenuvole@gmail.com)

… faremo del nostro meglio per supportarli.

Arrivederci dunque al MUSAM.



La Segreteria del Premio




Per qualsiasi informazione:

www.raccontitralenuvole.it

RACCONTI TRA LE NUVOLE – PREMIAZIONE XI EDIZIONE

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XI edizione Premio letterario “RACCONTI TRA LE NUVOLE”



COMUNICATO STAMPA

nr 8 del 08 settembre 2023



Salvo l’ultimo benestare da parte dell’Autorità militare, la premiazione della XI edizione del Premio letterario RACCONTI TRA LE NUVOLE – 2023, si terrà presso la sede del MUSAM – Museo Storico dell’Aeronautica Militare

(https://www.aeronautica.difesa.it/home/storia-e-tradizione/museo-storico/)

sito A Vigna di Valle, sulle rive del lago di Bracciano (RM), il giorno 15 ottobre, domenica, con inizio inderogabile alle ore 11 e 30, fuso orario di Roma.

All’interno del museo, recentemente rinnovato e completamente ristrutturato per una migliore fruibilità a beneficio dei visitatori ma anche di eventi culturali in genere, potranno accedere tutti gli autori/autrici nonché i loro accompagnatori non meglio definiti, ossia: mogli e mariti, compagni/e, amanti e concubine, all’occorrenza figli legittimi e non, suocere/i, simpatizzanti varie, vicini/e di casa oltre che sostenitrici o ammiratori a vario titolo.

Considerata l’austerità del luogo non sono ammessi bande di sciamannati con al seguito: bandiere, trombe da stadio, fumogeni e petardi assortiti.

Non è previsto un abbigliamento particolare tuttavia, sebbene siano tendenzialmente apprezzati bikini e bicipiti scolpiti, siamo certi che – neanche a dirlo – le signore faranno sfoggio della loro naturale beltà, viceversa i signori eviteranno rigorosamente di presentarsi con i sandali e calzini bianchi. Saranno apprezzate le cravatte, sì, ma solo se in tema aeronautico.

Procederemo perciò a “fare la festa” al vincitore, Claudio di Blasio, tre volte vincitore del Premio. A scanso di equivoci, annunciamo fin d’ora che non sono in programma atti terroristici o di repressione fisica nei suoi confronti. Invece è previsto un breve seminario di circa 16 ore ininterrotte tenuto da Claudio che spiegherà ai presenti, a mezzo di slide, diagrammi di flusso ed equazioni a 12 incognite, come sia riuscito nell’impresa per ben tre volte, premesso che, al momento della proclamazione della classifica, gli organizzatori hanno seriamente pensato di cambiare la denominazione del Premio: da RACCONTI TRA LE NUVOLE a “Premio Claudio Di Blasio”.

Tutto sommato, l’iniziativa del seminario letterario di Claudio, è ragionevolmente tollerabile giacché, in virtù del titolo del suo racconto, La signora dei cieli, già ci aspettavamo un sermone mariano sull’onda della crisi mistica che lo ha recentemente colpito.

Se poi, nel corso della cerimonia, vi capiterà di incontrare una gentildonna assai affascinante ma vestita completamente di nero, con il collo adornato da una vistosa collana di perle, beh … non vi preoccupate: si tratta solo di Rossana Cilli. No, tranquilli, non è stata colpita da un gravissimo lutto … semplicemente è fedele al titolo del suo racconto: Le perle risaltano sul nero.

Ha già dato la conferma della sua disponibilità a partecipare quel buontempone di Andrea Corsi da Livorno. Il nostro servizio di intelligence ha verificato: non saranno presenti negli hangars del museo visitatori di origine pisana, dunque sono scongiurate scaramucce tra toscani in terra neutrale.

Sarà tollerata invece la presenza del fiorentino Simone Baldecchi al quale però abbiamo dovuto dare la ferale notizia di non portare al seguito il suo kit di volo composto da: cuffie, cosciale, occhialoni da aviatore. Gli aeroplani presenti nel museo – gli abbiamo ricordato – non sono volanti! Dunque non potrà avanzare richieste di mettere in moto il quasi centenario idrocorsa Macchi MC-72 con l’idea di stabilire un nuovo record di velocità.

La sig.ra Nazarena de Angelis, per nulla coerente con il titolo del suo racconto, non prenderà invece l’ A-e-re-o per raggiungere il Museo e dunque, sebbene residente a Roma, impiegherà almeno un paio d’ore in automobile per ritirare il Premio speciale che l’ADA le ha attribuito.

Non avrà problemi la fortunata Sabrina Guerrieri … tanto lei può contare su una risorsa unica nel suo genere: L’angelo bianco. Beata lei!

Al pilota Franco Angelotti, pur essendo il vincitore del Premio Speciale VR MEDICAL, abbiamo dovuto invece proibire qualsivoglia atto di libidine nei confronti degli aeromobili presenti tutto attorno al luogo della premiazione. Inteso, Franco? Inoltre abbiamo appreso che la tua signora Voleva volare da sola ma il Museo è un luogo pubblico … e saremo in tanti a volare. Assieme!

Allo scopo dovrebbe darci una mano il buon Massimo Conti … ma già sappiamo che andrà ad apostrofare tutte le visitatrici dando loro della Mary Ann e aggiungendo: Le ragazze non volano! Indovinate quale è il titolo del suo racconto? Appunto …

Fortunatamente donna Ersilia Torello è una delle poche signore che avrà le idee chiare e ce lo farà comprendere subito dichiarando con fermezza: Voglio il cielo! Ersilia cara … ora ce lo scriviamo e poi ti faremo sapere.

Probabilmente arriverà un po’ affannato il buon Fabio Gerlando Sorrentino giacché – ne siamo certi – arriverà a Vigna di valle in tutta fretta direttamente da Gran Sasso ove, abitualmente consuma il suo caffè mattutino, anche lui rispettoso del titolo del suo racconto Un caffè sul Gran Sasso, appunto.

Apparirà invece di soppiatto e in forma eterea Alessandro Mella che è ancora alla ricerca di Lena tra le nuvole e sarà un sorpresa per tutti i presenti, credeteci.

Chi invece arriverà sicuramente in ritardo sarà Maddalena Schiavi Fano Medas. Perché? Semplice: Madda … è una vita che voli ma ancora non ti sei convinta che si procede più lentamente se si prende a Volare controvento!

Attorniata da uno stormo di farfalle multicolore apparirà invece la fascinosa Stefania Granata scusandosi perché ha dovuto lasciare a malincuore le sue Aquile in cerchio sopra ai boschi antistanti il lago. Ma tanto poi le recuperi, tranquilla! 

Non sapremo fino all’ultimo istante se il Rodolfo Andrei verrà di persona o manderà – in sua vece – un clone, un avatar o un drone meccanico giacché lui è impegnato nel ritiro dei premi di ben sei concorsi letterari contemporaneamente e quindi – capirete – è filino impegnato. Ma ci ha assicurato che, semmai, ci manderà Il volo del gabbiano o un gabbiano in volo, non abbiamo capito bene.

Di sicuro farà un gran baccano e anche un gran polverone il sottufficiale Elisa Prenassi arrivando direttamente dal lavoro con il suo elicottero corazzato e armato di tutto punto. D’accordo che occorre Osare per volare… ma noi non siamo poi così ostili …

Purtroppo ha già manifestato l’impossibilità di essere tra noi Annarosa Ceriani, impegnata in un caffè letterario proprio in contemporanea con la premiazione. Peccato. E se patteggiassimo un rinfresco poetico? Ci farebbe assai piacere conoscere meglio qualcuna delle tue Streghe della notte.

Perché in fatto di streghe sarebbe ferratissimo anche Gianvincenzo Cantàfora anche se quest’anno preferirà venire accompagnato, anziché dalla sua signora, da una donna davvero speciale come La baronne de La Roche. Tutti i gusti son gusti!

A Laura Gallo abbiamo inviato un messaggio direttamente tramite Facebook giacché il social sostiene di conoscere il suo vero domicilio fiscale: Sydney in Australia. Laura spergiura di vivere ancora a Trento e sostiene che ce lo dimostrerà portandosi al seguito una Sugar Bird Lady. Sarà … ma sarà dura convincerci!

Chi invece ci ha già anticipato che non potrà presenziare è Anna Dragone che ci ha confidato di avere zavorre pesanti a terra. Non le abbiamo creduto neanche per un istante perché è risaputo che, una volta atterrata, La casa tra le nuvole – dove è ufficialmente domiciliata – non avrebbe più il posto galleggiante “fronte cascate” come ora.

E purtroppo anche Annarita Pizzo ci ha preannunciato che non potrà raggiungerci. Nel suo caso lo possiamo comprendere giacché non è facile star dietro a una Fiorenza interstellare! A ciascuna le sue pene …

Ovviamente saranno presenti: il titolare dell’azienda VR MEDICAL, Arturo Arveni, che contava di ammarare sul lago con il suo Piper Turbo Arrow ma pare che non farà in tempo a montare i galleggianti che il signor Piper in persona gli ha promesso. Ci raggiungerà con una dozzinale automobile. Povero …

E anche la presidente dellADA, Donatalla Ricci, dovrà rinunciare ad atterrare con il suo autogiro perché altrimenti potrebbero impaurirsi le anguille del lago di Bracciano. Già son poche, poi impaurite …

Al momento non ci è dato sapere quanti giurati/e – ci auguriamo tutti/e – saranno presenti alla premiazione, tuttavia saranno severamente vietate azioni intimidatorie o vendicative nei loro confronti. In via precauzionale forniremo loro un apposito giubbetto antiproiettile impenetrabili pure alle insinuazioni più bieche.

In conclusione, ufficializzata la classifica, e archiviato il piglio istituzionale, ci siamo concessi di prenderci gioco un pochino degli autori/autrici giocherellando con i titoli dei loro racconti … siamo certi che non ce ne vorranno … i racconti!?

Ci auguriamo che tutti gli autori/autrici possano, in un modo o nell’altro, essere presenti alla premiazione. Ad ogni modo, qualora fossero davvero impossibilitati, sappiano che potrebbero inviare un loro delegata/o in loro vece … purché reciti a memoria almeno le prime due righe del racconto per il quale ritirano il premio. Diversamente sappiano che, a titolo rigorosamente gratuito, la copia dell’antologia e il diploma di partecipazione verranno inviati presso il domicilio di coloro che – ahinoi e ahiloro – non potranno raggiungerci a Vigna di Valle né riusciranno a trovare una forma di vita senziente cui delegare l’operazione di ritiro.

Rimandiamo infine al prossimo comunicato, emesso a brevissimo, circa la conferma definitiva nonché ulteriori dettagli operativi circa la premiazione.

A tutti i gli autori/autrici … auguriamo il nostro più sincero “in becco all’aquila”.

La Segreteria del Premio

raccontitralenuvole@gmail.com



La Segreteria del Premio




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RACCONTI TRA LE NUVOLE – vINCITORI XI EDIZIONE

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XI edizione Premio letterario “RACCONTI TRA LE NUVOLE”



COMUNICATO STAMPA

nr 7 del 01 settembre 2023



Non senza difficoltà, i nostri magnifici 10 membri della giuria della XI edizione del Premio letterario “RACCONTI TRA LE NUVOLE” hanno decretato il racconto vincitore. Ebbene si tratta di:



 LA SIGNORA DEI CIELI

di Claudio Di Blasio



Nonché la classifica degli altri 19 racconti finalisti:

2) AQUILE IN CERCHIO di Stefania Granata

3) MARY ANN, TU SEI MATTA. LE RAGAZZE NON VOLANO! di Massimo Conti



4) A – e – r – e – o di Nazarena De Angelis

5) VOGLIO IL CIELO di Ersilia Torello

6) LE VIE DEL CIELO di Alessandro Corsi

7) VOLEVA VOLARE DA SOLA di Franco Angelotti

8) OSARE PER VOLARE di Elisa Prenassi

9) SUGAR BIRD LADY di Laura Gallo

10) UN ANGELO ACCANTO di Francesca Bezziccheri

11) L’ANGELO BIANCO di Sabrina Guerrieri

11) UN CAFFE’ SUL GRAN SASSO di Fabio Gerlando Sorrentino

12) LA BARONNE DE LAROCHE di Gianvincenzo Cantàfora

13) LE STREGHE DELLA NOTTE di Annarosa Ceriani

14) IL VOLO DEL GABBIANO di Rodolfo Andrei

15) LE PERLE RISALTANO SUL NERO di Rossana Cilli

16) INTIMA COMPLICITA’ di Simone Baldecchi

17) LENA TRA LE NUVOLE di Alessandro Mella

18) VOLARE CONTROVENTO di Maddalena Schiavi Medas

19) FIORENZA INTERSTELLARE di Annarita Pizzo

20) LA CASA TRA LE NUVOLE di Anna Dragone

Si noterà che alla posizione 11) sono elencati due racconti: non si tratta di un errore bensì di due diverse composizioni classificatosi a pari merito.




Inoltre l’amministratore dell’azienda VR MEDICAL ha ritenuto di dover attribuire l’omonimo premio speciale al racconto:



VOLEVA VOLARE DA SOLA

di Franco Angelotti




Infine l’ADA—Associazione Donne dell’ARIA ha stabilito meritevole di consegnare il suo speciale premio al racconto:



A – E – R – E – O

di Nazarena De Angelis



A questo punto, a nome degli organizzatori, permetteteci di ringraziare allo stesso modo tutti coloro che hanno partecipato: finalisti e non, vincitori e non, insomma a tutti coloro che hanno speso il loro tempo ed energie mentali nella stesura di un racconto a prescindere dal piazzamento conseguito. Siamo certi che i finalisti avranno modo di fare di meglio nel corso della prossima edizione mentre esortiamo i non finalisti a non smettere di scrivere … e chissà che l’edizione 2024 non sia loro benigna!?

A tutti gli autori/autrici permetteteci di dire semplicemente: grazie! Grazie per l’impegno e la passione dimostrata nel cimentarsi in una sfida non facile. Grazie per essere stati “dei nostri”, e per aver declinato a modo vostro il cielo, il volo e il mondo aeronautico in tutte le sue sfumature. Grazie davvero.

Naturalmente non possiamo fare a meno di congratularci con i vincitori e i finalisti tutti: bravi! Siamo fieri di voi!

Infine un grazie particolare ai giurati e giurate che si sono cimentate nel difficile ruolo di valutare i 55 racconti pervenuti in questa edizione da record di partecipanti. Siamo certi che diversi partecipanti non accetteranno di buon grado il responso della giuria tuttavia ci permettiamo di far notare loro che, in definitiva, la vera classifica verrà stilata dai lettori dell’antologia e il loro indice di gradimento dei testi farà davvero la differenza.

Rimandiamo infine al prossimo comunicato, emesso a brevissimo, con le indicazioni circa la premiazione che, orientativamente, si terrà la prima o al massimo nella seconda domenica del mese di ottobre 2023 in un luogo ancora da definirsi.

A tutti i gli autori/autrici … auguriamo il nostro più sincero “in becco all’aquila”.



La Segreteria del Premio




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MA INFATTI IO PIANGO!


E’ da poco terminata la XI edizione del premio letterario RACCONTI TRA LE NUVOLE e già abbiamo il piacere e l’onore di pubblicare il primo dei racconti che, purtroppo, – e sottolineiamo purtroppo – non sono stati ammessi alla fase finale del Premio malgrado sia manifesta la loro bontà. D’altra parte sono solo 20 i racconti finalisti previsti da regolamento e dunque, in un’edizione particolarmente affollata con ben 55 racconti partecipanti, era inevitabile che alla giuria fosse demandata la difficilissima scelta dei racconti meritevoli della finale, ossia della pubblicazione nell’antologia del Premio e – inevitabilmente  -l’esclusione dei restanti.

Nel corso degli anni, Evandro Detti ha accumulato una notevolissima esperienza aviatoria nell’ambito dell’Aviazione Generale e – senza paura di essere smentiti – ha volato praticamente con tutto quanto potessero offrire gli Aeroclub italiani negli ultimi 40 anni … tuttavia se c’è un rammarico che ancora oggi lo perseguita è quello di non aver mai potuto volare con il T6-Texan, addestratore per antonomasia della rinata Aeronautica Militare. Mai dire mai, caro Evandro, chissà che un giorno tu non possa sanare questa carenza! (foto fornita dall’autore)

A dimostrazione della correttezza dell’operato della giuria che – lo ricordiamo – valuta i racconti in formato assolutamente anonimo, e anche a testimoniare la profonda gratitudine che nutriamo nei confronti di uno dei più prolifici e apprezzati redattori del nostro hangar, il primo racconto che andremo ad ospitare sarà proprio quello del “nostro” Evandro Detti.

Perfettamente in linea con la sua pluriennale linea narrativa, il buon Evandro ci ha regalato un suo sag-conto (un po’ saggio e un po’ racconto) che stavolta ha per protagonisti i veterani di quella che fu la Regia Aeronautica italiana, antesignana dell’odierna AMI – Aeronautica Militare Italiana.

Chi pilotava questo tipo di velivolo – biciclo – godeva automaticamente del rispetto dei veterani della Regia e così, quando il buon Evandro raccontava loro delle le sue esperienze di pilota civile, beh … saliva di un gradino nella scala della considerazione di cui godeva. Questa foto lo ritrae in quella specie di portaerei rocciosa che prende il nome di Giannutri, isola dell’arcipelago toscano che misura 500 metri in larghezza e 5 chilometri in lunghezza in cui, ancora oggi, non sono ammesse automobili né sono presenti strade asfaltate e dunque ci si muove solo a piedi. Fino al 2000 esisteva un’aviosuperficie priva di hangar e carburante lunga solo 500 metri e proprio su quella l’autore posò le ruote per lo scatto incriminato. In verità egli ha ammesso che, per scattare questa fotografia, poiché il velivolo non disponeva di avviamento elettrico, lui e il suo copilota lo frenarono lasciando il motore al minimo, gusto il tempo per ottenere immortalarsi sulla “pista” di Giannutri. (foto fornita dall’autore)

Esprimere questo termine – v e t e r a n o – in presenza di un giovanissimo nato e cresciuto dopo l’anno 2000 provocherà di sicuro in lui un certo stupore perché i drammi, le privazioni e le distruzioni della II Guerra Mondiale appartengono ormai solo alla memoria di coloro che, alla soglia degli 80 o 90 anni di età, li hanno vissuti sulla loro pelle e che all’epoca erano poco più che bambini o al massimo adolescenti. Viceversa, per Evandro – che anagraficamente non è proprio un ventenne sebbene ne abbia la vitalità – l’esperienza di frequentare i veterani lo ha accompagnato spesso nel corso delle sue scorribande aviatorie e inevitabilmente lo ha  in qualche modo maturato. E proprio di loro ci racconterà … ma con quella delicatezza e il pudore che riserveremmo solo a un nostro congiunto benché si tratti quasi sempre di emeriti sconosciuti.

Evandro, da ottimo autore ligio alla veridicità storica ma anche da abile narratore quale è, sa benissimo come toccare le corde della sensibilità del lettore e – ne siamo certi – scorrendo le righe del racconto,  vi salirà letteralmente un groppo alla gola perché si concretizzerà sotto i vostri occhi l’immagine di uomini che sono stati profondamente segnati dal conflitto mondiale e che, nonostante siano trascorsi ormai diversi anni, si trascinano con grande dignità sempre inseguiti dalle ombre dei loro commilitoni defunti e degli indicibili strazi che patirono in prima persona o di cui furono testimoni.

Correva l’anno del signore 1968 quando, a bordo di questo Fairchild C-119 Flying Boxcar l’autore riceveva il battesimo del volo e da quel giorno in poi egli ha praticato molto intensamente la fede del pilota civile … (foto fornita dall’autore)

A distanza di 80 anni e più dal conflitto mondiale,  di veterani ne rimangono in vita pochissimi; un’intera generazione se n’è letteralmente andata e di loro ci rimangano solo le testimonianze o le confidenze come quelle riportate da Evandro Detti che all’epoca le raccolse, non senza difficoltà, superando la feroce riservatezza degli interlocutori.

Il racconto si avvia con il pretesto di una vecchia canzone degli Abba (glorioso gruppo musicale svedese) i cui versi si ritornano qua e là nel corso della composizione a mo’ di pretesto per riportare situazioni e aneddoti vari legati appunto ai veterani; racconto che fila via – come siamo ormai abituati nei migliori a firma di Evandro – fino all’epilogo con la frase che troviamo nel titolo dandone così una spiegazione assolutamente pertinente e creando un impeccabile circolo logico.

Ancora una bella immagine dell’autore giusto appollaiato sull’ala del Morane Saulnier MS 892A dotato di un motore con la ragguardevole potenza di 150 Hp: il sogno negli anni ’80!

Grazie, Evandro perché hai reso vivida la memoria di quelle tante persone alle quali dobbiamo davvero molto e che viceversa, sono ormai cadute nell’oblio, specie da parte delle generazioni più giovani per le quali la bandiera e la patria assumono un qualche significato solo in occasioni di grandi eventi sportivi, specie calcistici.

Grazie ancora, Evandro, e onore ai veterani!



Narrativa / Medio – lungo

Inedito

Ha partecipato alla XI edizione del Premio letterario “Racconti tra le nuvole” – 2023


Nota della Redazione: nella foto in evidenza sarà possibile individuare l’autore negli anni ’80 a bordo di un aliante Grob Twin Astir in atterraggio per la pista 36 dell’aeroporto di Guidonia.

Ma infatti io piango!

Una canzone degli Abba, uscita nel 1978, è tra le mie preferite. La ascolto volentieri mentre viaggio in macchina e spesso la rimetto daccapo per risentirla, non mi stanca mai. Le parole sono in inglese, ma come spesso accade con questa lingua, sono talmente efficaci da proiettarmi indietro nel passato e farmi rivivere momenti di vita vissuta come in un sogno.

La canzone parla di aquile. Quelle vere, forse, ma io ne ho conosciute altre che potrebbero essere inserite pari pari nella canzone.

They came from far away, now I’m under their spell. I love  earing the stories that they tell. They’ve seen places beyond my land. They’ve found new horizons. They speak strangely, but I understand“.

“Sono venuti da molto lontano, ora sono sotto il loro incantesimo. Mi piace ascoltare le storie che raccontano. Hanno visto luoghi al di là della mia terra. Hanno trovato nuovi orizzonti. Parlano in maniera strana, ma io capisco.”

Le aquile di cui parlo sono venute davvero da molto lontano. Non solo beyond my land – oltre la mia terra, ma anche beyond my time – oltre il mio tempo. Non ero ancora nato quando loro già volavano verso altri orizzonti. E mi piace ascoltare le loro storie, quando sono in vena di raccontarle.

Parlano strano, è vero. Usano termini antichi, parole ormai sostituite da altre più moderne, frasi idiomatiche che sembrano conoscere solo loro. Ma basta poco tempo per apprenderle. E inevitabilmente conquistano l’ascoltatore, che resta incantato ad ascoltare.

Parlano strano. Ma io capisco.

Alla fine degli anni sessanta e nei primi anni settanta ne incontravo molte, di queste aquile, appena entrato in Aeronautica Militare. Ufficiali e sottufficiali, marescialli anziani, tutti riconoscibili nella loro divisa impeccabile, con l’immancabile aquila turrita di pilota militare sul petto, giusto al di sopra di un largo rettangolo di nastrini e onorificenze. Medaglie al valore, guadagnate in azioni di guerra, chissà dove, come e in quali azioni.

Li incontravo ovunque.

Guidonia è sempre stato un luogo molto attraente per tutti noi appassionati di aviazione. La sua storia ha profonde radici nel passato. Non tanto la cittadina quanto il suo aeroporto.

L’aeroporto di Guidonia è stato teatro di infiniti eventi aeronautici che meriterebbero una enciclopedia intera ad essi dedicata.

Oggi esistono ancora molti indizi degli antichi fasti, ma certamente, per vederli, bisogna avere un’adeguata conoscenza della Storia e un occhio ben attento. L’ambiente è profondamente cambiato nei decenni. Tutto si è modernizzato, non solo nelle infrastrutture, che non sono cambiate così tanto dagli anni ruggenti dell’Aviazione italiana, ma anche e soprattutto nell’ambiente umano. Oggi l’aeroporto rispecchia le condizioni generali della forza armata che lo gestisce, l’Aeronautica Militare Italiana. Oggi sono soprattutto giovani quelli che girano per i reparti.

Sui piazzali vediamo parcheggiati velivoli di diverso tipo, alcuni sono jet e altri sono ancora aerei ad elica. Poi ci sono gli alianti, qui ha sede una sezione del volo a vela militare. I monomotori ad elica servono proprio a trainare gli alianti, che sono quasi esattamente uguali ai nostri, ma con le classiche coccarde sulle ali.

Qualche decennio fa l’Aeronautica usava questa sede per ospitare reparti in via di estinzione, di trasformazione o di ricollocazione, aerei e personale. Per alcuni piloti anziani questo aeroporto ha costituito l’ultima pietra miliare del loro percorso operativo. La successiva era la pensione.

Ma qui, per un breve periodo, continuavano a volare sui loro vecchi aerei, che successivamente sarebbero stati pensionati anch’essi, cioè radiati. E’ stato il caso dei C45 bimotori, dei T6 della scuola di Alghero e dei Siai 208 che oggi continuano a volare come aerei di collegamento e di traino alianti.

Non appartenevo a quei reparti, ma spesso andavo a trovare i miei colleghi che invece vi appartenevano. C’ero anch’io tra quei militari e li ho visti. Loro e i loro aerei.

Ero di casa a Guidonia, già dieci anni prima di andarci per cominciare il corso di pilota di aliante, nella sezione di volo a vela dell’Aeroclub di Roma, che in quell’aeroporto aveva sede.

Ho conosciuto quei piloti, anziani e prossimi alla pensione, ma ancora ben validi. Li ho visti salire sui C45, accendere i motori e rullare verso il punto attesa. Li ho visti decollare e atterrare, sempre in maniera impeccabile. Molti avevano sulla divisa il simbolo di ferite di guerra. Avrei voluto domandare loro tante cose, ma non parlavano volentieri di certi argomenti e comunque i loro atteggiamenti e l’espressione di quei visi non mi incoraggiavano certo a fare domande. Sembravano appartenere a un altro mondo.

Devo dire che, in genere, facevano caso all’ aquiletta dorata che portavo sulla divisa, quella di pilota civile di aeroplano. Qualcuno mi chiedeva dove avessi preso il brevetto (allora la licenza di volo si chiamava così). Quando rispondevo di averlo preso all’Aeroclub di Viterbo mostravano subito segni di grande apprezzamento. In genere sembrava che conoscessero molto bene  l’aeroporto di Viterbo, come se fosse stato un loro luogo di predilezione, come se vi avessero operato tanto tempo prima, in un tempo lontano di cui io non sapevo nulla. Come se si fosse trattato di una vita precedente.

Ogni tanto, appena nominavo Viterbo e il suo Aeroclub, mi sentivo dire sempre la stessa frase: “Ah, ottimo Aeroclub. Una vera fucina di piloti. Lì nascono piloti veri …“.

Era come se, all’improvviso, mi avessero collocato su uno scalino più in alto.

Questo era l’atteggiamento generale, del quale, però, non avevo idea di quale fosse il motivo. Nelle discussioni, che immancabilmente seguivano, venivano nominati altri piloti, mi chiedevano se conoscevo questo o quello, personaggi che a Viterbo vivevano o semplicemente frequentavano l’Aeroclub. Non solo piloti, anche specialisti. La loro fama era qualcosa di vago e misterioso, noi giovani eravamo poco consci di quale storia e quali avvenimenti celassero dietro i loro sguardi profondi, a volti persi nel vuoto, a volte duri e intransigenti, a volte però, perfino gentili e indulgenti.

Al di là dell’apprezzamento per essere un pilota, tuttavia, percepivo anche una sorta di sfiducia generalizzata verso i piloti civili come me. All’inizio la attribuivo al fatto di essere tanto giovane, di fronte a persone molto più anziane. Ovviamente, alla mia età, ero all’inizio. Per avere la loro esperienza avrei dovuto volare per tutta la vita. E magari fare anche qualche anno di guerra. Insomma … come biasimarli! Ero un principiante. Poco ma sicuro.

Nel corso delle chiacchierate, dove non mi dicevano nulla delle loro storie, specialmente quelle del periodo bellico, si parlava degli aerei moderni. In particolare emergeva un elemento fra tutti: la differenza fra gli aerei con il carrello cosiddetto triciclo, quello con la terza ruota sotto il muso e quelli che avevano il ruotino sotto la coda, detti bicicli. Sembrava che, nella loro considerazione, i primi fossero troppo facili, i secondi difficili e, manco a dirlo, gli unici che si potessero considerare aerei veri. E giù discussioni su tendenze ad imbardare, coppia dell’elica, quanto piede serviva per contrastare certe forze con il cosiddetto timone di direzione che si comanda, appunto, con la pedaliera. Con gli aerei di oggi, beh! tutto è diventato facile. Troppo facile. Sui tricicli sono tutti piloti, ormai … Ai loro tempi, invece … e frasi di questo genere.

Tra racconti di imbardate ed episodi di uscite di pista, prima o poi riuscivo a dire che conoscevo il problema, perché a Viterbo volavamo su entrambi i tipi di aeroplani. I bicicli erano i PA 19. Li avevamo avuti dall’Esercito Italiano che, pur conservandone un certo numero per sé, alcuni li passavano agli Aeroclub.

Appena venivano a sapere che volavo anche con i bicicli … la mia quotazione saliva istantaneamente. Nonostante fossi un principiante, venivo dall’Aeroclub di Viterbo, volavo con aerei bicicli, quindi … mi sentivo collocato ben due scalini più in alto.

Ogni tanto mi invitavano anche al bar con loro. Meravigliosa sensazione. In quelle occasioni era come se fossi uno di loro. Quasi.

Veterani. Alcuni erano veterani di guerra. Gente che emanava durezza, ma anche una straordinaria gentilezza, nobiltà di modi, inclinazione naturale alla solidarietà e alla disponibilità. Emanavano esperienza e capacità. E si vedeva chiaramente che erano alla fine di una carriera cominciata in un tempo lontanissimo; che arrivavano da un percorso a me oscuro, ma che avevano attraversato l’inferno, una guerra tremenda, vicende dolorose e terribili, tanto da non poterne neppure parlare.

Infatti non se ne parlava. Al primo accenno a quegli avvenimenti si chiudevano, smettevano di parlare o cambiavano discorso. Sembravano trattenere il respiro per evitare di commuoversi, forse erano troppo travolgenti i ricordi. Qualcuno guardava da un’altra parte…

Quei vecchi marescialli sembravano alieni venuti da un’altra galassia.

Qualcuno di loro aveva sulla divisa una striscia dorata che sapevo rappresentare ferite di guerra. E non potevo fare a meno di averne rispetto, ma anche di questo non osavo chiedere notizie di dove e come erano stati feriti.

La canzone degli Abba, ad un certo punto, dice:

As all good friends we talk all night, and we fly wing to wing. I have questions and they know everything

Come tutti i buoni amici parliamo tutta la notte, e voliamo ala contro ala. Ho tante domande e loro sanno tutto

Avrei volato volentieri con loro. Forse avrei potuto provare a ottenere il permesso di farlo, ma non mi ricordo di averlo chiesto. Forse no. Peccato, perché per me sarebbe stato un grande privilegio e un notevole onore.

Ma un giorno accadde una cosa che ricordo ancora molto vividamente.

Tornavo da un volo a Siena, solo a bordo di un Morane Saulnier dell’Aeroclub, e stavo sorvolando Montefiascone, diretto a Viterbo per l’atterraggio. C’erano molte nuvole e mi divertivo a passarci vicino, sfiorandole con l’ala. Addirittura, se ne vedevo qualcuna abbastanza piccola e sfilacciata, ci passavo dentro.

Mentre sbucavo da dietro una nube piuttosto grande, a rispettosa distanza, improvvisamente vidi un aereo al mio stesso livello, quasi in senso opposto. Passò tra me e la nuvola ad una velocità incredibile, ma feci in tempo a vedere la faccia del pilota di sinistra che si girò verso di me. Uno sguardo fuggevole, di sorpresa, come del resto, forse, dovette apparire il mio verso di lui.

Era un C45, bimotore con doppia deriva. Uno di quelli di Guidonia. Di sicuro anche i piloti lo erano.

Avevo rischiato una collisione. C’era mancato poco. Eppure, invece di sentirmi spaventato ero rimasto calmissimo. Ricordo che controllai di essere ad una quota giusta secondo la normativa in vigore che prescriveva di volare rispettando i cosiddetti livelli semicircolari. Quindi non dovevo temere rapporti da parte dell’aereo militare. I due piloti potevano forse aver avuto il tempo di leggere il nominativo del mio aereo, scritto a lettere grandi sulla fusoliera. Ma ero a posto, anche se mi ripugnava dover dire che loro, invece, volavano ad una quota sbagliata. Ero già sulla frequenza della Torre di Controllo di Viterbo, tuttavia non sentii alcuna comunicazione da parte del C-45. Era andata bene. Cominciai la discesa rassicurato.

E poi mi sentivo onorato di essere in volo insieme a quei veterani. Non nello stesso aereo, ma nello stesso cielo.

Non ho mai saputo chi ci fosse sul C-45, dopo quell’incontro, per lungo tempo, non ebbi più occasione di andare a Guidonia.

I veterani di cui sto parlando erano persone veramente affascinanti. Ne ho conosciuti tanti in quegli anni. Ero giovane e loro anziani. Alcuni di loro, come ho detto, sembravano duri e intransigenti. Da noi giovani pretendevano molto e, naturalmente a noi questo atteggiamento urtava non poco. Il ’68 era appena passato e in Aeronautica molte cose stavano cambiando. Lentamente, a dire il vero, ma cambiavano. E lo scontro tra generazioni non poteva essere indolore.

Per i veterani, che venivano dalle tragedie della guerra, finita da poco più di un ventennio, doveva essere duro veder scomparire valori nei quali avevano tanto fermamente creduto e per i quali avevano sofferto immensamente. Del resto, a noi giovani interessava già avere i capelli un po’ più lunghi e magari, mi ricordo bene, i pantaloni della divisa leggermente scampanati, secondo la moda del momento. La convivenza tra le due generazioni, a quel tempo, non era sempre tranquilla.

Ma loro, i veterani, stavano meglio per conto proprio, parlando delle loro cose, che a noi apparivano misteriose.

L’aria di mistero era quella che mi impressionava di più. E il distintivo di ferite di guerra mi faceva più impressione di altro. Mi chiedevo che tipo di ferite avessero riportato, e in che situazione.  Non sembrava opportuno chiederlo, anche se per il resto rispondevano a tante domande e sembravano sapere tutto, specialmente le cose di volo, del pilotaggio e della navigazione.

Erano venuti da oltre il mio tempo, da oltre il mio orizzonte, come dice la canzone, ed emanavano un fortissimo magnetismo, al punto tale che rispettavo quei veterani con tutto il cuore. Accettando perfino i rimbrotti di qualcuno di loro. E quanto avrei voluto conoscere le loro storie!

Un giorno venni a sapere di un brutto episodio accaduto in una caserma dell’Aeronautica, adiacente al luogo dove prestavo servizio. Un anziano maresciallo si era suicidato gettandosi dalla finestra. Non andai a vedere, ma mi dissero che molto probabilmente l’uomo, che soffriva da tempo per i traumi di guerra, aveva minuziosamente progettato il proprio suicidio. Si era lanciato dalla finestra, in modo tale da cadere all’indietro e sbattere la testa sulla sporgenza di un cornicione sottostante, così da arrivare a terra già privo di sensi. Un episodio che mi colpì profondamente.

Era uno di quei veterani.

Voglio raccontare anche un altro episodio che riguarda uno di loro. Un tipo taciturno, abbastanza incline a brutalizzare chiunque, se ne avesse avuto il motivo. Faceva il direttore della linea di volo dell’Aeroclub di Roma. Normalmente stava in piedi, appoggiato alla porta dell’hangar, oppure seduto su una delle sedie disseminate qua e là. Spesso sonnecchiava. Sospetto che bevesse anche un poco, specialmente al circolo o alla mensa militare.

Tutti ne avevamo un sacrosanto rispetto. Sapevamo che aveva fatto la guerra. E si vedeva che ne conservava ancora il ricordo, doloroso e praticamente costante.

Lo avevo visto tante volte prendere a brutte parole qualche pilota, cacciandolo anche via in malo modo. Ma di solito era gentile e disponibile.

Un giorno che era in vena di parlare descrisse una delle sue azioni di guerra. Poche parole, ma furono come i fotogrammi di un film proiettati brevemente sullo schermo. Aveva mitragliato mezzi nemici e truppe in marcia. E si chiedeva come avesse potuto fare certe cose, forse gli avevano messo qualcosa nel rancio … Lui, altrimenti, non avrebbe potuto.

Un flash. Poi il silenzio. E aveva ripreso a camminare per la linea di volo, mani dietro la schiena, solo con sé stesso e con i suoi ricordi.

Un giorno arrivai in linea con un amico per fare un voletto. Era tempo brutto, nubi basse, vento e rischio di pioggia. Tutti stavano davanti all’hangar ad aspettare un improbabile miglioramento. Le porte dell’hangar erano semichiuse e gli aerei erano dentro.

Senza convinzione chiesi se potevo prendere un P66B, aspettandomi un secco no. Ma con mia grande sorpresa l’anziano pilota chiamò lo specialista e gli disse di tirarmi fuori un aereo.

Nel vedere questo, alcuni piloti presenti protestarono, perché si sentirono discriminati. Ma lui, con fermezza, disse che non siamo tutti uguali. Io venivo dall’Aeroclub di Viterbo, una fucina di piloti veri. Perciò …

Che piacere può fare una tale fiducia! Comunque, subito dopo mi si avvicinò e mi disse: “Stia attento, perché con le nuvole basse, il paesaggio, anche quello che conosce bene, appare in maniera diversa. Resti a sinistra del Tevere, se dovesse avere problemi, metta prua est e quando il Tevere le passa sotto, novanta gradi a destra e lo segue fino a tornare al campo“…

Un altro giorno un pilota dell’Aeroclub di Roma volò a Viterbo. All’atterraggio finì in una pozza d’acqua che stagnava al centro della pista di erba. L’aereo sbandò paurosamente, ma ne uscì indenne. Il pilota rullò al piazzale aeroclub, scese tutto spaventato e disse che lui da lì non sarebbe ripartito. Si fece accompagnare alla stazione e tornò a Roma con il treno.

Il giorno dopo ero all’Urbe e il veterano mi chiese di andare a riprendere quell’aereo. Ci andai. A Viterbo mi fecero problemi. Non erano sicuri che davvero mi avesse mandato lui e fecero una telefonata di controllo. Sentii la segretaria dire al telefono: “Accidenti, com’è categorico lei, Comandante“!

Poi la segretaria disse che il veterano aveva detto solo “Dategli l’aereo“. E subito dopo aveva chiuso.

Questi personaggi erano fatti così. Non ho volato ala contro ala con loro, come dice la canzone, ma è quasi come se lo avessi fatto.

L’Aeronautica mi aveva assegnato un alloggio militare in un palazzo, uno di quelli che, all’epoca,  possedeva e utilizzava proprio per alloggiare i sottufficiali e qualche ufficiale. Ad ogni piano gli appartamenti erano divisi in camere, ognuna destinata a due persone. Nella mia dormivo solo io. Il primo piano, però, era tutto allestito come sala convegno e c’era pure un bar molto fornito. Di fianco c’era una sala TV e oltre quella c’era la porta di un appartamento destinato al direttore di tutto il palazzo. Lui risiedeva lì con la famiglia, una moglie e un figlio. Li avevo visti di sfuggita, ma non avevo mai avuto modo di vederli da vicino. Sapevo solo che il direttore era un maresciallo prossimo alla pensione.

Un giorno ero seduto al bar di quegli alloggi e conversavo con un amico. Eravamo in divisa. Il mio amico era un ex allievo ufficiale pilota che era stato appena dimesso da un corso di pilotaggio, se non ricordo male a causa di qualche problema disciplinare ed era di passaggio, in attesa di riassegnazione ad altri incarichi. Il maresciallo entrò nella stanza, ci vide e, dopo aver parlato un po’ con l’aviere del bar, venne a parlare con noi. Fu così che lo conobbi.

Naturalmente parlammo di aeroplani. Volle sapere tutto sul mio amico, dei suoi voli sull’MB 326, perché era stato dimesso e dove sarebbe andato dopo. Poi chiese anche di me.

Solito copione. Viterbo, l’aeroclub, i tipi di aerei etc.

Anche lui sembrava unire un’aria autorevole, tipicamente militare, ad una gran gentilezza di modi. Mostrava interesse per le nostre storie, considerazione mista ad un sincero dispiacere per l’esito del corso di pilotaggio del mio amico.

Nel frattempo lo avevo osservato bene. Impeccabile nella divisa, l’aquila turrita al suo posto, una sfilza di onorificenze allineate al di sotto dell’aquila e… una striscia dorata, simbolo di ferita di guerra, sul lato della manica. Un altro veterano.

Parlammo a lungo. Ci dava del lei, nonostante la differenza di età, come facevano in molti, forse altra abitudine che veniva dal passato. Era prossimo alla pensione, questione di una manciata di mesi. Non ricordo se volasse ancora oppure no. Per tutto il tempo gli parlammo di noi, ma di sé  non ci disse nulla.

Lo incontrammo ancora diverse volte e sempre ci sedevamo da una parte, a parlare di aeroplani.

Un giorno entrai nel bar e trovai il maresciallo seduto con una rivista davanti. Gli chiesi se potevo offrirgli qualcosa e accettò un caffè. Presi due caffè dal banco e andai a sedermi vicino a lui.

Quel giorno decisi di fare qualche domanda discreta.

All’inizio sembrava titubante, rispondeva con poche parole e molte pause. Ma volevo sapere se aveva combattuto con un caccia, se aveva abbattuto altri caccia, insomma cosa aveva fatto durante la guerra.

Pian piano sembrava sciogliersi, come se fosse addirittura lieto che qualcuno gli avesse chiesto di parlare di queste cose. Ogni volta che titubava, smettendo di parlare, con lo sguardo fermo in un punto, come a ricordare i particolari, lo incitavo gentilmente a proseguire. Mi aspettavo di sentirgli raccontare della guerra sul Mediterraneo, forse contro Malta, come avevo sentito altri parlarne. E mi aspettavo di sentirlo parlare dei Macchi 202 o 205, se non addirittura dei CR32 e 42…

No. Niente di tutto questo. Lui pilotava aerei da bombardamento. Ora non ricordo se fossero gli SM 79 o qualche altro tipo. Ma non era sui caccia.

E niente Mediterraneo. Lui aveva fatto la campagna di Russia e volava sul Don.

Così lo pregai di parlarmi di quella guerra. Ormai non avevo più timori reverenziali, ma solo interesse. E lui mi raccontò un sacco di cose. Mi spiegò dei problemi climatici, di come tenevano caldi i motori durante le ore di stazionamento a terra degli aerei, in condizioni di ghiaccio, neve e venti gelati. Di come vivevano la vita di tutti i giorni. Come mangiavano, dormivano, e anche come volavano.

Sapevo tante cose della guerra su quel fronte, ma devo dire che sentirne parlare da parte di chi c’era stato era diverso.

Ad un certo punto mi disse che per i piloti moderni è difficile immaginare cosa era stata l’aviazione negli anni di guerra. Allora mi sembrò il caso di comunicargli l’impressione che avevo sempre avuto di non dover fare domande perché mi sembrava che non sarebbero state gradite. E invece, dissi, sarebbe stato opportuno che loro, i veterani, raccontassero a noi giovani le loro storie, in modo da farci comprendere quei tempi. Lui disse che invece no, non era il caso. Troppo crude sarebbero state le loro vicende e soprattutto sarebbe stato inutile, visto che ormai era tutto passato. Anche i ricordi, a dispetto del tempo ormai trascorso, erano troppo vividi e dolorosi per poterne parlare. E i giovani non li avrebbero compresi, perché impossibili da comprendere. Impensabile addirittura farsene un’idea appena più che vaga.

No, disse, la guerra va solo dimenticata. E lasciata sprofondare nel passato, sperando che non torni mai più. Nel dire questo aveva distolto lo sguardo, girando la testa, come a voler scacciare un’immagine che non avrebbe voluto vedere. Aveva gli occhi lucidi e un po’ arrossati, ma cercai di non dare a vedere che me ne ero accorto.

All’improvviso cambiò discorso e mi disse che con il mio brevetto di pilota ci avrei fatto ben poco. Ne fui sorpreso e chiesi il perché.

Mi disse che volare da privati era troppo costoso. E non permetteva di fare abbastanza esperienza. Non diventi un pilota facendo voletti locali, con il tempo buono, solo per diletto. E non c’è paragone con un pilota che vola per professione, che compie missioni di ogni tipo e soprattutto, che si trova a dover affrontare situazioni improvvise e difficili.

Certo, tutto chiaro, tra un pilota di guerra e un pilotino di aeroclub… neanche a parlarne.

Di colpo, mi fece una domanda a bruciapelo. Mi disse che poco tempo prima era partito da Guidonia pilotando un aereo che aveva solo un’oretta di volo di vita operativa, prima di essere radiato. Si trovava dalle parti dell’aeroporto di Centocelle, che all’epoca aveva ancora la sua pista in buone condizioni, quando vide del fumo venire fuori dal cruscotto. E mi chiese: “Lei che decisione avrebbe preso“?

Colto alla sprovvista, risposi che sarei atterrato subito a Centocelle. Ma replicò che un po’ di fumo, in volo, potrebbe diventare una palla di fuoco in pochi istanti. Atterrare richiede tempo. Troppo.

Suggerii altre soluzioni, ma devo dire che anche a me non sembrarono troppo attuabili. E comunque, per ognuna, lui aveva da ridire. E poi, intanto che ne parlavamo, l’aereo sarebbe stato già in fiamme. Magari esploso.

Alla fine, mi arresi. E chiesi:”Maresciallo, che cosa ha fatto, lei“?

Ho spento la radio“, rispose.

Dannazione. A quella non avevo neanche pensato.

Mi resi conto, in quella conversazione, che il maresciallo era diventato stranamente loquace. Sembrava triste e sospettai che prima del nostro caffè avesse bevuto ben altro.

L’attacco ai brevetti civili, ai pilotini di aeroclub, mi aveva spiazzato. Che ne restava della mia blasonata provenienza dall’aeroclub di Viterbo, della fucina di piloti, dei carrelli bicicli?

Avevo provato a replicare, ma questo lo aveva caricato di più. E parlò. Mi raccontò tante cose, tanto terribili che rimasi ammutolito ad ascoltare.

Aveva una medaglia sul petto e, ad un certo punto, mi sembrò il caso di chiedergli di quella.

Mi disse che l’aveva guadagnata sul Don. Aveva partecipato ad una missione nella quale doveva anche sorvolare un reparto che stazionava in una zona in attesa di ordini. Aveva a bordo un cilindro che doveva essere lanciato a bassa quota su quel reparto. Gli ordini erano nel cilindro. Ma il suo aereo era stato colpito. Aveva a bordo un morto e qualche ferito. Forse anche lui stesso lo era e l’aereo era danneggiato. In quelle condizioni, nonostante tutto, l’aereo era ancora governabile e lui decise di portare a termine la missione, prima di rientrare. Lanciò il contenitore con gli ordini, nonostante tutto.

Ebbe così la sua medaglia.

Con gli occhi un po’ arrossati, continuò a raccontare altri fatti. Non nominò nessuno di coloro che erano andati con lui su quel fronte e che non erano tornati, ma capii che furono tanti. E lui li ricordava tutti. Ricordava tutti i suoi voli, uno per uno. E di ogni volo, i cui dati erano allineati sulle righe del libretto, sapeva cosa era successo, chi si era salvato, chi era stato ferito, chi aveva perduto la vita.

Le ore passavano. Restai ad ascoltarlo, rapito e affascinato, ma anche rattristato e travolto dalla tragicità delle vicende di guerra. E comunque, nonostante tutto, sapevo che ascoltare il racconto era ben diverso dall’essere stato protagonista di certi avvenimenti. Aveva proprio ragione.

Avevano ragione, i veterani, a non voler parlare di quella parte di storia.

Infine, le pause si fecero più frequenti. Gli occhi del maresciallo erano decisamente arrossati. Sembrava un po’ a disagio e forse era sul punto di alzarsi per andarsene, scomparendo nella porta del suo appartamento, come gli avevo visto fare tante volte.

Anch’io ero un po’ provato. E mi sentivo in colpa per averlo fatto parlare.

Gli dissi:” Beh, maresciallo, se io avessi vissuto le vicende che mi ha raccontato, sicuramente prenderei il libretto di volo, scorrerei le righe e piangerei tutte le mie lacrime…”

Lui mi guardò. Fece una breve pausa, girando intorno lo sguardo come ormai faceva di continuo. Poi si piegò decisamente verso di me e, quasi con disperazione, disse:

Ma infatti io piango! Prendo proprio i miei libretti di volo. Ricordo ogni volo che c’è registrato sopra. Scorro le righe. E piango“…

Si alzò, leggermente insicuro nei movimenti, mi diede la mano nel salutarmi, mi sorrise con la solita antica gentilezza, attraversò la stanza, uscì nel corridoio e scomparve oltre la porta della sua casa.

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§§§ in esclusiva per “Voci di hangar” §§§

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Evandro Detti

Nota della Redazione: nella foto in evidenza è ritratto l’autore negli anni ’80 presso l’aeroporto di Foligno accanto a un L-18 all’epoca in forza presso l’Aeroclub di Viterbo .

In un cielo di Guai – ter

titolo: In un cielo di guai

autore: Alessandro Soldati 

editore: Cartabianca

pagine: 200

anno di pubblicazione: giugno 2023 – II edizione (tascabile ed e-book)

ISBN: 8888805486 e 978-8888805481




Secondo un vecchio proverbio popolare “non c’è due senza tre” e così, dopo due recensioni (la prima a cura della Redazione e la seconda del nostro redattore specializzato Evandro Detti), ecco la terza …. perché se per il nostro hangar due recensioni del medesimo volume sono un evento anomalo … beh, tre sono qualcosa di assolutamente impensabile. Eppure, poiché il romanzo “In un cielo di guai” è disponibile da qualche mese in una nuova veste, ci è sembrato doveroso pubblicarla a beneficio dei nostri visitatori e soprattutto dell’autore che – diciamolo senza possibilità alcuna di essere smentiti – ci ha regalato un diamante di rara bellezza.

In verità la prima edizione del libro del comandante Soldati era sì un diamante assolutamente unico e preziosissimo … ma grezzo, ossia non tagliato nelle sue molteplici sfaccettature geometriche … viceversa questa seconda edizione lo priva di qualsivoglia opacità cosicché da renderlo – se possibile – ancor più brillante da tutte le angolazioni.

Il risguardo destro che ci anticipa, senza svelarne i dettagli più succulenti, il contenuto notevolissimo  del romanzo di Alessandro Soldati. Allo scopo di mantenere bassi i costi di stampa, questo diventa una discriminante qualitativa e infatti … nella prima edizione non era presente. Appunto.

E a proposito della prima stesura – in tutta la nostra squallida onestà -di lati opachi ne avevamo benignamente additati diversi, viceversa ora sono stati tutti risolti, tutti dimenticati per merito del nuovo editore Cartabianca e – occorre sottolinearlo – grazie all’umiltà dello stesso Alessandro Soldati che si è affidato alle “cure” di un vero editore.

Lungi da noi voler aprire un’ampia parentesi sulla bontà del lavoro svolto dagli editori professionisti – quelli con la E maiuscola, per intenderci – o sulle enormi opportunità offerte dal regime di auto pubblicazione di talune piattaforme virtuali … no, non intendiamo farlo perché si solleverebbe un polverone a proposito dei sedicenti editori che si spacciano tali e che invece si fanno pagare profumatamente per una manciata di copie vendute – beffa nella beffa – al medesimo autore. E non intendiamo parlare neanche di quegli altri editori che, vivendo su un piedistallo dorato, rifiutano categoricamente gli autori giovani e sconosciuti per puoi pubblicare delle emerite scempiaggini purché firmate dal personaggio momentaneamente famoso – si fa per dire -. Stenderemo un velo pietoso e torniamo al nostro Alessandro Soldati.

“Nostro” in senso affettuoso perché, se occorreva un’ulteriore dimostrazione della sua onestà intellettuale, vi rimandiamo al messaggio che ci ha inviato a commento della recensione della prima edizione del suo libro in cui ammette che l’editore Cartabianca ha migliorato il suo romanzo proprio su quegli aspetti che noi – semplici lettori appassionati – avevamo additato.

La biografia dell’autore con acclusa fotografia è un altro indice della stampa professionale di un volume, vieppiù se nel risguardo interno … e nella seconda edizione di “In un cielo di guai” infatti c’è!

“Nostro” perché Alessandro ha avuto il coraggio di raccontare all’uomo della strada, anzi ai passeggeri delle compagnie low cost e non, ciò che accade dentro quei pochi metri cubi della cabina di pilotaggio degli aeroplani commerciali nonché nelle famose “stanze dei bottoni” dalle quali si muovono le fila del personale delle compagnie aeree sopravvissute al “11 settembre” e alla pandemia.

“Nostro” perché, descrivendo la possibile giornata di lavoro di una comandante di linea aerea, ci offre uno spunto di riflessione sul mondo – il nostro e non solo quello dei piloti commerciali – divenuto sfacciatamente consumistico, per nulla meritocratico, minato dalla burocrazia, alienante e squallidamente proceduralizzato.

Ma torniamo di nuovo al romanzo.

Anzitutto ci siamo ritrovati finalmente di fronte a una copertina degna di questo nome! L’immagine di una giovane pilota donna con fare pensieroso è indubbiamente più pertinente rispetto al titolo – azzeccatissimo, per carità – sebbene il sottotitolo si sia addolcito (rispetto alla prima edizione) e reso meno inquietante. Certo, una foto preconfezionata pescata dall’immenso serbatoio IStock della Getty images è molto meglio del panorama generico della prima edizione … però ci domandiamo: possibile che nel nostro paese non ci sia una donna pilota in carne e ossa disponibile a essere fotografata e a finire sulla copertina di un libro? Noi, provocatoriamente, l’abbiamo trovata negli USA, si chiama Shannon Hutchinson e l’abbiamo pubblicata nella seconda recensione … ammettiamo che somiglia più a una coniglietta di Playboy che non ha una custode del focolare domestico … ma era giusto appunto una provocazione!?

In definitiva: lode all’autore e all’editore per il cambio di copertina!

Lode ancora a loro per aver inserito in questa seconda edizione i risguardi interni che contengono – secondo la migliore tradizione editoriale – la sinossi del volume e la biografia minima dell’autore peraltro corredata da una bella fotografia di quel bel ragazzone cresciuto che è Alessandro Soldati, apppunto.

E non possiamo non spendere parole di lode per la scelta del carattere di stampa: finalmente di dimensioni adeguate e di tipologia che non stanca la vista. In questo filone vorremmo aggiungere anche la scelta doverosa operata dal sig. Diego Meozzi (che si è occupato dell’impaginazione) nel non dividere i capoversi del romanzo con spazi inutili e ingiustificati.

Ottima la qualità della carta utilizzata per la stampa, impeccabile la rilegatura.

Curata ma elegante la IV di copertina mentre non ci strapperete commenti a proposito del prezzo di copertina che rimane identico alla prima edizione benché il valore aggiunto presente in questa seconda edizione sia tangibile.

Ma veniamo al succo del romanzo.

Rispetto alla prima edizione le vicende narrate non cambiano affatto; trama e intreccio sono immutati. Invece abbiamo apprezzato moltissimo – e ancor di più lo faranno i non addetti al mondo aeronautico – le provvidenziali note a piè di pagina che spiegano brevemente alcuni termini tecnici altrimenti alieni per la maggior parte dei lettori. D’altra parte se si vuol spiegare a qualcuno come funziona il mondo dell’aviazione … beh, occorre scendere dall’aeroplano e spiegare ai “terricoli” il significato di certe parole, non vi pare?

Il testo della IV di copertina di “In un cielo di guai” seconda edizione, contiene un breve accenno del “Soldati pensiero” e, da solo, è in grado di convincere un potenziale acquirente circa la bontà del contenuto del libro … che è proprio lo scopo di una efficace IV di copertina

Edulcorate ma non meno efficaci la prefazione e la postfazione curata dall’autore. Si nota già dalle prime righe l’influenza distensiva operata dall’editore che ha ammorbidito i toni giustamente avvelenati di Alessandro Soldati rendendo però i contenuti più universali e meno esplosivi, per quanto molto taglienti.

Ovviamente non abbiamo resistito al gioco “trova le differenze” di enigmistica memoria tra la prima e la seconda edizione, tuttavia ci siamo persi subito a rileggere il volume e siamo ricaduti subito nella spirale della trama a dimostrazione che il romanzo funziona, eccome funziona!

In conclusione, noi rimaniamo dell’idea che l’Alessandro Soldati dell’esordio (di “Andrà bene di sicuro”, per intenderci) sia e rimanga insuperabile, tuttavia la sua maturità anagrafica, intellettuale ed esperenziale è manifesta nonché inevitabile. Si nota nel modo di raccontare e di tratteggiare i personaggi. E l’accettiamo di buon grado.

Complessivamente il contenuto di grandissimo spessore è inalterato rispetto alla prima edizione per quanto l’editore abbia tentato – riuscendoci – di disinnescare la bomba contenuta all’interno. In un certo senso, egli è riuscito a farla rientrare nell’ottica delle dinamiche possibili di una professione – quella del pilota commerciale – oggi vieppiù difficile e che, nonostante tutto, conserva pur sempre una sua aureola di prestigio e di esclusività.

Dunque possiamo dichiarare: missione riuscita! Non senza aggiungere: Cartabianca … ti piace vincere facile, vero? Con uno scrittore della caratura di Alessandro Soldati?!

E’ pur vero che sarebbe stato un delitto editoriale lasciarlo alla mercé dell’Oceano della narrativa anonima … e allora: bravo Cartabianca! Bravo Alessandro! A quando il tuo prossimo diamante?





Recensione e didascalie a cura della Redazione di VOCI DI HANGAR





Dello stesso autore sono disponibili le recensioni di: 

Andrà Bene Di Sicuro - Alessandro Soldati - Copertina in evidenza
Andrà bene di sicuro

In un cielo di guai

In un cielo di guai - bis

In un cielo di Guai - ter

RACCONTI TRA LE NUVOLE – FINALISTI XI EDIZIONE

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XI edizione Premio letterario “RACCONTI TRA LE NUVOLE”



COMUNICATO STAMPA

nr 6 del 05 agosto 2023



Non senza difficoltà l’HAG (Historical Aircraft Group) e VOCI DI HANGAR, organizzatori del Premio con il supporto preziosissimo dell’ADA (Associazione Donne Pilota), sono lieti di proclamare i 20 racconti finalisti della XI edizione del premio letterario RACCONTI TRA LE NUVOLE.

Permetteteci  però di ringraziare anzitutto gli autori e le autrici che si sono cimentati nella scrittura creativa di un racconto a tema aeronautico – molti/e alla loro prima esperienza assoluta – pur di partecipare alla nostra iniziativa e che  non vedranno comparire il titolo del loro racconto nella lista poco più in basso. Li/e esortiamo tutti/e a non deprimersi e non abbattersi … questa edizione è andata così ma già in occasione della prossima avranno modo di affinare la loro tecnica,  raccontare una storia ammaliante e far così parte dell’albo speciale dei finalisti del Premio. Grazie a tutti/e loro per aver aderito alla nostra iniziativa che – lo ricordiamo sempre – con il malcelato pretesto della competizione, intende stimolare la formula narrativa del racconto nonché la cultura aeronautica. 

Grazie, grazie, grazie. Senza di loro il Premio non avrebbe motivo di esistere.

E naturalmente un vigoroso ringraziamento va ai magnifici 10 giurati/e che in questa edizione si sono prestati a titolo squisitamente gratuito – togliendo tempo al lavoro, la famiglia e a i loro interessi – nella lettura di ben 55 racconti; alcuni brevi altri più lunghi, taluni leggeri altri ancora di lettura più impegnativa ma pur sempre c-i-n-q-u-a-n-t-a-c-i-n-q-u-e! Grazie di cuore a tutti i giurati/e.

Ma non intendiamo dilungarci oltremodo. Dati statici, curiosità e aneddoti nei prossimi comunicati stampa.

Una precisazione: l’elenco dei 20 finalisti è in odine alfabetico di racconto, tolto l’articolo o la particella pronominale presente nel titolo; esso non costituisce la classifica finale ma solo l’elenco dei racconti che i giurati hanno ritenuto meritevoli di accedere alla finale del Premio.

Ebbene i racconti finalisti e i loro autori/autrici sono:



A-E-RE-O – Nazarena De Angelis

UN ANGELO ACCANTO- Francesca Bezziccheri

L’ANGELO BIANCO – Sabrina Guerrieri

AQUILE IN CERCHIO – Stefania Granata

LA BARONNE DE LAROCHE – Gianvincenzo Cantàfora

UN CAFFE’ SUL GRAN SASSO – Gerlando Fabio Sorrentino

LA CASA TRA LE NUVOLE – Anna Dragone

FIORENZA INTERSTELLARE – Annarita Pizzo

INTIMA COMPLICITA’ – Simone Baldecchi

LENA TRA LE NUVOLE – Alessandro Mella

MARY ANN,TU SEI MATTA LE RAGAZZE NON VOLANO – Massimo Conti

OSARE PER VOLARE – Elisa Prenassi

LE PERLE RISALTANO SUL NERO – Rossana Cilli

LE STREGHE DELLA NOTTE – Annarosa Ceriani

LA SIGNORA DEI CIELI – Claudio Di Blasio

SUGAR BIRD LADY – Laura Gallo

LE VIE DEL CIELO – Alessandro Corsi

VOGLIO IL CIELO – Ersilia Torello

VOLARE CONTROVENTO – Maddalena Schiavi Medas

VOLEVA VOLARE DA SOLA – Franco Angelotti

IL VOLO DEL GABBIANO – Rodolfo Andrei



Grazie a tutti/e loro per averci inviato le loro composizioni e per aver speso tempo e risorse fisiche e mentali nella loro stesura.

Ci congratuliamo con loro e li/e preghiamo di attendere qualche giorno ancora per conoscere la classifica con il racconto vincitore della XI edizione di RACCONTI TRA LE NUVOLE nonché del Premio speciale VR MEDICAL e il Premio speciale ADA.

Appuntamento al 1 settembre 2023.

Per l’intanto buona estate rinfrescato da una buona lettura dal sapore aeronautico.




Per qualsiasi informazione:

www.raccontitralenuvole.it




RACCONTI TRA LE NUVOLE – RINVIO FINALISTI XI EDIZIONE

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XI edizione Premio letterario “RACCONTI TRA LE NUVOLE”



COMUNICATO STAMPA

nr 5 del 01 aprile 2023



A causa del notevole numero di racconti partecipanti (ben 55) e delle  complesse operazioni di raccolta delle schede di valutazione fornite da ben 10 giurati/e,

1’HAG e VOCI DI HANGAR informano gli autori/autrici che la  divulgazione dei 20 racconti finalisti è rimandata al giorno 5 agosto mentre è confermata la diffusione della classifica finale e proclamazione del vincitore per il 1 settembre.

Per qualsiasi informazione:

www.raccontitralenuvole.it

                                                                  




IL VOLO DI INDIANA JONES A GUIDONIA


Supportato da un mirabolante supporto pubblicitario, già da qualche giorno è approdato in tutte le sale cinematografiche del nostro paese il V capitolo (e probabilmente anche l’ultimo)  della saga di Indiana Jones intitolato appunto Indiana Jones e il quadrante del destino.

Il particolarissimo archeologo immaginario, tanto cervello e anche qualche muscolo, è personificato per antonomasia dall’attore statunitense Harrison Ford che, a onor del vero, è uno dei pochi attori hollywooddiani capace di ritagliarsi una carriera chilometrica non ancorata al primo successo mietuto con la sua memorabile partecipazione alla saga di Guerre stellari. Chi non ricorda infatti il mitico Ian Solo, scapestrato filibustiere intergalattico pilota del Millenniun Falcon assieme al pelosissimo amico  Chewbecca? Lui, proprio lui!

Il Ford Trimotor è il velivolo protagonista delle scene pirotecniche del film di Indiana Jones girate a Guidonia. Nella finzione cinematografica, dopo che gli occupanti si saranno lanciati con mezzi di fortuna, si schianterà contro il costone di una montagna innevata (foto proveniente da www.flickr.com)

All’epoca giovanissimo.  Harrison fu scelto da quel buongustaio di Seven Spielberg che – secondo la leggenda – lo notò mentre era indaffarato nel montaggio di una scenografia. Figlio di un attore e a sua volta diplomato in un corso di arte drammatica frequentato durante il college, Harrison si era infatti ritagliato il lavoro di falegname di scena in quanto scontento e sfiduciato a causa delle minuscole parti che era riuscito a strappare fino a quel momento presso di Studios. E invece quell’incontro si tradusse nella sua e la nostra fortuna …

Un altro scorcio originale del Ford Trimotor che, nella finzione del film, è l’ambientazione di un rocambolesco episodio in cui i piloti lo abbandonano lanciandosi con il paracadute mentre gli occupanti, Indiana Jones compreso, sonnecchiano tranquilli. Da notare la peculiare lamiera ondulata Junkers che contraddistingue il rivestimento del velivolo. Una soluzione adottata, per esempio, anche sul Junker JU-52 e che, nonostante l’indubbio aumento della resistenza aerodinamica, consentiva una notevole rigidità, ossia grande resistenza agli impatti localizzati (foto proveniente da www.flickr.com)

Harrison Ford, classe 1942, alla stregua del suo famoso collega John Travolta, nella vita reale è  anche un pilota di aerei ed elicotteri, dunque oltremodo appassionato di aviazione  nonostante nel marzo 2015 sia rimasto coinvolto in un incidente aereo nelle vicinanze di Venice (vicino Santa Monica – Californi) a causa di un guasto tecnico occorso al suo Ryan PT-22, rarissimo velivolo monomotore a elica degli anni ’40.

Ciò premesso si comprende facilmente, come, dovendo giare delle riprese aeree all’interno di un aeroporto in cui all’epoca si praticava il volo a mezzo di alianti, il buon Harrison non abbia saputo fare a meno di provare la fantastica esperienza del volo silenzioso.

Il velivolo qui ritratto fu esattamente quello utilizzato nelle scene del film di Idiana Jones (tranne quella dello schianto, s’intende) . Il “City of Philadelphia” fu inizialmente di proprietà della Trans-Continental Air Transport; ma al momento è basato negli Stati Uniti a Polk City in Florida (foto proveniente da www.flickr.com)

Il racconto stringato (e forse fin troppo asettico) di Giulio Cesare Chiarini si riferisce proprio a questo singolare episodio, uno dei tanti avvenuti all’interno dell’aeroporto di Guidoni di cui furono testimoni i cosiddetti “guidoniani” appunto, ma che – nello specifico – rimasero del tutto ignari di quanto accedeva sopra di loro.

Lo scatto pone in evidenza la configurazione alquanto singolare del Ford Trimotor in cui il motore laterale costituisce un tutt’uno con il carrello anteriore. Niente male per il “The Tin Goose”, cioè Oca di latta, come venne soprannominato e che fu progettato nel lontanissimo 1925 (foto proveniente da www.flickr.com)

Per interposta persona, Giulio ci racconta il retroscena delle funnamboliche immagini che noi – semplici fruitori dell’arte cinematografica – abbiamo potuto ammirare all’inizio del secondo film della saga di Indiana Jones (forse il meno riuscito rispetto agli altri) che reca il titolo: Indiana Jones e il tempio maledetto.

Non ci è dato sapere quanti chilometri di pellicola furono girati per poi vedere solo pochi minuti di film, di certo, grazie al racconto  del nostro autore, siamo in grado di apprendere una chicca che è sfuggita ai rotocalchi cinematografici o ai periodici di pettegolezzi del mondo dello spettacolo.

 



Narrativa / Brevissimo

Inedito

Ha partecipato alla X edizione del Premio letterario “Racconti tra le nuvole” – 2022

 


 

Il volo di Indiana Jones a Guidonia


Era l’anno 1984 e si giravano a Guidonia alcune scene del film: “Indiana Jones e il tempio maledetto”. Si era costruito in aeroporto, zona hangar militare, un aereo degli anni ’30, al cui interno, nella trama del film, Indiana Jones, mentre precipitava, ormai senza guida e senza piloti, lottava per la sopravvivenza sua e della sua accompagnatrice cantante; la lotta per altro era ben riuscita, perché in maniera rocambolesca, potevano Indiana e compagna separarsi dall’aereo, che invece all’impatto si distruggeva.

Noi piloti guidoniani ignoravamo la presenza in aeroporto, sia degli attori che di tutta la troupe che girava il film…e si giustifica perciò, come in un giorno, in cui si volava normalmente con gli alianti dell’aeroclub di Roma, ci fosse la presenza di Harrison Ford a Guidonia e il suo arrivo improvviso, presso la biga di Antonietta e di tutti noi piloti e istruttori.

Quel giorno l’istruttore di turno era Giovanni Quai.

Harrison Ford amante del volo, come tutti sanno, con il suo “slang americano”, chiese se fosse possibile fare un volo in aliante.

Il bello è che nessuno lo riconobbe un po’ per la faccia un po’gonfia e arrossata, (un po’ diversa da quella perfetta presentata nei film) un po’ perché chi se l’aspettava mai: era un tizio” americano che chiedeva, come spesso accade, un “volo turistico”. Tanto meno Giovanni Quai lo riconobbe ma, primo perché parlava inglese meglio di tutti, poi perché era il pilota più rispondente dei presenti, decise di portare in volo quello strano tizio.

Il volo ebbe luogo, l’americano si divertì, fece i complimenti per la bellezza dell’esperienza e magnificò il volo a vela e gli appassionati piloti, che lo praticavano. Si congedò salutando i presenti alla biga e in linea e non fece nulla, per farsi riconoscere …

Tutto ciò fino a sera, quando apparve alla tv di stato, in un’intervista, proprio quel “tizio americano, dalla faccia ora pulita, rimessa a posto e ben pettinato.

Intervistavano il famoso attore Harrison Ford, che parlava del nuovo film di Indiana Jones, che lo vedeva protagonista e che in quel momento era a Roma, perché giravano all’aeroporto di Guidonia, dove avevano costruito un modello di aereo, anni trenta, per girare delle scene importanti.

Allora Giovanni Quai, ritornato a casa guardando la tv serale, disse alla figlia presente in quel momento: “Io quello oggi l’ho portato in volo”, e di rimando la figlia gli confermò che aveva portato in volo “Indiana Jones” alias Harrison Ford”.

Giovanni raccontava l’evento come una storia curiosa e ricordo in alcuni stages di volo a Rieti a inizio anni 2000, che i guidoniani facevano in “gruppo”, che, quando ciascuno raccontava fatti accaduti in volo e a terra a Guidonia con protagonisti sempre piloti dell’Aeroclub, lui Giovanni ricordava la sua storia con: Indiana Jones …. 



§§§ in esclusiva per “Voci di hangar” §§§

## proprietà letteraria riservata ##


Giulio Cesare Chiarini


NOTA: in copertina la cabina di pilotaggio e i comandi di volo originali del Ford Trimotor

 

Giulio Cesare Chiarini


Classe 1947, ha sempre vissuto a Roma dove ha studiato (fisica), lavorando poi nel campo dell’automazione.

Sposato, tre figlie e oggi 6 nipoti.

Ha cominciato a volare con l’Aeroclub di Roma (licenza di pilota a  motore e a vela), poi transitato nell’Aeroclub Volovelistico Gallicano sebbene voli regolarmente a Rieti con il suo Duo Discus assieme ad altri due amici di vecchia data. 

Attualmente vola da più di 30 anni come trainatore di alianti e volovelista appassionato.

Nel corso della sua lunga vita professionale ha giornalmente preso nota delle sue vicissitudini in un diario tanto che ne ha accumulati diversi. Quelli che riguardano le sue esperienze di volo li chiama affettuosamente “I diari di Guidonia” e chissà che prima o poi non ne tiri fuori qualcuno per raccontarci altre avventure memorabili …


Per inviare impressioni, minacce ed improperi all’autore:

gcchiarini (chiocciola) gmail.com




Nel sito sono ospitati i seguenti racconti:

Good luck, Ugo




Ugo Paolillo ci ha lasciato per sempre a causa di un tragico incidente di volo avvenuto ieri, 11 luglio 2023, nei cieli di Rieti a bordo del suo amato “Papero” – come affettuosamente lo avevamo soprannominato -, il suo Fournier RF-3 ultraleggero.

Ci ha lasciato alla veneranda età di 83 anni, 60 dei quali vissuti volando ovunque e indifferentemente con aeroplani, alianti, motoalianti e ultraleggeri vari, biplani compresi.

Nonostante il suo vigore fisico e intellettuale, letterariamente parlando era assai timido tanto che aveva deciso di celarsi dietro uno pseudonimo, A-hug, e poi dietro il cognome della mamma danese firmandosi con un anonimo Hugo Christensen.

E’ stato autore di alcuni pezzi giornalistici di notevole fattura, peraltro pubblicati nella rivista VOLO A VELA, ma lo ricordiamo con particolare affetto per aver partecipato – dietro minacce neanche troppo velate – alla prima e alla seconda edizione del nostro Premio letterario RACCONTI TRA LE NUVOLE. Al primo tentativo si era classificato al X posto con uno stralcio del romanzo – allora inedito – intitolato “Dove il tempo non era mai stato” che poi pubblicherà con l’editore Logisma dopo una lunga e faticosa elaborazione cui abbiamo avuto l’onore e il privilegio di collaborare.

E’ con questo racconto, “Good luck, Pesciolino“, inserito nella I antologia del Premio della I edizione del Premio,  che intendiamo ricordare Ugo. Perché da questo testo si evince non solo la sua conoscenza enciclopedica del mondo del volo ma anche e soprattutto quella sottile ironia molto “british” nonché la sua promettente capacità narrativa che aveva solo necessità di maturare accresciuta dall’esercizio.

Proprio  il giorno prima del suo ultimo decollo ci eravamo confrontati sulla riedizione del suo romanzo che Ugo voleva più snello, più cinematografico … 

Non amava parlare di sé ma siamo certi – e non avevamo mancato di comunicarglielo – aveva tutte le carte in regola per diventare un giovane talento letterario alla Camilleri maniera.

Deteneva il record di volo con aliante – ancora oggi imbattuto – di oltre 1000 km con punti di partenza e di volo prefissati svolto interamente in territorio italiano, lungo la dorsale appenninica e in termica. E ha compiuto questa impresa lungamente cercata e poi concretizzata con un aliante neanche di ultimissima generazione (Nimbus 2).

Da questa esperienza ha tratto il racconto: “La prima termica del mattino” che è ospitato nel nostro hangar e che ha firmato con lo pseudonimo A-HUG.

Con il medesimo pseudonimo aveva  firmato invece i racconti : “La Daunia brucia! ” e “Imprese inutili“, ugualmente ospitati nel nostro hangar.

Non ultimo aveva già messo mano a un secondo romanzo del genere thriller-poliziesco ispirato e sostenuto da quell’enorme bagaglio materiale accumulato nel corso della sua lunga carriera di magistrato. Chissà …

Vola alto e lontano, Ugo. E, parafrasando il titolo del tuo racconto di esordio: “Good luck, Ugo”!





Nel sito sono ospitati i seguenti racconti:


Nel cielo di Cecenia


La Daunia brucia!

Imprese inutili

La prima termica del mattino

Good luck, Pesciolino!




Il decollo del C-5 Galaxy dalla Vandeberg Air Force Base alle 03:00, ora locale della California, si era svolto senza problemi. I vertici del Comando Strategico avevano preferito alleggerire il più possibile di carburante l’aereo anche se, per completare la sua delicata missione, si sarebbero dovuti effettuare almeno due rifornimenti in volo.

Nella capiente stiva del cargo militare erano stati allocati, dopo uno scrupoloso disassemblaggio, i detonatori della bomba e i contenitori del materiale nucleare, separati adeguatamente gli uni dagli altri per evitare pericolose interazioni.

Il trasporto aereo del carico, coperto da codice di segretezza livello 5, era proseguito normalmente secondo il piano di volo. Nel punto stabilito il Galaxy aveva completato il primo rifornimento di carburante portandosi progressivamente poco sotto la coda dell’aereo cisterna, un KC-10 Extender. Il rifornimento era avvenuto tramite la sonda rigida collegata ad un bocchettone ubicato sopra la cabina di pilotaggio del grosso aeromobile. Al termine dell’operazione, quando le segnalazioni luminose avevano confermato al sottufficiale addetto al controllo della sonda che i serbatoi del Galaxy erano pieni, il tubo era stato ritirato e gli aerei si erano separati.

“Certo che ne è passato di tempo da quando, negli anni venti, sono stati realizzati i primi tentativi di rifornimento in volo!” aveva osservato il comandante del Galaxy, capitano Ronald Driver, rivolgendosi al secondo pilota, tenente Frankie Tarantino.

“Eh già” annuì il tenente pensando al Boeing B50, chiamato Lucky Lady II, che trent’anno dopo, avrebbe effettuato il giro del mondo senza scali intermedi, a dimostrazione dell’efficienza del sistema di rifornimento in volo, grazie anche all’affidabilità di macchine ed equipaggi dell’USAF.

Nelle ore successive, la conversazione tra i due piloti si era dilungata sull’utilizzo che sarebbe stato fatto della bomba più potente mai costruita: “A giudicare dalle dimensioni e dalla voci che circolano”, aveva detto il tenente, “lo scoppio di questa bomba sarebbe in grado di mettere in crisi l’intero territorio degli Stati Uniti”

“Sbalorditivo!”aveva esclamato il comandante, poi però aveva aggiunto: “… ma quanto a potenza distruttiva, caro Frankie, le forze naturali non hanno rivali: terremoti, maremoti, tsunami e uragani sono insuperabili … a proposito … vedi anche tu quello che vedo io nel radar meteo?”

“Gesù, comandante, la formazione di cumuli nembi che abbiamo davanti è enorme! Il suo fronte deve estendersi fino ad una cinquantina di miglia (circa centinaio di chilometri, ndA) … per non parlare dell’altitudine … trentamila piedi (circa diecimila metri, ndA) o forse più.”

“Accidenti!”, era stata la replica preoccupata di Driver: “proprio ora che dobbiamo fare un nuovo rifornimento! … a proposito, Frankie, com’è che l’aereo cisterna non si è fatto ancora sentire? Prova a farlo contattare con il nominativo concordato”.

“Ci penso io, se non ha niente in contrario, comandante; il marconista, sergente Cooper è sceso nel ponte di carico per concedersi un caffè.” L’attrazione del sergente verso la corroborante bevanda, che consumava di continuo in tazze proporzionate alla sua stazza, era nota, pertanto al copilota non erano state mosse obiezioni, anche perché il suo hobby per la radiotecnica non era da meno rispetto alla passione di Cooper per le tazzone di caffè bollente. Indossate le cuffie, Frankie aveva impostato la frequenza e il codice di crittografia digitale sul computer delle comunicazioni.

“Pellicano, Pellicano, da Pesciolino, over”

“Avanti, Pesciolino, qui Pellicano, over”

“Pellicano, cominciamo ad essere un po’ a corto di carburante, over”

“Quanto a corto? Over”

“Abbiamo poco più di un’ora di autonomia, over”

“Pesciolino, siamo nel pieno di una tempesta, l’aereo cisterna non ha potuto decollare dalla base Wheeler. Al momento stanno cadendo chicchi di grandine da 4 pollici (circa 10 cm, ndA), un evento eccezionale per la contea di Honolulu! Over”

“Roger, Pellicano. Qui Pesciolino … allora non abbiamo altra scelta: se non ci sono novità ci dirigiamo all’atteraggio per Wheeler, over”

“Ok, Pesciolino, good luck. Out”

Le notizie ricevute da terra, erano state accolte a bordo del C-5 con una buona dose di apprensione. Il cargo stava trasportando una bomba termonucleare ad altissimo potenziale nel quadro di una serie di operazione NATO top secret. Se la missione non fosse stata portata a termine perché la bomba era finita in fondo all’Oceano Pacifico con il Galaxy, era prevedibile che i mass media di tutto il mondo, venuti prima o poi a conoscenza dell’accaduto, si sarebbero scatenati in una campagna denigratoria delle forze militari NATO senza precedenti. Inoltre se si fosse saputo che la causa dell’incidente aereo era da attribuirsi alla mancanza di carburante, l’intera catena di comando sarebbe saltata senza sottilizzare troppo sulle singole responsabilità.

“Certo che il clima sta impazzendo” aveva osservato il tenente, “Chi l’avrebbe mai detto che alle Hawaii, in questo periodo, sarebbe caduta tanta grandine da imbiancare queste favolose isole!?”. Evidentemente il secondo pilota era più preoccupato della situazione meteo nelle isole che delle conseguenze che sarebbero potute derivare dal mancato compimento della missione.

“Frankie?! … ma ci stai di testa?”, era stata la domanda di Driver, accompagnata da un moto di stizza, “siamo a corto di carburante … tra noi e la base dove dovremmo posare questo pachiderma alato, c’è un fronte temporalesco di violenza inaudita … non possiamo permetterci di girare in tondo in attesa che passi, non abbiamo autonomia sufficiente neppure per raggiungere un altro aeroporto fuori della tempesta … ti pare che sia il caso di stupirti perché le Hawaii sono colorate di bianco?”

Il tenente Tarantino, strette le spalle, aveva chiesto contrito: “E allora cosa si fa, comandante?”

“Tu che ne dici, Frankie?”

Il tenente ci aveva pensato un istante, ed aveva risposto con l’aria di chi la sa lunga: “Alla mala parata, sganciamo tutto il carico, bomba compresa e guadagniamo un altro po’ di autonomia”

La replica del comandante non si era fatta attendere: “Frankie, dimmi la verità”

“Dica, comandante”

“Quando parli … sei in contatto costante col cervello, oppure no?”

Il tenente aveva abbozzato delle scuse, ma il comandante implacabile aveva aggiunto: “ Sai dove siamo? … certo che lo sai … converrai con me che siamo in prossimità di Pearl Harbour. Questo nome ti dice niente?”

“Ehmm …” aveva farfugliato, mentre si affollavano in lui immagini di navi alla fonda centrate dalle bombe come birilli, accompagnate da altre con sciami di aeroplani giapponesi rassomiglianti a cavallette fameliche che assaltavano l’isola …“Non è forse il luogo dove i nostri nonni presero una delle più grandi batoste della storia americana?”

“Bravo, Frankie! … e pensa che bello se, grazie alla tua testa bacata, la storia si ripetesse!? … ma questa volta sarebbe un aereo americano a bombardare Pearl Harbour, e per giunta con una bomba progettata da fisici giapponesi. Almeno in parte”.

Frankie aveva deviato il discorso: “Insomma ha deciso di prendere di petto la tempesta? … che Dio ce la mandi buona!”

“Abbiamo altra scelta, Frankie?”

D’improvviso, il possente Galaxy era passato dalla luce del sole al buio pesto dei cumuli nembi, rischiarato a brevi intervalli da lampi accecanti; il comandante e il suo copilota avevano la sensazione di trovarsi sotto il fuoco di una contraerea furibonda. A tratti era sembrato che una mano gigantesca afferrasse la fusoliera del cargo militare scagliandola verso l’alto e verso il basso, come se il più grande aereo da trasporto dell’arsenale USAF fosse un giocattolo.

“Ma oggi che abbiamo fatto a Madre Natura per renderla tanto incazzata con noi, eh comandante?”

“Chiudi quella boccaccia, dannazione, Frankie … rischiamo di perdere il controllo dell’aereo! Riduco potenza, escludo l’autopilota e passo a comandi manuali! … se ci rovesciamo abbiamo chiuso: la bomba potrebbe sganciarsi dai sostegni, sfondare il ponte di carico e uscire dalla fusoliera!”

“E anche se non ci rovesciamo” aveva rincarato il copilota, “questa fottutissima grandine finirà col bucherellarci tanto da ridurre l’aereo ad una sorta di scolapasta volante!”

In effetti, se i piloti avessero potuto osservare la scena dall’esterno, oltre a sentire l’assordante rumore dei proiettili di ghiaccio che colpivano incessantemente l’aereo, avrebbero notato, con orrore, le lamiere del Galaxy infossarsi sotto la pressione della grandine che si scagliava contro il metallo alla velocità relativa di 600 km/h.

“Porca puttana, comandante!” aveva esclamato il tenente, non senza apprensione, “Gli anemometri sono impazziti! Le velocità indicate sono in contrasto con le spie di stallo! Alla velocità con cui stiamo procedendo non dovrebbero essere accese. Ammesso che vogliamo credere alle indicazioni del GPS”

“Una volta tanto ti do ragione, Frankie … il ghiaccio deve aver ostruito i tubi di pitot. Nonostante i riscaldatori. E va bene: freghiamocene dell’anemometro e degli avvisatori di stallo. Cerchiamo di tenere l’assetto con l’orizzonte artificiale e con l’indicatore dell’angolo di attacco”

Ad un certo punto, inspiegabilmente, la fortissima turbolenza si era attenuata, anche la grandine era diminuita. Il sottufficiale armiere ne aveva approfittato per salire nella cabina di pilotaggio ed informare il comandante che “Minnie” – appellativo affibbiato affettuosamente all’ordigno nucleare – era ben assicurata e non aveva subito danni. Il sergente, Bobby per gli amici, era un ragazzone del Texas, rossiccio e muscoloso, cresciuto a bistecche al sangue alte due pollici (circa 5 cm, ndA) che a malapena entrava nella la divisa. Non capitava spesso di avere a bordo uno specialista in armi nucleari.

Stavano ancora parlando quando, preceduto da uno schianto terrificante, uno dei finestrini del parabrezza, dal lato del copilota, era volato via causando l’inarrestabile decompressione con il caratteristico risucchio dell’aria pressurizzata verso la più rarefatta atmosfera esterna.

Il sottufficiale che si trovava in piedi, alle spalle del copilota, era stato letteralmente aspirato in direzione della piccola apertura come un piombino sparato da un fucile ad aria compressa. Fortunatamente era rimasto incastrato con il busto fuori della cabina e il resto del corpo all’interno, con le gambe che scalciavano alla ricerca di un appiglio.

Istintivamente il tenente Tarantino, aveva accennato alla mossa di sganciarsi le cinture di sicurezza che lo tenevano ancorato al posto di pilotaggio, nel nobile intento di soccorrere il sergente.

“Frankie, per Dio!” aveva urlato Driver, “Cerca di trattenere il sergente ma resta legato! Indossa la maschera!”. L’ordine, dovuto alla professionalità del pilota, era stato pronunciato senza pensarci su due volte. Anche nel C-5, come negli aeroplani commerciali, era previsto che, in caso di depressurizzazione, i piloti indossassero immediatamente le maschere ad ossigeno poste sotto ciascun sedile, per scongiurare l’anossia e la conseguente perdita di sensi. Ma il tenente, nel tentativo di sottrarre Bobby dalla difficile situazione in cui si trovava, era troppo occupato per dargli retta.

“Comandante, sto tenendo il sergente per le caviglie, non me lo lascio scappare anche a costo di volare fuori con lui!”

Nel frattempo la turbolenza aveva ripreso a strapazzare il gigante dell’aria provocando balzi e scuotimenti incessanti, mentre l’aereo perdeva velocemente quota. Le caviglie di Bobby erano sfuggite alla presa di Frankie che cominciava a sentirsi in debito d’aria. Ormai solo le gambe del malcapitato si trovavano all’interno della cabina  Ma il tenente non si era dato per vinto e aveva spostato la presa sui pantaloni mimetici del sottufficiale. Lentamente l’indumento aveva iniziato a sfilarsi …

Con una rapida giravolta, dopo essersi liberato dalle cinture di sicurezza, Frankie aveva trovato rifugio nel vano della pedaliera, riuscendo senza capacitarsene, a tirarsi appresso il sottufficiale, in apparenza morto e nudo dalla cintola in giù mentre torrenti di acqua gelida si riversavano nella cabina di pilotaggio. Con la coda dell’occhio, al comandante era parso che la postura assunta dai due evocasse una posizione da Kamasutra. Incredibilmente Bobby si era ripreso, un po’ intontito, mezzo assiderato ma vivo.

Il Galaxy era sceso di diverse migliaia di piedi tanto che l’aria, meno rarefatta, era di nuovo respirabile mentre la pressione in cabina si era riequilibrata con quella esterna. L’effetto risucchio era scemato. Anche la turbolenza e la pioggia si erano attenuate. Il tenente ne aveva approfittato per caricare di peso lo sventurato sergente e condurlo nel sottostante ponte di carico. Alla loro apparizione i commilitoni avevano applaudito a lungo. Comunque le battute sulla perdurante nudità del sottufficiale non si erano lasciate attendere, alcune decisamente oscene.

Rientrando di corsa in cabina, il tenente aveva ammirato l’impegno e l’abilità del comandante nel manovrare il Galaxy. Per tutta risposta, il superiore lo aveva fissato negli occhi con l’aria di uno che deve comunicare una decisione importante, suo malgrado. Poi, con enfasi, aveva sentenziato: “Accidenti, Frankie, ti ho visto sai, e ti farò rapporto …”.

Il tenente, non credendo alle proprie orecchie, aveva ascoltato le parole che avrebbero figurato nel rapporto a suo carico: “Nel mezzo di una tempesta, incurante del pericolo, il tenente pilota Frankie Tarantino afferrava per le gambe il sergente Bobby McKenzy, finito quasi interamente fuori dalla cabina di pilotaggio a seguito della rottura di uno dei finestrini. Nel corso dell’audace manovra, approfittando dello stato d’incoscienza del sottufficiale, rimasto privo di indumenti nella parte inferiore del corpo, si lasciava andare ad atti di indubbia turpitudine sessuale, protetto alla mia vista dal vano della pedaliera. Ma solo in parte”

Frankie era stato al gioco. “Grazie, comandante … ho fatto come si suole dire: di necessità virtù …”

“Frankie … d’ora in poi chiamami Ronald, questa volta una menzione d’onore – e forse una medaglia – non te la toglie nessuno … ma ora cerchiamo di portare a terra questo pachiderma … e se ce la caviamo … giuro che ti proporrò per un avanzamento di grado”.

“Ronald, possibile che la prima volta che ti chiamo per nome mi debba sentire commosso?”

“Risparmia le lacrime Frankie …”, era stata la risposta il comandante, “ci attendono momenti difficili”.

La grandine aveva smesso di flagellare il Galaxy, ma la pioggia era diventata di nuovo fittissima al punto da ridurre quasi totalmente la visibilità. Ad aggravare la situazione c’era l’afflusso continuo di acqua che penetrava con violenza all’interno della cabina di pilotaggio. Frankie, costretto ad abbandonare il suo posto per evitare di passare alla storia come il primo pilota annegato in volo, aveva trovato rifugio sul sedile del marconista, dietro a quello del comandante.

“Per fortuna” aveva confidato Ronald a Frankie, “che al Wheeler sono attrezzati con il GCA (Ground controller Approach, ndA); in mezzo a questo casino, sapere che il nostro avvicinamento avverrà con il controllo del radar e che ci verranno fornite tutte le opportune istruzioni per l’atterraggio mi rende quasi euforico.”

Il tenente aveva fatto un cenno di assenso, ma, al contrario del suo superiore, era tutt’altro che propenso all’euforia.

In quell’istante, era arrivata la comunicazione della torre di controllo di Wheeler che dirottava il Galaxy sull’aeroporto internazionale di Honolulu.

Non ci si poteva credere: un trasporto militare coperto dal massimo livello di sicurezza atterrare in un aeroporto civile! Per giunta con le piste intasate da emergenze e lo spazio aereo zeppo di aeroplani

La risposta del Galaxy non si era fatta attendere  “Roger, qui Pesciolino … non abbiamo alcuna intenzione di buttarci nella mischia di Honolulu in assenza di visibilità e con la strumentazione in avaria! Pesciolino conferma atterraggio di emergenza su Wheeler, over”.

“Negativo, Pesciolino … l’aeroporto Wheeler sarà inservibile per molte ore. Dobbiamo rimuovere un traffico che ha rotto il carrello in atterraggio e ora ingombra la pista!”

Frankie era rimasto esterrefatto: l’aeroporto Wheeler era dell’Army (Esercito, n.d.A.), loro erano dell’AirForce (Aeronautica, n.d.A.), Pesciolino era un nome tipico della Navy (Marina, n.d.A.) e dovevano atterrare in un aeroporto civile: che bella contraddizione!

Come se fosse nei suoi pensieri, il comandante aveva chiesto al copilota: “Frankie, chi cazzo ci ha affibbiato il nominativo Pesciolino?”

“Per quanto ne so, caro Ronald, è stato un pezzo grosso dell’Ammiragliato, noto per il suo strano umorismo”.

“Beh, sarà contento di aver trovato un nome che, in mezzo a tutta quest’acqua, sembra particolarmente appropriato al Galaxy, se non fosse per le dimensioni. Però se finiamo in mare non ci sarà militare che, incontrandolo, non si toccherà le palle! Come gli è venuto in mente di chiamare Pesciolino un gigante come il Galaxy?”

“Ronald, credo che sia un vezzo femminile. Quello di attribuire diminutivi a cose di grosse dimensioni. Ho visto un film porno in cui lei, forse per rincuorarsi, chiamava pesciolino l’attrezzo di lui, benché misurasse a dir poco, trenta centimetri!”

“Vuoi dire che l’Ammiraglio è una donna?” aveva domandato il comandante.

“Perché no?”

“Già, perché no? … cazzo Frankie, portiamo questa balena all’asciutto!”

Infatti, poco dopo il sole, prendendosi la rivincita sulle nubi, riaccendeva i colori del cielo e dei campi nella contea di Honolulu e sull’isola di Ohau.





Narrativa / Medio-Breve

Pubblicato nell’antologia della I edizione del Premio letterario “Racconti tra le nuvole”, 2012;  classificatosi al X posto, in esclusiva per VOCI DI HANGAR



Attenzione: Non esiste il Tag Good luck Pesciolino

Il destino degli altri. Un giallo nel mondo dell’aviazione civile

titolo:  Il destino degli altri. Un giallo nel mondo dell’avizione civile

autore: Ivan Anzellotti 

editore: Phasar edizioni

anno di pubblicazione: 2016 

ISBN: 8863584109

ISBN 13 cifre: 978-8863584103

pagine: 192



Questo pregevole romanzo di Ivan Anzellotti si potrebbe leggere anche senza aver letto gli altri due che trovate recensiti qui su VOCI DI HANGAR. Ma il mio consiglio è di leggere prima quelli.

Storia di un pilota” e “Storia di un pilota 2” sono l’uno la continuazione dell’altro, come ho avuto modo di mettere in evidenza nelle relative recensioni. Questo invece è certamente diverso, è un romanzo e non il racconto della vita reale dell’autore come pilota in giro per il mondo intero. Però, in un certo senso, anche questo volume è una sorta di continuazione dei precedenti. Perché nella trama di questo romanzo continua ad essere presente un elemento che costituisce l’ossatura portante di tutta la narrazione delle tre opere. Vale la pena riprendere alcune frasi di Ivan Anzellotti, prese da altri ambiti, che meglio chiariscono di cosa stiamo parlando:

“Il mondo dell’aviazione sta cambiando radicalmente, perdendo di vista il valore che ha il personale nel mantenere gli standard di sicurezza necessari, e quando la vita di migliaia di persone resta nelle mani degli equipaggi di volo, dei tecnici e dei tanti altri che lavorano nell’indotto, è una questione che non si può sottovalutare”.

A differenza dei “conduttori” di altri mezzi di trasporto, il pilota di aeroplani commerciali continua a godere di un certo fascino nell’immaginario collettivo, una sorta di aura magica continua ad avvolgerlo; probabilmente è legata all’altissima professionalità necessaria per poter sedere nella cabina di pilotaggio qui ritratta dall’esterno. In passato tale professionalità, abbinata alla notevolissima responsabilità, comportava una retribuzione adeguata e proporzionata, tuttavia la tendenza delle compagnie aeree negli ultimi anni (specie le low cost) è stata quella di schiacciare verso il basso i compensi dei piloti imponendo loro contratti a cottimo o a chiamata e al contempo privandoli delle rappresentanze sindacali o strappando loro contratti capestro del tipo: “o ti mangi ‘sta minestra o voli fuori da questa compagnia” . Oggi il lavoro del pilota non è più l’attività professionale meglio pagata nel panorama del mondo del lavoro e anzi, coloro che intendono cimentarsi nel pilotaggio professionale devono mettere in conto un pluriennale e dispendioso investimento di risorse economiche, fisiche e mentali (foto proveniente da www.flickr.com)

Eh, no. Non si può sottovalutare.

Invece, non solo si sottovaluta, ma nella degenerazione dilagante di tutti gli ambienti, non soltanto aeronautici, il personale perde costantemente valore. Almeno nella concretezza dei fatti, perché a parole si rappresenta, invece, tutta un’altra storia. A parole sembrerebbe evidente che:

La retrocopertina del bel libro di Ivan Anzellotti che è destinato agli appassionati del mondo del volo benché, solo apparentemente, si tratti di un libro cosiddetto “giallo”.

“La chiave del successo per la sicurezza in aviazione è l’esperienza costruita con anni di studio, addestramento e momenti di tensione in volo. Questa eredità deve continuare, com’è stato da sempre, ad essere trasferita dai comandanti anziani ai giovani cadetti in un prezioso investimento di conoscenza. Il futuro dell’aviazione è a rischio perché molte compagnie aeree stanno bloccando questo percorso lasciando a terra piloti di grande esperienza fermando così i presupposti di questo passaggio di testimone”.

Oggi un aereo di linea ha talmente tanti automatismi che il pilotaggio manuale è ridotto a poche manciate di minuti durante la fase di decollo e di atterraggio. Ma cosa direbbero i passeggeri se sapessero che i piloti sono stanchi, proprio alla fine di un lungo volo, quando si trovano condizioni meteorologiche difficili, durante l’avvicinamento finale, con turbolenza, vento forte al traverso e magari anche pericolo di wind shear? Aggiungiamo che per una stupida normativa il secondo pilota, per quanto esperto, spesso più del comandante, non può tenere i comandi con venti al traverso superiori ai quindici nodi. E il comandante, giovane e con poca esperienza deve operare in quelle condizioni con addosso una grande stanchezza. Succede.

Un’immagine assai singolare (del di dietro) di un aeroplano commerciale che è stato considerato per decenni un gigante del trasporto aereo passeggeri e merci e che, per questo motivo e non a torto, è stato affettuosamente chiamato “Jumbo jet”: il Boeing 747. Quello in primo piano è lo scarico dell’APU (auxiliary power unit – unità di potenza ausiliaria) che viene utilizzata come sorgente di energia (elettrica e pneumatica) per alimentare l’aeroplano quando è al parcheggio. Inoltre si noterà, assolutamente inconfondibile, la gobbetta che consente di disporre di un piccolo ponte di volo abitualmente riservato ai passeggeri di maggior riguardo. Naturalmente i piloti di questo ciclope dell’aviazione commerciale – non a torto – venivano considerati al vertice della categoria professionale (foto proveniente da www.flickr.com)

Ma succedono anche gli incidenti.

E quando succedono, non sempre l’inchiesta che ne consegue riesce a risalire ai veri motivi che li hanno indotti. La vera responsabilità può facilmente sfuggire, nascosta sotto motivazioni che non si possono scoprire, sfuggita attraverso le maglie farraginose delle procedure e delle normative.

Dunque, sul personale e sul suo benessere bisognerebbe investire, non certo risparmiare.

Dice Anzellotti:

“Il fulcro per la buona riuscita di una compagnia aerea è avere il miglior materiale umano, non lavorare contro di esso”.

In questo scenario può accadere facilmente che la responsabilità di un incidente non venga fuori. E che nessuno paghi, civilmente o penalmente, per il disastro e per i morti che ha provocato.

Il vero, o i veri responsabili continueranno a sedersi, ogni giorno, nelle loro poltrone, ai vertici di una compagnia, di un’azienda, alla direzione di un reparto, impuniti. E indifferenti al peso morale che invece li dovrebbe schiacciare.

No, nessun peso. A fine anno ricevono invece gratifiche, indennità, promozioni, per aver risparmiato notevoli cifre o realizzato maggiori introiti.

Pazienza per le vittime e per il dolore nel quale hanno gettato intere famiglie.

Ok. Ma torniamo al romanzo.

Un’altra immagine inconsueta di un moderno aeroplano commerciale. Mentre ci torna facilmente alla memoria un famosissimo “Assassinio sull’Orient Express”, non ci risulta che sia mai stato ambientato un romanzo giallo con relativo assassinio a bordo di un aeroplano … questo prima che il buon Ivan Anzellotti consegnasse alle stampe il suo libro “Il destino degli altri” (foto proveniente da www.flickr.com)

Certamente non ne svelerò la trama. Fin qui ho solo delineato una situazione che riguarda il mondo dell’aviazione. Ed è in questo mondo che la suddetta trama prende forma e si sviluppa.

Lo scenario è quello della Capitale. Fiumicino e la città di Roma, all’inizio. La descrizione che Anzellotti fa di questi luoghi è perfetta. Verrebbe voglia di farsi un giro e andare a vedere se davvero esistono certi uffici, certe abitazioni.

Ovviamente non tutti i lettori possono essere di Roma o pratici di questi luoghi. Ma per me che abito qui da una vita è impressionante leggere le pagine di questo romanzo.

Comunque la storia prende subito il largo e va ben oltre i confini nazionali. E anche gli scenari esteri sono altrettanto vividi. Anzellotti li conosce bene per esserci vissuto a lungo.

Dopo aver pubblicato due romanzi chiaramente autobiografici, giusto per non cadere in una banale ripetitività, Ivan Anzellotti non poteva che escogitare qualcosa di completamente nuovo e completamente originale rispetto alle esperienze già narrate e … occorre ammetterlo: c’è pienamente riuscito, pur rimanendo fedele al suo progetto che prevede di divulgare le disavventure dei piloti italiani alle prese con il fallimento dell’Alitalia, alla loro emigrazione in paesi improbabili, al loro subire squallidi ricatti economici e morali. E bravo Ivan!  (foto proveniente da www.flickr,com)

Leggete il romanzo. Iniziatelo, almeno. Sono certo che andrete fino alla fine, perché sospenderne la lettura sarà difficile.

Come ormai avrete intuito, la storia riguarda un incidente aereo. Ma comincia con un omicidio, abbastanza misterioso e inspiegabile, almeno sul momento. E’ solo grazie all’investigazione di un ex appartenente ad uno dei corpi delle forze dell’ordine, in pensione, se tutte le connessioni con l’episodio aeronautico vengono svelate. E’ lui il protagonista del romanzo. La sua figura, davvero carismatica, emerge in tale vividezza che, dopo alcune pagine, ci sembra di conoscerlo davvero.

Voglio aggiungere un’ultima considerazione che ritengo importante comunicare.

Mentre leggevo non potevo fare a meno di pensare che di questa storia se ne potrebbe, dovrebbe, ricavare addirittura un film. Tra l’altro servirebbe a mettere, in ancor migliore evidenza, l’elemento di cui abbiamo trattato all’inizio. E a portarlo alla conoscenza di tutti.

In fondo, lo scopo del romanzo sembra fortemente essere questo.

Lo so che la mia esortazione non raggiungerà nessun soggettista, regista o sceneggiatore.

Ma … ok, l’ho buttata là.

Hai visto mai!?





Recensione di Brutus Flyer (Evandro Detti) e didascalie a cura della Redazione di VOCI DI HANGAR





Dello stesso autore sono disponibili le recensioni di: 


Storia di un pilota. Dal funerale di Alitalia alla fuga dal Qatar" e "Storia di un pilota 2 - Dalle low cost alla conquista dell'Est

Il destino degli altri. Un giallo nel mondo dell'aviazione civile

Ali in valigia

titolo:  Ali in avaligia 

autore: Bruno Servadei 

editore: Amazon

anno di pubblicazione:  dicembre 2018

ISBN: 179041332X oppure 978-1790413324

pag: 314





Il sesto libro di Bruno Servadei, pur non essendo l’ultimo, conclude però il racconto della sua vita professionale in Aeronautica Militare, come scrive lui stesso nella prefazione. In circa sei pagine introduce il lettore a quello che sarà il contenuto del libro. Tanto che, volendo, potrei copiare quelle pagine e otterrei già un’ottima recensione. Ma questo libro merita molto di più.

Uno dei velivoli citati dal recensore e prima ancora dall’autore del volume “Ali in valigia” è proprio il Piaggio P-180 Avanti che, tra gli altri operatori civili e varie Forze Armate, svolge attività in seno all’AMI in virtù di 17 esemplari consegnati, di cui 4 configurati per attività radiomisure (foto proveniente da www.flickr.com)

Merita di più perché nelle sue 314 pagine, suddivise in 25 capitoli, tratta argomenti inediti e sensazionali. Leggendo i suoi libri precedenti avevo già conosciuto la sua carriera di pilota operativo, trattata magistralmente nei libri “Vita da cacciabombardiere” e “Deci 83-86“. Negli altri, in “Ali di travertino” e in “Ali diplomatiche” avevo conosciuto le sue vicende più specificamente rivolte verso una  carriera diplomatica. 

Nei tre anni trascorsi presso il Quirinale come Consigliere Militare del Presidente della Repubblica e narrati nel suo libro “Un pilota a Palazzo“, Servadei svolgeva compiti più vicini al mondo diplomatico che a quello del volo operativo. Dopo quel periodo, infine, giunse in un altro ufficio, denominato “Ufficio Cooperazione Internazionale”.

Ali in valigia” tratta proprio di questo periodo della carriera militare dell’autore.

Inizialmente le mansioni che questo ufficio deve svolgere non appaiono molto chiare nel libro. Ma pian piano si fanno sempre più evidenti. E si rivelano decisamente interessanti.

Servadei descrive ogni aspetto del suo nuovo lavoro.

La IV di copertina del bel libro di Bruno Servadei che costituisce idealmente l’epilogo del lungo racconto della sua altrettanto lunga e variegata carriera professionale iniziata come pilota cacciabombardiere. La prefazione del volume ci ha colpito in particolare per una considerazione espressa con disarmante sincerità dall’autore: “Completato il ciclo della mia vita militare da ufficiale pilota […] emerge evidente quanto sia relativamente ridotta la fase dedicata al volo. […] Io ho fatto 10 anni di reparto di volo su 37 anni in servizio. […] il pilota lo si fa e con grandi soddisfazioni, ma per un breve periodo.” Parola di Bruno Servadei!

Possiamo così conoscere la ragnatela di legami che intercorrono tra moltissimi Stati esteri. Tra questi e le industrie. E tra gli Stati, le industrie e le forze armate. Una rete fittissima di interessi, di comunicazioni, di normative, di legami e di cerimoniali.

Negli anni in cui Servadei ha fatto parte di questo mondo diplomatico sono avvenuti fatti che, per la loro importanza, sono diventati di pubblico dominio. Abbiamo conosciuto i fatti riportati dalla cronaca, ma non sapevamo molto dei vari retroscena.

Retroscena che, molto opportunamente, sono contenuti in questo libro.

Dopo aver letto alcuni capitoli mi sono trovato a dover riconsiderare la qualità di alcuni aerei che mi avevano fatto sognare all’epoca.

Parlo del Tornado, del G-91, del P-180 Avanti della Piaggio e dell’AMX.

E purtroppo, ho dovuto ridimensionare anche l’opinione che avevo nei riguardi di certe industrie, che consideravo non solo al passo con i tempi, ma addirittura molto avanti, avveniristiche sotto molti aspetti. Invece…

Per fare un esempio, quanto siamo stati fieri della nostra linea di produzione su licenza del famoso F 104! Un grande aereo, non c’è dubbio. La FIAT lo ha prodotto fino a non molto tempo fa.

Un giorno il famoso Gen. Chuck Yeager si trovava in Italia e fece una visita alla FIAT, a vedere proprio quella linea di produzione. Rimase interdetto, poi disse:

“Incredibile. Mi sembra di essere tornato indietro agli anni cinquanta…”.

L’F-104 è stato sostituito dal Tornado. Ma quest’ultimo era già superato ancora prima di entrare in servizio.

Un libro illuminante, questo.

Come ho avuto modo di dire in un’altra recensione, i libri di Servadei sono unici. Trattano aspetti della vita militare di un pilota che nessuno ha trattato mai. E’ pur vero che Servadei ha fatto una carriera particolare, riservata a pochi. E questo lo ha portato a girare il mondo intero e a frequentare ambienti particolari. Non so se qualcun altro abbia avuto la fortuna di accumulare tanta esperienza di vita diplomatica come ha fatto lui. Ma di certo, se altri personaggi lo hanno fatto, non hanno poi scritto alcun libro.

Uno scatto memorabile di cui dobbiamo essere riconoscenti all’abile fotografa Irene Pantaleoni che, appostata come un cecchino, ha immortalato il redivivo G-91R (rimesso in condizioni di volo dopo un certosino restauro) in quel di Pratica di Mare, in occasione della grande manifestazione aerea tenutasi per festeggiare degnamente il centenario della fondazione dell’Aeronautica Militare Italiana. La livrea della PAN – Pattuglia Acrobatica Nazionale rende questo velivolo particolarmente affascinante tuttavia – occorre ricordarlo – l’AMI utilizzò operativamente nelle sue svariate versioni ben 241 esemplari di questo tipo di velivolo fino all’aprile 1992 quando avvenne ufficialmente l’ultimo volo di un G-91R (foto proveniente dalla pagina Facebook di Irene Pantaleoni, https://www.facebook.com/irene.pantaleoni)

Ho già detto, e lo ribadisco, che i libri di Servadei dovrebbero essere utilizzati in alcuni corsi di laurea. Con uno stile semplice e lineare, con una narrazione vivida e autorevole, che sembra tenere conto di tutti i criteri essenziali della metodologia didattica, questi libri mostrano al lettore il funzionamento della diplomazia che sta alla base del funzionamento del mondo. Questo è un libro che insegna. Come lo sono anche gli altri.

Chiunque leggerà questi libri capirà cosa intendo.

Il ventiquattresimo capitolo si intitola: “L’addio”.

Arriva un po’ troppo presto, perché a quel punto si vorrebbe che il libro continuasse. Infatti continua per  un altro capitolo, molto opportuno, che ci porta nientemeno che negli Emirati Arabi …

Ma solo per poche pagine ancora.

Tornando all’addio, c’è una cosa di cui vorrei parlare.

Dopo l’immancabile cerimonia, appunto, di addio, perché anche per Servadei era arrivato il giorno della pensione, lui torna a casa e, come tutti i giorni, va in camera per cambiarsi. Aveva i gradi di Generale di Brigata, ricevuti proprio quel giorno, come era consuetudine.

Scrive Servadei:

“Finiti i saluti tornai a casa. Appena arrivato me ne andai nella mia camera da letto per spogliarmi. Mi apprestavo a togliere la giacca della divisa quando passai davanti al grande specchio dell’armadio guardaroba: vedendomi mi resi improvvisamente conto che quanto stavo per fare non era il rituale passaggio dalla divisa alla tenuta borghese che si era succeduto per tutti gli anni precedenti. Questo era un atto definitivo, un momento unico, irripetibile”.

Così indugia un po’, prima di togliersi la divisa. E rivive mentalmente tutte le fasi della vita che in quella divisa aveva vissuto.

“Attimi di nostalgia, subito superati da un ritorno ad una realtà che queste emozioni aveva ormai archiviato da anni. Basta, mi dissi, questa volta è veramente finita; domani comincia un’altra vita. E senza fretta mi spogliai definitamente di quella divisa che avevo orgogliosamente portato per trentasette anni”.

No, non si tratta di una nuova pattuglia acrobatica con in dotazione l’Aeritalia/Aermacchi/Embraer AMX Ghibli bensì di un sapiente collage fotografico che riproduce la fase di atterraggio di questo velivolo appartenente al 132° Gruppo CBR. L’autore degli scatti in sequenza e del geniale fotomontaggio è il bravissimo Latus10, nome in codice dietro il quale si cela Giorgio Levorato, già vincitore della sezione fotografica di RACCONTI TRA LE NUVOLE, edizione 2015.(foto proveniente dalla pagina personale Flickr.com di Giorgio Levorato, https://www.flickr.com/photos/latus10)

Nel capitolo successivo dichiara che per i primi dieci giorni non aveva la percezione chiara della sua nuova condizione. Sembravano dieci giorni di licenza.

Ho vissuto le stesse emozioni. Le conosco. Anche se nella mia vita operativa di controllore del traffico aereo sono riuscito a non fare mai neanche un giorno di scrivania. Ho sempre voluto essere operativo.

Il giorno del mio pensionamento, in Torre di controllo, all’ora stabilita, ho fatto la mia ultima comunicazione, ho posato il microfono, passato le consegne al collega e me ne sono andato. Al piano di sotto abbiamo fatto un rinfresco. Poi me ne sono tornato a casa.

E per i primi dieci giorni non mi sembrava di essere in pensione. Da turnista, con diversi giorni liberi dopo il turno, mi pareva sempre di essere in uno dei giorni liberi.

Il Panavia Tornado MRCA (Multi Role Combat Aircraft) volò per la prima volta nell lontanissimo agosto 1974 ed è ancora utilizzato dalle Forze Aeree di Italia, Gran Bretagna, Germania e Arabia Saudita. Nelle sue tre versioni IDS – cacciabombardiere destinata all’interdizione e all’attacco al suolo (InterDictor/Strike), ADV – caccia intercettore per la difesa aerea (Air Defence Variant), ECR – versione per la guerra elettronica e la ricognizione (Electronic Combat/Reconnaissance), è un velivolo alquanto sofisticato e molto costoso nonché capace di trasportare e utilizzare qualsiasi ordigno dell’arsenale NATO. Ne sono stati costruiti complessivamente 1001 esemplari e gli 85 acquistati dall’AMI hanno costituito un capitolo di spesa colossale, non tanto per l’acquisto in sé stesso – pure molto impegnativo – quanto e soprattutto per i costi di addestramento iniziale e continuativo degli equipaggi oltre al mantenimento in servizio dei velivoli pure assai oneroso (foto proveniente da www.flickr.com)

Ci ho messo un bel po’ a rendermi conto della mia nuova condizione.

Il volo, però, quello non si abbandona. Nel mio caso, dal 1973 ad oggi, non ho mai smesso di volare.

Servadei, lasciati dietro di sé i jet militari, approda fortunosamente al volo ultraleggero. Un capitolo della sua vita che ha descritto nel suo ultimo libro, “Un mondo ultraleggero“, di cui potete leggere la recensione in VOCI DI HANGAR (come degli altri volumi sopracitati).

Ho l’impressione che la vera pensione comincerà il giorno in cui smetteremo di volare.

Prima o poi arriverà. Ma non so quando.

Invece, mi domando se arriverà, prima o poi, un nuovo libro di Bruno Servadei.

Ho fatto una breve indagine presso i soliti bene informati.

Non posso anticipare nulla. Ma sembra che….





Recensione di Brutus Flyer (Evandro Detti) e didascalie a cura della Redazione di VOCI DI HANGAR





Dello stesso autore sono disponibili le recensioni di: 


Ali di travertino

Un pilota a palazzo

Un mondo ultraleggero

Vita da Cacciabombardiere

Deci 83-86. I Ricordi di "Tiro 0"

Ali diplomatiche. In Svezia con le cordelline

Omaggio all’F104

Presso la base aerea di Pratica di Mare (Roma) il 17 e 18 giugno 2023 si è consumata una manifestazione aerea a dir poco memorabile.

Organizzata per festeggiare il centenario della fondazione dell’Aeronautica Militare italiana (già Regia Aeronautica italiana), ha visto la presenza di numerosi velivoli storici e non, ancora in servizio, di prossima radiazione o, viceversa, di recentissima acquisizione in seno alla nostra Arma Azzurra; tra questi ha destato un vivissimo interesse il mitico Lockeed F-104 Starfighter che per tanti anni ne ha costituito la colonna portante. 

Quando un immagine non necessita di commento alcuno (foto di Irene Pantaleoni – fotografa di rara bravura – proveniente dalla sua pagina Facebook; https://www.facebook.com/irene.pantaleoni)

All’indomani della manifestazione di Pratica, negli smartphone di moltissimi appassionati di volo, aviazione e spazio, inoltrata e rimbalzata in modo nevrotico e imprevedibile, è apparsa una poesia in lingua romanesca che costituisce un piccolo capolavoro in vernacolo nonché un elogio a questa meravigliosa macchina volante rimasta nel cuore di moltissimi piloti militari .

Affinché potessimo dichiarare la paternità di una composizione sì meritevole, abbiamo tentato di risalire all’autore che si firma con un criptico “PMP”; allo scopo abbiamo ingaggiato i migliori agenti del controspionaggio di VOCI DI HANGAR, tuttavia non siamo riusciti nell’impresa … dunque confidiamo che egli si riveli a noi con il suo vero nome o che qualcuno dei nostri visitatori ce lo riveli  … ma giusto per ringraziarlo e – non ultimo – per esortarlo a comporne delle altre poesie in chiave pasquinesca/trilussiana/belliana.

Ad ogni modo – a proposito del 104 – una certezza l’abbiamo e ve ne vogliamo rendere partecipi. Esistono due categorie di piloti: quelli che amano l’F-104 e quelli che lo odiano … i secondi nun c’hanno mai volato!

Buona lettura e grasse risate a tutti.










Certo che de nomi er 104 ce n’ha e ce n’ha avuti davero na caterva…

Er Cacciator de Stelle, lo Spillone pe dinne solo arcuni…

Quello che molti nun sanno è che er progettista

voleva fa n’aereo basico, assai minimalista

Leggero, rapido, toccata e fuga

pe daje n’testa ai Migghe

Mica ce lo sapeva lui, er progettista,

Sto Kelly della futura Lockedde Martina

C’avrebbe realizzato n’opera prima!

Che come er 104, mica ce ne so tanti

O mejo, come lui nun ce sta proprio nessuno

Eppure de difetti ce n’aveva,

faceva pure fumo.

Er J79 mica romba, lui ulula pe fasse riconosce

ch’è lui, er 104 de tutti er capobranco

co quarsivoja velivolo se trova in formazione.

Ma dimme, tu ce poi capì quarcosa

perché l’amamo tanto sto Spillone?

Seconno me perché n’ fonno n’ fonno

a tutti quelli de noi che c’ha rapito er core

c’avemo tutti un sogno prima che se more.

De esse er Capitano che lo tira

da 0 a 1000 e più su in manco du seconni…

E vai su su fino a superá er Macche 2.

E come l’altro giorno a Pratica de Mare

Spillone volerà sempre puro si sta fermo.

Volerà qui, dentro ar nostro core!

Perché non è il suo volo che a noi tanto c’ha rapito

e che c’ha fatto così tanto nnammorá

Ma quello che lui è stato nel suo tempo…

Un Cacciator di Stelle, un Romantico,

un Cavaliere Solitario e forte

Che su nei cieli alti se n’annava ardito.

E quanno che passava

su, lassù nel cielo blu infinito

Tutti guardavano ma subbito scappava

Era troppo veloce pe seguillo.

E come disse quer grillaggio der Marchese,

ch’era Albertone che tutti conoscemo

Lo dice pure er 104 all’artri aerei

ch’hanno volato co lui ‘n formazione:

“Si si vabbè ce sete pure voi

ai 100 anni dell’AMI co tutti sti vorteggi.

Ma er vero divo, lassatemelo di,

so sortanto io, che c’ho pure er retrorazzo

Perché io so io e voi nun siete un cazzo!”

Con licenza poetica all’F104!

 

Pratica di Mare 17-18/6/2023

PMP

Caduta libera

titolo: Caduta libera

autore: William & Marylin Hoffer 

editore: Armenia

pagine: 256

anno di pubblicazione: 1990

ISBN: 8834404297 e 978-8834404294




Sono le 19:05 del 23 luglio 1983, quando il Boeing 767 volo 143 dell’Air Canada inizia la corsa di decollo spinto dalla potenza dei suoi motori, sulla pista dell’aeroporto di Ottawa destinazione Edmont.

Nessuno immaginava che la “catena degli eventi” aveva correttamente allineato le lettere della parola: DISASTRO!

L’evento più impensabile che potesse accadere a un aereo di linea si era realizzata: il volo AC 143 era decollato con una quantità insufficiente di carburante nei serbatoi.

Così a circa metà percorso, alla quota di 12’000, metri i due motori del Boeing 767 si spengono, il volo AC 143 ha esaurito il carburante, ora il comandante Pearson e il primo ufficiale Quintal dovranno tirar fuori tutta la loro abilità per cercare di portare in salvo i passeggeri e l’equipaggio.

“Caduta libera”, è la ricostruzione di quanto realmente avvenne, quel 23 luglio, al volo AC 143.

Gli autori William e Marylin Hoffer, giornalisti, hanno saputo ricreare, attraverso la raccolta delle testimonianze dei passeggeri e dei documenti della commissione d’inchiesta, con grande realismo la vicenda.

Il velivolo commerciale con marche C-GAUN era un Boeing 767-233 in forza alla compagnia aerea canadese Air Canada ed è qui ritratto in un giorno – il 24 gennaio 2008 – in cui assurse agli onori della cronaca mondiale per la seconda volta: l’ultimo volo prima dalla radiazione dal servizio attivo. Il volo avvenne da Montreal Trudeau all’aeroporto internazionale di Tucson prima di volare verso il suo ritiro definitivo nel deserto del Mojave in California, USA (foto proveniente da www.flickr.com)

La storia di un disastro mancato che portò alla luce una serie di inadeguatezze e carenze a tutti i livelli nelle procedure della compagnia aerea e che, solo grazie alla professionalità dell’equipaggio, si era potuto evitare il peggio.

Pearson cominciò a pensare a voce alta: ‘Qual è la migliore velocità di discesa in questo caso?’ L’addestramento dell’Air Canada e i manuali di volo non spiegavano come far planare un 767 senza motori e atterrare sani e salvi.”

 …nessuno ci aveva provato prima, così come nessuno sapeva se il 767 fosse in grado di planare” (senza motori funzionanti, NdR)

Probabilmente il più famoso tra i 767 mai costruiti dalla Boeing è qui ritratto in tutta la sua bellezza. Nel 1995 fu prodotto anche un film-tv, intitolato: “Volo 174: caduta libera”, riadattamento cinematografico di quante accadde veramente al C-GAUN (foto proveniente da www.flickr.com)

Ma come era stato possibile che un aeroplano di linea decollasse senza la giusta quantità di carburante nei serbatoi?

Le origini di un disastro, soprattutto in campo aeronautico, sono spesso da ricercare andando molto indietro dal momento in cui si è verificato l’evento.

Nel caso del volo AC 143, occorre andare indietro al 1970, anno in cui il Canada aveva aderito all’adozione del Sistema Metrico Decimale e abbandonava il sistema di misura anglo-statunitense.

Il capitano Pearson, che nel suo tempo libero amava pilotare un aliante modello Blanik L-13, probabilmente non esitò granché quando realizzò che, in caduta libera, con una inevitabile discesa di 2500 piedi al minuto, non sarebbe mai riuscito a raggiungere l’aeroporto di Winnipegh … dunque decise di atterrare alla vicina base abbandonata della RCAF (la forza aerea canadese). C’era però un piccolo dettaglio che il comandante ignorava: all’epoca Gimli era utilizzata come pista da parte di auto da corsa. Ma detto fatto: l’aeroplano si fermò a 800 piedi dalla soglia pista e gli appassionati di corse automobilistiche contribuirono a spegnere il principio d’incendio che si sviluppò a causa del contatto del muso sull’asfalto. Una persona rimase ferita durante l’evacuazione ma, tutto sommato, andò di lusso. Questo scatto testimonia l’accaduto in tutto il suo feroce realismo (foto proveniente da www.flickr.com)

A partire da quella data, ora si parlava di “litri” e “kilogrammi” e non più di “galloni” e “libbre”.

L’aereo in questione era il primo 767 dell’Air Canada sul quale la quantità di combustibile veniva misurata dal computer di bordo in kilogrammi, mentre tutti gli altri aerei e i manuali della compagnia usavano ancora le libbre. 

Per il viaggio l’equipaggio calcolò che occorrevano circa 19’600 kg di carburante e chiese la verifica a terra. Gli addetti misurarono il carburante in litri: comunicarono il risultato assieme al fattore di conversione indicato in 1,77, quindi il decollo venne autorizzato risultando caricati oltre 20’400 kilogrammi di carburante. Purtroppo però questo fu uno sbaglio: il fattore di conversione di 1,77 trasforma i litri di kerosene in libbre e non in chilogrammi: l’aereo era stato caricato con solo il 45% del carburante necessario per completare il volo!

Come nella migliore tradizione editoriale, nel risguardo interno è possibile leggere una breve sinossi del volume

A questo errore si univa il non funzionamento degli indicatori di livello del carburante.

Pertanto il computer di bordo non avrebbe ricevuto in automatico la quantità di carburante presente nei serbatoi, ma il dato in partenza andava inserito manualmente, poi una volta in volo il computer avrebbe aggiornato i consumi basandosi sui calcoli.

E naturalmente non poteva mancare una biografia, seppure stringatissima, dei due autori

I computer sono bravissimi a fare i calcoli, ma lo fanno in base ai dati a loro disposizione, e se, come in questo caso, la quantità di carburante inserita è errata … beh il resto vien da solo.

In un incidente il “Fattore Umano” gioca sempre un ruolo importante. Il modo di reagire e di interpretare i segnali, prendere una decisione non sempre è facile soprattutto quando ci si trova davanti più opzioni.

Un’immagine recente del velivolo protagonista di questo libro. L’aspetto singolare è che, dopo la completa rimessa in efficienza e a distanza di più di venti anni dall’evento di Gimli, esattamente nell’agosto dl 2006, il velivolo C-GAUN ebbe una seconda piantata di motore (uno dei due) e atterrò in emergenza con un solo motore all’aeroporto internazionale di Winnipeg, stavolta senza alcuna conseguenza per le 153 persone a bordo. Aveva proprio la vocazione dell’aliante! (foto proveniente da www.flickr.com)

Il comandante Pearson insieme al suo primo ufficiale Quintal riuscì a mantenere una visione d’insieme di tutta la situazione, quella che oggi viene definita “situational airworthness”, e a prendere la decisione migliore in tutte le fasi dell’emergenza.

Quel “Fattore Umano” che aveva contributo insieme ad altri fattori concomitanti a creare la parola DISASTRO, stava ora lavorando in maniera razionale e sistematica in senso opposto cancellando una alla volta le lettere di quella parola.

Il cimitero dei nel deserto del Mojave in California (Stati Uniti) non è propriamente un luogo molto edificante dove un liner può finire, specie dopo essere stato al centro delle cronache mondiali (e non solo aeronautiche) tuttavia al “Gimli glider” è toccata questa fine ingloriosa alla stregua di tantissimi altri velivoli commerciali che, terminato il loro naturale ciclo operativo (di migliaia di ore di volo), sono stati letteralmente rottamati e parzialmente cannibalizzati in quanto fonte di preziose parti di ricambio. In effetti nell’aprile 2013 fu tentata una sorta di recupero in extremis tuttavia, venduto all’asta per la cifra galattica di 3 milioni di dollari canadesi, non ricevette offerte congrue e risultò invenduto con l’inevitabile esito già anticipato. Ad ogni modo un gruppo di volenterosi ha ideato un bizzarro museo nonchè un sito web dedicato all’episodio del “Gimli glider” (https://gimliglider.org/ ) mentre successivamente sono state realizzate delle medagliette personalizzate ricavate dal rivestimento in alluminio della fusoliera diventando un gadget assai originale anche se un po’ feticistico. Inoltre una piccola sezione della fiancata del velivolo è finita proprio nel museo assieme ad altri cimeli come la divisa indossata dal comandante Pearson (foto proveniente da www.flickr.com)

“… Pearson spiegò a Quintal che cosa intendeva fare: se si fossero ritrovati ancora troppo alti nell’ultima fase dell’approccio lui avrebbe imposto una scivolata d’ala all’aereo, scendendo rapidamente di quota e cercando di correggere così la posizione”

Una scivolata d’ala viene eseguita abbassando un’ala con l’aiuto degli alettoni e quindi dando timone nel senso opposto, o come si suol dire “piede opposto”.

Il timone deflesso fa sì che la fusoliera si presenti al flusso d’aria relativo obliquamente, creando molta più resistenza di quando il flusso è lungo la fusoliera come nel volo normale. Questa manovra spesso serve per dissipare energia, per esempio per perdere quota più rapidamente in avvicinamento, sempre a una velocità ben sopra allo stallo.

Nonostante questa manovra sia prevista nel corso di pilotaggio per aerei dell’aviazione generale, è alquanto azzardata per un aereo di linea; per non parlare del disagio per i passeggeri con un aereo fortemente inclinato da un lato.

La manovra della scivolata d’ala, con cui il comandante Pearson riuscì a far atterrare sulla pista di Gimli il Boeing 767 fu in seguito riprovata più volte nel simulatore di volo da parte di diversi piloti ma nessuno è riuscito a ripeterla con lo stesso risultato.

Oggi la storia del volo AC 143 è presente su “Indagini ad alta quota” (serie televisiva che ricostruisce gli incidenti di volo) con le ricostruzioni video e le interviste.

Tornando al libro, nonostante i suoi 40 anni, mantiene un suo fascino per come gli autori hanno saputo ben intrecciare il vissuto dei vari personaggi che il destino aveva messo insieme a bordo di quel volo, con la realtà che stavano vivendo. Di come quegli ultimi minuti di volo stavano cambiando le proprie concezioni della vita e le priorità.

Un volo che costrinse tutti a riflettere.

L’aereo, riparato dei pochi danni subiti, tornò in linea di volo e fu soprannominato “Gimli Glider” (l’aliante di Gimli) aliante in quanto atterrato planando senza motori funzionanti.

Un Boeing 767 che volle essere un aliante.






Recensione di Franca Vorano e didascalie a cura della Redazione di VOCI DI HANGAR.







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The last man on the moon

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L'idea meravigliosa di Francesco Baracca

Amore per l’aria

Dear Bert. An American Pilot flying in World War I Italy

Capronis Farmans and Sias

I Foggiani

Ali di fantasia

La lunga notte delle aquile

Il volo dell'incursore

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Falling to Earth

Una donna può tutto

Ustica, i fatti e le fake news

Il Gruppo Buscaglia

Ustica, i fatti e le fake news

Di questo sono fatti gli aerei

Astronaut Oral Histories

Una vita per l'aviazione

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Le oche delle nevi

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The right stuff - La stoffa giusta

An autobiography - Una vita in cielo

To fly and fight - memoirs of a triple ace

Emozioni in volo

Tempest pilot

Regia aeronautica - Raid e missioni speciali

Gun button to fire: A Hurricane Pilot Story of the Battle of Britain

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The Great Rat Race For Europe - La grande corsa della conquista per l'Europa

Rise Against EagleS

FRANZ STIGLER E CHARLIE BROWN

Franz Stigler e Charlie Brown

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Manuale pratico per la licenza di P.P.

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Ero Amelia Earhart

Amelia Earhart

Vita da Cacciabombardiere

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In un cielo di guai

Donne con le ali

Storia di un pilota. Dal funerale di Alitalia alla fuga dal Qatar" e "Storia di un pilota 2 - Dalle low cost alla conquista dell'Est

In un cielo di guai - bis

Ali diplomatiche. In Svezia con le cordelline

Caduta libera

Ali in valigia

Il destino degli altri. Un giallo nel mondo dell'aviazione civile

In un cielo di Guai - ter





 

 

 

Joseph Heller. Comma 22.

Joseph Heller, autore di “Comma 22”, nato nel maggio del 1923 e scomparso nel dicembre 1999

«Vuoi dire che c’è un comma?».

«Certo che c’è un comma»,

rispose il dottor Daneeka,

«Il comma 22. Che dice: “Tutti quelli che desiderano di essere esonerati dal volo attivo non sono veramente pazzi”».

Se volava era pazzo e non doveva più volare; ma se non voleva volare era sano di mente e doveva volare.

Yossarian fu molto impressionato per l’assoluta semplicità di questa clausola del comma 22 […]

«È davvero un bel comma, quel comma 22», osservò.

Yossarian è un pilota bombardiere dell’ USAF di stanza con il suo gruppo di bombardieri a Pianosa, in Italia, durante la Seconda Guerra Mondiale.

Il romanzo di Joseph Heller ha conosciuto un’immediato successo a partire sin dalla sua pubblicazione (avvenuta nel 1961) e poi durante tutto il corso degli anni a venire; ecco spiegate le numerose diverse copertine di cui mostriamo una carrellata; sicuramente la copertina più efficace e dunque più indovinata è proprio quella utilizzata a mo’ di copertina di questa recensione

Joseph Heller è lo scrittore aviatore che, nel 1955, ha raccontato le gesta del capitano Yossarian, l’antieroe e suo alter ego, e dei suoi commilitoni nel romanzo Comma 22 (10 milioni di copie vendute), osannato dalla critica letteraria e definito, dal Chicago Times: “Un capolavoro apocalittico” e dall’Espresso, “la Bibbia dell’antimilitarismo”.

«Non ho mai pensato a Catch-22 come a un romanzo a fumetti»,

ha dichiarato Heller sul New York Times,

In occasione del centenario della nascita dell’autore, Massimo Conti ha ritenuto doveroso ricordare la figura di Joseph Heller e quindi recensire brevemente la sua opera letteraria più famosa che, come non si risparmia di sottolineare una delle copertine dell’edizione italiana, è stata stampata nel mondo in ben più di 8 milioni di copie!

«[Ma] … volevo che il lettore si divertisse, e… volevo che si vergognasse di essersi divertito. La mia inclinazione letteraria… è più verso il morboso [raccapricciante] e il tragico. Si sta verificando una grande carneficina [la morte] e la mia idea era di usare l’umorismo per rendere ridicole le cose irrazionali e molto terribili».

Heller, in seguito, affrontò lo stesso tema, ripescando figure, personaggi e situazioni da quella sua esperienza bellica in Italia, in una sua commedia di successo: Bombardammo New Haven.

Assieme agli altri militari e aviatori protagonisti di Catch 22, il titolo in originale in inglese, Il tranello 22 – il cappellano Shipman, il colonello Catchcart, Dunbar, Milo Minderbinder, il maggiore Maggiori – un ruolo importante è riservato all’aeroplano sul quale Yossarian è costretto suo malgrado a volare: il B-25 Mitchell della 265a Squadriglia. Lui è pigiato dentro la prua vetrata dell’aereo con il compito di sganciare le bombe sul nemico al momento opportuno, cosa che spesso fa con molta disattenzione, più preoccupato di andarsene alla svelta dal cielo pieno di sbuffi neri della contraerea tedesca, che di colpire il bersaglio. Non si capacita perché quelli là sotto ce l’abbiano proprio con lui:

Il velivolo su cui operò l’autore del volume in qualità di puntatore-bombardiere in una foto dell’epoca. Fu perduto nel gennaio del 1945 a seguito di una collisione in volo con un altro B-25. (foto proveniente da www.flickr.com)

«Che intendono uccidere della gente che nemmeno conoscono».

Cerca pure una spiegazione logica chiedendo al commilitone e amico Clevinger perché

«Stanno per uccidermi […] perché sparano contro di me».

Tenuto conto del gran numero di velivoli costruiti e di quelli sopravvissuti e/o restaurati, a tutt’oggi risultano perfettamente volanti numerosi B-25 che non mancano mai di nobilitare le manifestazioni aeree statunitensi. Questa immagine è stata scattata nel 2010 all’Auburn-Cord-Duesenberg Festival di Kendallville, Indiana, USA (foto proveniente da www.flickr.com)

Clevinger risponde che:

«Sparano contro tutti»,

e la replica del capitano Yossarian è degna di una battuta di Woddy Allen:

«E che differenza fa?», domanda con stizza.

Yossarian tiene a una sola cosa: portare alla svelta a casa la pelle. E ci si mette d’impegno. I suoi superiori invece fanno di tutto per trattenere lui e suoi compagni sul fronte di guerra aumentando di volta in volta il numero minimo di missioni da compiere per essere congedati: prima quaranta, poi cinquanta, e via via di decina in decina.

Heller, come il protagonista del suo romanzo Yossarian, dieci anni prima di scrivere Comma 22 è ufficiale puntatore a bordo di un B-25 Mitchell che nel libro descrive, come

«macchine molto stabili, scure, color verde opaco, con due timoni e due motori e ali molto lunghe. Il loro unico difetto […] era il troppo stretto passaggio che lo univa al più vicino portello di emergenza. Il passaggio era costituito da un cunicolo aderente, scavato sotto la plancia degli strumenti e un uomo robusto come Yossarian poteva sgattaiolarci dentro con notevole difficoltà».

Il velivolo protagonista del romanzo di Joseph Heller è sicuramente il B-25, monoplano terrestre a doppia coda e ala media alimentato da due motori Wright Cyclone da 1.700 cavalli che prende il nome dal famoso pioniere del “potere aereo”, il generale di brigata William “Billy” Mitchel. Nel ruolo di bombardiere medio, era capace di trasportare una buon carico bellico (circa 2200 chilogrammi di bombe), ma in realtà era dotato di un pesante armamento difensivo che lo rese particolarmente versatile nel corso del conflitto in quanto svolse missioni di bombardamenti ad alto e basso livello, mitragliamento, fotoricognizione, pattugliamento sottomarino e persino come caccia. A partire dal 1939 fino al 1945 ne furono prodotti circa 10’600 esemplari nelle varie versioni. Si dimostrò prezioso in tutti i fronti in cui fu impiegato da quello del Pacifico – in cui si rivelò un’arma fondamentale –  a quello europeo, e nordafricano. Fu la colonna portante dell’USAAF (l’Aviazione dell’esercito USA) e, dopo la guerra, fu utilizzato per alcuni anni anche da altre aviazioni sparse ai quattro angoli del pianeta. (foto proveniente da www.flickr.com)

Così nel naso di plexiglass del suo B-25, Yossarian assieme a sé non ci voleva nessuno, nemmeno l’ufficiale di rotta Aarfy, quando da sotto, già loro sul bersaglio, arrivano i colpi della contraerea. Voleva via libera verso l’agognato portello d’emergenza che significava la salvezza e imprecava ogni volta contro i progettisti del Mitchell perché non avevano ne avevano previsto uno anche in

«quella maledetta vaschetta per pesci rossi sospesa mentre quelle sporche maledette bordate di artiglieria gli tuonavano e rimbombavano ed echeggiavano tutt’intorno e di sopra e di sotto con un malvagità crescente e crepitante e fantasmagorica e cosmologica che screpava e sballottava e fracassava e assordava e perforava, e minacciava di annichilire tutti in un frammento di secondo dentro un ampio lampo di fuoco. Aarfy non gli era mai stato utile come pilota di rotta».

Joseph Heller ha ventidue anni quando raggiunge in Corsica il 488° Squadrone bombardieri, “The Avengers”, del 340° Bomb Group, 12° Air Force. Si è arruolato, a diciannove anni, due anni prima, nel 1942. I suoi genitori sono ebrei emigrati dalla Russia. Il padre, Isaac, è arrivato negli Stati Uniti nel 1913, è un simpatizzante dei socialisti e per mantenere la famiglia fa le consegne per conto di una panetteria. Gli Heller, una famiglia di povera gente, vivono a New York, a Coney Island, nel quartiere di Brooklyn dove Joseph nasce il 1° maggio del 1923. Lui è il più piccolo dei tre figli: ha una sorellastra, Sylvia, e un fratellastro, Lee. A sei anni Joseph perde il padre in seguito alle complicazioni subentrate dopo un intervento chirurgico. La madre ha serie difficoltà con la lingua del paese di adozione e la famiglia, privata dello stipendio di Isaac, non se la passa affatto bene.

Questo B-25, appositamente restaurato e riverniciato secondo la livrea del 488 Bomb Squadron che nel corso della II Guerra Mondiale era basato in Corsica, ha assunto le sembianze del mitico ‘LI’l Critter From The Moon’, proprio quello su cui svolse le sue missioni l’autore di “Catch 22”. La foto è stata scattata nel 2015 all’interno dell’hangar verniciatura del Museo Imperiale della Guerra di Duxford, Cambridgeshire, in Regno Unito, viceversa, oggi lo possiamo trovare appeso a fare bella mostra di sé sempre all’interno del American Air Museum proprio di Duxford (foto proveniente da www.flickr.com).

Quando Joseph si diploma alla Abraham Lincoln High School nel 1941 scrive già da tempo racconti e novelle.

Nel dicembre di quello stesso anno, dopo aver subito un attacco dei giapponesi alla base navale di Pearl Harbor, gli USA entrano in guerra. Per risollevare il morale della nazione il presidente Roosevelt approva una rappresaglia contro il Giappone. Una squadriglia di bombardieri compirà un ardito raid per colpire infrastrutture civili e militari a Tokio. Un’azione dimostrativa per lanciare un bellicoso messaggio ai vertici militari giapponesi e all’imperatore Hirohito che regnava dal 1926, per diritto divino, e sognava di dare al suo popolo un vasto impero conquistando più terre possibili nel sud-est asiatico: non siete invincibili e possiamo colpirvi ovunque, anche a casa vostra, c’era scritto sulle bombe che piovvero sulla capitale giapponese. Il compito di guidare la missione quasi sucida è affidato al colonello ed eroe dell’aviazione James Doolittle, Jimmy per gli amici, un californiano già famoso come audace aviatore che nel 1932 aveva stabilito il record di velocità. 

Nello stesso anno in cui i bombardieri Nakajima 97, gli Aichi 99, scortati dai caccia Mitsubishi Zero, indisturbati si fiondano in picchiata sugli incrociatori e le corazzate alla fonda nella baia di Pearl Harbor nell’isola di Ohau nelle Hawaii, a nord-ovest di Honolulu, il futuro scrittore Joseph Heller già lavora. Si era diplomato alla Abraham Lincoln High School, aveva subito iniziato a lavorare in un’agenzia di assicurazioni in qualità di archivista. Poi trovò un impiego come aiutante fabbro presso il Norfolk Navy Yard.

Nell’ottobre del ’42 si arruolò nell’aviazione e ottenne i gradi di ufficiale dopo aver frequentato la scuola cadetti. Quando nel ’44 fu inviato al 488° Squadrone della dodicesima forza aerea in Corsica.

Aveva cucito sulla tenuta di volo il grado di tenente addetto al puntamento per lo sgancio delle bombe, proprio come il pavido Yossarian di Comma 22.

«La guerra è quasi divertente all’inizio, avevi la sensazione che ci fosse qualcosa di glorioso in quello che facevi. Al ritorno a casa mi sono sentito un eroe. La gente pensa che sia stato notevole che io abbia volato su di un aereo da combattimento per sessanta missioni, anche se dico che erano in gran parte milk runs, come si diceva in gergo: lente e noiose missioni, dove non succede niente di che».

Yossarian non sarebbe d’accordo. Heller rimase in Corsica a combattere da maggio a ottobre del 1944. Alla trentesima missione però si dovette ricredere: volare in un cielo di guerra non è certo una passeggiata.

Era in volo verso Avignone, sul fiume Rodano, nel sud-est della Francia che quel giorno era l’obiettivo da bombardare. Lui è accucciato nella “vasca dei pesci rossi” sul muso del suo B-25 quando il copilota perde la testa e quindi il controllo dell’aereo che iniziò a picchiare schiacciando il corpo di Heller contro la parte superiore del vano trasparente di prua, dove lui stava in qualità di puntatore. Il comandante riprese il controllo del loro B-25 e il giovane tenente di Coney Island si rese allora conto che dentro quegli aeroplani si rischiava veramente la pelle; la morte lo aveva sfiorato.

Cosa poteva vedere il mitragliere di prua del B-25 Mitchell? Esattamente quanto testimoniato da questo scatto d’epoca. Le cronache storiche riportano che il B-25 fosse un bombardiere particolarmente rumoroso tanto che costò l’udito a parecchi equipaggi che lo utilizzarono durante il conflitto (foto proveniente da www.flickr.com)

Durante quell’incursione il mitragliere di coda rimase gravemente ferito e Heller rimase molto impressionato tanto da riproporre quell’episodio in Comma 22. La vittima è il compagno di Yossarian, Snowden, un ragazzo che conosceva appena, e che

«era stato ferito malamente e giaceva nel freddo della morte in una pozzanghera di luce gialla e assolata che gli scendeva sul viso da una feritoia dell’aereo […] Dobbs [il pilota, N.d.R.] l’aveva implorato attraverso il collegamento radio di soccorrere il mitragliere. […] Snowden giaceva sul pavimento con le gambe divaricate, appesantito e ostacolato dalla tuta protettiva, con in testa l’elmetto con le cinghie del paracadute e il Mae West sulle spalle».

Heller concentra tutto l’orrore della guerra in cinque dense pagine in cui descrive nel dettaglio l’agonia del compagno, mentre cerca di soccorrerlo tamponando le orribili ferite causate dalle schegge di un colpo di contraerea. Con la cassetta del pronto soccorso, dove qualcuno ha rubato dodici fiale di morfina per rivenderle al mercato nero, cerca in tutti i modi di alleviare il dolore di Snowden che continua a ripetere con un filo di voce

«Ho freddo, ho freddo»,

e lui che gli risponde:

«Andrà tutto bene, ragazzo, su, su andrà tutto bene».

Yossarian si è fatto ricoverare in un letto di ospedale per una finta malattia, per cercare di sfuggire all’ennesima missione di guerra e nel dormiveglia di una notte insonne ripensa alla morte di Snowden. Ma è come fosse Heller in prima persona che racconta e rivive l’episodio, anni dopo nel momento della stesura del libro. Come per Yossarian il ricordo è talmente vivo da togliergli il sonno, allo stesso modo allo scrittore di New York è necessario potersene liberare sublimandolo per mezzo della scrittura.

Una delle foto più memorabili della storia statunitense della II Guerra Mondiale: il decollo di un bombardiere medio terrestre modello B-25 dell’USAAF (Aviazione dell’Esercito USA) dal ponte di volo della … portaerei  statunitense USS Hornet che fu l’inizio dell’operazione organizzata e comandata dal colonnello James H. Doolittle: bombardareTokyo! Il “Doolittle Raid”, così fu chiamata, fu la prima missione statunitense di bombardamento della capitale giapponese e del suolo giapponese. Non ebbe un risvolto militarmente significativo, tuttavia strategicamente e psicologicamente dimostrò che il Giappone non sarebbe rimasto inavvicinabile e soprattutto impunito. In realtà non uno ma ben 16 velivoli B-25B Mitchell furono lanciati in volo con a bordo 5 uomini di equipaggio, privi di armi difensive e di scorta di caccia ma con una quantità minima di bombe. Il loro sarebbe stato un volo senza ritorno giacché non avrebbero potuto atterrare sulla portaerei (o ammarare nei suoi pressi) ma solo raggiungere la Cina. La storia narra che uno solo di essi giunse indenne a Vladivostok (in Unione Sovietica) mentre gli altri tentarono atterraggi di fortuna che, senza più carburante, furono rovinosi ma in territorio cinese. La vicenda è stata raccontata nella parte finale del film “Pearl Harbour” del 2001 (foto proveniente da www.flickr.com)

Heller rientrato in patria dopo la guerra, nel 1945, sposa Shirley Held. Nel 1952 nasce Erica e quattro anni dopo Theodore. Un anno dopo la nascita della prima figlia, Heller inizia a scrivere il suo romanzo partendo da una frase, quella che apre il primo capitolo e che pare gli sia sgorgata come d’incanto. Non pensa subito a un romanzo, ma tutt’al più ad un racconto: non ne è così entusiasta e decide di proseguire a scriverlo solo se qualcuno è disposto a pubblicarlo. Il titolo cui ha pensato è Catch18, ma lo cambia in Catch22 per non confonderlo con un altro libro dal titolo analogo, uscito anni prima: Mila18 dello scrittore Leon Uris, quello di Sfida all’O.K. Corral ed Exodus.

Il romanzo di Heller esce nel 1961: la critica è divisa. Il Chicago Sun-Times parla del «miglior romanzo dell’anno», mentre altri lo considerano «disorganizzato, illeggibile, e grossolano». In Inghilterra diventa subito un best sellers. Per i giovani Yossarian diviene il portabandiera dell’antimilitarismo.

Dopo il coinvolgimento degli Stati Uniti nella guerra in Corea nel 1951, nell’anno di pubblicazione di Comma 22, il governo americano muove i primi passi che porteranno la potenza USA a intervenire in Vietnam.

«Inizialmente Comma-22 istigava ogni addetto alla censura a mettere il proprio nome su ogni lettera incontrata»,

racconta Heller nel 1977 alla rivista The Sixties.

«Poi, andando avanti, creai deliberatamente situazioni contradittorie ed elaborai degli stratagemmi narrativi. Iniziai ad allargare l’applicazione del Comma-22 per abbracciare porzioni sempre più ampie del sistema sociale. Comma-22 divenne una legge: «loro» possono farci qualsiasi cosa che noi non siamo in grado di impedire «loro» di fare. […] Yossarian è convinto che non ci sia nessun comma 22, ma non importa fino a quando la gente crederà che ci sia. Di fatto nessuno dei punti di vista – il sospetto e la sfiducia nei confronti degli ufficiali del governo, il senso d’impotenza e persecuzione – coincideva con le mie esperienze come bombardiere durante la seconda guerra mondiale.

Uno splendido B-25 perfettamente efficiente che potremmo incontrare in tutta la sua folgorante bellezza in una di quelle tante manifestazioni aeree che si tengono periodicamente in ogni dove degli Stati Uniti (foto proveniente da www.flickr.com)

I sentimenti antimilitaristi e antigovernativi del libro appartengono al periodo successivo. Comma 22 era più politico che psicologico. Nel romanzo l’opposizione alla guerra contro Hitler era data per scontata. Il libro affrontava invece i conflitti esistenti tra un uomo e i suoi superiori, tra di lui e le sue istituzioni. La lotta più dura è quando uno non sa chi lo sta minacciando e lo sta sfinendo, ma sa comunque che c’è una tensione, un antagonista, un conflitto di cui non è possibile immaginare la fine. […] In un modo o nell’altro, ogni personaggio nel romanzo è in balia di qualche contesto. Alterno situazioni in cui l’individuo è in conflitto con la società a situazioni in cui la società stessa è il prodotto di qualcosa di oscuro […] che sfugge ai limiti della ragione.

Ma c’è una frase che vale tutto il libro e con questo chiudo questa recensione: 

«Apri gli occhi, Clevinger. Non fa una dannata differenza chi vince la guerra con qualcuno che è morto… Il nemico è chiunque ti prenda. Ucciso, non importa da che parte stia».


Testo a cura di Massimo Conti, didascalie della Redazione di VOCI DI HANGAR



Articolo giornalistico / Medio – lungo

Inedito

§§§ in esclusiva per “Voci di hangar” §§§

# proprietà letteraria riservata #


Massimo Conti

IL club MELC


Un libro usato trovato curiosando su una bancarella lungo la Senna, con in copertina la foto di un P-51 North American Mustang. Delle note al suo interno scritte a matita da uno sconosciuto proprietario … e quel nome “deBoyer”, porzione del cognome della madre di Antonie de Saint-Exupéry.

“Accanto al nome c’era scritto: … domandare a…”.

Uno degli splendidi acquerelli (tra la decina dei disegni un po’ infantili e anche un po’ naïf)  che adorna il libro “Il piccolo principe”. Furono elaborati dallo stesso autore e sono celebri quanto il romanzo (foto proveniente da www.flickr.com)

Marc Fabrien, protagonista della storia, è un pilota di linea che all’età di 7 anni rimase affascinato dal racconto del “Il Piccolo Principe” di Antoine de Saint-Exupéry, appunto, tanto da volerne sapere di più su questo scrittore-pilota. Al fascino dei suoi scritti si univa il mistero della sua scomparsa, avvenuta il 31 luglio del 1944 quando si inabissò, con il suo P-38 Lightning, nelle acque di fronte la Provenza; il suo corpo non fu mai trovato. E ora il ritrovamento casuale di questo libro riaccendeva la sua curiosità; allora niente di meglio che rintracciare tre vecchi amici, anch’essi piloti, con i quali condividere questa avventura. Soprattutto il vecchio Luc che per primo gli aveva raccontato la storia del “Il Piccolo Principe”. Marc, Edouard, Claude e Luc : “Il Club MELC”.

La copertina dell’opera universalmente più conosciuta dello scrittore-pilota francese. Quella ritratta è una copia in lingua italiana che risale addirittura al lontano 1965 e che ha alle spalle una storia singolare; il suo proprietario, certo sig Alfredo Liverani dichiara infatti: “Sono molto affezionato a questo libro che mi fu regalato dalla Prof.ssa Rosa C. Ogni anno, quando si avvicina il Natale, lo rileggo”. In effetti, appassionati o non appassionati di volo e di aviazione, chi non ha letto da bambino o da adulto “Il piccolo principe”? Pochi, molto pochi, almeno a giudicare dalle statistiche di vendita di questo libro davvero universale (foto proveniente da www.flickr.com)

Luisa Sala autrice del racconto “Il Club MELC” ha partecipato alla X edizione del concorso “Racconti tra le nuvole” non qualificandosi tra i finalisti. Ancora una volta una scelta della giuria per noi incomprensibile, ma che assolutamente rispettiamo.

Questo racconto è un invito per il lettore a leggere o rileggere, a scoprire o riscoprire quello che è da tutti riconosciuto come il capolavoro di Saint-Exupéry.

“Il Piccolo Principe”, come molti libri per ragazzi ha in realtà una duplice chiave di lettura: una favola per bambini, una riflessione molto profonda per gli adulti. Il senso della vita, l’amore, la solitudine, la mancanza sono i suoi temi fondamentali. Il Club MELC vuole essere una riflessione per coloro che si sono dimenticati di essere stati dei bambini, che hanno abbandonato i loro sogni. Che non vanno oltre le apparenze e la materialità delle cose. Il racconto termina con una dichiarazione d’intenti:

“… Il Club MELC avrebbe realizzato grandi progetti. Ne ero certo. Più che mai”

Più che un finale quasi l’inizio per una nuova storia. Perché la vita è una bellissima avventura da vivere.

Un grazie a Luisa Sala per questo suo racconto, che troverà ospitalità nel nostro hangar, assieme alle altre Voci

Così ha invece riassunto l’autrice il suo racconto:

La vicenda è ambientata in Francia.

“Il piccolo principe” è il soggetto di questo splendido graffito realizzato a Predore (BG) a cura di un grafitaro dal nome Wiz Art. Come tutti i libri destinati all’infanzia, anche e soprattutto questo volume ha diversi piani e/o chiavi di lettura tanto che, a ben leggere, è destinato più agli adulti che ai ragazzi (foto proveniente da www.flickr.com)

Marc Fabrien è un pilota di linea de l'”Air Corsica” ed è stato anche pilota privato per il Club della Camargue in passato. È un tipo insolito che tira sempre dritto per la sua strada.

Gli piacciono le storie e i vecchi libri, quelli usati, già  vissuti e quando va a Parigi  trova sempre il tempo di perdersi lungo il viale dei ‘bouquinistes’.

È appassionato della vita e della leggendaria scomparsa di Antoine de Saint-Exupéry il pilota autore de “Il Piccolo Principe”.

Questa passione risale alla sua infanzia quando, grazie allo zio meccanico aeronautico in un hangar di Marsiglia,  Marc conosce Luc, un pilota che lo avvicina ai misteriosi codici lasciati da Saint-Exupéry nel suo capolavoro. Anni dopo, grazie a un libro acquistato a Parigi, riapre la porta dell’universo dei codici legati alla scomparsa misteriosa del grande pioniere. Le coincidenze si intrecciano.

A testimoniare l’universalità de: “Il piccolo principe”, ecco tutte assieme alcune delle sue più disparate copertine disponibili nelle varie lingue terrestri (si contano circa 505 traduzioni tra lingue e dialetti). Pubblicato il 6 aprile 1943 a New York nella traduzione inglese (The Little Prince) e poi in francese, è evidentemente uno dei libri per l’infanzia più conosciuti al mondo (foto proveniente da www.flickr.com)

Il giorno in cui a Marsiglia Marc incontra Luc e due suoi cari amici, i quattro fondano il loro club esclusivo, il Club MELC per investigare sulla leggendaria scomparsa dello stravagante pilota Saint-Ex. Per suggellare il compito, a bordo del Cessna  di Luc, in silenzio, sorvolano la porzione di Mediterraneo dove Saint-Exupéry si inabissò col suo P-38 Lightning in quel lontano trentun luglio millenovecentoquarantaquattro.


Recensione di Franca Vorano, foto e didascalie a cura della Redazione

Foto di copertina proveniente da www.flickr.com


Narrativa / Medio – Lungo

Inedito

Ha partecipato alla X edizione del Premio letterario “Racconti tra le nuvole” – 2022


Luisa Sala


Le note biografiche di Luisa sono piuttosto schematiche e non lasciamo adito  fraintendimenti. Le riportiamo così come ce le ha fornite al momento della sua adesione al premio:

nazionalità : italiana

Studi: Lingue e letterature straniere moderne /. Alliance Française

Pubblicazioni:

-IMDb: documentario 2011 ( per bambini)

  • La vita segreta di zio Phil. Ed. La Compagnia della Stampa
  • C’era una volta nel castello di Maclodio
  • C’era una volta nel castello di Pralboino
  • C’era una volta nella Rocca di Orzinuovi

Ed. Compagnia della Stampa

  • Non c’è bisogno di scarpe per camminare Ed. L’autore libri Firenze
  • Villa Valu-Eufri Ed. Tarantola

Traduzioni ita/fra

  • Cremona 1859 Il soccorso dei feriti francesi dopo la battaglia di Solferino di G.Valotti
  • I gioielli e le pietre preziose di C. Mazloum

Racconti

  • In viaggio con Pauline  / Nuova narrativa italiana
  • Caduta libera / premio letterario. Bront


Per inviare impressioni, minacce ed improperi all’autore:

luisamcsala (chiocciola) virgilio.it



Nel sito sono ospitati i seguenti racconti:


IL club MELC

Il club MELC


Ho sempre avuto due punti deboli nella mia vita, da che ho memoria, anzi, tre, ma il terzo è diventato il mio lavoro e quindi non lo conto più. Aggiungo che, col tempo, ho accettato il concetto di debole riguardo ai punti perché lo associo all’impossibilità di resistere loro. Ma questa è un’altra storia. Una vecchia storia.

A ogni modo e a onor del vero sono sempre stati gli altri a definirli debolezze. I punti in questione, intendo.

Credo, e non sono lontano dalla verità, che sia stato del livore. Niente altro che umano livore per i miei progetti. Comunque non mi sono mai agguerrito per trasformare il tutto in un affare di orgoglio. Non seguo troppo i pareri altrui. In un modo o nell’altro faccio sempre di testa mia. Tiro dritto per la mia strada.

Ebbene, in questa vicenda i fatidici tre punti si sono beatamente incrociati. E aggiungo,  coordinati fra loro per dare forma a una delle più  indimenticabili  esperienze della mia vita.

È questo che importa e che ha fatto la differenza.

Se tornassi indietro farei esattamente ciò che ho fatto, comportandomi proprio come mi sono comportato.

 

1.

Il pomeriggio quando tutto iniziò mi trovavo a Parigi. Piovigginava. Era la fine di aprile. Sarei ripartito solo l’indomani quindi ero libero di muovermi come meglio credevo.

Ho sempre prediletto camminare senza meta lungo il viale dei bouquinistes. Lungo la Senna. Curiosare fra i vecchi libri.

Procedevo lento perché ero in anticipo per l’appuntamento con una vecchia amica. Ripeto, non dovevo essere a Parigi, ma all’ultimo avevo sostituito un collega ed eccomi lì.

A proposito mi chiamo Marc. Marc Fabrien. Francese da indicibili generazioni. Pilota di linea della Air Corsica, ma per un bel po’ di tempo sono stato pilota privato grazie al Club aeronautico della Camargue. Periodo splendido quello.

Quando riaffiorano i ricordi mi vengono gli occhi lucidi.

È in Camargue che ho conosciuto due dei miei più cari amici. Tutti e tre noi, piloti.

È con loro che ho affinato la mia indole naturale di generosità genuina, quella che ancora oggi mi rende disponibile a sostituire un collega se ne ha bisogno. Siamo stati inseparabili per due anni. Noi tre a cavalcare i cieli su i Cessna 172. I piccoli monomotore a quattro posti placidi nella loro garbata velocità massima. Ci sentivamo intoccabili. Noi tre a stilare sfide con i numeri di ore di volo. Noi tre a ridere della nostra audacia. Ci sentivamo dei temerari. Più di tutto liberi. Era come se sapessimo sfruttare ogni momento della vita. Ci caricavamo facendo paragoni.

Anche se certe auto sportive regalano sensazioni da brividi – ci dicevamo – con le loro capacità meccaniche, con il gioco impercettibile dei cambi di marcia fra tornanti montani o lungo autostrade infinite, non c’era storia a nostro vedere.

No, non ci lasciavamo abbindolare dalla potenza dei cavalli di certe quattro ruote.

Eravamo così.  Édouard, Claude e io. Uniti.

Poi in piena notte ci ritrovavamo per fumarci in pace una sigaretta e raccontarci a turno i sogni a venire. E guardavamo davvero il cielo scuro.

Per me volare significava  respirare. Anche oggi.

E, scordavo, ero un fumatore quanto basta. Ancora adesso ma forse questo è un dettaglio marginale in tutta la vicenda.

Insomma stavo aspettando Aline e per un verso ero contento fosse lei in ritardo e io  in largo anticipo.

Mi è sempre piaciuto crogiolarmi fra i libri e vecchie storie e questo è un’altra forma di libertà. A rigor di puzzle della vicenda, è il primo dei due punti entrato in scena. Mi spiego meglio.

Sono uno che ama leggere, sfiorare le pagine scritte, raccontare storie. I vecchi libri, quelli passati nelle mani di altre persone, mi procurano misteriosa adrenalina che mette in moto il mio senso dell’avventura.

Ebbene, curiosando qua e là, passavo in rassegna le varie copertine sperando di essere attratto da un’immagine magnetica che per me significava viaggi o esplorazioni. Capitai su un volumetto grigio e piuttosto sgualcito nell’insieme ma con, in bella mostra, un aereo d’epoca. L’avevo riconosciuto senza se e senza ma.

Un caccia  North American P-51 Mustang in voga durante la Seconda Guerra Mondiale. Un gioiello che con la sua apertura alare inclinata e in scala copriva la grandezza della pagina. Mi ritrovai ad accarezzarne le forme con pura delicatezza.  Volevo toccare.

“Posso?” Chiesi al tizio dietro il banco pensile.

“Certo signore , sbirci pure. ” Mi sorrise soddisfatto, credo perché intuii che l’avrei comprato.

“Lo prendo.”

“Cinque euro. Prego e buona lettura.”

Mi sentivo più tranquillo avendolo tra le mani. Quasi come una premonizione liberatoria. Ammiravo quella copertina dai bordi mangiucchiati. Avevano la forma ricamata tipico del lavorio sordido dei pappagallini. Lo so perché ne avevo uno da bambino che si divertiva a rovinarmi i quaderni.

Salutai il venditore con un cenno del libro sollevato a mezz’aria e con il desiderio di appartarmi per divorare quelle pagine. Nascondevano un mistero, ne ero sicuro poiché avevo adocchiato delle mezze frasi scritte a matita fine all’interno, aprendolo casualmente. Il mio animo antico di pilota solitario si era svegliato. E alla grande. In effetti non sono diventato pilota a caso. Ho sempre provato attrazione per gli aerei, per il volo, per la libertà.

Gran parte di questa passione la devo agli anni trascorsi nel sud della Francia. In estate. A Perpignan. Nella casa di famiglia dove a un certo punto non si capiva più chi era chi e chi arrivava o andava. Cugini mai visti. Amici di amici.  Una gran confusione e a me le confusioni non sono mai andate giù, nemmeno in estate. Il caldo torrido, poi,  non l’ho mai tollerato e un mio zio di Marsiglia a quanto pare se n’era accorto e aveva cominciato a salvarmi spesso dalle noie della spiaggia e dai  rumori della casa o forse io salvavo lui.  Non ho mai approfondito.

Mi portava  all’hangar di Marsiglia. Quello nei pressi della Legione Straniera. Un luogo magico per lui. Sia l’hangar sia la Legione.

E magico anche per me.

Zio Xavier era un meccanico con la emme maiuscola. Ci capiva di motori come Monet di colori.

Lavorava in quell’hangar e non avvertiva il bisogno di staccare perché amava il suo lavoro. A dirla bene la vacanza era un dovere e così  forse è più evidente captare il tipo di personalità.

Mi ripeteva spesso:

“Marc, pensaci bene! Pensa molto bene a quel che vuoi fare da grande. Se sbagli lavoro sarai fottuto. Rovinerai la tua vita.”

“Farò un lavoro fantastico.” Rispondevo tanto per rispondere ma non sapevo cosa dicevo. A me, al contrario suo,  importava che le  vacanze durassero il più a lungo possibile.

Avevo sette anni e mezzo la prima volta che toccai con le mani un aereo. Voglio dire, non ci capivo un bel niente. Li vedevo di solito passare in cielo. Tutto qui. E con l’espressione un po’ da ebete allungavo il collo e sgranavo gli occhi su, su fin dentro al cielo e non li staccavo se non dopo che l’aereo di passaggio svaniva dalla mia vista.

Quel giorno invece, con zio, la mia mente cominciò a lavorare a modo suo e non mi lasciò più in pace. Da quell’istante non mi sarei più accontentato di guardarli.

Vedere con gli occhi quelle meraviglie volanti, ascoltare i piloti che sembravano parlare in codice fra loro era rugiada; anche i meccanici apparivano speciali nelle loro tute, nei loro andirivieni, l’atmosfera mi faceva sentire fortunato.

Era un mondo nel mondo.

Altro che stare sulla sabbia, facendo buche, aspettando di fare un bagno.

Nell’immenso capannone, dove mi sentivo una piccola vite, toccavo aerei veri. Veri.

Sarei diventato un pilota. Lo comunicai allo zio nell’istante stesso in cui lo decisi e lui, per suggellare il momento, mi alzò di peso e mi collocò seduto all’interno dell’abitacolo dell’aereo che stava controllando, davanti a un riquadro di pulsanti che per un istante mi fece sobbalzare.

Ecco, tutto quel pomeriggio contribuì a formare il terzo punto di debolezza che con gli anni ho onorato in pieno.

E non finì là. Eh no.

Divenni la mascotte dell’hangar. Conobbi un po’ tutti.

In estate andavo più spesso all’hangar che dal gelataio.

In inverno vivevo come un orso in letargo per accumulare energie da liberare a Marsiglia.

Ognuno di loro – quelli dell’ hangar  ovvio – mi raccontava avventure incommensurabili che facevano brillare gli occhi e uno in particolare. Un pilota che lavorava a tempo pieno per un ricchissimo uomo d’affari e pilotava per lui un jet privato con le ali di uno sfavillante color rosso, mi prese in simpatia. Luc, si era semplicemente presentato così. La seconda volta che mi vide, mi prese per mano e mi portò vicino a due bidoni di un colore blu acceso. Vicino alla grande apertura che si immetteva sulla pista. Su quella traiettoria arrivava il vento che movimentava l’aria calda.

“Conosci Il  piccolo Principe?” Mi chiese a bruciapelo.

“Il libro?”

“Sì proprio il libro.”

Lì per lì rimasi deluso perché all’epoca i libri non mi interessavano anzi li scartavo come regola prioritaria.  Non avevo mai passato cinque minuti di mia volontà con un libro aperto  fra le mani.  Quel libro poi me lo avevano regalato ben due volte in due compleanni diversi. Uno strazio ricevere quel che non si vuole.

Il mio rammarico si vedeva lontano un miglio e Luc riprese la situazione a vantaggio di quel libro.

“Non dico di leggerlo. Se vuoi ti racconto la storia e dopo, sono sicuro che vorrai sbranarlo personalmente.”

“Non credo. Non credo proprio.”

Non avevo nemmeno colto il concetto di sbranare delle pagine.

Ricordo la risata immensa di Luc. Mi strizzò l’occhio e cominciò a parlare.

In capo a dieci minuti lo seguivo con la bocca aperta e rigoletti di saliva pendenti ai lati per quanto rapito dalla storia.

Venni così a conoscenza di uno strepitoso, misterioso Antoine de Saint-Exupéry. Saint-Ex per gli amici, a detta di Luc, quell’Antoine sapeva più di quel che voleva far intendere, e il libro del piccolo principe era un concentrato di simboli e codici da decriptare. Decisamente non era un semplice e bravo pilota.

Soprattutto mi colpì il mistero della sua scomparsa e del suo aereo sprofondato in mare.  Luc disse testualmente le seguenti parole, parole che imparai a memoria:

“Antoine de Saint-Exupéry sparì da qualche parte nelle profondità marine a largo delle coste della Provenza. Stava pilotando un P-38 Lightning.”

Risposi.  E pensai che lui era un pilota nell’anima. Era l’anima del pilota. Tutto ciò che stavo ascoltando con le mie orecchie faceva galoppare il mio cervello e non avevo nemmeno  nove anni. Traguardo per me lontanissimo ai tempi.

Ovviamente decisi in silenzio che avrei letto parola per parola quel libricino e non lo avrei più considerato una fiaba per bambinetti. Eh no! Le cose erano radicalmente cambiate. Io ero cambiato e quando si cambia è molto difficile tornare indietro. Si vuol solo andare avanti.

È quel che feci da quel giorno grazie a Luc, a zio Xavier ma anche alla brutta casa caotica di Perpignan perché se non fosse stato per lei molto probabilmente non sarei mai diventato pilota e tantomeno  l’uomo che sono.

 

2.

L’universo di Saint-Exupéry non mi ha mai più abbandonato. Con gli anni mi affaccendai nel tempo libero per scoprire sempre più nuove informazioni sulla vita di quel pilota scrittore. In realtà non mi andò mai via dalla testa ciò che mi svelò Luc quel caldo giorno d’estate, ovvero, Saint-Exupéry era sparito. Disperso. Il suo corpo non era stato trovato. Ovviamente lo si considerava morto, ma non c’erano dati inconfutabili né ragionevolmente probatori a dimostrarlo.  Dove era finito ?

Insinuazioni, ricostruzioni non avevano fatto altro che gettare mistero sul mistero.

E c’era dell’altro. Ne erano tutti certi.

Le mie giornate sfuggivano per quanto facevo. Fra il lavoro e le mie ricerche e i libri ero stanco sì eppure profondamente gioioso. Le persone che gravitavano intorno a me non si davano pace. Era fastidiosa la mia esuberanza. Avrebbero preferito un Marc lagnoso. Pessimista. Normale. Controllabile.

Mai stato e mai lo sarò.

Lessi tutti i libri del pilota scrittore. Del mio pioniere preferito. Quelli che in pochi apprezzano perché sembrano diari tecnici. Molto specializzati. Io invece ci scovavo sempre nuovi dettagli geniali. Non che io sia dotato di intelligenza superiore ma, con gli anni, ho compreso che ognuno ha un talento ed è un peccato non alimentarlo. Ho anche sorvolato il Nord Africa seguendo i suoi tragitti. Ho riletto e riletto Il Piccolo Principe senza mai averne abbastanza.

Uno spettacolo. Più procedevo e migliore e forte mi ritrovavo.

È lampante che il secondo mio punto di fantomatica debolezza è Antoine de Saint- Exupéry. Lui e chiunque l’abbia conosciuto.

È gioia pura in me quando rileggo un suo passaggio scritto e non voglio spiegare di più perché guasterei la magia . Ecco l’ho detto. Con i suoi scritti mi ero avvicinato al senso della magia quale mistero insondabile della vita. La stessa magia che provo quando sono in decollo e trasporto sotto mia piena responsabilità un bel numero di persone.

Mi aveva affascinato anche il suo rapporto con la madre.

Madame Marie de Boyer de Fonscolombe. Una contessa. Una donna acuta. Una madre che dopo la presunta morte del figlio ricevette – a quanto si vocifera – una sua lettera nella quale la confortava spiegando che stava bene.

Quale fitto mistero nella vita di quest’uomo!  Come faceva a stare bene se era scomparso, se il suo Lightning si era inabissato, se il cadavere non era mai rinvenuto? Quale orizzonte sconfinato mi aspettava da sondare ? Lui che decollato la mattina per una ricognizione non aveva più dato segnali via radio e il suo aereo, abbattuto da uno nemico, era stato inghiottito dal Mediterraneo?

Senza aprire poi lo squarcio del marinaio che alla fine degli anni novanta scovò un oggetto che rimescolò la già fitta e intricata leggenda della scomparsa di Saint-Exupéry. Strati di misteri.

Decisi che non potevo tenermi tutto dentro. Troppa carne al fuoco. Troppa energia da gestire. Tanta esuberanza. Morivo dalla voglia di confidarmi.  Confrontarmi o semplicemente raccontare quel che ribolliva dentro il mio animo. Ricontattai i miei due amici Claude e Édouard per metterli a conoscenza.

In men che non si dica ricostituimmo il nostro club dei piloti fumatori. E gli anni sembravano non essere trascorsi quando ci vedemmo. Non avrei sperato meglio.

 

3.

L’aperitivo con Aline non sortì l’effetto sperato. Nel senso di trascorrere un paio d’ore in allegria. Quando arrivò si sprigionò disagio fra noi. Forse io non ero più dell’umore dopo aver comprato il libricino che mi rubava tutta l’attenzione. O forse ero più brutto di quel che lei ricordava. Non so che dire su di noi. La stonatura era reciproca.

Aline non era mai stata una bellezza ma aveva un certo fascino, un bel sorriso, la ricordavo buona conversatrice. Non so, non l’avevo, però, mai pensata fuori dai paletti dell’amicizia e probabilmente neppure lei.  Francamente non saprei nemmeno dire perché l’avevo chiamata. L’aggravante stava, comunque, nel libro appena trovato. 

Non avevo dubbi. Non c’ero con la testa. Una donna lo capisce al volo ma per fortuna non me lo fece pesare. Non avevo intenzione di svelarle che un libro aveva appena rapito tutta la mia esuberanza e non ne restava per altro.

Chiacchierammo del più e del meno. Bevemmo il nostro aperitivo e ci salutammo sfiorandoci con tre bacetti sicuri che non ci saremmo mai più cercati.

Del resto certe conoscenze non sanno sprofondare dell’anima e non c’è niente di male in questo.

Mi precipitai in albergo inseguito da una pioggia che si era fatta più prepotente.

Niente di meglio che vedere l’acqua disintegrarsi sui vetri lisci e io  dentro al riparo.

Lessi tutta la notte. Non riuscivo a chiudere occhio. Non tanto per la storia che non era eccezionale quanto per le note scritte dal misterioso proprietario del libro.

La grafia era pessima. Stretta, inclinata. Le lettere erano mangiate. Questi fatti non facevano che esaltare la mia vivacità.

Avevo deciso di trascrivere tutto quanto su un foglio separato. Intendevo dare un ordine e infine una logica.

Il dettaglio sconvolgente fu un nome.

Circa verso la fine, precisamente alla quintultima pagina scritta sul margine esterno, decifrai: “deBoyer”.

Ora, se uno più uno non può mai fare tre, io mi trovavo nel bel mezzo di una straordinaria rivelazione;

“de Boyer” era  la porzione di cognome della madre di Saint-Exupéry. Se non era riferito a lei, era comunque qualcuno della famiglia. Il cerchio era ben ristretto.

Non era tutto. Accanto al nome c’era scritto: “…domandare a …”ˋ

Cosa? E perché ?

E ancora. Seminati fra le pagine erano annotate tante cifre doppie.

A cosa si riferivano quei numeri? E perché così tanti? E perché simili e in successione ? Del tipo: se c’era il trentasette, trovavo anche il trentaquattro e il trentotto e così via.

Sudavo per l’energia ridondante.

Ricordando cosa Luc, il pilota di Marsiglia, mi raccontò circa i numeri sparsi fra le pagine de Il Piccolo Principe non potei concludere altro che quelle annotazioni erano preziosissime e che l’intuito mi suggeriva essere collegate al mistero di Saint-Ex.  Me lo sentivo. Non mi sbagliavo.

Presi il libro fra le mani e cercai la data di pubblicazione,

Millenovecentosessanta.

Annotai dei dati della casa editrice. Non era una di quelle famose.

Dovevo iniziare da qualche parte.

Presi il telefono chiamai il servizio in camera e mi feci preparare, nel bel mezzo della notte, una bottiglia di champagne e due spumose omelettes.

Mi andava così. Ero su di giri. Avevo fra le mani una bomba. Forse sarei divenuto colui scelto dal destino per aggiungere un tassello nuovo al mistero della scomparsa di Antoine de Saint-Exupéry.

L’indomani avrei chiamato Claude che avrebbe rintracciato Édouard. Non stavo più nella pelle.

Era evidente. Qualcuno aveva usato un libro qualsiasi e poco attraente per il grande pubblico ma legato al mondo dell’aviazione. Un libro la cui copertina poteva interessare principalmente un certo tipo di persona. Un appassionato di aviazione. Un pilota. Qualcuno poco conforme al qualunquismo. Il libro non era destinato ad andar perso. Sembrava che il tutto facesse parte di un grande piano.  E chi l’aveva trovato?

Io. Me medesimo. Marc. Pilota. Strambo. Appassionato di libertà. Non poteva essere un caso ma non volevo fissarmi su quel dettaglio. Era capitato. Dovevo proseguire a ogni costo.

Esultavo. Non vedevo l’ora di dare un assetto a quel materiale tanto vago quanto intrigante. In seguito sarei andato alla ricerca di qualche “de Boyer”. Di qualche discendente. E poi via, sempre oltre.

Mi addormentai dopo aver svuotato la bottiglia e dopo aver scritto in modo indecente: “Svelare i misteri ma non troppo …”

 

  4.

Quando mi svegliai era tardi. Troppo tardi. La realtà era in trepidazione ma la mia sbornia pesava come cento mattoni sulla testa e non ero in grado di mettere a fuoco un bel niente.

Avevo il volo Parigi-Nizza a breve e le mie condizioni somigliavano a una tenda travolta da una tormenta di sabbia.

Quando si elargiscono piaceri è facile riceverne. Tentai. Andò bene. Trovai il mio  sostituto causa forza maggiore. Intendiamoci non accadono spesso gli scambi ma è altrettanto vero che quando il destino ci si mette non ce n’è per nessuno. O lo si segue o gli ostacoli si moltiplicano.

Più rilassato ma sempre alticcio mi preparai per uscire. Avevo in mente di fare un salto dal tizio che mi aveva venduto il libro. Forse ricordava qualche dettaglio, tipo la provenienza. O addirittura il proprietario.

Per esperienza so che le coincidenze esistono quali movimenti di disegni più grandi. Mi gironzolavano un sacco di idee in testa.

Non ero ancora capace di comprendere la ragione  di tutto questo ma se proprio volevo trovare un aggancio di qualità non potevo che riferirmi a Luc e a quel lontano pomeriggio estivo. Camminavo e mentalmente mi sforzavo di ricordare al meglio.

Anche Luc doveva essere implicato in qualche modo nel grande disegno di questa faccenda vertiginosa poiché non è ordinario né frequente trovare qualcuno che getta l’amo di un importante mistero in una conversazione normale.  Tra l’altro con un bambino. Luc aveva proprio fatto così. Mi aveva visto e senza mezzi termini mi aveva catapultato in un mistero.

Dovevo contattare anche lui.  Per forza. Pur vecchio, ero certo che avrebbe saputo districarsi.

Aggiunsi il suo nome alla mia lista intitolata “il codice” e mi venne il desiderio di rivederlo al più presto.

Mi fermai in un bistrot qualsiasi per mangiare un boccone e per chiamare Claude. Rispose ancor prima che mi arrivasse il menù.

Ci accordammo. Ci saremmo visti di lì a due giorni a Marsiglia. Gli effetti dello champagne stavano dignitosamente svanendo.

La vita ha un aroma davvero speciale quando la si onora.

Pensavo ai numeri trovati nel libro. Masticavo e ripetevo mentalmente. Più ripetevo più si faceva largo l’idea che quelle cifre fossero dati di longitudini e latitudini. Mi rimaneva il compito di collegarli alle lettere stampate del libro accanto alle quali erano state scritte. Quel collegamento lo trovavo un buon punto di partenza.

Quanto lavoro mi aspettava. Quante notti insonni.

A un tratto per riposare la mente strizzai e sgranai gli occhi a intermittenza per mettere a fuoco la vista. Gli scorci di Parigi erano proprio inimitabili.

Mi sembrava di essere il protagonista di un romanzo.

Accesi una sigaretta e mi lasciai andare all’immaginazione.

Mi aspettava un bel carico di avventura.

 

5.

A Marsiglia respirai a pieni polmoni il profumo salato della baia del porto.

Arrivare a Marsiglia era come tuffarsi a ritroso nel tempo. Avrei cenato a casa di Luc. La serata si prospettava al meglio. Sul tardi ci avrebbero raggiunto i miei due vecchi amici.

Non stavo nella pelle. Le mani tremavano ma mi piaceva tremare per motivi positivi.

Ero impaziente e rovesciai anche la birra a un certo punto, bagnando tutto il tavolino al quale ero seduto.

Infine camminai un po’.  A zonzo. Con la testa fra le nuvole. Avevo inserito il pilota automatico per dirla col nostro gergo.

Trovarci insieme dopo tanti anni fu emozionante. Luc mi diede almeno tre pacche potenti sulla spalla. Era il suo modo per dirmi quanto felice fosse di vedermi. Mangiammo senza affrontare il grande argomento. Per quello avevamo deciso di aspettare Édouard e Claude.

Quella notte fondammo il nostro club esclusivo. Il club MELC.

Ovviamente le nostre iniziali accordate per essere pronunciate facilmente.

Pura genialità. Un club in onore di un pilota leggendario fondato da quattro piloti onorati d’esserlo e legati da un profondo rispetto della libertà. Cosa mai potevo chiedere di meglio?

Gettammo le basi del nostro lavoro. Euforici. Decidemmo come sede la casa di Luc.

Abitavamo tutti nel Sud e sarebbe stato semplice incontrarci. Ci dividemmo i compiti della ricerca. Io mi sarei concentrato sulla madre di Saint-Exupéry.

Avevamo una montagna di lavoro ma eravamo certi di arrivare, presto o tardi, a una notevole conclusione. Per suggellare il club, Luc propose di farci un giro col suo Cessna. Tirammo a sorte per pilotare. Toccò a Claude.

Sorvolammo i cieli della Provenza, sopra l’Estérel. In silenzio. Uniti dall’intento di onorare un grande pilota. Saint-Ex.

Il Mediterraneo sotto di noi era scuro come il velluto nero. Dentro lo stesso cielo aveva effettuato il suo ultimo ufficiale volo Saint-Exupéry quel trentun luglio millenovecentoquarantaquattro. Doveva raggiungere Grenoble. Raggiunse qualche altra destinazione dopo che il suo aereo precipitò? Pensavo a questo quando subimmo un leggero scossone. Una semplice turbolenza. Mi risvegliai dal pensiero. Guardai Luc e accennai un mezzo sorriso. Quello tipico degli uomini abituati alle fatiche.

Il Club MELC avrebbe realizzato grandi progetti.

Ne ero certo. Più che mai.



§§§ in esclusiva per “Voci di hangar” §§§

# proprietà letteraria riservata #


Luisa Sala

Ali diplomatiche. In Svezia con le cordelline

titolo: Ali diplomatiche

autore: Bruno Servadei

editore: Amazon (autopubblicazione)

pagine: 285

anno di pubblicazione: 2019 (seconda edizione)

ISBN: 978-1679497445




Dopo un decennio di “Vita da cacciabombardiere e alcuni anni di servizio presso il Ministero Difesa Aeronautica dove le sue ali sono diventate “Ali di travertino“, per Bruno Servadei si apre un altro capitolo della sua carriera.

Deve andare in Svezia come Addetto Aeronautico presso le Ambasciate di Svezia e di Norvegia. Un compito non certo facile, diverso da quello di pilota. Ma un ufficiale che esce dall’Accademia è soprattutto un professionista del comando, non solo del pilotaggio. E la sua carriera passa attraverso diversi tipi di incarichi, anche attraverso incarichi diplomatici come questo. Le sue, d’ora in poi, saranno “ali diplomatiche”; da qui prende spunto il titolo del libro.

Il primo capitolo è introduttivo, ma fondamentalmente tratta della partenza da Roma e del viaggio verso la Svezia. Inutile dire che la narrazione cattura immediatamente il lettore, questa è una costante, nei libri di Servadei. Così, senza accorgercene, finiamo coinvolti nel viaggio, nella ricerca di casa, nei primi contatti con la nuova realtà.

L’autore ritratto con indosso la divisa adorna delle famose cordelline mentre si intrattiene in compagnia dell’allora capo delle Forze Armate svedesi in occasione di una delle svariate cerimonie ufficiali cui dovette partecipare per dovere d’ufficio (foto fornita dall’autore)

I capitoli si susseguono e prendono in esame una moltitudine di aspetti che riguardano non solo la Svezia, ma anche la Norvegia. Riguardano gli usi e costumi tipici dei popoli scandinavi, le cerimonie ufficiali e la vita comune.

Lentamente, pagina dopo pagina, conosciamo i paesaggi, le automobili dell’epoca, le leggi locali…

Le associazioni, e le attività che queste svolgono, e alle quali Servadei deve prendere parte, senza potersi sottrarre se non in casi estremamente rari, finiscono per introdurre il lettore in una realtà che ben poco ha a che vedere con la nostra. Tutto è diverso a quella latitudine. Tanto da farci temere che per un italiano sia troppo difficile uniformarvisi.

Scopriamo sin da subito, invece, che l’autore non è davvero un italiano tipico. Lui si uniforma senza difficoltà.

Da ottimo sportivo, entra facilmente negli usi e costumi svedesi. Ha esperienza di tanti tipi di sport, sci, bob, pattinaggio, tennis, sport nautici, tiro con armi di ogni tipo.

In uno dei primi capitoli Bruno Servadei ci ricorda che: “In quei tempi la piccola Svezia, con le sue centinaia di Draken bisonici, era la terza forza aerea del mondo, dopo USA e Unione Sovietica, e questo ci impressionò molto”. Un aspetto non proprio trascurabile tenuto conto che la “piccola Svezia” era anche una nazione neutrale benché a ridosso del colosso bolscevico, esposta in tutti i suoi confini terrestri e marini a un possibile improvviso attacco (come la Blitzkrieg – la guerra lampo operata dai tedeschi aveva ben insegnato nel corso della II Guerra Mondiale). La premessa dell’autore è poi ancora più illuminante: “Bisogna ricordare che noi nel 1961 volavamo sul vecchio T6 e i nostri reparti da caccia viaggiavano ancora su velivoli della classe 80, tutti subsonici, o al massimo, appena supersonici in picchiata (foto proveniente da www.flickr.com)

Un’altra bella immagine del Saab J35 Draken che nelle sue diverse versioni (elaborate nel corso degli anni) ha equipaggiato le forze aeree svedesi a partire dal 1960 fino a tutto il 1999. Si trattava di un caccia inizialmente progettato per essere un ottimo intercettore (dei bombardieri ad alta quota) ma che poi si rivelò capace anche di buone doti di dogfight-combattimento manovrato. In questa foto risalta l’insolita (per non dire rivoluzionaria) ala con architettura a doppio delta. Tuttavia le specifiche più singolarei stabilite dai vertici militari svedesi e ai quali gli ingegneri della Saab risposero con il Draken erano quelle secondo le quali il velivolo avrebbe dovuto essere rifornito e riarmato in soli 10 minuti da personale minimamente addestrato allo scopo e inoltre il suo carrello gli avrebbe dovuto consentire il decollo da strade pubbliche (appena rinforzate), che, in caso di conflitto, avrebbero dovuto sostituire le basi aeree. (foto proveniente da www.flickr.com)

Non solo è all’altezza dei nordici, ma spesso ne sa anche qualcosa di più.

Troviamo descrizioni di pranzi, cene, colazioni. Tutto ciò fa parte della realtà del mondo diplomatico. Tutto è formale, in quel mondo. Tutto si svolge secondo modalità consolidate nel tempo, che bisogna conoscere e seguire alla lettera, altrimenti si rischia di fare figuracce imbarazzanti.

Perfino nei brindisi, con il classico skol, che si dovrebbe scrivere skal, ma col pallino sopra la “a” che si legge “o”, c’è un rigoroso cerimoniale da seguire scrupolosamente.

“Seduti a tavola prima di qualsiasi azione bisognava attendere che il padrone di casa facesse il brindisi di benvenuto, che spesso era anche preceduto da un discorsetto”,

spiega Servadei.

E continua:

“Lo skol iniziale, detto anche round skol perché interessava tutti i convitati, prevedeva che il padrone di casa alzasse il bicchiere fino all’altezza dello sterno invitando tutti a fare lo stesso, guardasse negli occhi ogni invitato, pronunciasse la parola skol, bevesse un sorso dal bicchiere, lo riportasse all’altezza dello sterno, riguardasse tutti i convitati e finalmente posasse il bicchiere e si sedesse”.

La copertina del libro di Bruno Servadei nella sua prima edizione pubblicata a cura delle SBC edizioni

A questa fase iniziale segue tutta una serie di azioni rituali per il tempo dell’intera cena e anche oltre.

Questo, però, è solo l’inizio. Non esistono solo i pranzi e le cerimonie ufficiali nella routine della sua attività diplomatica.

Il libro apre lo sguardo del lettore su una moltitudine di aspetti della diplomazia. Scambi commerciali di ogni tipo, solo alcuni dei quali riguardano gli armamenti e le faccende militari, perché insieme a queste, collegate a volte a doppio filo, ci sono accordi e commesse in ogni settore industriale.

La Svezia, inoltre, specialmente prima del 1989, quando cadde il “muro di Berlino”, ma anche dopo, si trovava pericolosamente stretta tra un mare interno, il Baltico, e il mare del Nord. Da ognuno di questi mari poteva arrivare, veloce e improvvisa, qualunque azione aggressiva da parte dell’Unione Sovietica. E questo apre tutta una serie di considerazioni interessantissime, che Servadei non si risparmia nel trattare.

L’autore presenzia alla manifestazione aerea svedese cui partecipò – evento di tutto rilievo – la PAN – Pattuglia Acrobatica Nazionale italiana nel corso di una turnèe internazionale. La singolare nomina di addetto militare in Svezia – lo ammette l’autore – era stata provocata perché, nel corso del suo precedente incarico presso lo Stato Maggiore dell’Aeronautica a Roma, aveva piantato non poche grane all’industria aeronautica italiana e dunque, presumibilmente, il sistema lo aveva “premiato” sbattendolo nel luogo più remoto e più ostico tra tutte le rappresentanze diplomatiche della Repubblica Italiana: la Svezia, appunto. Bruno Servadei nel ruolo di un Checco Zalone ante litteram? Probabile! (foto fornita dall’autore)

Ciononostante non era raro che qualche sottomarino di oltre cortina sconfinasse fino a raggiungere i dintorni della città di Stoccolma che aveva il mare tutto intorno.

Negli anni di permanenza in Svezia e Norvegia Servadei ha modo di visitare la struttura difensiva e i reparti dei due paesi. Ha modo di collaudare diversi mezzi. E di conoscere i comandanti delle diverse Forze Armate.

Interessante il racconto di una competizione tra addetti e personalità varie che si svolgeva nella parte più a nord del territorio scandinavo. Quella storia, dall’inizio alla fine, viaggio compreso, lascia incollati alle pagine.

Gli addetti militari facevano anche viaggi all’estero e Servadei si trova a visitare l’Islanda, un paese che vorrei tanto visitare anch’io. E forse un giorno lo farò.

Servadei ha modo di partecipare al cinquantenario della Crociera Atlantica di Italo Balbo. Gli Atlantici vi fecero scalo prima di affrontare la difficilissima traversata dell’Oceano. Altra parte interessantissima.

Da sempre spero che si concretizzi la creazione di un museo ad Orbetello, località che fa parte della mia terra di origine e dalla quale la squadriglia di Balbo era partita.

Il celebre pilone di ormeggio che fu utilizzato in occasione delle due missioni polari effettuate a mezzo di dirigibili. Si trova nella famosa Baia del Re o Kingsbay, il fiordo situato nell’isola di Spitsbergen occidentale, la più estesa dell’arcipelago delle isole Svalbard, in Norvegia, in prossimità dell’ex città mineraria di Ny Alesund, Oggi il pilone è un monumento storico nonché un supporto prezioso per tutta una serie di sensori scientifici che vi sono collocati a diverse altezze … ma nel 1926 vi attraccò il dirigibile Norge e nel 1928 lo sfortunato dirigibile Italia (foto fornita dall’autore)

Dulcis in fundo, un’altra escursione di estremo interesse viene descritta da Servadei. Le isole Svalbard, erano state l’ultimo trampolino di lancio della spedizione di Nobile verso il Polo Nord. Parliamo del secondo viaggio di Nobile, quello dove il dirigibile Italia naufragò sui ghiacci.

La vicenda della “tenda rossa” è una delle pagine più dolorose della storia dell’aviazione italiana: una parte dell’equipaggio del dirigibile Italia (8 membri e una cagnetta) visse 48 giorni sul pack in attesa dei soccorsi avendo come riparo una tenda divenuta rossa (ma solo per qualche giorno) grazie all’anilina con la quale era stata tinta affinché fosse più facilmente avvistata. Lo scatto ritrae il monumento dedicato ai caduti della “tenda rossa”, appunto. In concreto si tratta di circa quattro metri quadrati di terreno nella Baia del Re concessi da Olaf V, allora re di Norvegia. Fu inaugurato nel 1963 ed è anche detto il “monumento delle otto croci’ in quanto caratterizzato dalla presenza di otto croci a rappresentare gli otto membri dell’equipaggio periti nella missione. Alla base vi sono racchiuse 20 formelle di marmo provenienti da tutte le regioni italiane mentre un piccolo contenitore custodisce le letterine dei bambini delle scuole italiane e le lettere di Nobile, Biagi, Viglieri e Mariano, gli unici superstiti allora ancora in vita. In realtà gli uomini periti nel corso della missione polare e quelli che perirono per portare soccorso ai sopravvissuti furono in totale 17 e tra questi, sicuramente più famoso è il celebre esploratore polare Roald Amundsen, vero e proprio mito del mondo scandinavo, eroe nazionale norvegese nonché grande amico-nemico del generale Umberto Nobile, capo della missione italiana (foto fornita dall’autore)

Servadei doveva collocare una placca che ricordasse l’episodio e il sacrificio di coloro che persero la vita nell’impresa.

Gli altri, Nobile compreso, furono protagonisti di un salvataggio che ormai tutti conoscono per via del famoso film “La tenda rossa“. A salvarli fu una nave rompighiaccio sovietica. A questo punto, però, il discorso si farebbe davvero troppo ampio; rimandiamo alla lettura di altri libri di cui sono disponibili le relative recensioni in VOCI DI HANGAR come “La coda di Minosse” o “L’ultimo volo” oppure “Ali e poltrone“. L’equipaggio della nave, dopo aver salvato i naufraghi, ebbe un trattamento inquietante da parte del loro stato. Tipicamente, sparirono non si sa dove.

La nave rompighiaccio con il quale l’autore compì la sua crociera nel profondo Nord del continente europeo. Niente di aeronautico, per carità, ma pur sempre inerente i suoi doveri di rappresentante diplomatico ben inserito nella sua realtà locale. In effetti tutto il romanzo ha una componente aeronautica abbastanza limitata (diversamente dagli altri a firma di Bruno Servadei) tuttavia l’invidiabile capacità narrativa dell’autore fa sì che il lettore rimanga incollato fino all’ultima pagina, letteralmente travolto dal vortice di vicissitudini sapientemente riportate nel romanzo autobiografico (foto fornita dall’autore).

Aggiungo solo che durante gli anni da addetto militare, Servadei ebbe modo di fare anche un viaggetto tra i ghiacci, proprio a bordo di una nave rompighiaccio.

Il libro finisce con l’ordine di rientrare, un po’ in anticipo rispetto a quello che doveva essere il termine stabilito. Gli ordinano, infatti, di tornare in Italia per andare a comandare il poligono di tiro di Decimomannu, in Sardegna.

Ma questo è l’argomento del suo libro successivo dal titolo:  – Deci 83-86. Ricordi di “tiro zero

Per concludere vorrei esprimere qui un pensiero che mi ha accompagnato lungo tutta la lettura. Questo libro, come anche “Ali di travertino” e “Un pilota a palazzo“, ma perfino “Ali in valigia“, si possono considerare dei veri e propri testi di studio universitario. Sono ideali come testi complementari in diversi esami per il conseguimento della laurea in Scienze politiche e non solo. Li vedo bene anche nel corso di laurea in Scienza della comunicazione.

E perché no? … anche per qualche materia del corso di laurea in Giurisprudenza.





Recensione di Evandro Aldo Detti (Brutus Flyer) e didascalie a cura della Redazione di VOCI DI HANGAR






Ali di travertino

Un pilota a palazzo

Un mondo ultraleggero

Vita da Cacciabombardiere

Deci 83-86. I Ricordi di "Tiro 0"

Ali in valigia





 

 

 

RACCONTI TRA LE NUVOLE – DECOLLATA LA XI EDIZIONE

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XI edizione Premio letterario “RACCONTI TRA LE NUVOLE”



COMUNICATO STAMPA

nr 3 del 01 aprile 2023



E’ appena decollata – e non è un “pesce d’aprile” – la XI edizione di RACCONTI TRA LE NUVOLE, il premio letterario organizzato dall’associazione di velivoli storici HAG, Historical Aircraft Group, e dal nostro sito con la collaborazione della rivista VFR AVIATION e della FISA, Fondazione Internazionale per lo sviluppo aeronautico.

E’ un’azienda dinamica operante nell’ambito della salute. Nata dalla scissione di un ramo di azienda della Vita Research, VR Medical è un azienda specializzata nelle terapie per il sistema muscolo-scheletrico e produce prodotti per il trattamento non chirurgico dell’artrosi, fratture ossee, tendiniti e neuropatie. VR Medical è altresì specializzata nella produzione e commercializzazione di prodotti per la salute della donna, con una linea di prodotti ginecologici per il trattamento osteopenia e osteoporosi, sindrome dell’ovaio policistico e cistite. VR Medical collabora con ricercatori universitari e centri di ricerca, e vanta un team di professionisti altamente qualificati che lavorano quotidianamente per offrire ai medici e pazienti prodotti innovativi per la salute e terapie all’avanguardia

L’edizione 2023, conferma il sostegno economico di VR MEDICAL, azienda farmaceutica che ha sviluppato dei prodotti per il trattamento non chirurgico dell’artrosi, fratture ossee, tendiniti e neuropatie, oltre alla salute della donna. Per ultimo ha anche cura della nuova letteratura aeronautica italiana.

L‘associazione, composta da soli membri di sesso femminile, è apartitica e apolitica nonché senza fini di lucro. Si prefigge, tra le altre, di divulgare la cultura aeronautica e, ovviamente, è destinata a coinvolgere le donne che fanno parte della famiglia aeronautica.

La novità memorabile della XI edizione è costituita invece dal preziosissimo sostegno offerto dall’ADA – Associazione Donne dell’Aria che, in virtù del medesimo scopo istituzionale (la diffusione della cultura aeronautica nel nostro Paese) ha aderito con entusiasmo a sostenere l’iniziativa culturale che è alla base Premio.

RACCONTI TRA LE NUVOLE rimane puramente letterario, a tema squisitamente aero/astro nautico e aperto solo e unicamente a racconti. Di volo, di cielo, di piloti, insetti, nuvole e ogni altra entità organica e inorganica purché appartenente alla dimensione aerea. Aviazione, spazio e tutto quanto voli, dentro e fuori l’atmosfera terrestre.

Già come avvenuto nella precedente edizione, gli organizzatori del Premio hanno definito un tema suggerito che in questa XI edizione è: “le donne in aero/astro nautica”. I racconti che conterranno riferimenti al tema suggerito verranno premiati dalla giuria: maggiore la qualità e l’originalità dei riferimenti al tema suggerito presenti nel testo, migliore sarà la valutazione da parte della giuria.

L’associazione italiana che promuove lo sviluppo, la diffusione e l’approfondimento di tutte quelle tematiche inerenti il patrimonio culturale e tecnologico che gli aeromobili rappresentano. Un gruppo di piloti o semplici sostenitori simpatizzanti che si prefiggono di cercare, valorizzare e restaurare in condizioni di volo aeromobili storici

Intendiamoci: il racconto che l’autore/autrice vorrà fornire alla Segreteria del Premio potrà avere un generico tema aeronautico e/o astronautico oppure può  – ma non deve necessariamente – raccogliere il suggerimento degli organizzatori.

FISA – Fondazione Internazionale per lo Sviluppo Aeronautico. E’ un’associazione che promuove la disciplina sportiva e ricreativa del volo con particolare riguardo al Volo a Vela come strumento di educazione e formazione personale e sociale

Ricordiamo inoltre che anche quest’anno il regolamento prevede la fornitura di una fotografia dell’autore/autrice. Al fine di dare un volto al loro nome e cognome, lo scatto verrà utilizzato nella pagina web del Premio e di VOCI DI HANGAR. Ovviamente dovrà essere a colori e dovrà ritrarre in primo piano l’autore/autrice benché uno “sfondo aeronautico” non verrà certo disdegnato.

Rimangono inalterate:

E’ un editore con una valida collana a carattere aeronautico nella quale vicende moderne e più lontane nel tempo si alternano. Si è occupata della stampa e della diffusione dell’antologia del Premio.

– partecipazione gratuita, – giuria prestigiosa e anonima fino alla dichiarazione dei vincitori – pubblicazione gratuita dei racconti finalisti nell’antologia del Premio edita dall’editore LOGISMA, – volo gratuito a bordo di un velivolo monomotore HAG, – pubblicazione dei racconti non vincitori nel sito VOCI di HANGAR, targhe e diplomi di partecipazione.

Ad essi si aggiunge: – il “premio speciale VR MEDICAL” che verrà attribuito al racconto più meritevole secondo il giudizio insindacabile dell’amministratore dell’azienda. E, novità assoluta di questa edizione:

– il “premio speciale ADA” che verrà attribuito al racconto più meritevole secondo il giudizio insindacabile dell’ADA.

VFR Aviation ogni mese ti porta in quota con informazioni, notizie, tecnica, curiosità su tutto ciò che vola. Che pesi pochi grammi o qualche tonnellata, voli a poche decine di metri da terra o nella stratosfera, sia costruito in catena di montaggio o in un garage, abbia volato un secolo fa o da poche ore. Aerei e piloti su VFR Aviation sono in edicola o a portata di click, perché la passione per il volo non si spegne quando le ruote toccano terra.

Ulteriori informazioni nel bando di concorso, nei comunicati nr 1 e nr 2 già pubblicati mentre altre novità verranno fornite nel prossimo comunicato.

A questo punto rompete gli indugi perché l’atterraggio della XI edizione di RACCONTI TRA LE NUVOLE è prevista per il 30 giugno mentre per il 1 agosto è fissata la divulgazione dei nomi dei 20 finalisti. Per la classifica finale e proclamazione del vincitore occorrerà invece attendere fino al 1 settembre.

E ora … scaldate i motori e … di corsa a scrivere!

Per qualsiasi informazione:

www.raccontitralenuvole.it

                                                                  




Ecco il bando e la scheda di partecipazione:

Logo Racconti Tra Le NuvoleBando Premio letterario Racconti fra le nuvole 2023 



In un cielo di guai – bis

titolo: In un cielo di guai

autore: Alessandro Soldati 

editore: Amazon

pagine: 192)

anno di pubblicazione: 2022 (tascabile e e-book)

ISBN: 979-8849987729




Questo libro è dedicato:

“Ai sognatori, agli irriducibili e ai ribelli poiché, da adesso in poi, siamo nelle loro mani”.

Praticamente Alessandro Soldati lo dedica a quelli come me. Chi, più di un maremmano quale sono, potrebbe essere sognatore, irriducibile e ribelle? Ho iniziato la lettura con una certa impazienza per vedere chi e perché, da oggi in poi, sarebbe nelle nostre mani.

La dedica si trova già alla seconda pagina del libro. E a pagina tre Soldati sente il bisogno di informarci subito: “del perché ho scritto questa vicenda“.

Nelle prime righe di spiegazione l’autore, Alessandro Soldati, fa riferimento a come aveva concluso il suo libro precedente (“Andrà bene di sicuro“), alla fine che aveva fatto fare al personaggio della storia e al motivo per cui, nel libro successivo, questo, di lui non si trovi più traccia. Anzi precisa che qui non siamo affatto nel seguito della precedente vicenda, ma in una tutta diversa.

Ok, non ho letto quel libro e non ne so nulla. Una carenza che durerà poco, perché ho tutta l’intenzione di procurarmelo e di leggerlo. Forse ne riparleremo.

A bordo di un velivolo commerciale – e Alessandro Soldati ce lo ricorda – ci dovrebbero essere due individui pensanti altamente qualificati per pilotare una macchina volante estremamente sofisticata. Non dovrebbero essere degli Operatori di Sistema ma dei piloti con tutti i limiti umani – è vero – eppure dotati delle enormi potenzialità di soluzione di avarie e situazioni di emergenza imprevedibili. Purtroppo, in nome del profitto, la politica condotta da anni da sempre più Compagnie aeree è quello di preferire gli Operatori di Sistema ai piloti, tuttavia rimane insoluta la domanda: i passeggeri salirebbero a bordo di un aeroplano commerciale consapevoli che a bordo non ci sono dei piloti bensì degli esperti informatici? Di fatto, già oggi, le macchina volanti in servizio consentono a malapena di essere pilotate senza l’ausilio dell’elettronica, viceversa è sempre più assillante il dubbio che i piloti, disabituati al pilotaggio manuale, siano ancora reattivi e allenati per “domare” i loro velivoli in caso di necessità … (foto proveniente da www.flickr.com)

La spiegazione è lunga una decina di pagine del Kindle, abbastanza da capire che l’argomento del libro, sviluppato attraverso la narrazione di una vicenda ambientata nel mondo dell’Aviazione Commerciale, riguarda la degenerazione del mondo del lavoro e della vita in generale di questi ultimi decenni. Un argomento al quale sono ormai parecchio sensibile, da molto tempo. Lo so che è tutto il mondo del lavoro a risentire dello sfacelo generale, si vede in ogni ambito e in ogni momento, ma per quanto mi riguarda ne soffro ancora di più, perché tutto ciò non risparmia neppure il mondo degli Aeroclub, che frequento con crescente disappunto e con una  vaga, ma non troppo, idea di darci un taglio definitivo.

La storia comincia con una ragazza e suo zio che vanno ad un centro commerciale a comprare qualcosa. Ma subito si scopre che la ragazza non è una comune cliente. E’ una pilota Comandante e mostra di avere una certa fretta, infatti sta per partire per un volo di linea e teme di arrivare in ritardo.

Deliziose le prime pagine, e simpatico il personaggio dello zio, ma non crediate che non c’entri niente nel resto della vicenda. C’entra eccome. Tenetelo a mente, memorizzate quello che dice, anche se d’ora in poi non lo ritroverete più e sarete catapultati, invece in mezzo alle difficoltà inerenti alla preparazione della partenza di un volo di linea, che rispetto al centro commerciale si rivela tutta un’altra storia.

Si può industrializzare il trasporto aereo fabbricando piloti “in batteria” alla stregua del pollame? Certamente il traffico aereo mondiale, pandemia e crisi economica permettendo, è destinato a crescere … ma mentre ridurre i costi sulle macchine volanti è ragionevolmente giustificato (più parche nei consumi di carburante, più capienti, più longeve e, non ultimo più semplici costruttivamente) ci domandiamo: è igienico risicare sul componente umano?  (foto proveniente da www.flickr,com)

Una storia di piloti, insomma. E di come si ritrovano, al giorno d’oggi, ad operare secondo criteri, regole e ritmi di lavoro assolutamente incredibili.

Avevo appena scritto le recensioni di tre libri di un altro pilota, Ivan Anzellotti, che diceva le stesse cose. Perciò mi sono impegnato nella lettura con la convinzione e l’aspettativa che avrei trovato qui altre conferme di questo insano modo di progredire della società umana.

Infatti è stato proprio così.

Dice Soldati:

“Mi capita spesso di dire che una persona decente, quando si accorge di essere entrata in un ambiente marcio, dovrebbe cercare di comportarsi come un tumore a rovescio, cioè deve trovare il modo di raccogliere intorno a sé persone, idee e situazioni sane, e deve propagarsi nel marciume, cercando di risanarlo, per quanto possibile”.

Certamente. Giustissimo.

Poi prosegue:

“Le scuole di volo, partendo proprio dall’inizio, qui da noi non si curano più di dare una solida base di Cultura Aeronautica ai loro allievi. A pochissimi importa oggi di formare Aviatori, perché non sono Aviatori quelli che le Aziende cercano, ma appunto Operatori di Sistemi. Persone capaci di imparare rapidamente a memoria tutta una serie di azioni che, se svolte correttamente, diligentemente e nella giusta sequenza, permetteranno ad un tubo di metallo di andare praticamente da solo e per aria da un luogo all’altro con un ragionevole margine di sicurezza”.

Infatti. Verissimo. Ma anche molto inquietante. E questo spiega chiaramente il sottotitolo.

Ma perché siamo arrivati a questo punto? Davvero le cose devono andare proprio così? Tanto da suggerire perfino l’opportunità di impiegare addirittura un solo pilota a bordo? E di fargli sostenere lo stress di ore ed ore di servizio, anche dodici o più? E quale sarebbe il vantaggio?

Purtroppo il vantaggio di maggior rilievo sarebbe quello economico. Pagare un pilota soltanto invece di due costerebbe la metà.

E’ talmente assurdo che temo di vedere applicato questo criterio in tempi brevi. Ormai si persegue proprio il massimo risultato al minor costo. A ogni costo…

Ma nelle restanti pagine l’autore spiega minuziosamente quali sono i motivi di una tale rivoluzione, che coinvolge il mondo dei piloti, ma che coinvolge anche, purtroppo tutti gli altri ambienti, di lavoro e non.

Dopo questa parte, prima che inizi il libro vero e proprio, la storia narrata, c’è una pagina che riporta una citazione di un certo A. Block e che fornisce un ulteriore indizio di quale sarà l’elemento portante della narrazione:

“In ogni organizzazione c’è sempre un individuo che ha capito esattamente come stanno andando le cose. Questa persona deve essere licenziata”.

E poi siamo al primo capitolo.

Oggi sarebbe impensabile utilizzare – come fece la Lufthansa – questo Junker Ju-52 per uso commerciale, eppure il trasporto di passeggeri negli anni ’30 era affidato a questo tipo di velivolo. Con 3 persone di equipaggio e ben 18 passeggerei a bordo, era in grado di volare alla fantasmagorica velocità di crociera di 200 km/h percorrendo in un tempo immane di circa 8 ore la ragguardevole distanza esistente tra Berlino a Roma sorvolando ovviamene le Alpi. Chissà se all’epoca avevano problemi di circuiti di attesa, di aeroporti alternati, di procedure strumentali, slot e Direttori aeroportuali?! (foto proveniente da www.flickr.com)

La vera storia incomincia a snocciolarsi da qui. Pagina dopo pagina entriamo in un intreccio di avvenimenti che mi riportano alla mente ricordi, diversi certamente, ma equivalenti, vissuti in questo ultimo mezzo secolo, non nel mondo del volo di linea, ma in quello degli Aeroclub, o in quello del controllo del traffico aereo. Ma anche in altri ambienti diversi. Perché certe dinamiche, certi personaggi, certi atteggiamenti, sono gli stessi. Nelle piccole come nelle grandi realtà. Sempre la stessa storia.

Ho scritto in altre recensioni che l’umanità è sempre quella, ovunque si trovi. Qualunque essere umano porta in sé le caratteristiche tipiche degli esseri umani. Nel bene e nel male. Anche se l’ho già detto e ridetto, vale la pena ripetere che un essere umano è capace di compiere le azioni più atroci, come pure quelle più elevate e nobili. Può spaziare dal peggio del peggio al meglio del meglio, con tutte le gradazioni intermedie. Ma dove si ritrova collocato in questa escursione dipende da un’infinità di fattori che è veramente difficile predire. Difficilissimo sapere chi è il soggetto che hai davanti e come potrà interagire con te e con le tue intenzioni. Se ti aiuterà o ti ostacolerà. Se ci sarà una possibilità di collaborazione o troverai soltanto ostruzionismo. Perché non si può stabilire a priori in quale parte di quella famosa possibilità di escursione tra il bene e il male si colloca il soggetto. E questo vale per tutte le persone che ci troviamo intorno.

La retrocopertina dell’ottimo libro di Alessandro Soldati che, a causa della indubbia bontà dei contenuti e della piacevolissima prosa, ha scatenato nella nostra Redazione il desiderio di analizzarlo, smontarlo e radiografarlo affinché fossero evidenziati alcuni dei suoi apprezzabili aspetti nonché i controversi spunti di riflessione a uso e consumo di piloti e passeggeri.

Dunque dipende da chi incontri.

E nel primo capitolo, infatti, troviamo subito alcuni personaggi che, come faremmo nella vita reale, possiamo già delineare. Si intuisce con chi abbiamo a che fare. Ma non troppo.

Complimenti all’autore per come ha caratterizzato i suoi personaggi. Pare di vederli.

Tutto questo prosegue nel secondo capitolo dove le situazioni si snocciolano meglio e i personaggi cominciano a rivelarsi sempre di più.

In realtà, nel continuare la lettura, seppure calamitato dallo sviluppo della vicenda tanto da non riuscire a finire un capitolo senza attaccare subito il successivo per vedere cosa sarebbe successo in seguito, mi sembrava che l’autore avesse calcato un po’ troppo la mano in certe situazioni. Troppa “cattiveria”, quasi perfidia, atteggiamenti di ripicca e di minaccia. Tutto questo si trovava ad affrontare la protagonista, praticamente ad ogni azione che cercava di compiere per raggiungere la linea di volo e poi addirittura durante il volo stesso. Sembrava che tutti, ma specialmente uno, cercassero il pelo nell’uovo per ostacolarla in ogni maniera.

La storia riguarda una serie di voli tra diversi aeroporti. Alla fine della prima tratta, durante l’avvicinamento finale alla pista, si verificano una serie di problemi che a tutta prima mi sono apparsi addirittura inverosimili. Nella mia vita di controllore del traffico aereo, avendo prestato servizio proprio sulle Torri di Controllo, non ho mai visto chiudere un aeroporto per i motivi descritti nel libro, né ho mai sentito comunicazioni tra controllore e pilota così pressanti, con richieste di conferma tanto asfissianti e continue, specie durante un avvicinamento finale. Troppo inverosimile. Sembravano richieste fatte per dispetto.

Nessun controllore metterebbe fretta ad un pilota, come descritto nel libro. E se lo fa, certamente si assume una bella responsabilità, nel caso dovesse succedere qualcosa. Inverosimile anche questo.

Inoltre mi sembrava che la protagonista del racconto, una pilota Comandante di nome Marina, fosse troppo succube nei confronti dell’altro protagonista, il suo copilota. La figura di un Comandante è di solito diversa.

Non sappiamo se, nell’immaginario dell’autore il viso del Comandante Marina, la protagonista principale del suo romanzo-parabola, somigliasse a quello di Shannon Hutchinson, certo è che quello del primo ufficiale che vola sui Boeing 737-800 della Caribbean Airlines è davvero molto molto affascinante. Possiamo comprendere come sia difficile per l’altro membro dell’equipaggio volare con lei senza distrarsi, tuttavia Shannon minimizza e, intervistata sull’argomento ha dichiarato: “Fortunatamente nel nostro settore, abbiamo procedure operative standard e corsi di gestione delle risorse dell’equipaggio che dobbiamo seguire. Questo ci consente di imparare a interagire tra di noi… non per essere gentili ma per la sicurezza operativa e per connetterci in modo interpersonale. Quindi, operativamente, non è diverso perché sappiamo tutti le stesse cose, quindi non c’è bisogno che nessuno si faccia intimidire”. Ad ogni modo – occorre ammetterlo, Shannon,  ha i lineamenti, le curve e le misure antropometriche che nulla hanno da invidiare alle modelle più famose.  Nata a Trinidad, ha unito il suo amore per il volo con quello per la pittura ed è sposata con un palestratissimo Comandante pilota (foto proveniente da www.flickr.com)

Questa Marina appare anche troppo indecisa, sia nelle decisioni tipiche della condotta di un aereo, sia nei confronti di tutti gli altri personaggi della vicenda.

Superata questa fase, nel progredire del racconto, quindi nelle altre tratte che i due piloti percorrono, ho iniziato a capire perché l’autore aveva calcato la mano su certi elementi. Voleva mettere in evidenza qualcosa.

E ci è riuscito alla grande, a mio giudizio.

Infatti mette in evidenza tutta una struttura di regole e procedure, automatismi e criteri che sono diventati talmente vincolanti da paralizzare addirittura l’unico elemento che dovrebbe invece rimanere al di sopra di tutto: il cervello umano.

Ormai gli automatismi hanno quasi annientato la figura umana e umiliato a tal punto la sua capacità di giudizio fino a farla apparire addirittura pericolosa. E così hanno reso la figura di un pilota più simile ad un Operatore di Sistema, uno che sappia spingere il bottone giusto al momento giusto e seguire pedissequamente le procedure scritte su una check list, lasciando che il resto lo faccia l’aeroplano.

Se in passato il pilota commerciale, specie se Comandante, era pressoché una divinità in terra (e soprattutto in volo), oggi è stato quasi equiparato a un semplice lavoratore, altamente qualificato – certo – ma pur sempre un lavoratore con tutto quanto di spiacevole il suo status comporta. Anche i compensi economici, seppure superiori alla media di un lavoratore dei trasporti, si sono enormemente abbassati rispetto a quando il lavoro del pilota di Compagnia aerea era uno dei meglio retribuiti nel panorama del mondo lavorativo; favolose le liquidazioni e le pensioni dei piloti di vecchia generazione. Forse rimane il mito secondo il pilota commerciale ha un’intensa vita sessuale … viceversa la stragrande maggioranza dei piloti ha difficilmente rapporti coniugali stabili, moltissimi sono i divorziati/separati o comunque vivono con molta difficoltà la gestione familiare. Un po’ come in questa foto, il pilota commerciale è spesso solo con il suo lavoro e le sue responsabilità (foto proveniente da www.flickr.com)

Ok, va tutto bene, ma insieme a questo, quel pilota dovrebbe avere anche capacità di pilotaggio manuale, capacità di reazione nelle situazioni anomale che le procedure standard non contemplano, dove ci vuole qualcosa di più, dove serve capacità di giudizio che consenta di risolvere un problema anche quando sia necessario andare addirittura contro le regole. E questa si chiama formazione. Forse oggi la formazione è stata lasciata un po’ indietro, a favore di addestramento e allenamento.

“… abbiamo messo l’Umanità al servizio delle regole e non viceversa”,

dice ad un certo punto uno dei personaggi durante una conversazione.

Niente di più vero. E questo ha consentito a personaggi dal forte ego, afflitti da motivazioni perverse, di appropriarsi degli ambienti e, sfruttando le regole, diventare una specie di dittatore, un accentratore di potere che detta legge con una crescente autorità e maniere sempre più arroganti. Una specie di Kapò, come dice l’autore.

A questi personaggi è difficile opporsi, difficile arginarli. Difficile combatterli. A loro si uniscono altri personaggi più deboli, ma altrettanto desiderosi di potere, che si alleano per avere di riflesso la loro parte di potere. Sono i leccapiedi, gente inetta e servile, subdola e falsa. Ma rafforzano i kapò.

Dato che le modalità sono le stesse nel piccolo ambiente come nel grande, non serve andare in una Compagnia Aerea per vedere queste cose. Ci sono in tutti gli ambienti. Anche negli Aeroclub.

Di solito sono personaggi che arrivano silenziosamente. Magari sono istruttori, presidenti o rappresentanti di specialità. E altrettanto silenziosamente crescono e costruiscono intorno a loro una coalizione che li sostiene. Ne ho visti un’infinità, sia nell’Aeronautica Militare che negli ambienti civili. E non mi meraviglia che ce ne siano un’infinità anche nelle Compagnie Aeree. O negli Aeroclub. Basta avvicinarsi ad una scuola di volo per adocchiare qualcuno che somigli al tipo di kapò di cui parla Soldati. Tra gli istruttori, infatti … anche se per fortuna non sono tutti così.

Come sottolineato dal recensore, le dinamiche additate da Alessandro Soldati nel suo romanzo sono facilmente estendibili al mondo del volo sportivo (quello degli Aeroclub, per intenderci) e, universalizzandole, a quelle dell’intera società in cui viviamo. Nella prefazione del libro – che per inciso, già da sola vale metà del valore del libro – il buon Alessandro Soldati scrive: “[…] Questi giovani, una volta giunti nel mondo del lavoro, saranno tutti uguali, tutti scontenti, tutti sostituibili, tutti ricattabili, tutti sottopagati, tutti precari. Tutti servi. I nuovi servi della gleba”. Come biasimarlo? In foto il tipico velivolo dell’Aviazione Generale come quelli che spesso utilizzano gli Aeroclub del nostro Paese (foto proveniente da www.flickr.com) 

Un istruttore ha il vantaggio di gestire il destino degli allievi. Per un allievo è facile mitizzare un istruttore, al quale, sin da subito affidano la loro vita, specialmente nelle prime missioni di volo. E un allievo non può capire da subito con chi ha a che fare. Passa del tempo. Ma la storia è sempre la stessa. L’istruttore, magari un incapace, subisce la presenza di altri istruttori più bravi di lui, perché gli fanno ombra. Così istiga gli allievi a volare solo con lui. Non con altri. Lasciando intendere che altrimenti se ne offenderebbe. In genere accentra su di sé un sacco di incarichi, si occupa di tutto. Diventa, per così dire, indispensabile, perché uno che libera gli altri di tante incombenze fa comodo.  Inizialmente si mostra gentile e disponibile, ma poi diventa sempre più autoritario e minaccioso. Con il risultato che molti, per timore di rappresaglie, gli si stringono di più intorno. Gli altri, quelli bravi che subiscono questo stato di cose, si tappano il naso e si allontanano. Molti se ne vanno, lasciando campo libero al kapò.

Qualcuno, magari un sognatore, irriducibile e ribelle, prova a risolvere il problema. Parla con qualcuno, un presidente o un direttore di scuola.

Alla domanda: “ma perché lo tenete?”, si sente rispondere: “perché fa comodo“.

Certo, fa comodo. Ma fa anche danni, che si paleseranno nel tempo. Quando ormai sarà difficile ricollegare la causa con il suo effetto.

Ho visto chiudere Aeroclub, ho visto succedere incidenti, per via di queste dinamiche. Ma ho visto che la strada per interrompere questo percorso, che avrebbe portato alle tristi conclusioni suddette, era chiusa.

Anche nel lavoro ho avuto modo di combattere contro personaggi e comportamenti del genere. Ho sempre affrontato tutto, ogni volta che ce ne è stato bisogno, ma nessuno mi ha mai seguito. Tutti se ne stavano in disparte, sindacati compresi. Ma soprattutto colleghi, che subivano come me lo strapotere di qualcuno, indispensabile e che faceva comodo, che però metteva tutti gli altri a rischio di qualche spiacevole conseguenza. Tutti muti. Silenzio.

La foto è stata scattata al Chicago O’Hare International Airport dopo che la torre di controllo ha comunicato ai piloti che il loro velivolo era il numero 42 autorizzato al decollo: un filino congestionato! E’ vero che l’aeroporto – il secondo al mondo per traffico di aeroplani e passeggeri – è dotato di ben 7 piste ma è pur vero che per smaltire tanto traffico occorrerà presumibilmente almeno un’ora e mezza di attesa con l’immancabile ritardo. In questo senso si comprende quanto scrive l’autore del volume nella sua mirabile prefazione: “[…] Così si affacciano nella vita degli aviatori turni di servizio perfettamente in linea con le normative ma che non sarebbero ritenuti idonei neanche per i camionisti che hanno il vantaggio enorme di potersi fermare a dormire in qualunque momento […]”

Una volta, dopo una di queste battaglie, una collega mi si avvicinò e, con voce suadente mi disse di lasciar correre. Di stare tranquillo. Le dissi che sarebbe stato anche interesse loro risolvere alla radice certi problemi. E le chiesi perché non facessero nulla.

Mi sentii rispondere, sempre con quella voce suadente: “Tu metti tensione. Noi vogliamo stare tranquilli”.

Ecco. Ho sempre saputo che il miglior alleato del guerrafondaio è il pacifista.

In questo libro però …

Pensavo che l’autore avesse esagerato le cose, avesse enfatizzato troppo gli avvenimenti, caratterizzato oltre misura i personaggi. Ma mi sbagliavo. Nella vita reale si trova anche di molto peggio. E l’intreccio della storia rende perfettamente l’idea.

Il mondo sta davvero andando in una direzione inquietante. Si cerca di automatizzare tutto, di controllare minuziosamente tutto, di risparmiare su tutto. Sacrificando però l’essenza della natura umana, trasformando le persone in automi, in una sorta di schiavi dipendenti da kapò che, in ultima analisi, sono schiavi pure loro.

Occorre comunque dire che questo libro riesce anche a portare una notevole dose di fiducia e di speranza nei nostri cuori. E’ fatto bene. La storia è strutturata in maniera magistrale e riesce davvero a comunicare ciò che stava a cuore all’autore. E indica addirittura il modo di riconoscere certi personaggi e come vanno combattuti.

Inoltre, fino alle ultime pagine, riesce a celare qualcosa che poi verrà fuori in tutta la sua evidenza, colpendo il lettore come un pugno. Bello davvero. E’ una sonora lezione di vita.

E anche se il cielo può essere pieno di guai – parafrasando il titolo del volume – ci piace immaginare che questo aeroplano voli tra i mille colori dell’arcobaleno (foto proveniente da www.flickr,com)

E con le ultime parole si ricongiunge all’appello iniziale, alla dedica:

“Ai sognatori, agli irriducibili e ai ribelli poiché, da adesso in poi, siamo nelle loro mani”. 

Eh, sì. Solo loro possono raddrizzare la brutta piega che ha preso il mondo. Anzi, diciamolo meglio: solo noi.

Speriamo, perché alla luce della mia esperienza personale e alle vicende attuali, guerre, mutamenti climatici, migrazioni di massa, delinquenza dilagante e altri malanni, ci credo poco.





Recensione di Brutus Flyer (Evandro Detti) e didascalie a cura della Redazione di VOCI DI HANGAR





Dello stesso autore sono disponibili le recensioni di: 

Andrà Bene Di Sicuro - Alessandro Soldati - Copertina in evidenza
Andrà bene di sicuro

In un cielo di Guai - ter

Storia di un pilota. Dal funerale di Alitalia alla fuga dal Qatar” e “Storia di un pilota 2 – Dalle low cost alla conquista dell’Est

titolo:  Storia di un pilota – Dal funerale di Alitalia alla fuga in Qatar

autore: Ivan Anzellotti 

editore: Cartabianca

anno di pubblicazione: 2014 (I edizione con Phasar edizioni ), 2020 (II edizione con Cartabianca)

ISBN: 978-88-8880-536-8 



titolo:  Storia di un pilota 2 – Dalle low cost alla conquista dell’Est

autore: Ivan Anzellotti

editore: Cartabianca

anno di pubblicazione:  2020 

ISBN: 978-88-8880-534-4 



Se non fosse stato per Facebook non avrei scoperto questi due libri di Ivan Anzellotti. Me li sarei persi. Ma forse no. Fatto sta che una mia collega, moglie di un pilota di linea, aveva messo la copertina di uno dei libri sulla sua pagina Facebook, che in qualche modo me la aveva mostrata. Incuriosito, ho voluto vedere di cosa si trattasse e… immediatamente sono andato a cercare il titolo del libro su Rakuten Kobo, l’applicazione per gli ebook dei tablet Android.

Trovato. Comprato. Scaricato. Iniziato a leggerlo.

E qui … sorpresa: questo era un altro di quei libri dai quali non si riesce più a staccare gli occhi.

L’autore in due configurazioni di abbigliamento: diurna e notturna. La prima è la modalità di appassionato pilota nostalgico del McDonnel Douglas MD-80 e l’altra di astronauta di riserva della NASA, pronto a sostituire i titolari nel caso venisse loro un raffreddore. In realtà lo scatto in basso risale alla serata dell’ultimo dell’anno di qualche anno fa quando l’autore, in attesa della mezzanotte, si è messo comodo nel suo pigiamone astronautico corredato di calice e spumante per il brindisi. Quanto alla maglietta del club ufficioso degli ex piloti di MD-80, beh … non stupisce affatto che anche l’autore sia rimasto affascinato dal “mad dog” (vezzeggiativo affettuoso attribuito al MD-80) e che dunque indossi con orgoglio il logo e la sagoma del velivolo. In effetti quel modello di velivolo è stato per anni la spina dorsale dell’Alitalia nel corto e medio raggio e non c’è pilota Alitalia che non ci abbia volato. Il velivolo era robusto, facile da pilotare e da manutenere, inoltre era completamente autonomo, ossia poteva atterrare, sbarcare e imbarcare i passeggeri, sostare, avviare i motori e muoversi sul piazzale senza l’ausilio di supporto a terra. A detta del nostro consulente segreto (ex collega dell’autore): “Un aeroplano perfetto!” (foto provenienti dalla pagina Facebook dell’autore) 

Non solo per lo stile dell’autore, sempre lineare, scorrevole, senza concetti astrusi, facile da capire, nonostante l’argomento aeronautico e l’inevitabile impiego di terminologia specifica, anche tecnica. Tuttavia non mancano opportune note esplicative laddove necessario, quando i termini usati non sono di immediata comprensione. Dunque un libro per tutti, che non presenta difficoltà nemmeno per un pubblico digiuno di cose di volo.

Questo vale per tutti, come ho detto. Ma soprattutto per me, pilota con mezzo secolo di attività volativa ininterrotta, l’interesse era dovuto al fatto che mi sono trovato a leggere di cose che conoscevo molto bene, per esserci passato attraverso nei decenni scorsi. Conoscevo tutto, luoghi, fatti, persone (anche se nel libro non ci sono nomi, ovviamente), dinamiche degli avvenimenti e conseguenze delle stesse. Non conoscevo tutto solo come pilota, ma anche come controllore del traffico aereo. Incredibile.

Finito il primo libro ho subito acquistato anche il secondo, che altro non è se non il naturale seguito del precedente. ma, lo dico subito, Anzellotti ha scritto anche un terzo libro. E’ un romanzo, bellissimo, scritto bene con il suo solito stile, intitolato “Il destino degli altri. Un giallo nell’aviazione civile“. E anche qui l’interesse costringe a leggere fin quando gli occhi non ce la fanno più. Ma torniamo al primo.

Il libro comincia con l’autore che è divenuto pilota, prima nei reparti volo della Guardia di Finanza appena terminata la relativa Accademia, poi di Alitalia, per la quale vola con l’MD80 (evoluzione del DC9) ed è soddisfattissimo del proprio lavoro, dell’aereo e tutto il resto.

Ma il mondo è in continua evoluzione. E spesso l’evoluzione non va necessariamente verso il meglio. I miglioramenti, tecnologici e logistici, si portano dietro peggioramenti in altri ambiti, in altri aspetti del quadro generale. Ad esempio: l’aspetto umano.

Chiunque può osservare come le cose cambiano. E anche rapidamente.

Nessuno si sarebbe mai aspettato che la nostra compagnia di bandiera, la nostra amata Alitalia, licenziasse di punto in bianco un ragguardevole numero di piloti. Invece, in occasione della radiazione dei bireattori MD-80, si incomincia ad intravedere qualche segnale poco rassicurante. Alcuni equipaggi, invece di essere reimpiegati in altre linee e su altri aerei, vengono lasciati a casa. Non solo i piloti, ma anche il personale di cabina.

Quelli che non vengono interessati da alcun cambiamento continuano a sperare. Sono sicuri che a loro non arriverà nessuna lettera di licenziamento e che comunque la compagnia li reimpiegherebbe quanto prima. Ma già così comincia a delinearsi una certa spaccatura. Chi non ha problemi non protesta, per timore di mettersi in cattiva luce e gli altri non lo fanno per non precludersi la possibilità di essere ripescati.

Non capita tutti i giorni di trovarsi una mongolfiera nel bel mezzo del quartiere romano in cui si abita. Beh, al giovane Anzellotti e capitato anche questo … e le testimonianze fotografiche qui presenti non ammettono dubbi. (foto provenienti dalla pagina Facebook dell’autore)

I sindacati, manco a dirlo, cercano di tenere tutti tranquilli, dichiarando di avere una strategia a lungo termine che risolverà ogni problema. Pazienza, bisogna avere pazienza. E soprattutto bisogna evitare di agitarsi e protestare.

Ma alla lunga si palesa l’evidenza che le cose stanno in un’altra maniera. E’ in corso una vera e propria ristrutturazione della Compagnia. Meno personale e turni più lunghi, sempre più lunghi e più gravosi, sono la nuova realtà. Alla fine la lettera di licenziamento arriva a tutti. Anche a Ivan Anzellotti.

E qui comincia la storia del nostro autore. Quella che ci narra nel libro. Anzi, nei libri, dato che il secondo, appunto, è la continuazione del primo.

Un pilota non può restare a terra, senza volare, troppo a lungo. Per motivi che Anzellotti descrive bene nel libro, deve trovare al più presto un’altra compagnia che lo impieghi, in modo da limitare al minimo il tempo di inattività di volo.

Incomincia a mandare il suo curriculum ad altre società di trasporto aereo, anche se questo significa dover andare lontano dall’Italia, fosse pure nel bel mezzo di un deserto.

Infatti, la prima compagnia che gli risponde positivamente è il Qatar.

L’autore sul posto di lavoro. C’è chi va in ufficio, chi in negozio, chi in laboratorio, chi in officina … e in buon Anzellotti lavora in cabina di pilotaggio. Così scrive a proposito del suo lavoro assai peculiare; “Ogni volo un equipaggio nuovo. L’Alitalia è grande, siamo tanti ed è difficile volare due volte con le stesse persone. Non è come un lavoro normale, come avere colleghi di ufficio che vedi solo dalle nove alle diciassette […]. L’equipaggio è la tua famiglia […] una professione che è prima di tutto passione, poi lavoro, perché non FACCIO il pilota … SONO un pilota. O almeno lo credevo” (foto proveniente dalla pagina Facebook dell’autore)

Anzellotti dice che a quel tempo non sapeva neppure troppo bene dove fosse il Qatar. E devo dire che anch’io non l’ho mai saputo con precisione fino a poco tempo fa. Ma ricordo di averlo sentito nominare da qualcuno che ci era stato e che lo chiamava “il sabbione“. Praticamente un’oasi artificiale circondata dal deserto.

Non devo certo, nella mia recensione, rivelare tutti i passaggi dell’avventura di Anzellotti nel mondo. Meglio lasciarli al piacere della lettura. Basterà dire che il Qatar è solo la prima tappa di un lungo cammino. Un percorso denso di soddisfazioni, almeno professionali, ma anche irto di ostacoli dovuti alla differente mentalità, agli usi e al modus vivendi, al cibo, al clima, dei paesi nei quali si sposta cambiando compagnia aerea.

I due libri coprono tutta la carriera di Ivan Anzellotti fino ai giorni nostri. Dall’Oriente all’Europa e di nuovo in Oriente, volerà ovunque, trasportando passeggeri in un gran numero di paesi, compresa la Cina, l’India, l’Alaska e l’America. Piloterà i nuovi Airbus A320, ma anche il vecchio e meraviglioso Boeing 747, che resterà nel suo cuore (come è rimasto nel cuore di tutti coloro che lo hanno pilotato).

Ci sono eventi naturali che ancora lasciano letteralmente basiti l’uomo del XI secolo … e questo è uno di quelli! Specie se poi, a riprenderlo, si ha la fortuna di essere a bordo di un aeroplano commerciale in volo notturno (foto proveniente dalla pagina Facebook dell’autore)

In mezzo alla lunga storia c’è anche il suo matrimonio. Ed è proprio per salvare il suo matrimonio che dovrà rinunciare al 747, che lo portava ad essere sempre lontano da casa per lunghi periodi.

Di nuovo un cambiamento. E il ritorno all’Airbus A-320.

Nel frattempo, però, tutti questi cambiamenti avevano un motivo importante, tra gli altri: nonostante le promesse e le rassicurazioni di essere promosso a Comandante, dopo aver frequentato il relativo corso, passava il tempo, gli anni, ma del corso non si sapeva mai nulla di concreto.

Il primo libro termina con gli ultimi tre capitoli che ben descrivono la situazione del momento e offrono un chiaro indizio su cosa leggeremo nel secondo. Continua il racconto degli avvenimenti e continua anche un costante riferimento a qualcosa che accompagna sempre tutti i mutamenti di scena, le vicende, i fatti e la vita giornaliera. Qualcosa che regola perfino i rapporti interpersonali tra i colleghi, a terra come in volo.

Perché c’è un elemento che è andato delineandosi nel corso di tutta la narrazione, crescendo pagina dopo pagina, fino a costituire ormai il soggetto principale dei due libri e perfino, anzi soprattutto del terzo, che è un romanzo e del quale parleremo tra breve in un’altra recensione. Non esiste una sola parola, un termine univoco che definisca l’elemento di cui sto parlando. Ma è qualcosa che prima non c’era. Silenziosamente è entrato in ogni realtà, in ogni ambiente di lavoro, in ogni ambito sociale. Non solo nel nostro paese, ma in tutto il mondo.

L’autore quando, giovanissimo, militava tra le file della Guardia di Finanza. Dietro di lui è facilmente riconoscibile il Piaggio P-166 DL3 (affettuosamente chiamato “Piaggione”) che all’epoca costituiva una componente ad ala fissa del Servizio Aereo dell’arma (foto proveniente dalla pagina Facebook dell’autore)

E’ una sorta di disumanizzazione, un cambiamento sottile, costante e inesorabile che ha costretto tutti a cambiare mentalità, a vedere le cose in modo diverso, a modificare nella nostra visione del mondo la vecchia scala dei valori che ci aveva accompagnato per decenni. E a modificare la scala delle nostre priorità. Se dovessi proprio individuare un termine per definire questo processo, lo chiamerei degenerazione.

Il terzultimo capitolo si intitola “I nuovi schiavi“. Un titolo rivelatore…

Anzellotti fa riferimento a quelle popolazioni che:

“vivono in Paesi poverissimi, che vengono deportate in massa nelle nazioni del Golfo Persico a lavorare per due soldi come schiavi, nell’indifferenza del resto del mondo che non sa o non vuole sapere”.

Non è storia del passato. Stiamo parlando della realtà di oggi. Non ci vuole molto per scoprirla, anche se a volte è celata a regola d’arte, proprio perché sembri qualcosa di diverso.

Dice Anzellotti:

“La schiavitù c’è ancora ma si trasforma, si ammoderna, sta al passo con i tempi, così si può nascondere tra le definizioni che non la identificano più, ma se guardi bene è sempre presente, perché senza gli schiavi i ricchi non esisterebbero”.

Davvero? E’ realmente cosi? Il lettore si può porre queste domande. Potrebbe essere sorpreso, impreparato, di fronte ad una rivelazione del genere. Possibile che al giorno d’oggi esista ancora la schiavitù? Quella vera? Forse in certi paesi arretrati, di sicuro non in quelli moderni. Non nel nostro.

“Una delle tante vergogne italiane: MD-80 Alitalia buttati a marcire sul prato all’aeroporto di Fiumicino”. Cos’ì commenta il buon Ivan Anzellotti lo scempio ritratto in questo scatto. Un colpo al cuore di chi ha tanto volato (nel ruolo di pilota) con queste macchine volanti e che intristisce qualunque appassionato di aviazione, militare o commerciale che sia. E dire che l’MD-80 fu una scelta felice, sebbene scaturita da considerazioni politico-diplomatiche anziché solo logistiche-strategiche. La leggenda narra infatti che all’inizio degli anni ’80, la McDonnell Douglas non se la passasse proprio bene e, di contro, l’Alitalia aveva la necessità di rinnovare/rimpolpare la propria flotta. All’epoca era Presidente del Consiglio dei Ministri Giovanni Spadolini mentre negli Stati Uniti era presidente l’ex attore Ronald Reagan. Non si sa come, fatto è che l’Alitalia si ritrovò una flotta di 90 esemplari di MD-80 fiammanti con cui coprire il corto e il medio raggio. Fortunatamente le macchine si rivelarono davvero valide e relativamente familiari a piloti e tecnici in quanto tecnologicamente nascevano dalla costola del Douglas DC-9, di cui la flotta Alitalia era in larga parte già formata. In effetti – caso strano – la politica fece una scelta assennata o comunque fortunata tanto che nel libro di Anzellotti si può leggere: “Noi piloti di MD-80 siamo la colonna portante  della compagnia; novanta aerei una volta […], ma accidenti, solo in America ne hanno più di noi.” Una volta, appunto. (foto proveniente dalla pagina Facebook dell’autore)

Eh! L’elemento di cui parlavo è proprio questo. Ed è il vero soggetto dei te libri di Anzellotti.

“Ci sono schiavi di serie A, di serie B e poi più giù a scendere fino alla posizione più bassa, dove trovi quelli veri e propri, quelli di una volta, delle piramidi d’Egitto o dei campi di cotone americani. Cosa li differenzia? Il livello di privazione della libertà personale, ovviamente, e piccoli trucchi su come assicurare un regolare contratto di lavoro e un salario, così tutto è a norma di legge, senza che nessuno possa dire che ti sta schiavizzando!”.

Ecco spiegato il concetto in poche e chiare parole, quelle di Anzellotti. Riporto solo queste, per far capire di cosa si sta parlando, ma nel terzultimo capitolo ci sono pagine e pagine, con esempi concreti. Con esempi di libertà personali negate, compresa quella di lasciare il Qatar e andare in vacanza senza prima aver chiesto il permesso e averlo ottenuto.

Anche ad un pilota di linea? Certamente! Infatti Anzellotti era in procinto di sposare una ragazza con la quale aveva una relazione da tempo, ma non era libero neanche di andarla a trovare quando voleva, senza dover mettere in atto stratagemmi complicati e addirittura pericolosi, per lui e per lei.

Il capitolo successivo si intitola: Questo matrimonio non s’ha da fare. E’ il penultimo.

Ma l’ultimo è ancora più eloquente: La fuga.

Qui finisce il primo libro. Abbiamo già intuito che l’elemento costante, vero soggetto dei libri, è il subdolo, lento, costante mutamento della condizioni di lavoro dell’epoca moderna, che schiavizzano i lavoratori di ogni tipo, senza riguardo per la loro professionalità, le loro necessità, come il riposo, la vita privata etc. E perfino senza riguardo per la loro sicurezza. E nemmeno, a volte, per la sicurezza dei passeggeri di un aereo di linea.

Questo fotogramma, presumibilmente a colori, proviene dall’angolo più remoto della fototeca di casa Anzellotti; lo ritrae in tenerissima età mentre, con il viso che rivela la più sincera incredulità mescolata con giocosa soddisfazione, sembra guardare il suo fotografo per dirgli: “Un dirigibile!!!!”. Era il famoso dirigibile della Goodyear che all’epoca svolazzava nell’area romana (avendo come base un’area adiacente all’autostrada Roma-Firenze, all’altezza di Capena – Roma) e svolgeva attività pubblicitaria e turistica. A distanza di tanti anni il bambino cresciuto di nome Ivan Anzellotti ha così commentato la sua esperienza: “Ebbene sì, ho volato anche sul dirigibile, ma non lo pilotavo io… non arrivavo ai comandi!” Fortuna che l’era dei dirigibili era già bella che finita … altrimenti siamo certi che sarebbe stato un ottimo pilota dei dirigibili. Di Nobile. Magari nella vita precedente lo è stato davvero. (foto proveniente dalla pagina Facebook dell’autore)

Il secondo libro comincia con la citazione di un anonimo,la prima pagina:

“Un cattivo manager prende del personale eccezionale e lo distrugge, fa fuggire i migliori e demotiva i pochi rimasti”.

Il geniale Ivan Anzellotti ha scelto questa frase che da sola varrebbe un’intera recensione del libro, condensata in pochissime parole.

E ha anche definito l’altro aspetto di quell’elemento costante che è il vero soggetto del libro: la mancanza di professionalità, il pressapochismo, l’improvvisazione, la mentalità del ruba galline, elementi di quella degenerazione che ha invaso ogni realtà, ogni ambiente. Nel mondo intero.

Certamente non mancano elementi positivi, come l’esperienza, la conoscenza di paesi, popoli, realtà di ogni tipo. Nel libro accompagneremo l’autore in tutti questi avvenimenti. Con il suo modo di scrivere ci farà sentire come se fossimo lì insieme a lui, perfino in cabina di pilotaggio.

Sono libri preziosi, questi. Offrono la possibilità a chi non è un pilota di linea, a chi non ha girato il mondo, di chiudere il libro e sentirsi come se avesse vissuto proprio quel ruolo. Questi libri arricchiscono. Aprono la mente. Aiutano a comprendere le nuove realtà. A capire in che direzione stiamo andando.

Avevo detto, all’inizio, di conoscere tanti aspetti della narrazione di Anzellotti.

Il primo aspetto riguarda il suo luogo di nascita: Roma. Ma non Roma in generale. E’ nato a cinquanta metri dal portone di casa mia. E’ vissuto nel mio quartiere.

Ha volato all’aeroporto dell’Urbe, dove anch’io volo dall’inizio del lontano 1973.

Un enorme cumulo minaccia di degenerare e diventare dunque un temibile cumulonembo; sembra avvicinarsi lento e inesorabile ai velivoli Alitalia in sosta nel piazzale di un qualche aeroporto italiano. Sembra l’evocazione di quanto accadrà alla Compagnia di bandiera del nostro paese che, dopo una serie infinita di cumulonembi ha avuto la peggio ed è stata alfine annientata, personale navigante compreso. (foto proveniente dalla pagina Facebook dell’autore)

Volava con il vecchio MD-80. Lo stesso tipo di aereo con il quale andavo e tornavo dagli aeroporti dove lavoravo come controllore del traffico aereo. Forse ho perfino volato con lui e magari, qualche volta, gli avrò dettato la clearance, o  lo avrò autorizzato al decollo. Chissà.

Le vicende relative alla radiazione dell’MD-80, alle varie ristrutturazioni dell’Alitalia, seppure avvenute in un altro ambito del Traffico Aereo, hanno interessato anche il nostro, quello del Controllo. Conosco tanti piloti E le loro storie.

E poi c’è il mondo del volo. Quello degli Aeroclubs. Aviazione Generale invece che Aviazione Commerciale. O Aviazione Militare.

Ma sempre di Aviazione si tratta.

E anche l’Aviazione generale ha visto mutare gli ambienti sotto la spinta della modernizzazione, accompagnata, purtroppo, da quella degenerazione di cui ho parlato sopra. Hanno fatto la loro comparsa personaggi inadeguati che hanno preso le redini di Aeroclubs, istruttori pieni di sé, che non conoscono le regole ufficiali e che impongono le proprie in quella che considerano la LORO linea di volo, che non seguono una progressione didattica ufficiale, ma solo la propria. Ho visto Aeroclubs chiudere per questi motivi, nei decenni scorsi.

Una volta si chiedeva di non calpestare le aiuole per non danneggiare il prato o i giovani virgulti appena messi a dimora, oggi lo stesso cartello può essere utilizzato a proposito di tutti i lavoratori o comunque di talune categorie di lavoratori dipendenti, non ultimi i piloti commerciali che – occorre ricordarlo – hanno sempre svolto la loro professione in una condizione privilegiata; forse proprio per questo hanno accusato maggiormente il colpo quando le impietose leggi di mercato e gli squallidi accordi contrattuali li hanno riportati alla terribile realtà – quella del mondo del lavoro – in cui già da anni gli altri lavoratori annaspavano impotenti (foto proveniente dalla pagina Facebook dell’autore)

Nella piccola realtà degli Aeroclubs troviamo le stesse dinamiche che Anzellotti descrive nei suoi libri e che riguardano grandi compagnie aeree. Un cattivo Comandante, che domanda al suo secondo la differenza di lunghezza tra l’aereo sul quale stanno volando e un altro modello, o che annaspa alla ricerca di un comando sul cruscotto, non è tanto diverso da un istruttore che, invece di spiegare e formare gli allievi secondo la normativa ufficiale, impone metodi propri alla luce del “si fa così perché lo dico io…“.

Poi, quando avvengono incidenti, difficilmente si arriva alla ricostruzione precisa, quella che spiegherebbe l’interazione tra causa ed effetto. Ho visto anche accadere brutti incidenti per questi motivi.

Spesso si seguono criteri di risparmio a tutti i costi, si risparmia sulle manutenzioni, sulla formazione del personale, sul benessere del personale, sul riposo necessario fra un turno e l’altro, sul costo di un corso comando per permettere la carriera dei piloti che da troppo tempo siedono a destra in cabina di pilotaggio. Si preferisce prendere comandanti già fatti da altre compagnie. E si costringono gli eterni secondi a lasciare la Compagnia per cercarne una migliore. Ricominciando da capo, però.

Siamo arrivati all’assurdo: ho sentito dire che ora si pensa addirittura ad un solo pilota a bordo. Sarebbe un bel risparmio, pagarne uno invece di due…

Piloti e controllori sono due parti diverse dello stesso mondo. Quando ho detto che conoscevo ogni cosa descritta da Anzellotti nei suoi libri intendevo che ci sono passato attraverso anche dalla mia parte ed ho osservato i tempi mutare insieme a lui.

Un ultimo fatto, stavolta decisamente simpatico. Sulla pagina Facebook di Ivan Anzellotti ho visto le foto di una mongolfiera atterrata in piena città, in un incrocio tra tre strade, proprio dietro casa mia, negli anni ottanta. Aveva avuto un’avaria in volo ed era finita lì. Nelle foto Anzellotti aveva circa 14 anni e compare in due immagini.

Capita, a volte capita, e a Ivan Anzellotti è capitato e questo scatto lo testimonia … cosa? Il regalo speciale di un giovanissimo passeggero che, oltremodo riconoscente per l’ottimo servizio prestato, ha omaggiato il suo pilota con un suo personalissimo disegno. Da notare l’assetto del velivolo che non minaccia nulla di buono! E’ comunque con questa dimostrazione di affetto che preferiamo chiudere la recensione, giacché testimonia il grande affetto che tutti noi passeggeri nutriamo nei confronti dei piloti, specie quelli come Ivan Anzellotti che, nonostante tutte le vicissitudini vissute e subite, continuano a volare con passione. Grazie a nome di tutti. (foto proveniente dalla pagina Facebook dell’autore)

Una rivelazione. Ecco, di questo fatto non avevo mai saputo nulla.

Questi libri costituiscono una eccellente divulgazione di cose aeronautiche senza la quale molti non saprebbero mai nulla di tutto ciò. Ma non ci sono solo i libri. Anzellotti ha anche un canale YouTube attraverso il quale la sua opera divulgativa continua.

Non è rivolto solo a chi già fa parte del mondo del volo. I suoi video sono di straordinario interesse e sono rivolti a tutti.

Proprio a tutti.

Con malcelata soddisfazione concludiamo questa recensione informando i visitatori del nostro hangar che, a partire dal novembre 2023, i due volumi sono disponibili anche in lingua inglese. Una nota di merito va espressa a favore all’editore che si è reso disponibile nell’effettuare un’operazione inusuale nel panorama editoriale italiano ma che è anche il giusto riconoscimento a un autore meritevole di credito illimitato.





Recensione di Brutus Flyer (Evandro Detti) e didascalie a cura della Redazione di VOCI DI HANGAR





Dello stesso autore sono disponibili le recensioni di: 


Storia di un pilota. Dal funerale di Alitalia alla fuga dal Qatar" e "Storia di un pilota 2 - Dalle low cost alla conquista dell'Est

Il destino degli altri. Un giallo nel mondo dell'aviazione civile

Roald Dahl. Come da pilota da caccia divenni scrittore

Un’intenso primo piano del protagonista di questa biografia … giusto per dare un volto al suo nome e cognome. Dahl è recentemente assurto all’attenzione delle cronache giornalistiche giacché la sua casa editrice, in virtù di una profonda esigenza di “revisionismo” e sull’onda di quanto fece qualche anno fece per prima la Disney a proposito dei personaggi dei suoi films, si è presa la briga di provvedere a una radicale rielaborazione dei numerosi testi per bambini dell’autore con l’eliminazione di quelle frasi, caratterizzazioni e uso di aggettivi poco inclusivi, potenzialmente offensivi o comunque spiacevoli nei confronti di razze, colore, peso e caratteristiche fisiche in genere. Insomma, a detta dell’editore, i testi di Dahl erano troppo razzisti, sessisti, insensibili nei confronti dei grassi, dei brutti, delle streghe e dei cattivi in genere e dunque andavano addolciti, resi più educativi più inclini al clima di tolleranza civile contemporaneo. La notizia ha riempito i media britannici e, fortunatamente, è a malapena apparsa in quelli nostrani. In effetti mettere mano a testi scritti da una persona geniale nata nel 1916 e vissuta in un mondo completamente diverso da quello attuale (benché guerre e miseria siano perduranti) lascia molto perplessi e semmai è questo aspetto che scandalizza davvero. Che poi i britannici siano sempre stati dei sciovinisti egocentrici con la puzzetta sotto il naso non è una novità e che cadano talvolta nel ridicolo non stupisce affatto; dunque riallinearsi al resto del continente non è del tutto fuori luogo … anzi, era ora! … è pur vero che val bene addolcire certe espressioni del linguaggio corrente per attribuire una maggiore dignità alle persone (lo spazzino che diventa collaboratore ecologico, ad esempio) ma sostenere che il salvifico bacio dato dal principe azzurro alla signorina Biancaneve non è consensuale e dunque si tratta di una forma di abuso sessuale, beh … ce ne corre! D’altra parte cosa dovremmo fare noi italiani? Revisionare secoli di letteratura per non indispettire la sensibilità altrui? E, nel caso specifico, dovremmo censurare le favole di Gianni Rodari o quelle di Italo Calvino o il Pinocchio di Collodi, tanto per citarne alcuni? Stendiamo un velo pietoso e leggiamo la narrativa per l’infanzia con gli stessi occhi innocenti dei bambini per i quali gli orchi non sono mai affascinanti e Cappuccetto Rosso è semplicemente una bambina indifesa. La malizia di vedere nel Gatto e la Volpe due omosessuali inveterati ce l’hanno solo gli adulti. Allo stesso modo prendiamo Roald Dahl quello che fu, nel bene e nel male; noi lo ricordiamo  specie come il pilota che divenne scrittore (foto proveniente da www.flickr.com)

Era il classico gentleman inglese, somigliava un po’ a Lawrence d’Arabia, il volto lungo e i capelli con una perfetta riga a lato. Per tutta la sua vita Roald Dahl rappresentò la quintessenza del suddito devoto e orgoglioso della grandezza dell’impero Britannico, pronto a sacrificarsi affinché sua maestà potesse regnare ancora per secoli sui suoi vasti possedimenti. Solo quando prese servizio nella RAF, in volo sul suo aereo da caccia, in Grecia e in Medio Oriente, si rese conto che l’epoca d’oro dell’impero stava finendo, travolto dall’immane tragedia della Seconda Guerra Mondiale:

“Ora, quindi, ci erano rimasti in Grecia sette Hurricane in grado di volare, e con questi avremmo dovuto fornire copertura aerea all’intero corpo di spedizione britannico che stava per essere evacuato lungo la costa. Tutta la faccenda era una ridicola farsa”,

 scrisse.

Risale a quel periodo, infatti, uno dei primi racconti di Dahl, Un gioco da ragazzi, poi pubblicato sulla rivista americana Saturday Evening Post con il titolo più eroico e bellicista di “Abbattuto in Libia”.

Ma come c’era finito lì, lui che solo un anno e mezzo prima non era mai salito su un aeroplano e non aveva mai manifestato alcuna passione per il volo? Spirito di servizio, dedizione alla causa e forse la voglia di avventura che da sempre aveva guidato le sue scelte di vita.

Scrive alla madre, il 4 dicembre 1939, in un telegramma inviato da Nairobi:

“Cara mamma, sto passando un periodo bellissimo, non mi sono mai divertito tanto. Ho prestato giuramento alla RAF e adesso ci resterò fino alla fine della guerra. Il mio grado è di Leading Aircraftman (aviere scelto) con buone possibilità di diventare sottotenente in pochi mesi, se non mi dimostro una schiappa”.

Roald Dahl ha ventitré anni e da poco ha chiesto alla compagnia per cui lavora in Africa, la Shell Oil Company, un periodo di congedo pagato, per andare a servire la patria combattendo “e dare una mano contro bwana Hitler”, come ricorda nella sua autobiografia, In solitario. Diario di volo. Manca dall’Inghilterra da un anno esatto e vende benzina e gasolio in Africa per conto della compagnia petrolifera con la conchiglia.

“Troppo alto per volare?” E’ questa la domanda che pone ai visitatori la figura cartonata di Roal Dahl ritratto a misura reale quando, giovanissimo, militava tra le file della RAF. E in effetti, a giudicare dal confronto con il bambino alla sua sinistra, il pilota Roald Dahl era effettivamente altissimo … ma all’epoca occorrevano tutti i piloti disponibili per difendere i cieli patri e, benché curvo sui comandi o rannicchiato nella cabina, purché potesse pilotare e sparare al nemico, anche un fuori misura andava bene! Evidentemente l’ergonomia e in comfort di pilotaggio all’epoca erano dettagli davvero insignificanti. La foto riporta un angolo molto frequentato del museo dedicato allo scrittore; si trova in terra britannica presso la località di Great Missenden, nella contea del Buckinghamshire, non lontano da Londra. Lì visse fino all’ultimo dei suoi giorni e lì è sepolto nel cimitero dove una semplice lastra di marmo scuro riporta il suo nome, la sua data di nascita e quella della sua dipartita. Tornando all’immagine, sono da notare le numerose targhette che indicano le misure antropometriche degli svariati personaggi ideati dalla mente visionaria di Dahl (foto proveniente da www.flickr.com)

Chi si fosse imbattuto in lui, nelle strade di Londra o sulla metropolitana, lo avrebbe certo notato: un giovane alto quasi due metri – troppo per un aspirante pilota; alla prima visita medica a Nairobi lo volevano scartare – con bombetta e ombrello di ordinanza, come conveniva allora a tutti i gentleman della city. Tempo prima ha inoltrato domanda alla Shell, perché il suo desiderio più grande è viaggiare in terre esotiche, al contatto con la natura primitiva.

Inaspettatamente, molti sono i candidati, Roald Dahl ottiene un posto; ne è orgoglioso ma un po’ stupefatto. Dopo un lungo periodo di tirocinio, prima nella City poi in giro per l’Inghilterra come venditore di carburante, la Shell gli propone di rappresentare gli interessi della compagnia in Africa Orientale.

Per il futuro scrittore, andare a osservare da vicino i grandi animali della savana è l’avverarsi di un sogno, che ha colmato di affascinanti immagini le sue notti fin da bambino, di un desiderio che si realizza.

I genitori di Roald sono entrambi di origine norvegese, di Oslo. Il padre, Harald, e suo fratello sono due tipi molto intraprendenti. Capiscono che la Norvegia offre poche prospettive e opportunità di lavoro, così emigrano prima in Francia poi in Inghilterra, dove fanno fortuna nel commercio.

Roald ha due anni quando la famiglia Dahl si trasferisce in una lussuosa villa di campagna, poco lontano da Cardiff: è il 1918 e Roald ha due anni. Nei tre anni successivi la cattiva sorte piove sui Dahl come una grandinata: muoiono la piccola Astri e, pochi mesi dopo, il capofamiglia che non regge al dolore e si lascia morire.

Il Gloster Gladiator fu il velivolo con cui Roald Dahl compì un rocambolesco quanto rovinoso atterraggio nel deserto. E’ ricordato anche come l’ultimo caccia biplano in forza alla RAF e alla Royal Navy ma, a differenza del famoso Fiat CR-42 Falco italiano che rimase in servizio durante tutta la II Guerra Mondiale, il Gladiator fu ritirato rapidamente dalle prime linee per lasciare posto a ben più moderni Hawker Hurricane. (foto proveniente da www.flickr.com)

La madre di Roald, incinta, si ritrova così sola con cinque figli da sfamare. Ma Sofie Magdalene, è una donna forte e si appresta ad affrontare questa nuova fase della vita con determinazione e coraggio. Vende la grande casa, che non sarebbe riuscita più a gestire da sola, e lei e i bambini si trasferiscono in una più piccola. Dentro un baule porta con sé parecchie decine di taccuini che il marito aveva riempito, ogni singolo giorno, durante la Prima Guerra Mondiale. Roald, che disse di averne conservato uno, considerava il padre “uno straordinario scrittore di diari”.

Dopo aver frequentato la Scuola della Cattedrale dl Llandaff, da dove si fa quasi cacciare, la vedova Dahl iscrive il figlio alla St Peter’s School: considera le scuole inglesi – loro vivono poco distanti però nel Galles – come le migliori al mondo e mai avrebbe rinunciato ad assicurare al giovane Roald un’istruzione di alto livello, degna della loro famiglia.

Boy, così in famiglia l’hanno sopranominato, inizia una fitta corrispondenza con la madre, una lettera la settimana, che continuerà fino alla sua morte, nel 1957; le scriverà da scuola, dai luoghi di lavoro in Gran Bretagna e in Africa, e durante la guerra in Medio Oriente, mentre sul suo Hurricane cerca di contrastare i caccia della Luftwaffe: seicento lettere, che lei aveva scrupolosamente conservato, all’insaputa di tutti, e che lui ritroverà in seguito.

Sulla pagella di Boy, del III trimestre del 4° anno, figurano un “ottimo” in lingua inglese e voti poco più che sufficienti o discreti nelle altre materie, con un “molto buono” in condotta. Per far fronte ai lunghi mesi invernali di reclusione dentro i muri della St Peter’s School – “il manicomio” – lo chiama Roald, Boy ripensa alle sue vacanze estive che trascorre in una piccola e sperduta isola norvegese.

Roald Dahl è stato un prolifico autore di romanzi, racconti, sceneggiature, poesie e addirittura un’opera teatrale. Quelli ritratti in questo scatto sono solo una minima parte dei suoi volumi, molti di grandissimo successo editoriale e quasi tutti tradotti in innumerevoli lingue a testimonianza della bontà delle notevoli capacità letterarie di Dahl.

Puntualmente con l’arrivo della bella stagione, per dodici anni consecutivi, parte, assieme alla madre e ai fratelli, per raggiungere, dopo un avventuroso viaggio per mare e per terra di quattro giorni, la terra dei suoi avi. Per lui è una gioia immensa immergersi nella natura di “quell’isola magica” in un paese cui si sente profondamente legato, pur non essendovi mai vissuto se non per i brevi periodi di quelle “idilliache vacanze”. 

Vestito di tutto punto, indossando la divisa d’ordinanza, camicia bianca con colletto rigido, calzoni neri solcati da sottili righe grigie, bretelle, panciotto e infine una marsina, anch’essa di color nero, a coda di rondine, Roald entra a Repton: – Mi sentivo come “un apprendista di un impresario di pompe funebri” – scrisse nella sua autobiografia.

Il famoso collegio privato si trova nelle Midlands, a circa tre ore di treno da casa: è la fine estate del 1929 e Boy ha compiuto tredici anni. Nel primo trimestre, quasi schiavizzato dagli studenti più grandi, è obbligato da questi a scaldargli, durante i rigidi inverni inglesi, la ciambella del water, prima che questi ci si siedano. Per passare il tempo, seduto sulla tazza del cesso, in quei primi freddi mesi a Repton, legge l’opera completa di Dickens, l’autore che influenzerà molto i libri per bambini di Roald Dahl.

Il giovane Dahl però matura, durante quegli anni di collegio, due passioni che saranno per lui una sorta di riscatto: la fotografia ma, soprattutto lo sport: il gioco della pelota; è promosso, grazie alla sua abilità di calciatore a capitano, il che significa, nelle rigide istituzioni scolastiche private inglesi, essere degno del massimo rispetto e oggetto di ammirazione.

Con la pelota, la sua noiosa vita a Repton cambiò di punto in bianco e la prospettiva di trascorrere ancora altri anni in quella polverosa scuola divenne più tollerabile, anche perché il suo professore d’arte gli aveva fatto nel frattempo scoprire la fotografia e la pittura. Diventa così abile con la macchina fotografica che inizia a vincere premi; diverse illustri e blasonate organizzazioni, come la Royal Photographic Society o la Photographic Society of Holland lo premiano.

Al momento di scegliere l’Università, era destinato a Oxford o Cambridge, Roald però rinuncia e confessa alla madre di voler:

“andare dritto a lavorare per qualche compagnia che mi mandi in meravigliosi paesi lontani, come l’Africa o la Cina”.

E la Shell, dove è assunto nel 1933, qualche anno dopo lo accontenterà.

Il cognome Dahl è divenuto famoso anche per un’invenzione che nulla ha a che fare con la letteratura o l’aviazione: è la valvola Wade-Dahl-Till. Andò così: uno dei figli di Roald, Theo, era affetto da idrocefalia a causa di un disastroso incidente automobilistico. Per risolvere il suo grave problema di salute gli fu impiantata una speciale valvola che però tendeva ad incepparsi in quanto incapace di funzionare a causa dei detriti del liquido cerebrale, specialmente in pazienti in cui era presente sanguinamento e danno cerebrale come in Theo. Quando avveniva i disturbi provocati erano terribili (dolore, cecità e rischio di danni cerebrali permanenti) e talvolta richiedevano un intervento chirurgico d’urgenza. Dahl catalizzò le capacità del neurochirurgo infantile Till dell’ospedale pediatrico presso cui era in cura Theo e dell’ingegner Wade, ingegnere specializzato in idraulica di precisione con il quale condivideva la passione per l’aeromodellismo dinamico. Assieme misero a punto una nuova rivoluzionaria valvola che porta il loro nome: Wade-Dahl-Till, appunto. (foto proveniente da www.flickr.com)

Agli inizi degli anni trenta l’Europa è in preda ad una grave crisi economica e sociale, dopo il crollo di Wall Street del ’29. Mussolini è al potere da ormai un decennio e Hitler si appresta a edificare il Terzo Reich e a occupare e soggiogare quasi l’intero continente, mentre in Unione Sovietica Stalin è saldamente al potere. È l’inizio della fine per l’Impero Britannico.

Un’altra bella immagine di Roald Dahl che deve il suo nome di battesimo alla scelta operata dei suoi genitori in onore dell’esploratore norvegese Roald Amundsen, considerato in Norvegia un vero e proprio eroe nazionale e tragicamente scomparso tra i ghiacci nel vano tentativo di prestare soccorso al suo amico-nemico italiano Umberto Nobile, precipitato sul pack nel 1928 con una parte del suo equipaggio del dirigibile Italia … ma questa è un’altra storia. (foto proveniente da www.flickr.com)

Al momento dello scoppio della guerra, Roald si trova a Dar es Salaam, ed è in partenza per Nairobi, dove ha sede un centro di addestramento della RAF, l’aviazione inglese.

Dedicherà a questo periodo della sua vita africana il libro autobiografico In solitaria, che uscirà, con il titolo originale Going solo, nel 1986. Preso il brevetto di volo, con ottimi voti, è pronto ad andare a combattere. Durante però uno dei primi voli di trasferimento, a causa di errate indicazioni di rotta avute da un comandante di una base aerea, sorpreso dal buio, deve atterrare a bordo del suo biplano da guerra Gloster Gladiator in pieno deserto, in una zona accidentata: sceglie un tratto di terreno meno sassoso degli altri e posa le ruote a terra sobbalzando, incrociando le dita; non ha fortuna. A più di cento chilometri l’ora il muso del biplano si conficca nel terreno e la testa di Roald urta violentemente contro l’abitacolo. Il colpo gli causa un trauma cranico, la perdita della vista e denti rotti, e solo il suo istinto di sopravvivenza gli consente di uscire dal posto di pilotaggio già avvolto dalle fiamme. Una pattuglia di soldati inglesi lo recuperano in fin di vita.

l giovane pilota e futuro scrittore passa molti mesi in ospedale, con le bende sugli occhi e il volto attraversato da cicatrici, i segni degli interventi chirurgici, che gli avevano restituito la parvenza di un viso normale, cui i medici dell’ospedale anglo-svizzero di Alessandria d’Egitto lo avevano sottoposto.

Il 20 novembre del 1940 scrive alla madre dall’ospedale:

“Sono arrivato qui otto settimane e mezzo fa, e sono rimasto steso sulla schiena per sette settimane senza far niente. (…) Quando sono entrato ero conciato un po’ male (…) ma quaggiù hanno i più portentosi specialisti di Harley Street che sono entrati in servizio con la guerra. (…) Mi dolgono ancora gli occhi se leggo o scrivo molto, ma dicono che torneranno normali, e che sarò di nuovo pronto a volare più o meno fra tre mesi”.

Nel marzo del 1941, dopo cinque mesi di ospedale e uno di convalescenza che passa in un lussuoso hotel del Cairo, una commissione medica della RAF lo giudica di nuovo idoneo a pilotare, in zona di guerra, un caccia. Roald stenta a crederci quando gli restituiscono il suo libretto di volo: solo pochi mesi prima i medici gli avevano prospettato la possibilità di dichiararlo invalido e di rispedirlo in patria. Così si ritrova a bordo pista, pronto a decollare per il fronte greco, su di un aereo mai visto prima:

La splendida linea dell’Hawker Hurricane che, assieme ai Supermarine Spitfire, arginarono gli attacchi della Luftwaffe nel corso della Battaglia d’Inghilterra. Ancora oggi ne volano diversi esemplari, specie in Gran Bretagna. Chissà che questo possa indispettire i tedeschi del XI secolo?! (foto proveniente da www.flickr.com)

“Ero sbalordito quando mi allacciai per la prima volta le cinture nell’abitacolo dell’Hurricane. Era la prima volta che volavo su un monoplano. Era senza dubbio il primo aereo moderno su cui volavo. Era infinitamente più potente e veloce e complicato di tutti quelli che avevo visto. (…) Non avevo mai pilotato niente di simile. (…) L’idea di tuffarmi nel Mediterraneo mi preoccupava infinitamente meno del pensiero di rimanere per quattro ore e mezzo in quella minuscola cabina di pilotaggio. Ero alto un metro e novantotto centimetri, e quando ero seduto in un Hurricane assumevo la posizione di un feto nel grembo materno”.

Arrivò a destinazione, la base aerea di Eleusi, a pochi chilometri da Atene, dopo quattro ore e mezzo di volo. Le gambe erano così rattrappite che gli avieri, a terra, dovettero estrarlo a peso morto dall’abitacolo. 

Forse è durante quel volo che partorì l’idea della storia dei Gremlin, una sorta di spiritelli dispettosi che, secondo i piloti, si intrufolavano negli aeroplani della RAF smontando pezzi e causando danni: gnomi dispettosi e pericolosi.

Dahl proporrà il racconto qualche anno dopo alla Disney che affidò ai Gremlin un ruolo in un fumetto, pubblicato dalla Random House da titolo, The Gremlins. Una storia ambientata nella RAF, del tenente pilota Roald Dahl, dove, durante la Battaglia d’Inghilterra, un pilota da caccia incontra un gremlin:

Come testimonia la copertina di questo consunto libro, il romanzo “The Gremlins” ha come protagonista un Hawker Hurrican e le piccole creature dispettose divenute poi celeberrime grazie allo stravolgimento cinematografico operato dallo sceneggiatore Chris Columbus e realizzato visivamente dal regista Joe Dante, tuttavia l’idea di base – originalissima, non c’è che dire – è e rimane del pilota Roald Dahl (foto proveniente da www.flickr.com) 

“Un pilota di nome Gus, pattugliando con il suo Hurricane a 18.000 piedi (600 metri, N.d.T.) sopra Dover, stava inseguendo uno Junkers 88 e lo stava innaffiando con le sue mitragliatrici con corte e precise raffiche. Poteva vedere un sacco di piccoli sbuffi che si alzavano dal muso dello Junkers mentre il mitragliere di coda tedesco rispondeva al fuoco. Gus diede un’occhiata a dritta, e là, in piedi sull’ala del suo Hurricane vide un piccolo uomo, non più alto di sei pollici ( 15 cm. N.d.T.), con una grande faccia rotonda e un paio di piccole corna che spuntavano dalla testa. Indossava un paio di stivali neri a ventosa che gli permettevano di rimanere in piedi sull’ala a 300 miglia (480 km, N.d.T.) all’ora.”

Il soggetto di The Gremlins fu poi ripreso e stravolto, nel 1984, trasformato in un film horror, commedia tinta di nero di grande di successo diretto da Joe Dante, e che ebbe con numerosi seguiti.

Il giovane pilota Roald si accorge subito che dovrà affrontare l’aviazione tedesca, che schiera molti più aerei e meglio armati: la Luftwaffe ha il pieno controllo dei cieli greci; non passa giorno che il capopattuglia, al ritorno dalle missioni di caccia, segnali delle perdite. Solo la spregiudicatezza e lo sprezzo del pericolo, tipico dei giovani, irrora coraggio nelle vene a piloti come Dahl e la determinatezza di alzarsi ogni volta in volo, sapendo di andare incontro alla morte.

In occasione del centenario delle sua nascita e dopo aver dedicato la deriva dei propri velivoli a grandi personaggi del mondo scandinavo come Christian Andersen e Edvard Munch, nel 2016 la compagnia aera low cost Norwegian ha ritenuto opportuno e doveroso riservare la deriva di questo suo Boeing 737-800 al suo celebre connazionale Roald Dahl. Considerato uno dei più grandi scrittori per l’infanzia del mondo anglosassone e, ovviamente norvegese, Dahl ha vissuto buona parte della sua esistenza in Gran Bretagna divenendo britannico per antonomasia ma il suo viso che pare osservare il muso del jet commerciale sta a testimoniare le sue chiare origini norvegesi. (foto proveniente da www.flickr.com)

Tra il 17 e il 20 aprile del ‘41, Roald affronta i caccia nemici in dodici missioni: tre al giorno. I suoi compagni di squadriglia continuano a morire sotto i suoi occhi. Lui se la cava solo per fortuna: al rientro dalle sortite contro i Messerschmitt e gli Junker 88 tedeschi, il suo Hurricane è spesso sforacchiato come un colabrodo, ma integro e meccanici e avieri riescono sempre a rattoppare in qualche modo i fori dei proiettili nemici.

Poi nel maggio successivo la RAF collassa. Roald e la sua squadriglia sono costretti a rifugiarsi prima in Egitto poi in Palestina; da Haifa invia una lettera alla famiglia e non sa ancora che quella sarà l’ultima dal fronte di guerra:

“Cara mamma, ultimamente abbiamo volato piuttosto intensamente. (…) A volte ho fatto anche sette ore il giorno, che un bel po’ su un caccia. Però la mia testa non l’ha presa affatto bene e gli ultimi tre giorni sono rimasto a terra. (…) Ho cinque abbattimenti confermati, quattro tedeschi e uno francese (dell’aviazione del governo collaborazionista di Vichy, N.d.R.). Il gruppo ha perso quattro piloti nelle ultime due settimane. (…) Per il resto questo paese è una bellezza, e indubbiamente vi scorre il latte e il miele…”

Il telegramma successivo annuncia ai familiari il suo ritorno in patria, congedato, per non essere più idoneo al volo. E lui in fondo ne è contento, anche se è un po’ rammaricato perché solo ora, dopo quei lunghi mesi di guerra aerea, si sente un vero pilota. La vecchia ferita alla testa si è rifatta viva e il cervello sottoposto alle forti sollecitazioni causate dalle acrobazie del volo, risponde provocandogli pericolosi capogiri e annebbiamento della vista. Il responso medico della commissione è impietoso e insindacabile: riformato e non più in grado di pilotare un aereo.

Per Roald Dahl è l’inizio di una nuova vita: da giovane pilota a scrittore. Sette mesi più tardi, dopo l’attacco giapponese alla base navale americana del Pacifico di Pearl Harbour, gli Stati Uniti d’America, escono dall’isolazionismo correndo in aiuto delle democrazie occidentali ed entrano in guerra a fianco dell’Inghilterra.

Il governo guidato da Winston Churchill affida a Roald Dahl l’incarico di consulente aeronautico, come comandante di stormo, presso l’ambasciata inglese negli Stati Uniti. Così Boy, dopo un periodo di riposo trascorso in patria, fa le valige e si trasferisce a Washington.

Forte è il sospetto che, come altri intellettuali inglesi dell’epoca, il suo compito fosse procacciarsi informazioni e dati sensibili per conto del suo governo e svolgere azioni di propaganda: è il 1942.

Nella capitale degli USA fa la conoscenza dello scrittore Cecil Scott Forester: inglese come Dahl, era un romanziere diventato famoso per la saga letteraria incentrata sull’eroe dei mari il capitano Hornblower.

Ancora una bella immagine di un Gloster Gladiator scattata ai giorni nostri sebbene il velivolo sia chiaramente originale della fine degli anni ’30. Su una questione occorre riconoscere che i britannici sono davvero encomiabili: conservano egregiamente la loro storia, specie quella aviatoria, tenendo in vita e mostrando in volo – anziché solo nei musei – macchine davvero storiche come questa. In Italia se non ci fosse l’HAG – Historical Aircraft group, a restaurare e a mantenere in attività volativa gli aeromobili d’epoca, a malapena ci rimarrebbero i musei – pochi – a ricordarci la nostra storia in termini di Aviazione (foto proveniente da www.flickr.com)

Forester, intravede in Dahl la stoffa del narratore ed è grazie proprio a lui che l’ex pilota di Hurricane scrive e pubblica Shot Down Over LibyaAbbattuto in Libia, cui seguirà, nel 1946, Over to you: Ten stories of flyers and flying, una raccolta dei suoi primissimi racconti, ispirate alla sua esperienza di guerra, che segnano l’inizio della sua brillante carriera di scrittore di libri per l’infanzia: James e la pesca gigante, Gli Sporcelli, Il GGG, Matilde, La fabbrica di cioccolato, quest’ultimo divenne anche un grande film di successo e tanti altri. Ma Boy trova anche il tempo per scrivere sceneggiature, come, per esempio, quelle di Chitty Chitty Bang Bang e Agente 007- Si vive solo due volte.  

Roald Dahl si dedica alla scrittura con lo stesso impegno e dedizione che aveva profuso per ottenere il brevetto di pilota, ed è molto severo verso sé stesso e critico verso quello che scrive, fino a rivedere un suo testo anche 150 volte. Prima di vergare anche una sola parola, seduto al tavolo rinchiuso nel suo nido, una casetta di legno zeppa di oggetti e ninnoli, segue un preciso rituale, finché si butta a capofitto sulle pagine bianche scrivendo, in modo disciplinato, però non più di due ore. Ma il lavoro più impegnativo per lui è la riscrittura del testo che deve essere fatta “a freddo”, per lasciare che le parole e le frasi trovino il loro posto esatto all’interno della trama, sedimentandosi e imprimendo la loro indelebile impronta sulla carta.

Ormai anziano e malato, dopo aver divorziato dalla prima moglie Patricia Neal, colpita da un ictus, aver perduto due figlie, Olivia di soli sette anni, e con il loro fratello Theo affetto da idrocefalia, Roald Dahl, in un’intervista a un giornale inglese si scaglia contro Israele e gli ebrei, accusandoli:

“di  mancanza di generosità verso i non ebrei. Voglio dire che c’è sempre un motivo se un sentimento contro qualcosa spunta ovunque”

e, ancor più grave, rilascia, sempre in quell’occasione, una dichiarazione che suona quanto meno fuori luogo:

“Anche una carogna come Hitler non se l’è presa con loro senza alcun motivo”.

Ancora una bellissima immagine che ritrae un Gloster Gladiatore e un Sea Hurricane in volo in formazione. Sembra quasi che il biplano ceda idealmente il testimone al moderno monoplano come peraltro storicamente avvenne. La presente nota biografica, a cura di Massimo Conti, è una gradita quanto inedita anticipazione dell’immane lavoro che sta svolgendo in termini giornalistici: 50 biografie dedicate agli scrittori-aviatori di tutte le nazionalità e di tutti i tempi. Lodevole iniziativa! Auguriamo a Massimo di concludere al più presto la sua opera, certi che divoreremo il suo volume per darvene conto in una doverosa recensione. Buon lavoro, Massimo! (foto proveniente da www.flickr.com)

Ciò sorprende in un uno come lui che si è sempre circondato d’intellettuali di origine ebraica, come Amelia Foster, direttrice del Roald Dahl Museum and Story Centre a Great Missenden.

Ed è proprio nel cimitero del piccolo villaggio nella contea del Buckinghamshire, a un’ora e mezza di strada a nord di Londra, che lo scrittore pilota inglese è sepolto, dal 1990, nell’amata Inghilterra tanto stimata dai suoi adorati genitori norvegesi.

Trent’anni dopo la sua morte, la famiglia di Dahl si è dovuta scusare pubblicamente per le esternazioni fatte a suo tempo da chi da pilota volle diventare uno scrittore.


Testo a cura di Massimo Conti, didascalie della Redazione di VOCI DI HANGAR



Articolo giornalistico / Medio – lungo

Inedito

§§§ in esclusiva per “Voci di hangar” §§§

# proprietà letteraria riservata #


Massimo Conti

RACCONTI TRA LE NUVOLE – Il Sostegno di ADA



Logo Racconti Tra Le Nuvole

XI edizione Premio letterario “Racconti tra le nuvole”

COMUNICATO STAMPA

nr 2 del 08 marzo 2023

         In virtù del:

  • comune fine di divulgare la cultura aeronautica nel nostro Paese
  • “tema suggerito” della XI edizione del Premio (le donne nel mondo aero/astro nautico)

è con viva soddisfazione ma anche con malcelata euforia che l’HAG (Historical Aircraft Group) e VOCI DI HANGAR – organizzatori del Premio – sono lieti di annunciare che:

l’ADA – Associazione Donne dell’Aria,

si è unita alla FISA (Fondazione Internazionale per lo sviluppo aeronautico), alla rivista VFR AVIATION e all’azienda farmaceutica VR MEDICAL, tra i preziosi e autorevoli sostenitori della prossima edizione del Premio.

         Siamo certi che l’ADA, attraverso il sostegno del suo Presidente, del Direttivo e delle associate tutte, fornirà rinnovate energie a RACCONTI TRA LE NUVOLE, a  testimonianza della bontà di un’iniziativa unica nel suo genere nel panorama italiano.

         In concreto l’ADA istituirà per l’occasione il “Premio speciale ADA” che, a insindacabile giudizio dell’associazione, verrà conferito a uno dei racconti  partecipanti secondo una valutazione del tutto autonoma rispetto a quella operata dalla Giuria del Premio.

         Il “Premio speciale ADA” verrà altresì consegnato nel corso della premiazione a cura del Presidente dell’associazione o, nel caso ne fosse impossibilitata, da una sua delegata.

          Un rinnovato benvenuto alle associate ADA e al suo direttivo che ringraziamo per ver voluto sostenere fattivamente RACCONTI TRA LE NUVOLE.

        

Gli organizzatori




Per qualsiasi informazione:                         www.raccontitralenuvole.it                                              

Donne con le ali

titolo: Donne con le ali

autore: Luca De Antonis 

editore: MEF – Maremmi Editore Firenze

pagine: 381

anno di pubblicazione: 2012 (prima edizione)

ISBN: 978-88-7255-401-2




“Il 17 dicembre del 1903 una macchina volante ad ali rigide, mossa da un motore a scoppio, avrebbe compiuto il suo primo volo …

Miss Harriet Quimby, inviata del Leslie’s Illustrated Weekly da New York, prendeva nota su un taccuino di tutte le operazioni che si stavano svolgendo.”

Quel 17 dicembre 1903 pietra miliare per l’aviazione, le donne sono già presenti pronte ad affrontare e condividere questa meravigliosa avventura chiamata “Volo”.

Luca De Antonis, autore di “Donne con le ali”, racconterà i primi 30 anni della storia dell’aviazione al femminile.

Non dettagliate biografie, ma un romanzo dove le storie di queste donne, pioniere del volo al femminile, si intrecciano e si soprappongono all’interno dell’ambiente storico-culturale del loro tempo, e con abile maestria narrativa si fondono con gli avvenimenti sociali.

La IV di copertina del corposo libro “Donne con le ali”

Si spazierà dall’America del Nord con gli Stati Uniti e le leggi razziali che affliggevano le persone di colore, all’Europa con la Francia e la sua vita cosmopolita che alle leggi razziali in vigore negli Stati Uniti opponeva il suo motto “Uguaglianza-Fratellanza-Libertà”, al Sud America.

Il 16 agosto 1911 sul giornale Leslie’s Weekly, Harriet Quimby scriveva:

“Ci vogliono quattro anni di studio al College per conseguire un diploma, ma basta molto meno tempo per ottenere un brevetto di volo. A due condizioni però: un fato che non vi sia particolarmente avverso, e un valido istruttore … che vi insegni ad avere fiducia in voi stessi e in voi stesse.

Mi rivolgo particolarmente al pubblico femminile, perché volare è possibile per una donna quanto per un uomo!”

Benché avesse conseguito la licenza di aviatore dall’Aero Club of America da meno di un anno, Harriet Quimby tentò un’impresa assai ardita per l’epoca e soprattutto per una donna: attraversare lo stretto della Manica. Oggi comporta pochi minuti di volo ma nel 1911 quel braccio di Mare del Nord (che nel suo punto più stretto è largo solo 34 km), era una distanza notevolissima. Occorre infatti ricordare che il velivolo utilizzato da miss Harriet volava alla ragguardevole velocità massima di circa 80 km/h, vento permettendo, e a una quota relativamente bassa (qualche centinaio di metri sopra le onde). In effetti, priva di una qualsiasi forma di strumento di navigazione (non è chiaro se disponesse di una bussola magnetica rimediata alla meglio) o di una rudimentale cartina geografica, Harriet decollò all’alba in condizioni meteo avverse e infatti percorse la tratta in diagonale, da Dover (Gran Bretagna) a Hardelot (Francia) anziché la più vicina Calais (come aveva preventivato). La sua impresa durò ben un’ora e nove minuti. Una donna entrava così nella storia, alla pari con il suo diretto collega di sesso maschile Louis Blèriot che aveva compiuto lo stesso volo il 25 luglio 1909. Harriet Quimby morì purtroppo ancora giovanissima nel corso del Third Annual Boston Aviation Meet Squantum, nel Massachusetts  quando per motivi mai definiti, il velivolo Bleriot  con cui volava con passeggero a bordo (lo stesso organizzatore dell’evento) precipitò rovinosamente. Entrambe furono sbalzati fuori dal precario velivolo (all’epoca le cinture di sicurezza non erano contemplate) e per loro non ci fu scampo alcuno. Alla tenera età di 37 anni spiccò il suo ultimo volo lasciando però un segno indelebile nella storia dell’aviazione. (foto proveniente da www.flickr.com)

Harriet Quimby è la prima donna americana a conseguire il brevetto di volo, 1 agosto 1911.

Ma già nel 1910 in Francia l’Aero Club de France aveva rilasciato il primo brevetto di volo al mondo ad una donna: Elise Raymonde de Laroche. A lei è dedicato un volume di cui è possibile leggere la recensione nel nostro hangar.

Ancora una bella immagine di Harriet Quimby che posa davanti al suo velivolo Bleriot XI. Probabilmente risale al periodo in cui frequentò il corso di pilotaggio presso la scuola di volo di John e Mathilde Moisant (quella dei fratelli Wright a Dayton non accettava donne pilota) o immediatamente dopo giacché, una volta brevettata entrò nel team Moisant International Aviators e si esibì in giro per gli Stati Uniti. Sulla semiala nello sfondo si legge distintamente “MSANT”, da qui la nostra congettura  (foto proveniente da www.flickr.com)

(ndr: Francesco Baracca, asso dell’aviazione della I guerra mondiale, effettuerà il suo primo volo in Francia soltanto a maggio del 1912 e conseguirà il brevetto di pilota il 9 luglio)

Come chiaramente indicato dalla didascalia  in corsivo, in questo scatto Harriet Quimby è ritratta a bordo del suo monoplano Bleriot. Per l’epoca si trattava di un velivolo rivoluzionario; sebbene privo di alettoni (il rollio avveniva svergolando l’estremità alare) così come il Flyer dei fratelli Wrigh, il Bleriot XI era dotato di un geniale sistema a pedali che comandava il timone di direzione, divenuto poi lo standard per tutte le macchine volanti a venire, praticamente a tutt’oggi. Ma il suo pezzo forte era il motore; un tricilindrico radiale a W appositamente progettato e costruito dall’italiano Alessandro Anzani in grado di erogare la spaventevole potenza di ben 25 cv. Di chiara derivazione motociclistica, oggi equipaggerebbe un tagliaerba anziché un aeroplano! (foto proveniente da www.flickr.com)

Sono gli anni della “Belle Epoque”, il progresso della tecnica e della scienza non conosceva eguali nel passato: l’illuminazione elettrica, la radio, l’automobile, il cinematografo … l’aeroplano.

Le donne rivendicano i loro diritti, nasce il movimento delle suffragette.

Il mondo vive un periodo di grande ottimismo per il futuro, ancora ignaro della catastrofe che nel 1914 porterà all’orrore della I Guerra Mondiale.

Il 16 aprile 1912, mentre Harriet Quimby a bordo di un Bleriot Type XI si appresta ad effettuare con successo la traversata del Canale della Manica da Dover a Calais, in Europa arriva la drammatica notizia: nella notte tra il 14 e il 15 aprile il Titanic è naufragato nell’Oceano Atlantico a seguito dell’impatto contro un iceberg.

Quella che per tutti doveva essere un’impresa dal grandissimo impatto pubblicitario e commerciale, Monsieur Louis Bleriot già prefigurava una gran richiesta dei suoi velivoli, la prima donna a sorvolare la Manica, passò inosservata.

Il 17 aprile i giornali titolavano la terribile disgrazia avvenuta in mare. Non c’è posto per l’impresa di Harriet Quimby.

 “Cara Bessie, …. Se essere negra costituisce per il tuo obbiettivo, volare, un ostacolo insormontabile qui in America … ricordati che fino a poco tempo fa era un ostacolo insormontabile anche l’essere donna.

A te toccherà un compito ancora più difficile: vincere sul razzismo e sul segregazionismo …

Dopo l’inverno sarò impegnata in Europa per alcuni mesi. Ma l’estate prossima, se potrai venire qui a New York, sarò ben lieta di offrirti tutto il mio aiuto…”

Così scriveva Harriet Quimby nel settembre del 1911, in risposta a Bessie Coleman.

Purtroppo non potrà mantenere le sue promesse, il 1 luglio del 1912 Harriet Quimby perirà in un drammatico incidente di volo.

Dal 1914 al 1918 l’Europa è sconvolta dalla guerra, l’aeroplano verrà impiegato per la prima volta in campo militare, ciò porterà anche ad uno sviluppo delle sue potenzialità.

Il termine della guerra, vede nascere l’interesse verso l’utilizzo dell’aeroplano in campo civile. Per le donne, alle quali fu precluso di partecipare come pilota al conflitto mondiale, si aprivano ora, anche se con difficoltà, le porte dell’aviazione civile e del volo come professione.

Katherine Stinson volerà per il Canada Post, primo servizio di posta aerea, nelle remote e poco accessibili aree del Canada.

Il documento non mente: Elizabeth “Bessie” Coleman, soprannominata “Brave Bessieo” o “Queen Bess” fu la prima donna pilota di origine afroamericana e la prima nativa statunitense (a prescindere da sesso ed etnia), a conseguire una licenza di pilota internazionale in quanto emessa dalla FAI, Fédération Aéronautique Internationale.
Bessie imparò a volare in Francia su un biplano Nieuport tipo 82 giacchè nessuna scuola di volo statunitense ammetteva ai suoi corsi donne e soprattutto nere. Naturalmente non conosceva una sola parola in lingua francese ma quando seppe la scuola di volo Société des avions Caudron di Le Crotoy l’avrebbe ammessa, a dimostrazione della sua determinazione, frequentò un corso di lingua alla scuola Berlitz di Chicago dopodiché si imbarcò sul transatlantico Imperator nel novembre 1920 con destinazione Francia.

Bessie Coleman il 15 giugno 1921 sarà la prima donna afroamericana a conseguire il brevetto di volo. Ma per arrivare a coronare il suo sogno dovrà lavorare duro per riuscire a mettere i soldi da parte e poi con grande coraggio lasciare l’America, che con le sue leggi razziali non permetteva ai negri di accedere alle scuole di volo, per andare in Francia, alla scuola dei fratelli Caudron dove non si facevano distinzioni di sesso né di razza.

Come diversi aviatori dell’epoca, anche Bessie Coleman perse la vita prematuramente a causa di un incidente aereo: a bordo di un Curtiss JN-4 Jenny, a Jacksonville, Bessie fu sbalzata fuori dall’aereo a circa 610 m di quota e morì sul colpo quando precipitò al suolo. Il velivolo era dotato di cinture di sicurezza ma lei non le aveva indossate affinché potesse sporgersi agevolmente dalla cabina di pilotaggio e osservare il terreno in vista di un lancio con il paracadute che avrebbe effettuato durante una imminente manifestazione aerea, (foto proveniente da www.flickr.com)

Il 30 aprile 1926 Bessie Coleman muore in un incidente di volo.

In seguito la città di Chicago le renderà omaggio intitolandole una strada nei pressi dell’aeroporto O’-Hare.

L’inizio del 1929 vede un’altra grande conquista per le aviatrici: finalmente alle donne viene riconosciuto il diritto a partecipare alle manifestazioni sportive aeronautiche, fino ad allora precluse.

Il 18 agosto viene organizzato il primo “Women’s Air Derby”.

Il 2 novembre 1929 presso l’aeroporto di Curtiss Field, viene fondata “l’Organizzazione Internazionale delle Donne Pilota”, il gruppo prende il nome “Ninety-Nines” e viene eletta come prima presidente Amelia Earhart.

Ecco il manifesto dell’organizzazione: 

The Ninety-Nines Mission Statement:

The Ninety-Nines® is the International Organization of Women Pilots that promotes advancement of aviation through education, scholarships and mutual support while honouring our unique history and sharing our passion for flight.

che tradotto in italiano significa: 

Le 99 è l’Organizzazione internazionale delle donne pilota che promuove il progresso dell’aviazione attraverso l’istruzione, le borse di studio e il sostegno reciproco, onorando la nostra storia unica e condividendo la nostra passione per il volo.

https://www.ninety-nines.org/who-we-are.htm

“Donne con le ali”, un romanzo appassionante dall’inizio alla fine.

La copertina della II edizione del bel libro di Luca de Antonis. Nella prefazione l’autore così spiega il suo volume: “… qui si narrano tante diverse storie di donne coraggiose che con con passione hanno saputo compiere imprese grandi e ancora più grandi se rapportate all’epoca in cui si svolti i fatti e a quella condizione gregaria dell’universo femminile alla quale non si sono volute adattare.”

La storia delle prime donne che, sfidando i pregiudizi del loro tempo, hanno dimostrato che ciò che era possibile per un uomo lo era anche per una donna.

Un omaggio a quelle donne i cui nomi e le cui imprese sono quasi sconosciute, o comunque poco raccontate.

La IV di copertina della II edizione di “Donne con le ali” pubblicato in regime di autopubblicazione a mezzo di Amazon. Anche in formato e-book.

Donne che non si sono perse d’animo di fronte alle avversità, che hanno creduto nelle loro capacità.

E’ il 1 aprile del 1921 quando, a bordo di un Caudron C3, Adrienne Bolland atterra a Santiago del Cile, dopo essere decollata da Mendoza. Un’impresa epica: l’attraversamento delle Ande.

Una catena di montagne che Adrienne non aveva mai visto; senza l’ausilio di carte ma solo di indicazioni di cosa avrebbe dovuto vedere e quale vetta prendere come riferimento.

Donne che non hanno sfidato gli uomini, ma che hanno voluto vivere la storia al pari degli uomini ma con la loro sensibilità femminile; che non hanno rinunciato ad amare e a essere amate.

Emozionante il racconto della traversata da Buenos Aires a Rio de Janeiro in idrovolante, a bordo di un Caudron al quale erano stati semplicemente montati dei pattini galleggianti, compiuta da Adrienne Bolland insieme al suo meccanico André Duperrier.

“… Non occorre essere marito e moglie, non occorre essere amanti per essere necessari l’uno all’altro. I nostri comuni interessi, il nostro rispetto, la nostra stima… è il sentimento che ci unisce, che ci lega, che ci fa andare avanti… contro le tempeste della vita, ma anche nel vento delle nostre più belle imprese…”

Adrienne Bolland, assurta alla cronache storiche per essere stata la prima donna ad attraversare la manica decollando dalla Francia e soprattutto per aver sorvolato le Ande (con un volo di 4 ore e 17 minuti). E’ una delle poche donne pioniere dall’Aviazione che, a differenza delle sue colleghe si spense in tarda età (ben 80 anni) e nel suo letto. Praticamente un’eccezione! (foto proveniente da www.flickr.com)

Una pilota e un meccanico, una donna e un uomo, che hanno affrontato e condiviso i successi, i rischi e le disavventure, in un continente lontano dalla loro Francia. Una storia di amicizia, cameratismo, fiducia l’uno nell’altra, ma anche … una forma di amore.

E’ lo stesso autore, nella postfazione, a indicarci le poche situazioni che sono frutto di fantasia, mentre tutti gli altri avvenimenti, sia pure adeguati alle necessità narrative, sono rispettati nella sostanza.

Tutto il romanzo è intriso da un grande rispetto, stima e amore, da parte dell’autore, verso le donne.

Le singole storie scorrono intrecciate tra di loro, in maniera molto fluida, mai noiosa, tenendo incollato il lettore alla lettura.

Bellissima la foto di copertina, che ritrae una sorridente Ruth Elder appoggiata al suo biplano, mentre non vi è alcuna foto all’interno.

Un libro dedicato a tutte le donne che ancora oggi, come nel passato, lottano per vedere riconosciuti i propri diritti, e avere pari opportunità.

Un libro che sia ispirazione per tutte le donne a credere nelle proprie capacità, e un esortazione a non rinunciare alle proprie aspirazioni.

Harriet Quimby a bordo del suo velivolo Bleriot XI (foto proveniente da www.flickr.com)

Concludiamo questa breve recensione riportando un pensiero che costituisce l’essenza del volo al femminile:

“Volare è uno sport raffinato e dignitoso per le donne… e non c’è ragione di aver paura finché si fa attenzione.”  

Harriet Quimby





Recensione di Franca Vorano e didascalie a cura della Redazione di VOCI DI HANGAR









 

 

 

In un cielo di guai

titolo: In un cielo di guai

autore: Alessandro Soldati 

editore: Amazon

pagine: 192)

anno di pubblicazione: 2022 (tascabile e e-book)

ISBN: 979-8849987729




Erano anni che lo aspettavo e – in tutta sincerità – ormai disperavo di poterlo leggere. Mi ero quasi convinto che colui che tanto mi aveva stupito con il suo romanzo di esordio “Andrà bene di sicuro“, fosse impegnato in qualcosa di meglio che soddisfare i desideri morbosi e pretenziosi di un insignificante lettore; in effetti già me lo immaginavo in qualche paradiso caraibico attorniato da una selva di donzelle adoranti, intento a godersi i proventi di vendite impreviste e imprevedibili. Sì, quelle che, tra capo e collo, gli sono cadute sicuramente addosso nel 2014 (anno di pubblicazione del primo volume) così come raramente cadono addosso a un autore principiante ma estremamente talentuoso baciato dalla fortuna nell’essere incappato – non lo sapeva neanche lui – in un editore lungimirante e nell’aver mietuto una platea smisurata di ammiratori nell’ambito di un genere letterario di nicchia. E invece …

Il ritratto dell’autore quando militava tra le file del 154° Gruppo Cacciabombardieri del 6° Stormo di Ghedi (i mitici “Diavoli Rossi”), immortalato a bordo di un Tornado dell’Aeronautica Militare Italiana (foto proveniente dalla pagina della Hito, la società presso la quale Alessandro Soldati svolge la sua attività professionale). Nella sua scheda personale leggiamo: “Attualmente ha un incarico di docenza presso un’università e svolge con passione il ruolo di istruttore di corsi teorici presso una scuola di volo.
Quando può, si rilassa in mountain bike, o in motocicletta, o lavora in un fazzoletto di terreno in collina.
Queste tre attività sono state citate in ordine decrescente di fatica.”. Non abbiamo dubbio alcuno che queste note biografiche se le sia scritte da solo …

Confesso che quando ho intercettato “In un cielo di guai” nel calderone del più grande bazar digitale della rete, non credevo ai miei occhi; per un istante ho pensato a un caso di omonimia ma l’istante dopo mi sono scoperto a cliccare in modo compulsivo sul tasto “acquista subito”, dopodiché ho consultato con impazienza la tracciatura del pacco fino a strappare con irrefrenabile cupidigia l’involucro che – appena consegnato – conteneva proprio il secondo volume della produzione letteraria di Alessandro Soldati.

A quel punto, leggerlo tutto d’un fiato è stato un piacere e un dovere; ammetto che ho addirittura trascurato il mio lavoro pur di leggerlo e, complice un provvidenziale black-out elettrico pomeridiano sul luogo di lavoro (erano anni che non accadeva), sono rientrato a casa anzitempo pur di conoscerne tutto il contenuto …

Che dire?

Bellissimo? … no, troppo banale definirlo con un solo aggettivo.

Sublime? … no, prevedibile.

Alessandro Soldati oggi. Dopo essersi congedato dall’AMI e aver svolto la professione di pilota di linea per la defunta Compagnia di bandiera italiana, ha conseguito la laurea in Scienze e tecniche Psicologiche. Ora è una delle colonne portanti di Hito, una società che organizza corsi di formazione di Human factor. Il suo curriculum e la sua biografia dettagliatissima sono presenti nel sito di questa società a dimostraziojne dello spirito di trasparenza che lo contraddistingue (foto proveniente dalla pagina https://www.hitoconsulting.org/)

Un’occasione di riflessione? … certo, ma non in modo cervellotico.

Una denuncia in forma narrativa? … anche, ma non solo.

Un modo originale per informare l’uomo della strada di come funziona l’Aviazione commerciale? … sicuramente, ma anche di più.

Uno spaccato verace di un mondo – quello de piloti  commerciali – una volta dorato e oggi banalizzato? … fuori ogni dubbio.

Una grande burla per impaurire i passeggeri brontoloni? … non proprio.

Verosimilmente “In un cielo pieno di guai” è l’insieme di tutto questo e anche di più, ivi compreso quello che lo stesso autore dichiara in copertina: 

“Il libro che nessun passeggero avrebbe voluto leggere (a dirla tutta anche nessun pilota)” 

In effetti è lo stesso autore che nella prefazione intitolata: “Del perché ho scritto questa vicenda” sintetizza in modo mirabile il senso di questo volume e, in particolare, perché non ha concesso un seguito naturale alla vicenda narrata nel primo romanzo benché:

“molto amici mi hanno chiesto perché mai avessi deciso di farla finita […] ebbene […] ho voluto permettere a quel ragazzo di morire quando era ancora vivo”.

In altre parole, Sanzo Ottaviano, il personaggio che anima il primo romanzo, non è volutamente presente in questo secondo giacché:

“probabilmente avrebbe finito per entrare in qualche Compagnia aerea civile e, francamente, una persona così bella non so lo meritava […] e avrebbe finito per spegnersi, proprio come è successo a molti di noi”.

Il sogno malcelato delle Compagnie è quello di non avere più piloti dipendenti, ossia da addestrare e soprattutto da pagare profumatamente a prescindere. Invero le Compagnie low-cost ci sono parzialmente riuscite scaricando sui piloti almeno l’addestramento iniziale e stipulando con le maestranze dei contratti capestro tipo “a chiamata” o “a cottimo”, emuli del mondo della ristorazione, agricolo o del più bieco commercio. Estremizzando, se i velivoli non avessero più piloti a bordo, le Compagnie massimizzerebbero i loro profitti abbattendo nettamente i costi del personale navigante. Fantasie? Forse … intanto nell’ambiente del trasporto aereo si vocifera già come in divenire la riduzione dell’equipaggio a un solo pilota anziché due. Staremo a vedere. Intendiamoci: anche i dinosauri si sono estinti e non erano certo contenti quando è accaduto loro ma voi – sinceramente – ce lo vedete un pilota che vende a provvigione i gadget più disparati ai passeggeri di un volo commerciale? Mai dire mai … (foto proveniente da www.flickr.com)

Da queste poche righe, apparentemente criptiche, intuiamo subito che in questo secondo volume l’autore si toglierà di sicuro qualche macigno dalle scarpe – eccome se lo toglierà! – rendendo così questa prefazione una specie di vademecum del romanzo, una sorta di chiave di lettura del testo vero e proprio. E ce lo conferma subito una con una frase a dir poco emblematica:

“A pochissimi importa oggi di formare Aviatori perché non sono Aviatori quelli che le Aziende cercano ma appunto Operatori di sistema”.

Ovviamente l’autore si riferisce alla tendenza, ormai radicata presso le Compagnie aeree di tutto il mondo, di convertire i piloti a dei meri esecutori di operazioni schedulate e standardizzate. Alla stregua degli automi, questi pseudo piloti:

“permetteranno a un tubo di metallo di andare praticamente da solo per aria da un luogo all’altro con un ragionevole margine di sicurezza”.

Inutile svelare che il tubo in questione chiamasi aeroplano per trasporto passeggeri …

Come nella migliore tradizione editoriale, la IV di copertina del volume contiene una breve sinossi e una telegrafica biografia dell’autore corredate da una fotografia che ritrae il viso sorridente – e nel caso specifico anche un po’ stralunato – dell’autore

Il dente avvelenato di Alessandro Soldati si rivela però in tutta la sua ferocia quando ricorre a un esempio illuminante: il gioco grafico,  dei punti numerati spesso presente nelle riviste di enigmatica o passatempo. Come funziona? Semplice: occorre collegare  i puntini secondo l’ordine crescente di numero affinché appaia un disegno di senso compiuto. Chissà quante volte vi sarete cimentati in questo giochino … confessate!

Ebbene Alessandro Soldati ci fa notare che quasi chiunque è in grado di unire i puntini ma ciò non significa necessariamente che costui sappia disegnare; inoltre si presuppone che qualcuno li abbia disposti anticipatamente quei puntini stabilendone posizione e progressione. Di certo l’espediente consente di ottenere disegni di qualità accettabile e con poco sforzo (economico, s’intende) in quanto realizzati da individui non particolarmente  talentuosi o qualificati nelle arti grafiche.

A detta di Alessandro Soldati quelli ritratti in questo scatto non sono degli Aviatori bensì degli Operatori di Sistema. Come biasimarlo? E’ pur vero che, per anni, i piloti commerciali hanno vissuto nella bambagia, ossia costituivano una casta alla stregua dei medici, dei notai, dei politici. Non a caso, quello del pilota era una delle professioni meglio pagate in termini squisitamente numerici a fronte però di notevoli responsabilità, un duro, lungo e costante addestramento. Oggi si è passati quasi all’eccesso opposto e i piloti di linea sono – come tutti i gli altri lavoratori – appesi al filo dei licenziamenti e della produttività   (foto proveniente da www.flickr.com)

Mutuando questo esempio geniale al mondo dell’Aviazione commerciale, l’autore ci consente di comprendere che, ormai da tempo, la scelta delle Compagnie aeree è quella di far tracciare i puntini (applicare le procedure e le normative) non a opera di disegnatori creativi (i piloti di vecchia generazione, attivi e pensanti) bensì da parte di Operatori di Sistema (i piloti di nuova generazione, esecutori passivi) che sono in grado di unire diligentemente i puntini producendo un disegno (il trasporto dei passeggeri) dignitoso – è vero – benché spigoloso e preconfezionato. Il tutto spendendo poco nell’addestramento e soprattutto nella retribuzione dei loro sedicenti “disegnatori”.

L’autore affonda l’ultimo colpo prevedendo che questi giovani (piloti e non) saranno facilmente sostituibili, sottopagati e ricattabili. Che è giusto appunto la condizione in cui vivono, loro malgrado, i piloti commerciali da qualche decennio a questa parte. E non solo loro: tutti i lavoratori dipendenti!

C’è una via d’uscita a questo processo apparentemente inarrestabile in quanto sostenuto dal vessillo della estrema “sicurezza del volo”? L’autore ci concede una flebile speranza: si può e si deve tornare indietro per merito di chi, provenendo da una scuola diversa, non si accontenterà più di unire semplicemente i puntini ma vorrà tornare a disegnare istintivamente, pur rispettando le regole base dell’arte figurativa.

In altri termini, a detta dell’autore, occorre addestrare i piloti intensivamente, attribuendo loro la discrezionalità di operare non secondo delle rigide procedure ma lasciando loro un certo margine di azione che consenta di far volare le macchine volanti in modo ragionato e non solo automatizzato.

Ecco allora spiegata la dedica che precede il testo del romanzo:

“Ai sognatori, agli irriducibili e ai ribelli poiché, da adesso in poi, siamo davvero nelle loro mani”

Senza sconfinare necessariamente nella fantascienza, ormai da diversi anni la tecnologia aeronautica consente alle macchine volanti di autogestirsi, ossia di decollare, atterrare, volare e diagnosticarsi in piena sicurezza senza il cosiddetto “ausilio” umano o comunque la supervisione di piloti a bordo … rimane irrisolto un dettaglio non trascurabile: i passeggeri salirebbero a bordo di un velivolo consapevoli che non ci sono piloti in cabina o che solo qualcuno non meglio definito controlla la macchina volante in remoto, alla stregua di un semplice drone? Una sorta di Flight Simulator che diventa la realtà?  Bah … E’ pur vero che già da anni alcune metropolitane delle grandi città sono prive di conduttore e addirittura le automobili di ultima generazione potrebbero percorrere talune strade senza essere guidate manualmente. D’altra parte, con l’avvento dell’industrializzazione, occorre ricordare che prima le macchine semplici e i robot poi hanno sollevato l’uomo dallo svolgimento di lavori pesanti, pericolosi e difficili da eseguire limitando il suo impegno lavorativo al controllo/supervisione delle attività meccanizzate/automatizzate. Tutto in virtù di una maggiore sicurezza sul posto di lavoro ma anche e soprattutto di una maggiore produttività e dunque maggiori profitti. In aviazione, generalmente molto reattiva a recepire determinate innovazioni tecnologiche come pure altrettanto refrattaria a innovazioni azzardate, potrebbe davvero accadere lo stesso fenomeno? E, semmai accadesse, quando? A detta di Soldati è già in atto … (foto proveniente da www.flickr.com).

Una volta letta questa prefazione ciò che segue è solo un formidabile valore aggiunto al libro, un modo esplicativo per dare consistenza alle affermazioni fin qui espresse in chiaro (ma forse non troppo chiare a tutti i lettori, specie quelli estranei al mondo del volo). D’altra parte non si possono comprende a pieno problematiche così articolate se non ricorrendo a esempi pratici, reali, a una sorta di parabola di biblica memoria. E in questo – occorre sottolinearlo – Alessandro ci riesce egregiamente. Perché cosa ci può essere di più esplicativo se non il racconto di un qualunque giorno di lavoro di un pilota commerciale?  Appunto …

In verità la scelta dell’autore è decisamente strategica ed è sapientemente sintetizzata in quarta di pagina cui vi rimandiamo.

Dunque la trama del romanzo è tutta lì e non ritengo opportuno anticiparvi o aggiungere altro. Posso solo indugiare su un aspetto: si tratta di una vicenda alla “Alessandro Soldati maniera”, ossia scritta con leggerezza, sottile ironia, un po’ surreale, comica e tragica al contempo; una vera goduria per gli occhi e la mente che spiega la facilità con cui divorerete le pagine di questo romanzo. E anche se il primo capitolo (quello dello zio anacronistico) scorre appena un po’ più lento degli altri, l’anello si chiuderà – e sarà un anello perfetto alla Giotto – al termine di una giornata memorabile per la protagonista, per lo zio  e anche per il lettore, ovvio.

Le “note a margine”, presenti in coda al romanzo, si ricollegano idealmente alla prefazione e spiegano il perché di alcune forzature:

“lo dico soprattutto per avere almeno una flebile speranza di non venire denunciato”

E non mancano le rassicurazioni rivolte ai passeggeri:

“[…] con tutti i nostri difetti, siamo pur sempre quelli che statisticamente combinano meno disastri […]”

consolidata da un’ultima considerazione arguta e sincera che spiega perché, sempre secondo l’autore, i piloti non raccontano o scrivono le loro innumerevoli, rocambolesche esperienze professionali:

“gli aviatori adorano raccontare quanto sono stati bravi a limitare i danni e gli inconvenienti, solo che mentre li limitano, non hanno modo di raccontarlo. Perciò fidatevi e sappiate che comunque ci stanno provando.

Sono lì apposta”

La degna chiusura di un libro notevolissimo!

Confesso però che, dopo aver girato con rammarico l’ultima pagina del libro, qualche perplessità mi è rimasta: possibile che quanto di funambolico narrato nel volume possa accadere a un pilota nel corso della sua pluriennale carriera? Possibile che l’autore non abbia deliberatamente calcato la mano narrando quegli eventi? Possibile che non li abbia costruiti ad arte e a suo favore?

Sebbene lo stesso Alessanro Soldati ammetta apertamente di aver forzato i tempi e i modi … parrebbe di no … e non lo afferma il sottoscritto che – lo ammetto – conosce marginalmente il mondo dell’Aviazione commerciale bensì un nostro consulente speciale, una sorta di agente segreto che, invece di esercitare la sua attività spionistica all’Avana, ha lavorato per anni in ATI e successivamente in Alitalia, peraltro sugli stessi MD-80 su cui ha “esercitato” il buon Alessandro. Come Alessandro, anche il nostro pilota di fiducia conosce perfettamente quelle dinamiche per averle vissute sulla sua pelle (in cabina di pilotaggio, s’intende).

L’autore immortalato nel corso di una sua qualche lezione. Egli indica sullo sfondo una foto in cui è presente e che, a giudicare dal muso del Fiat G-91 T sullo sfondo, risale al periodo della sua formazione professionale in AMI. Un abile modo per mettere a loro agio i suoi studenti: parlare di sé e dei suoi trascorsi. Strategico! (foto proveniente dalla pagina https://www.hitoconsulting.org/),

E allora, vigorosamente chiamato a rapporto, dopo la lettura volontaria quanto fulminea del volume (una sola lunga serata), il nostro consulente  mi ha confermato che quanto narra il suo collega di cloche è terribilmente verosimile e purtroppo reale, fin troppo reale.

Ad ogni modo, nonostante questa ferale informazione, rimangono irrisolti i quesiti che volano nevroticamente nella mente del famoso e fantomatico uomo della strada che poco o nulla conosce del mondo dell’Aviazione commerciale. Aviazione che, verosimilmente, avrà uno sviluppo esponenziale di passeggeri nei prossimi anni, crisi economica, pandemie e guerre permettendo. E questi quesiti nascono vieppiù numerosi dalla lettura di “In un cielo di guai”. Ecco dunque l’occasione di riflessione stimolata dal libro e, nello stesso tempo, di divulgazione e denuncia di una situazione dai risvolti un poco inquietanti che mi sono solo limitato ad accennare.

Ma torniamo al libro.

A proposito della prosa, dell’inventiva, della tecnica narrativa di Alessandro Soldati non c’è nulla da dire: strepitoso. Forse un po’ meno spontaneo rispetto al libro di esordio, meno caricaturale nel tratteggiare i personaggi, ma sempre un’ottima penna dalla quale attendiamo con impazienza il terzo volume. Perché non c’è due senza tre, vero Alessandro?

Promosso su tutta la linea.

E benché le aspettative fossero molto alte, non le ha tradite. Si nota che la sua scrittura si è fatta più adulta, più ragionata ma non per questo meno valida.

Aggiungo che in alcuni punti i dialoghi tendono a scorrere meno fluidi e in un capitolo – solo uno  – l’autore cede alla tentazione di uno “spiegone” di cui – è vero – possono beneficiare i lettori assolutamente astemi di Aviazione ma che per gli altri, desiderosi di conoscere i risvolti successivi della vicenda, costituisce un ulteriore rallentamento. E comunque nulla di intollerabile o di scandaloso. Ti vogliamo bene, Alessandro, comunque!

Tornando agli aspetti squisitamente editoriali del libro, se da un lato posso tranquillamente esprimermi in modo favorevole circa la qualità della carta utilizzata per la stampa (opaca e anche fin troppo bianca), dall’altra non posso fare a meno di dichiarare delle riserve sulla scelta operata circa la foto di copertina che ritengo abbastanza anonima, forse affrettata, generica, senza una diretta logica con il titolo e il contenuto del libro. Peccato. Magari un’altra copertina per una seconda edizione? Magari la stessa seconda edizione con qualche didascalia o note a piè di pagina a uso e consumo dei lettori meno aeronautici? Vedremo, anzi, leggeremo …

Era il 1967 e questo era l’equipaggio del DC-8-33 della compagnia SAS,  compagnia aerea di bandiera di Danimarca, Norvegia e Svezia. Il velivolo era appena atterrato al Galeão International – Antonio Carlos Jobim International Airport GIG di Rio de Janeiro in Brasile. Oggi sarebbe impensabile avere una simile schiera di persone a bordo: due piloti, un ingegnere di bordo, un marconista, il motorista e uno stuolo di assistenti di volo. (foto proveniente da www.flickr.com)

Eccellente il titolo.

Purtroppo, già alla prima pagina di testo, mi è apparsa in tutta la sua infelicità l’uso di un carattere di stampa troppo minuto, sicuramente al di sotto delle dimensioni standard per i libri tascabili. No, non sono “ciecato”, come soleva proclamare il personaggio televisivo della grandissima Anna Marchesini … è proprio piccolo, fidatevi, non sono ciecato. Circa la scelta del font diverso dall’usuale potrei essere benigno ma sulle dimensioni, mi spiace, caro Alessandro, chi ha preferito la copia cartacea del tuo libro – come il qui presente – è costretto a una faticaccia ingiustificata, specie se considerata l’impostazione grafica (anche in questo caso singolare) di porre una riga vuota ad ogni capoverso; trattasi di una nuova estetica dattilografica? Un modo per enfatizzare ciascun periodo? Chissà … sì, certo, noi lo adottiamo in questa recensione … ma non per nostra scelta bensì a causa di un sistema appunto automatizzato che non ci consente di fare diversamente. Il solito programmatore ottuso che ha ideato WordPress – non il nostro, per carità –  lo ha previsto e non riusciamo a fare di meglio.

Ad ogni modo il dettaglio che più mi è stato sgradito all’occhio è la presenza dei segni “<<” e “>>” per aprire e chiudere il discorso diretto: una vera frecciata al cuore! Ma il trattino o le virgolette non sono più di moda?

Voglio sperare che queste soluzioni, riprendendo il contenuto del romanzo, siano avvenute in automatico per mano di un qualche scaltro Operatore di Sistema editoriale e non dall’autore perché, non solo in Aviazione, ma anche in editoria, l’automazione partorisce dei mostri e l’impaginazione discutibile di questo libro potrebbe esserne la conferma.

Quanto al prezzo di copertina non posso che spendere apprezzamenti: onesto e sotto la media di quello di volumi di pari dimensioni pubblicati in regime di autopubblicazione; ottima la scelta di rendere disponibile la versione in ebook o, secondo un altro punto di vista, di farne ancora una versione cartacea.

In conclusione: un libro da acquistare e leggere con la stessa convinzione, certi che – parafrasando i titoli dei due libri di Alessandro Soldati – anche in cielo pieno di guai … andrà bene. Di sicuro!

Buona lettura





Recensione e didascalie a cura della Redazione di VOCI DI HANGAR





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